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Autore: Marti88    04/04/2012    1 recensioni
I battiti cardiaci che raddoppiano quando un walker è nelle vicinanze.
I battiti cardiaci che triplicano quando un walker ti insegue.
I battiti cardiaci che quadruplicano quando un walker ti ha raggiunto.
I battiti cardiaci che cessano quando anche tu, sei un walker.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Correvo, come mai prima d’ora. Brevi sguardi all’essere alle mie spalle per poi riportare i miei occhi sulla strada deserta, ma allo stesso tempo, vittima del caos della strage. Il non-morto, che aveva l’acquolina in bocca (per quanto potesse ancora chiamarsi così), iniziava a rallentare, forse perché il suo piede si stava staccando, o forse perché anche quei “cosi” possono stancarsi (opzione meno probabile). Lanciai un’occhiata alla mia 44 magnum scarica, mi servivano munizioni. Cominciai a sentire un forte dolore al fianco, correvo veloce... molto veloce. Scrutai attentamente tutto ciò che mi circondava, ma niente di abbastanza forte per colpire lo zombie. Arrivai davanti ad un’officina meccanica e mi ci fiondai, sperando di trovare un piede di porco o anche una chiave inglese. Con l’adrenalina e la tensione che scorreva tra le mie vene, cercai dentro i cassetti. Non c’era niente. NIENTE. Il panico stava arrivando. No, era già dentro di me. “Calma Kathrin. Ce la farai Kat.” Mi dissi. Sentivo lo zombie ansimante che si avvicinava, il rumore dei suoi passi era sempre più vicino, il mio cuore batteva a mille e lanciai sguardi ovunque in cerca di un’arma improvvisata. Sentii i suoi passi a pochi centimetri da me. Mi voltai di scatto e mi ritrovai faccia a faccia con quell’abominevole scherzo della natura. Mi allontanai, terrorizzata, mentre lui tentava di assaggiarmi. Non gliel’avrei permesso. Mentre indietreggiavo, calpestai qualcosa. Un cacciavite! Mi chinai a raccoglierlo ma lo zombie era già vicino a me. Il cacciavite mi scivolò dalle dita ma agilmente lo ripresi e lo conficcai nella fronte del non-morto, il quale, continuava a rimanere in vita. Dopo qualche tentativo, riuscii a farlo cadere a terra ma, non essendo sicura di averlo “ucciso”, scappai, sperando di non incontrarne altri. Il sole picchiava sull’asfalto sgretolato, macchiato di sangue innocente, caldo e diverso. Tutte le volte che avevo alzato gli occhi al cielo, lui era sorridente e splendente ma, al giorno d’oggi, era malato e triste. Brutto. Camminavo strusciando i piedi a mo’ di zombie (tanto per restare in tema), non c’era anima viva, nessuno che avrebbe potuto aiutarmi. Continuavo ad avanzare senza meta, nella speranza di essere soccorsa. Ma nessuno avrebbe aiutato una sconosciuta, ora, tutti pensavano a loro stessi, evitando situazioni scomode e rimanendo al riparo. Era anche un qualcosa di giusto, dopotutto, nemmeno io avrei aiutato un estraneo quando io stessa stavo male. Osservavo malinconica la boscaglia ai lati dell’autostrada. Non era color verde, ma un giallo scialbo e triste. Era primavera. Nell’aria odore di gasolio e benzina, forse anche puzza di bruciato. I non-morti emanavano un odore a dir poco disgustoso. Ma non appestavano l’aria, fortunatamente. Lanciai un’occhiata allo zombie che avevo abbattuto (o meglio, speravo), era ancora lì immobile. Sentii il sollievo accarezzarmi la pelle e tutto l’ossigeno di troppo uscì via con un sospiro. Ero stufa, controllai un’auto vicina e ci entrai. Non riuscii a metterla in moto, così, mi stesi nei sedili posteriori. Chiusi gli occhi. Il silenzio era assordante, neanche un po’ di vento, nulla. Mi addormentai. Sognai di essere nel mio salotto a vedermi uno dei miei programmi preferiti. Era un sogno figo, riuscivo a sentire tutti gli effetti sonori del programma: degli spari, la fuga in auto, i litigi (anche se non capivo bene di cosa discutessero).  «Ehi... », una voce maschile arrivò alle mie orecchie mentre venivo scossa da una mano.  «Ehi tu! Sveglia!», gridò. Mi alzai di scatto, sicura di essere sul punto di morire. Posai la mano sulla fondina, vuota. «Calma!», disse il giovane chino su di me. M’immobilizzai, fissandolo. «Ciao», sorrise. Era un bel volto. Giovanile. Gli occhi scuri, i capelli neri fissati con del gel, la barba un po’ trasandata ma corta (probabilmente, l’accaduto, gli impediva di radersi spesso) e la pelle altrettanto scura. Aveva delle macchie d’olio di motore su viso e sulle mani. Mi guardai attorno, ero sull’auto, ma essa non era più sull’autostrada nella quale mi ero persa. Ero in uno spiazzo verdeggiante, una roulotte, due fuoristrada e due motociclette. «D-dove sono?», balbettai ancora spaesata. «Ti abbiamo portato in un luogo sicuro. Non è consigliabile dormire in un’auto nel bel mezzo dell’autostrada, lì gli zombie fanno delle parate, non lo sai?», scherzò. «Abbiamo?», chiesi siccome io vedevo solo lui e nessun altro. «Gli altri stanno arrivando e alcuni sono nella roulotte, temiamo che tu sia contagiata», disse con tono esperto. Contagiata? No, nessuno mi aveva morsa... o almeno, lo speravo! Mi auto-scrutai, ma non vidi niente di preoccupante. «Posso dare un’occhiata?», mi chiese indicando fuori. Voleva “perquisirmi”. Uscii dall’auto, notando della gente affacciata alla finestrella della roulotte. Il ragazzo si avvicinò con un sorriso malizioso. Chiusi gli occhi ignorandolo e mi feci perquisire. Passò le mani sulle braccia, alzò la maglietta, senza esagerare, osservò i miei jeans soffermandosi dove avrebbe morso un cane arrabbiato e non uno zombie. Controllò sotto le parti sporche di sangue per essere sicuro che fossero solo macchie. «Tutto ok», sorrise, «Tutto ok gente!», ripetè gridando verso la casa con le ruote. La gente all’interno della roulotte esitò, ma dopo qualche istante uscì. C’erano tre bambini, cinque ragazze e un signore anziano con un grosso fucile in mano, probabilmente una banale doppietta. «Loro sono Tom, Kate e Jenn», cominciò il ragazzo al mio fianco, indicando i tre bambini, il maschio, Tom, era piuttosto mingherlino, con i capelli e gli occhi chiari. Kate era anche lei bionda, occhi azzurri e assomigliava moltissimo a Tom, probabilmente erano fratelli. Infine, Jenn, era diversa, ma allo stesso tempo bella. Aveva i capelli scuri, e gli occhi azzurri. Era piuttosto bassa rispetto agli altri due e aveva uno sguardo innocente e molto dolce. «Loro sono Matilde, Selly, Abbie, Georgia e Marta», le cinque donne, tutte molto diverse, che avevano un viso che raccontava una storia altrettanto diversa, Matilde aveva una corporatura così esile, che dava l’impressione di spezzarsi, due enormi occhiaie nascevano sotto gli occhi, ma niente da ridire, probabilmente io ero messa peggio di lei. Selly, aveva i capelli corti color miele, un viso dolce che le dava l’aria di perfetta mamma e casalinga, secondo una mia ipotesi lei era la madre dei due bambini, Tom e Kate. Abbie più che una donna era una ragazza, come me. Ma sembrava molto diffidente. Georgia e Marta erano molto simili fisicamente, magari erano parenti. «e infine c’è Billy. Dì “ciao” Billy!», scherzò riferendosi al più anziano. Egli però si voltò ignorandolo ed emettendo uno strana suono scocciato. «Ah, dimenticavo: io sono Adam», sorrise. «Tu? Come ti chiami?», mi chiese. Un po’ spaesata e intontita da tutti quei nomi, «Kat», risposi. Mi guardarono un po’ perplessi. «Come gatto?», mi prese in giro Adam (l’unico di cui ricordavo il nome). «No, è l’abbreviazione di Kathrin», sospirai. «Ok... beh, benvenuta», il suo entusiasmo si smorzò e tornò dentro l’auto dalla quale mi avevano pescata. Gli altri nove si erano sparpagliati e avevano cominciato a svolgere varie mansioni. Billy stava di guardia sopra al tetto della roulotte, tre delle ragazze stavano piegando dei panni e altre due spostavano delle bacinelle, i tre bambini giocavano con delle bambole improvvisate ed io, come un’idiota, me ne stava immobile al centro dello spiazzo, come una statua al centro della piazza.
  
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