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Autore: Aphasia_    04/04/2012    0 recensioni
Come ci si sente a non avere un nome? C'è una ragazza che ha dovuto sopportare un infanzia senza ricordi, senza indentità, vittima di un nonno che non le voleva bene, ma soprattutto vittima di sè stessa e del suo inquietante alter-ego: Io. Quanto può essere vera questa persona dentro di sè? Più di quel che sembra.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mattino, mattino di un giorno come tanti, un giorno qualunque, lo stesso di una serie di tanti, una serie di quelli uguali in 18 anni. Il sole ormai non sembra nemmeno riscaldare più allo stesso modo, non riesce minimamente a scongelare il cuore della persona che sta dormendo, anche se dormire è automatico, dormire è ok per fuggire. Fuggire da cosa? Mattino, un altro mattino che attende una risposta. Me si alzò automaticamente così come si era addormentata, così come era automatico rispondere a quella domanda così banale eppure così dolorosa.. "Come ti chiami?"..."Me".. "che strano nome!". Strano è meglio di niente, pensò Me, lo pensava sempre. Forse non poteva godere di un nome, ma aveva una casa, un ragazzo, uno stipendio. Era troppo però chiedere un nome? Un identità vera... Me e il Dottor John ci stavano lavorando da anni ormai, per capire cosa diamine accadesse nella mente di Me, e soprattutto per quale strano motivo questa si sia divisa...senza motivo. Io c'era sempre stata, dentro di lei, urlava, aveva una propria voce, propri pensieri e Me poteva ascoltarla, temerla. Era perchè non aveva un nome che era successo tutto questo, ecco perchè era diventato automatico, l'ennesima cosa automatica della sua vita, crearsi un personalità inconscia. Un gravissimo errore. Jasper dormiva ancora quando Me uscì presto di casa, triste se Io era felice, felice se Io era triste, e stavolta dal Dottor John avrebbe fatto un passo avanti, se l'era promesso..doveva farlo per Jasper. La cura del giorno era del tutto nuova e forse persino illegale ma a Me non importava, Io non sarebbe più dovuta esistere. La sonda era un trattamento che in gergo psicologico corrispondeva alla ben più conosciuta ipnosi regressiva, ovvero l'entrata del paziente in uno stato di trance e incoscienza nel quale, secondo gli studi, i ricordi erano inequivocabilmente chiari, veri. Il terrore non avrebbe dovuto ostacolarla per nessun motivo, anche se la possedeva, ma era necessario. Per Me. "Chi sei? Tu chi sei?" chiese l'uomo che la trascinava nel vuoto. Il buio non era fisso, il buio era vero, ghiaccio che abbraccia i sensi, il vortice senza fine dei ricordi che Me non avrebbe mai immaginato di conoscere. Il buio non era poi così oscuro, il buio erano immagini, molte, troppe, troppo veloci. Il vortice si fermò su un immagine e forse la mente di Me, addormentata e in preda a chissà quali reazioni nella vita reale, in quello studio, in quel mattino, forse avrebbe finalmente capito. L'uomo che aveva parlato era vecchio, e la guardava inginocchiato. Sono piccola- pensò Me. Chi è quell'uomo? L'uomo continuò a fissarla per un istante infinito in quel vuoto senza tempo, attendeva una risposta. Non la so la risposta! urlò Me nella realtà. Sudava, ma non solo nella realtà. L'uomo continuava a fissarla, non sbatteva nemmeno le palpebre, voleva sapere, come se ne dipendesse della sua vita. "Sai chi sono io?" chiese ancora l'uomo. Troppe domande, e nessuna risposta. Come faccio a rispondere? Non lo so! Ho paura! Cosa mi fa se non rispondo?-Me continuava ad urlare nel suo lettino. Ma la paura svanì, perchè la bambina del vortice, la Me bambina aveva risposto, perchè lei, a differenza della Me adulta, sapeva la risposta. "Tu sei nonno" aveva risposto, e Me nel non riconoscere quella voce sudò ancora di più. Chi è quella bambina? Non la conosco! urlò ancora Me. I due dottori si scambiarono uno sguardo preoccupato e nel momento in cui il conto alla rovescia per il risveglio iniziò, il buio veniva risucchiato piano piano insieme al volto dell'uomo, particella dopo particella, così come quell'immagine, la sua mano schiva che mollava la presa della bambina... Un medaglione d'oro cadde nel prato di quell'immagine, che scoloriva sempre di più, ma il luccichio dell'oro rimase, proprio negli ultimi istanti.. 4...3...2...1... Il medaglione si poteva ancora vedere, solo per una volta, solo ora, è l'ultima possibilità.. guarda Me, osserva bene cosa c'è scritto.. A tutta Me. A S. "Svegliati Me...è tutto ok" disse il dottore. Ma aveva torto. "Bene, Me. Quindi cosa sappiamo?" chiese il dottore. "Che avevo un nonno. Ma questo non è ancora niente, ci sono ancora molte cose che voglio sapere.." rispose Me ancora sudata e terrorizzata. "Elencale" "Perchè nessuno mi ha mai dato un nome? Perchè non ricordo niente del mio passato? Che cosa significa quel medaglione? Voglio solo essere qualcuno..." elencò Me e stavolta voleva delle risposte, perchè essere nessuno non è tanto bello. "Mettiamoci a lavoro" Io sghignazzò dentro Me. Ce l'avrebbero mai fatta? Io non lo sapeva e forse nemmeno le interessava, i suoi piani erano altri.. Chissà come era il mondo esterno.
  
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