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Autore: berlinene    04/04/2012    5 recensioni
Una raccolta di shot che hanno come protagonisti i Toho Boys e la “mia” Toho Girl Yasu Wakabayashi. Una serie di storielline ad ambientazione scolastica (e dintorni) che non hanno nessunissima pretesa, se non quella di strapparvi qualche sorriso e regalarvi un po’ di sano fluff - che non guasta mai... insomma per far tornare tutti al liceo... suvvia, alzi la mano chi non ha desiderato, almeno una volta, sedersi fra i banchi dell'Istituto Toho...
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Ed Warner/Ken Wakashimazu, Kojiro Hyuga/Mark, Nuovo personaggio
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Siamo a luglio del secondo anno. Yasu e Ken stanno già insieme da qualche mese ma, fuori dai cancelli del Toho, la storia non è certo di dominio pubblico...
Mettiamo poi che qualcuno di inatteso suoni al campanello...

Una visita


“Che caldoooo” mugolò Yasu, crollando sul tavolo. “Ma perché mettere i compiti in classe a luglio? Kamisama, mica abitiamo in Alaska”.

“Ti lamenti proprio tu che passerai di sicuro?” ringhiò Kojiro, tracciando rabbiosamente una X rossa sull’ennesimo risultato sbagliato dell’equazione.
“Di sicuro c’è solo che sto morendo di caldo” borbottò la ragazza, imbronciata.
“Se ancora il concetto non fosse chiaro…” ironizzò Sorimachi dal bagno.
“Se la smetteste di lamentarvi e punzecchiarvi, finiremmo in fretta e magari potremmo andare un po’ in piscina” intervenne Ken, serio, cercando di placare gli animi surriscaldati dal clima e dalla matematica..
“Dico solo che, come minimo, negli alloggi ci dovrebbe essere l’aria condizionata-”
“Ma sentitela” la interruppe Kojiro. “Dove credi di essere, al Grand Hotel?”
“O a casa tua?” rincarò la dose Sorimachi, sempre urlando attraverso la porta aperta del bagno.
“Io ve lo avevo detto di andare a studiare a Villa Wakabayashi, ma voi non avete voluto! E poi con la retta che paghiamo…” fece una pausa, osservandoli. “Ah già, voi avete tutti la borsa di studio… sarà mica per quello che abbiamo l’appartamento più fatiscente?”
Ken stava per gridare un “BASTA!” ultrasonico, ma il suono del campanello interruppe l’ameno scambio di opinioni fra coinquilini.
Si guardarono con aria interrogativa e tutti scossero la testa: nessuno aspettava visite. Dato il caldo, poi, erano tutti poco presentabili: Yasu indossava un top e dei pantaloncini cortissimi, Kojiro era direttamente in boxer e canottiera, Ken aveva su solo dei bermuda. Per non parlare di Sorimachi che, finiti i compiti, si stava facendo la doccia.
Con un sospiro, il portiere si rese conto di essere l’unico in condizioni vagamente decenti e si trascinò fino al portone. Passando, ebbe il buon gusto di accostare la porta del bagno.
“Sì?” chiese un po’ scocciato, aprendo la porta.
Seguì un silenzio strano. Yasu e Kojiro si guardarono perplessi.
“Ya – Yasu” balbettò poi Ken, dall’ingresso. “Hai hai… visite”.
La ragazza si alzò e si avviò a sua volta verso il portone. “Chi…” la voce le morì in gola e il cuore le rimbalzò forte nel petto. “Genzo!” gridò infine, lanciandosi attraverso il corridoio fra le braccia del fratello.
Non sapeva se piangere o ridere. Cioè, lo sapeva: avrebbe pianto, ma non era sicura se per la gioia di rivederlo, per la disperazione o per le tante, troppe cose da spiegare. Che suo fratello non avrebbe capito.
Nel frattempo, Kojiro si era affacciato dall’uscio della cucina e Kazuki da quello del bagno, come si è detto, in mutande il primo, coperto solo da un asciugamano il secondo. I due giocatori accennarono un mezzo saluto al visitatore ma Genzo non rispose, intento com’era a passare in rassegna, con sguardo torvo, le mise dei quattro studenti.
“Scusa” cercò di batterlo sul tempo Yasu, “stavamo studiando e fa un caldo…”
“E dove sono i loro vestiti?” la interruppe, puntando il dito contro i ragazzi.
“Come ti ho detto…” A Yasu sembrava di sentire le proprie unghie stridere sugli specchi su cui cercava di arrampicarsi. “Stavamo studiando e pensa un po’, avevamo del succo che è finito tutto addosso a Kazuki, nonché sulla maglia di Ken e sui pantaloni di Kojiro…”
Wakashimazu, dietro le spalle di Genzo, si passò la mano sulla faccia, scuotendo il capo. Sorimachi soffocò a stento una risata, mentre Kojiro faceva sforzi disumani per restare impassibile.
“E le tue compagne di appartamento? Non hanno problemi con questi mezzi nudi in giro per casa?”
“Ehhh vabbè…” scherzò Yasu, forzando una risata, “poteva andare loro peggio…” insinuò accennando agli addominali di Ken e ai bicipiti in bella mostra di Kojiro. “E poi come vedi non ci sono… ma che maleducata,” tentò di sviare, “ti lascio lì sulla porta, vieni, appoggia i bagagli in camera mia”.
Peccato che, per arrivare alla stanza di Yasu, bisognasse passare di fronte a quella di Kojiro. La porta era ovviamente spalancata ed era abbastanza evidente che non si trattasse della stanza di una ragazza.
“Yasuko Wakabayashi…” scandì lentamente Genzo. La sorella fece per ribattere, ma lui la anticipò: “Lo so che non ti piace sentirti chiamare così…”
“Non è quello… è che così mi chiama solo mamma e… ehi, sai che con quell’espressione sembri proprio la mamma? E comunque… sì non mi piace” raffazzonò imbarazzata.
“A me non piace essere preso per il culo, invece” disse, guardandola fissa negli occhi. “Vivi insieme a loro, vero?”
Kojiro e Ken trattennero il fiato e distolsero lo sguardo, imbarazzati, mentre Yasu annuiva, fissando il pavimento e mordendosi il labbro inferiore.
“Ehm” si intromise Kazuki. “Visto che la cosa è chiarita posso andare in camera mia a vestirmi? Graaaazieeee” disse educato, insinuandosi fra i due gemelli. Genzo si scansò per farlo passare, quindi tornò a guardare la sorella, braccia incrociate e sopracciglio inarcato:
“Mi sorprende che in una scuola tanto blasonata permettano certe cose. Spiegami come hai fatto”.
Yasu sorrise, furba. “In effetti è una storia piuttosto divertente! Accomodiamoci in soggiorno”.
Genzo e Yasu raggiunsero Ken e Kojiro che, intanto, avevano liberato il tavolo dai libri.
“Ma…” si rese d’improvviso conto Genzo. “Dovete studiare?”
“Non ti preoccupare,” rispose Ken, aprendo bocca per la prima volta, senza guardare l’altro portiere negli occhi, “riprenderemo più tardi.” Concluse sparendo oltre la porta coi libri in mano.
“Qualcosa da bere?” mugugnò Kojiro.
“Volentieri, grazie” disse l’ospite. Un attimo dopo il cannoniere gli mise davanti, senza tante cerimonie, un bicchiere, una bottiglia di coca cola e del succo di frutta. Genzo si servì, accavallò le gambe e si preparò ad ascoltare il racconto della sorella. “Sentiamo” la incoraggiò in tono sarcastico. “Voglio proprio farmi due risate”.
“È stata Nanny a iscrivermi a scuola,” spiegò la ragazza, “e ha scritto solo ‘Yasu’ anziché ‘Yasuko’, così hanno creduto che fossi un maschio… e, siccome ci dividevano per cognome, mi sono ritrovata in appartamento con Ken. Poi Takeshi, Kojiro e Kazuki hanno fatto cambio con gli altri tre e…”
“E ancora nessuno se ne è accorto?” chiese Genzo, sorpreso.
“Oh, sì…”
“E allora? Com’è che ti hanno lasciato qui?”
“Ehm” cincischiò Yasu, giocherellando con l’orlo dei pantaloncini. “Sai com’è, ormai le stanze erano stabilite…”
“Ma se loro” alzò la voce, indicando Kazuki e Kojiro, “hanno fatto cambio!”
“Sì, ma gli alloggi femminili erano completi!”
“WAKABAYASHI YASUKO NON PRENDERMI PER IL CULO!”
“Diciamo che un po’ è vero” s’intromise Sorimachi. “Sarebbe stato un bel casino ricombinare tutto, almeno così dissero…”
“Ma?” incalzò Genzo.
“Eddai, Wakabaya- ehm, Yasu, diglielo e facciamola finita” sbuffò Kojiro, poi si rivolse a Genzo. “Diciamo che tua sorella ha… spinto i tasti giusti …”
“Che… che cosa vuol dire?” chiese l’SGGK. Non sapeva davvero cosa pensare!
“Vuol dire” si decise infine la ragazza, “che ho… ehm… ricordato al consiglio scolastico che… ehm… papà è uno dei maggiori investitori e…”
“Yasu” sospirò Genzo, un misto di rabbia, disperazione e resa totale, mentre si portava le mani al volto.
“Non lo dirai a mamma vero, fratellino mio?”
Fratellino mio? Se mi chiami di nuovo così, le telefono nel giro di cinque minuti…”
“Andiamo, Gen… per favore… loro sono…” lo pregò, quasi con le lacrime agli occhi. “I migliori amici che ho qui a scuola…” confessò, sforzandosi di non guardare Ken.
L’SGGK inarcò il sopracciglio, dando di nuovo uno sguardo a Hyuga, che lo osservava con aria di sufficienza, a cavalcioni della sedia, con indosso solo la biancheria; a Wakashimazu che, tornato in soggiorno con indosso una maglietta, si era messo ad armeggiare alla cucina, senza mai guardarlo negli occhi; e a Sorimachi, che da mezz’ora era sulla soglia, tentando di attirare la loro attenzione per salutarli.
“Sta bene, non lo dico alla mamma” biascicò infine. “Ma non aspettarti che mi complimenti con te per la scelta degli amici”. Concluse con un risolino sghembo.
Yasu alzò preventivamente una mano per zittire Kojiro, poi, con tono mielato, ribatté: “È perché non li conosci, vedrai che se resti un po’ qui, capirai perché voglio loro tanto bene”.
Ken sussultò impercettibilmente, poi uscì dalla stanza mormorando delle scuse.
“A proposito” riprese Yasu. “Com’è che sei da queste parti? Quanto ti fermi?”
“Solo un paio di giorni… poi vado a Nankatsu… sempre se non è un problema… anzi, dovrei cercarmi un albergo…”
“Non se ne parla” lo interruppe la ragazza, “tu dormi qui. Kojiro ha un futon, lo portiamo in camera mia…”
“Ma la tua stanza è piccola!” replicò Hyuga. “Perché non gliela lasci e tu non dormi con-”
Lo sguardo infuocato di Yasu e Kazuki gli fece morire le parole in bocca e realizzare che Wakabayashi non solo non sapeva, almeno fino a pochi istanti prima, che loro erano i coinquilini della sorella ma, soprattutto, non aveva la minima idea dei rapporti di questa con Wakashimazu…
“Hyuga intendeva dire” intervenne Kazuki, tempestivo come sempre, “che metteremo il futon nella sua stanza che è più grande e io o Ken ci andremo a dormire, lasciando all’ ospite una delle nostre stanze”.
“Non voglio disturbare…” Fu l’educata risposta di Genzo.
“Sì, lasciamo perdere” disse Yasu, calcando particolarmente le parole. “Siamo stati nove mesi in un utero, possiamo ben stare due notti in una stanza un po’ piccola, giusto Gen?” ridacchiò nervosa.
“Senza dubbio” rispose atono il gemello, mentre Sorimachi rideva di gusto, a bella posta, per sviare ulteriormente l’attenzione del visitatore.
Yasu si alzò e propose al fratello un giro per il campus, che così i suoi compagni potevano studiare – e calmarsi – pensò, cercando con lo sguardo Ken. Con la scusa di andare a cambiarsi, si avviò verso la propria camera e, di nascosto, raggiunse quella del suo ragazzo.
“Ken…”
“Quando ti dicevo che dovevi raccontarglielo…”
“E che posso farci… è andata così” rispose stizzita, “e… non hai mai pensato che magari preferivo dirglielo di persona?” buttò lì.
“E che sarà mai, non credo sia la fine del mondo…”
“Appunto, allora cosa te ne frega se glielo dico ora!”
“Ma che ne so… mi imbarazza un po’ cenare con lui un’ora dopo che glielo hai detto, ecco”.
“Stai tranquillo” le sussurrò, avvicinandosi e poggiandogli le mani sul petto. “Mi ha sempre detto di stimarti… vedrai che sarà contento”.
****
“CHE COSA???” gridò Genzo, guardandola come se gli avesse detto qualcosa di terribile. Eppure lei l’aveva presa larga, molto larga: avevano attraversato tutto l’immenso campus dell’Istituto Toho: Yasu aveva spiegato la funzione di ogni singolo edificio, accompagnando la spiegazione con episodi divertenti, successi qua e là nel corso dell’anno, cercando di veicolare l’idea di quanto quei mesi fossero stati pieni e divertenti, e di quanto il merito di tutto ciò fosse da imputare ai suoi coinquilini. Cercò di mettere particolarmente in buona luce Ken, evitando tuttavia di non parlare solo di lui, bensì anche di Takeshi, Kojiro e Kazuki.
Infine, erano arrivati al campo di calcio. Genzo espresse la sua approvazione: per essere una scuola giapponese aveva davvero un bell’impianto, paragonabile a quelli che usava in Germania. Yasu tirò fuori le chiavi e gli fece visitare anche gli spogliatoi e la palestra. Sbucarono nel campo vero e proprio. Quasi senza accorgersene, si diressero verso una delle porte.
E inevitabilmente pensò a Ken. Era un segno, un segno evidente che non si poteva più procrastinare. Così, dopo aver parlato di tutti i loro familiari e amici, finalmente Yasu introdusse l’argomento.
“E di te cosa mi racconti? Il fascino esotico funziona ancora con le tedesche?”
Genzo si arrestò un attimo, guardandola torvo, poi, vedendo il sorriso sul volto della sorella, si rilasso a sua volta e rispose divertito: “Abbastanza, grazie”.
Lo guardò, birichina e curiosa.
“Uff, sì sono uscito con un po’ di ragazze…”
“Devo guardare sulla tua agenda o te le ricordi?”
“Mah, sì beh, Karin, Helena… ” cominciò a elencare una serie di nomi che lasciarono Yasu perplessa e forse un pochino gelosa, ma era anche contenta che il fratello si trovasse bene in Europa.
“E… tu?” le chiese, prevedibilmente, a sua volta. Due paroline troppo piccole per capire cosa ci fosse dietro… cosa avrebbe voluto sentire suo fratello, in realtà?
“Beh, non così tanti…” esitò, suscitando l’ilarità del gemello. “D’altra parte si sa che quello bello sei tu…” lo schernì, guardandolo di sottecchi.
“Ma finiscila” borbottò l’altro, arrossendo.
“In effetti molto pochi… o per dire la verità… uno, ecco” balbettò, controllando poi la reazione del ragazzo.
“Ah” fece lui. Poi si cacciò le mani in tasca e fece qualche passo, come stesse pensando. Riflettendo su se uno fosse meglio o peggio di tanti. Poi tentò: “C’è uno… che ti piace?”
L’espressione e il tono di Genzo continuavano a essere imperscrutabili. Yasu davvero non sapeva come mettere la cosa. Infine, decise di dirglielo e basta, tanto, come dire, cambiando l’ordine degli addendi…
A forza di tentare di inculcare la matematica nella testa di Kojiro, ormai, parlavano tutti per teoremi… Il giorno prima, Kazuki aveva espresso il suo snervamento per quella situazione dicendo che la sua pazienza non tendeva a infinito…
Stava divagando… lo sguardo ineffabile ma inquisitorio del fratello la riportò al proprio dovere. Prese fiato, deglutì e forzò un sorrisetto.
“Certo che mi piace… e immagino che la cosa sia corrisposta visto che…” esitò, poi socchiuse gli occhi e sparò: “visto che stiamo insieme…”
La cosa terribile è che quel “CHE COSA???” era arrivato a questo punto. Prima che venisse fuori il nome. Il che non era incoraggiante.
Poi Genzo aveva preso un profondo respiro, si era passato le mani sul viso e le aveva congiunte, esalando: “Non è Hyuga, vero?”
Yasu lo osservò sbattendo le palpebre, non sapendo se sentirsi sollevata, perché almeno in quello non aveva disatteso le aspettative fraterne, o se ridere per quella sua preghiera accorata. Comunque si affrettò a rassicurarlo: “Nooooo” rispose agitando le mani in segno di diniego. “È Wakashimazu!”
****************
“…e menomale tu sei quello che dovrebbe capirmi più di chiunque altro” sbraitò Yasu, sottolineando le ultime parole con particolare teatralità, mentre rientravano nell’appartamento. Genzo alzò gli occhi al cielo e lanciò uno sguardo agli altri inquilini, sorprendendosi del fatto che nessuno avesse fatto una piega davanti a quella scenata.
La ragazza proseguì come una furia verso la propria camera, uscendone attimi dopo con un accappatoio e altra roba in mano. “Vado a farmi una doccia” sputò all’indirizzo del fratello. “Attento che non ti buttino in pentola con le verdure” ghignò, entrando in bagno e sbattendo la porta.
“…e tu vedi di darti una calmata” replicò Genzo, rendendosi tuttavia conto di star parlando all’uscio della toilette. Con un sospiro si sedette in un angolino della cucina, osservando Wakashimazu e Hyuga trafficare ai fornelli. Un inevitabile sorrisino sghembo gli incurvò le labbra.
“Fa sempre così” disse a un tratto l’attaccante, senza alzare la testa “è un po’ incazzosa-”
“Yasu non è incazzosa” lo corresse Ken, smettendo per un attimo di fare qualsiasi cosa stesse facendo, serrando i pugni e girando di scatto il viso verso l’amico. “Che peraltro non vuol dire niente…”
“Oh, sì che lo è” insistette Kojiro. “Ma è questione di qualche minuto poi…”
“… poi si calma, sì, lo so” sospirò di nuovo Genzo.
“E dopo è la persona più razionale e paziente del mondo” sorrise Wakashimazu.
“Basta lasciarla sbollire qualche minuto” dissero tutti e tre praticamente all’unisono. E nascondendo a stento un sorriso.
Poi calò il silenzio e per un po’ si sentirono solo i rumori prodotti dai due “cuochi” all’opera e, in lontananza, lo scrosciare della doccia.
Ken si interruppe di nuovo e si voltò verso Kojiro. “E se lo chiedessimo a lui?”
Genzo li fissò, gli occhi ridotti a fessure. Ma che credevano di essere soli? O che a forza di stare in Germania, non capisse più la sua lingua? Incrociò braccia e gambe in una posa stizzita e inquisitoria. Voleva proprio sentire cosa avessero da chiedergli. Vide Ken voltarsi, appoggiando la schiena al bancone della cucina, socchiudere gli occhi e incrociare, a sua volta, le braccia sul petto. Niente di che, se non avesse avuto ancora in mano un coltellaccio con cui, evidentemente, stava sminuzzando qualcosa. Genzo fissò per un attimo l’utensile e l’altro portiere dovette accorgersene, perché, svelto, lo mise via.
“Scusa” mormorò. Poi riprese e nel suo tono c’era una certa urgenza. “Senti… vorremmo chiederti una cosa…”
“Tu e chi?” chiese l’SGGK.
“Io e beh… Hyuga, Sawada e Sorimachi” rispose, perplesso.
“E sarebbe?”
Guardò verso il bagno. L’acqua che scorreva ancora gli confermò che aveva ancora tempo. Ma Hyuga, che fino a quel momento era rimasto di spalle, dovette scambiare quella pausa per esitazione, perché si voltò e prese la parola.
“Per farla breve, Wakabayashi, il punto è questo. Ci dispiace che tu l’abbia scoperto così ma, ecco, ci teniamo a precisare che con Yasu ci troviamo bene, ci divertiamo e la... rispettiamo” disse, grattandosi la testa, un po’ a disagio. “Insomma... ci fa piacere che viva con noi solo che... a volte abbiamo paura che le manchino un po’ di quelle cose…” fece una smorfia, come cercasse la parola giusta. “Insomma, le cose… da femmine”.
“Tipo?” domandò ancora Genzo, sempre con un’espressione impenetrabile.
“E che ne so?” sbottò Hyuga. “Le cose che fanno le femmine… ho anche io una sorella e spesso invita le sue amiche a casa e parlottano e… starnazzano per ore e ore…”
Il portiere dell’Amburgo aggrottò le sopracciglia, come se riflettesse o cercasse di ricordare. Alla fine scosse la testa.
“Yasu no” sentenziò. “A quanto mi ricordo, ha sempre preferito stare con me e i miei amici, anzi fu proprio quando arrivò Sanae che iniziarono i problemi. Con lei litigava di continuo, cosa che prima non era mai accaduta con nessun altro”.
“Te l’avevo detto” sibilò Ken. “Yasu non è come le altre…”
Genzo fulminò con lo sguardo il collega. “Sì, ho sentito dire che…” All’improvviso gli mancarono le parole. Quella novità doveva ancora metabolizzarla. Eppure c’era una cosa che doveva dire. Inspirò ed espirò pesantemente un paio di volte, quindi puntò un dito in faccia all’altro.
“Non me ne frega un cazzo se sei centesimo dan, se fai soffrire mia sorella, il modo di ammazzarti lo trovo”.
Ken lo guardò con gli occhi spalancati, fissando per la prima volta, direttamente, quelli di Wakabayashi.  Non fu facile sostenerne lo sguardo, così identico a quello della sua ragazza. Ma poi raddrizzò la schiena e, cercando di controllare la voce, rispose molto serio: “Mi sembra giusto”.
Genzo indietreggiò appena, cercando con la mano la sedia, su cui tornò a sedersi. Era arrossito.
“Ma non credo che si renderà necessario” aggiunse Wakashimazu, accennando un piccolo inchino. Poi fece un respiro profondo e tornò a voltarsi.
L’SGGK lo guardò e, malgrado tutto, pensò che era vero.
Hyuga era stato lì lì per intervenire, giusto per evitare che Ken si impelagasse in robe tipo giuramenti d’onore o cose del genere, ma si accorse che quella sfida fra i due portieri era finita. Giusto in tempo, perché l’oggetto del contendere stava entrando nella stanza. Con in mano del cotone e una siringa.
“Sorimachi?” chiese. “Si nasconde come al solito? Tsk, grande e grosso e ha paura di una punturina”.
“Non ho paura” precisò l’interessato, sbucando dalla propria stanza, “è che stasera abbiamo ospiti…”
“Non mi risulta che farsi un’iniezione sia contro il galateo… almeno che non appoggi i gomiti sul tavolo e ti tiri giù le mutande in sala da pranzo… ma devo fartela sul braccio, quindi non si scandalizzerà nessuno, dai che te ne mancano solo due”.
“Andiamo Sorimachi, fatti questa iniezione e finiamola” intervenne brusco Kojiro. “Che qui siamo pronti”.
Yasu e Kazuki sparirono nella camera di quest’ultimo, incrociando nel corridoio Sawada. Il giovane centrocampista, si mostro piacevolmente colpito da quella presenza inattesa e  salutò Genzo con calore. Scambiarono qualche parola e Takeshi gli spiegò anche che un mesetto prima Kazuki si era rotto un dito della mano, l’avevano operato e doveva prendere per un po’ delle iniezioni di calcio-eparina e che Yasu si era offerta gentilmente di fargliele.
Di lì a poco Sorimachi e Yasu tornarono in soggiorno e si sedettero al tavolo che, intanto, Wakashimazu aveva apparecchiato.
Genzo doveva ammetterlo: le sue due nemesi del Toho potevano non avere un carattere a lui congeniale, ma sulla loro bravura ai fornelli, come su quella in campo, non c’era niente da dire.
“Devi ritenerti fortunato” lo informò Yasu. “Il nostro capitano e il nostro portiere hanno onorato la tua visita dando ognuno il meglio di sé”. Poi passò a tessere le lodi del “famoso donburi di Kojiro”, della “gustosissima soba di Ken”, della “ricetta segreta degli yakitori della signora Wakashimazu”. E nessuna lode era immeritata. Genzo fece una scorpacciata di cibo giapponese come non ne faceva da mesi. Tanto che, quando Yasu gli presentò gli usuama che aveva fatto la sera prima insieme a Takeshi, riuscì fisicamente a ingerirne solo due. Infine, anche Sorimachi volle dare il suo contributo alla cena e tirò fuori da un qualche recesso della sua stanza una bottiglietta di saké.
Gli altri strabuzzarono gli occhi alla vista della bevanda alcolica, ma poi tutti favorirono. Per fortuna, la bottiglia era piccola e, divisa in sei, a ognuno toccò solo un bicchierino di saké. Ma fu sufficiente per rendere l’atmosfera più rilassata e risollevare gli spiriti. Collaborando e scherzando fra loro, i ragazzi del Toho sparecchiarono e sistemarono la cucina, Genzo li osservò divertito lanciarsi le cose e schizzarsi con la schiuma, aprire e chiudere gli sportelli usando rigorosamente i piedi. Soprattutto osservava sua sorella: il sorriso che le illuminava il volto, gli sguardi intensi che si scambiava con Wakashimazu, continuando a fare dispetti a Hyuga, rispondere per le rime a Sorimachi e chiacchierare amabilmente con Sawada.
Una volta finito di rimettere a posto, Yasu lo guardò con un sorrisetto sghembo, “Hai un aspetto orrendo, Genzo, mi sa che stai morendo di sonno. Vogliamo andare a prepararti il letto?”.
“Grazie, sorellina, non farmi troppi complimenti… e comunque sì, ti ricordo che sono venuto qui direttamente dalla Germania…”
“Lo so” gli sussurrò dolcemente, tendendogli la mano. “E non ti ho ancora detto quanto sono felice che sei venuto”.
“Magari avrei dovuto avvertire…”
“Naaah, sennò che sorpresa è! E se avvertivi non sarebbe stato altrettanto… come dire… avvincente.”
Genzo sghignazzò, afferrandole la mano e tirandosi su. Una volta in piedi, le rivolse un sorriso particolarmente aperto e tenero. “Vado da solo a sistemare la camera, rimani pure coi tuoi… amici”.
“Ma no, loro li vedo sempre mentre te…” esitò. “Sempre se ti fa piacere”.
“Certo”. Percorsero il corridoio in silenzio poi, quando furono nella stanza, Genzo riprese: “Sono stato un po’ cafone, prima…”
“A cosa ti riferisci?” fece Yasu, intenta a sistemare il futon.
“Beh sì, insomma quando ho biasimato il tuo gusto in fatto di amici…”
La ragazza dette un’alzata di spalle. “Neanche Karl e Hermann sono mai stati il mio ideale… per non parlare di Maria Schneider che ti guarda come se fossi fatto di Marshmallows…” concluse con una smorfia.
“Ma che dici?” protestò il fratello, avvampando. “E allora cosa dovrei dire degli sguardi che vi scambiavate tu e Ken?”
“Io e Ken stiamo insieme” disse, smettendo per un attimo di rifare il letto e guardandolo con un aria fra l’orgoglioso, l’arrabbiato e lo sfottò.
“Uhhhh dimenticavo… è una cosa seria…” la canzonò.
Yasu lo fronteggiò, accigliata. “Certo che lo è”.
Il portiere sbatté le palpebre, colpito dall’espressione decisa che aveva davanti. Un brivido lo percorse. “Yasu… tu… voi… non…”
Era di nuovo arrossito e la ragazza scoppiò a ridere. “No, tua sorella non ha perso la verginità prima di te, non ancor- ahia! Ma sei scemo?” disse, massaggiandosi il braccio su cui il fratello aveva appena assestato un pugno. “Come vedi, dormiamo anche in camere separate e sappi che è stato lui a volerlo.”
“Ah, beh, perché se era per te…”
“Ma no, sono stata d’accordo… noi stiamo bene insieme ma… siamo giovani e… abbiamo tutto il tempo del mondo, no?” sorrise.
“Certo” sussurrò dolcemente, abbracciandola.
Che strano effetto gli faceva quella cosa. Da un lato, se fosse stato un “amico dello sposo”, pensò con un ghigno, lo avrebbe preso per il culo, dandogli dello sfigato, ma, dall’altro lato, in qualità di “fratello della sposa” non poteva che essere profondamente soddisfatto della situazione. Ma c’era  un terzo aspetto della questione: Genzo Wakabayashi era un po’ invidioso… non solo geloso della sua “sorellina”… proprio desideroso di provare, a sua volta, un sentimento del genere.
Preso da questi pensieri, si rigirò nel futon e cercò, nella penombra, quel volto così simile al suo, accorgendosi così che sua sorella dormiva girata verso di lui, un braccio penzoloni a cercare un contatto, dopo che, per mesi, stranamente, tanti chilometri li avevano divisi. Allungò la mano per stringere la sua.
Yasu, così diversa, così uguale a lui. Yasu che ancora una volta gli aveva dato la risposta che cercava prima che lui formulasse, anche solo nei propri pensieri, la domanda.
Aveva tutta la vita davanti, avrebbe trovato anche lui, prima o poi la persona giusta. Yasu diceva bene: avevano tutto il tempo del mondo.
 
 
   
 
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