Aprì gli
occhi e si trovò in uno spazio completamente
bianco. Si alzò lentamente ed ebbe la sensazione di
camminare sopra un immenso
mare di latte.
Guardò più attentamente in giro e vide in
lontananza un
puntino nero che vagamente ricordava una figura umanoide. Gli corse in
contro,
e più si avvicinava più la cosa prendeva forma,
finché non si ritrovò a pochi
passi da essa e la osservò. La figura era una donna sdraiata
di carnagione
molto pallida vestita con una armatura forse proveniente da
quell’era antica
chiamata medioevo; aveva gli occhi chiusi, e gli sembrò come
una dolce fata
addormentata in un luogo sperduto e incantato, dove solo pochi eletti
potevano
accedervi attraverso sentieri nascosti ai comuni mortali. Lei era
bellissima:
aveva il viso bianco e ovale con delle lunghe ciglia nere e una bocca
con le
labbra rosso fuoco. I suoi capelli le facevano un soffice cuscino nero
pece per
la sua testa e le sue spalle. In realtà non sapeva ancora se
lei fosse o no
della razza umana: poteva benissimo essere un’aliena, oppure
un Cyborg ben
costruito e fin troppo reale tale da essere fuori legge.
L’unico modo per
saperlo era quello di toccarla. Allungò la mano verso il suo
candido braccio e
quando le fu a pochi centimetri, quella spalancò gli occhi.
Ritrasse subito la
mano mentre provava un senso di terrore mai sperimentato in vita sua:
gli mancò
il respiro, il suo cuore cominciò a battere fortissimo e a
una velocità folle,
quasi facendogli male.
Indietreggiò qualche metro dalla donna, mentre lei si
alzava con i suoi occhi totalmente neri, senza sclera né
pupilla, come se
quest’ultima si fosse allargata e avesse invaso tutto lo
spazio circostante: la
donna bellissima e pura che aveva visto gli sembrò ora un
orribile mostro. Un
ulteriore senso d’orrore lo pervase quando la creatura
aprì leggermente la
bocca e mostrò i denti: erano simili a quello di uno squalo,
piccoli triangoli
bianchi uno vicino all’altro con il margine seghettato. La
creatura emise un
suono acuto, straziante, che penetrò le membra
dell’uomo come mille aghi
d’argento.
Lui urlò qualcosa ma non sentì la propria voce;
più
spaventato che mai, le girò le spalle e cominciò
a correre all’impazzata, nel
tentativo di mettersi al riparo. Ma più correva,
più lei gli si avvicinava,
fino a quando lui, sfinito, cadde a terra, tutto sudato e con il
terrore che
gli pervadeva tutto il corpo, molle per la fatica. A quel punto la
creatura
parlò con una voce doppia, come se due persone fossero
all’interno del suo
corpo. Disse: - Io sono la Morte e sono qui per portarti con me. Non
opporre
resistenza o la tua cattura sarà per te più
dolorosa.-
Con un evidente terrore negli occhi, lui cercò di dire
qualcosa, del tipo ‘Mai!’, ma ancora una volta la
sua voce non uscì dalla gola.
La Morte, come se avesse capito ugualmente, sorrise, curvò
la schiena, e con
uno scatto la raddrizzò completamente e subito le spuntarono
un paio di ali
nere come quelle di un drago, con dei grossi buchi nella membrana che
le
ricopriva. L’uomo respirava affannosamente a intervalli
irregolari e di tanto
in tanto il respiro cessava, per poi riprendere più veloce
di prima. Lei
distese il braccio destro, aprì la mano e immediatamente
comparve dal nulla una
nera e lunga spada lucente.
L’uomo si rialzò da terra e riprese a correre
nella
direzione opposta, ma, come se una mano invisibile lo avesse ghermito
al collo,
si sentì tirare verso di lei e il fiato affievolirsi; si
mise le mani al collo
per capire che cosa stesse accadendo, anche se non sentì
nulla a parte le ossa
che sostenevano la sua trachea. La stretta era troppo forte e lui
realizzò che
l’unico modo per non finire soffocato era quello di
riavvicinarsi di nuovo alla
Morte, per porre fine alle sue sofferenze. Infatti, una volta
inginocchiatosi
davanti a lei, fu libero ancora di respirare; l’uomo era
sicuro che stava
gemendo per la paura, ma continuava a non sentire nulla, come se i
suoni gli
morivano in gola ancora prima di uscire e risuonare
nell’aria. Si mise anche a
piangere, e cercava di supplicarla di lasciarlo in vita; qui ebbe di
nuovo la
sensazione che lei capisse ogni sua singola parola, poichè
cominciò a sorridere
mostrando di nuovo tutti i suoi bianchi e mostruosi denti aguzzi. Prese
la
spada e pose la lama vicino al collo dell’uomo, come se
prendesse la mira: egli
poteva sentire il calore e lo scoppiettio di un fuoco invisibile che
imbeveva
la lama.
La Morte allontanò l’arma dalla gola
dell’uomo e si
preparò a dare il colpo di grazia. Lui chiuse gli occhi,
mentre le lacrime gli
sgorgavano dagli occhi come fiumi in piena, e si preparò per
la sentenza
immeritata: pensò a tutte le cose malvagie che aveva fatto
in vita, ma nessuna
gli sembrò così grave da meritarsi un trattamento
di quel genere. La Morte
sussurrò qualcosa in una lingua sconosciuta e poi
colpì. L’uomo sentì un dolore
fortissimo e credette stupidamente di vedere la sua testa insanguinata
rotolargli davanti ai piedi.
Ancora sudato e con il respiro affannoso, si alzò dal
letto, mentre la visione della sua testa insanguinata era ancora
impressa nei
suoi occhi. -È ora di prepararsi.- disse tra sé e
sé. Mentre andava in bagno,
l’uomo si massaggiò il collo con la mano destra,
come se davvero qualcuno o
qualcosa lo avesse colpito in quel punto.
Fece una doccia veloce e poi, come da rito, si mise
davanti allo specchio per curare tutti i particolari: con un fondotinta
si
mascherò la cicatrice che aveva sull’occhio
sinistro, frutto dello scontro a
fuoco con l’ agente Serfer. –Bastardo! La prossima
volta che ti incontro sarà
anche l’ultima.- Ogni volta che si ricopriva lo sfregio
pronunciava quella
frase come se fosse un rito scaramantico che lo aiutasse a proseguire
la sua
dura giornata. Aprì un cassetto e indossò una
tuta blu col cappuccio. –È ora di
prepararsi.- Prese dall’armadietto sopra il lavandino i suoi
soliti occhiali
neri che gli ricoprivano tutta la fascia degli occhi; si
infilò le scarpe, un
paio di jeans scuri e per ultimo indossò la sua bandana
rossa che mise attorno
alla bocca, lasciando libero solo il naso.
Andò in camera da letto, prese la pistola sotto il suo
cuscino e la baciò sulla canna lucente: -Non temere, sei
un’amica fedele, non
ti abbandonerò mai.- Da sotto il materasso prese una scatola
di proiettili che
riversò nella tasca della sua tuta blu. Prima di uscire si
mise in testa il
cappuccio e un cappotto molto pesante: un abbigliamento del genere non
poteva
destare sospetti in una Russia a meno dieci gradi. Sistemò
la pistola nella
cintura e, come ogni mattina, fece il giro di tutta la casa, passando
dal
giardino sul retro. In quel posto vi erano piantate tantissime rose
rosse,
almeno tre fila da sette fiori ciascuna: lo spettacolo era davvero
affascinante. L’uomo si fermò a contemplare il suo
lavoro: -Cari miei, voi non
mi avete dato soddisfazione alcuna. Continuate a sostenere che esista
un dio,
ma quando vi faccio la domanda ‘dov’è il
tuo dio adesso? Perché non è qui a
salvarti?’ nessuno mi risponde mai.- Fece per andarsene, ma
come una forza
invisibile lo avesse trattenuto, tornò vicino al giardino
fiorito. -Come dite?
Ah no, non sporcherò la vostra terra con qualche schifoso
alieno. Se sarete
fortunati, prima di sera avrete compagnia.-
Aprì il cancello, si sistemò gli occhiali, il
cappuccio,
la bandana e si assicurò che il suo amore fosse ancora al
suo posto nella
cintura. Guardò l’orologio: le sei meno un quarto
di mattina. -La caccia è
aperta. Attenta Mosca, Cancer è sulla strada, e ha di nuovo
fame.-