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Autore: berserker eagle    05/04/2012    1 recensioni
Templari e Assassini, Uomini che lottano dall’alba dei tempi per i loro ideali, Gli Assassini per la liberta e la pace, i Templari per la schiavitù ed il comando assoluto.
Un piccolo scorcio al di là dei luoghi comuni, al di la di “Templare” ed “Assassino”, per osservare gli uomini che si celano dietro questi nomi.
Perché ogni volta che una lama uccide un Templare, uccide anche un uomo.
La storia si è classificata terza all'Assassin's Creed contest indetto da Silvar tales.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ezio Auditore, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Importante:Dato che non volevo postare una storia con degli errori che conoscevo e che avrei potuto facilmente togliere(chiamatemi perfezionista o come vi pare), perciò ho preferito corregere i più eclatanti, ma per correttezza  ho postato qua sotto, prima dell'inizio la storia, gli errori che mi sono stai segnalati e che ho in gran parte corretto, in modo che non sfuggano alla vista.
Ovviamante la parte degli errori sarà anche nel giudizio del giudice del contest, che posterò alla fine della storia.
Ed ora buona lettura.
Ecco gli errori che stava nella versione "originale" se cosi la vogliamo definire

• Sì vuole l'accento ; 
• immaginandosi una risposta che non tardo (tardò) ad arrivare ; 
• gli salto (saltòaddosso, facendolo cadere a terra ; 
• Vedi Papa (Papà; 
• E (Èpronto in tavola ; 
• farfuglio (farfugliòqualcosa ; 
• lo strinse a se (sé; 
• da li (lìprenderemo una nave per Venezia . 

Attento poi a omettere troppa punteggiatura prima e dopo i dialoghi, mancano un sacco di punti. Per finire con gli errori, poi passiamo ad altro, ce ne sono alcuni di battitura: 

• esibendo un (unosguardo fiero srotolò il panno ; 
• entrambi accomunati da fine (finie raffinate decorazioni rosso vermiglio ; 
• che insieme hai (aisuoi fiorini ; 
• a volte non inserisci lo spazio dopo la virgola, ad esempio: Giorgio,era ; Giorgio,allungando ; Disse,prima ; 

Una ripetizione grave: fino a quando non ne vide il luccichio metallico dell'arma → non è necessaria la particella pronominale ne, dato che espliciti già a cosa appartiene il luccichio. O scrivi fino a quando non ne vide il luccichio metallico oppure fino a quando non vide il luccichio metallico dell'arma ; 

E per finire, alcuni errori di punteggiatura. Il più eclatante sono i tre punti di sospensione, che non possono mai essere seguiti da un punto. 
Scusami questa ramanzina lunga e noiosa, ma mi sembrava corretto giustificarti esaurientemente il perché di quel risultato. 
Dedichiamoci ora alla sostanza della storia. 

(Questa storia si è classificato Terza all'Assassin's Creed contest indetto da Silvar tales)






 

Gli Appennini erano avvolti nelle tenebre, calate su di essi come una morbida coltre di velluto pronta a racchiudere quel selvaggio e meraviglioso spicchio d’Italia in un freddo e gelido abbraccio.

 

Rodolfo Legioni Da Venezia, veterano al servizio dei Borgia, stava di guardia, scrutando con minuziosa attenzione i confini del campo nel quale lui ed il suo compagno riposavano: la famiglia sotto cui militava era conosciuta e temuta ovunque, soprattutto negli ambienti sconosciuti ai più, ma nel bel mezzo degli Appennini chi eri e da dove venivi era di relativa importanza: i vessilli dei Borgia che ornavano le armature di Rodolfo e del suo compare di certo non avrebbero fermato le lame di un ladro od un assassino.

 

Ma rimanere vigile e attento era difficile, specie quando la foresta attorno a lui era placida e silenziosa come uno stagno, tanto che lentamente, quanto inesorabilmente, lo sguardo di Rodolfo sì perse nel cielo notturno, osservando incuriosito quella volta stellata che, secondo i dotti, avrebbe dovuto ospitare il regno dei cieli: a guardare quel mare sconfinato di stelle che luccicavano come piccoli diamanti non era difficile crederlo, in fondo a cosa sarebbe potuto appartenere tale spettacolo se non al paradiso?

Abbassando distrattamente lo sguardo Rodolfo vide gli Appennini: ombre alte ed aguzze, parzialmente celate dall’oscurità della notte, che si ergevano davanti a lui quasi a formare una barriera a dividerlo da Venezia, la sua Venezia…

 

Ad un tratto un clangore metallico giunse alle orecchie della guardia, che non poté fare a meno di sorridere, girandosi lentamente e dissimulando la sua ironia dietro un’espressione stizzita: davanti a lui stava un’imponente soldato dall’armatura argentata a piastre, ricoperta di fregi rosso sangue e arricchita da un elmo che copriva interamente il capo del guerriero, infine alla cinta stavano alcune decorazioni di stoffa color rosso cupo, che distinguevano il milite come soldato della famiglia Borgia.

Assicurato alla cintola stava uno spadone a due mani, forgiato per tranciare carne e acciaio come burro, spartano e pesante e a differenza dell’armatura privo di qualsivoglia ornamento se non un’efficiente guardia crociata.

 

Ma più di ciò Rodolfo in quel bruto d’acciaio riconosceva Giorgio Litorio Da Firenze, suo unico amico e compagno fidato sui campi di battaglia.

-Mi sono addormentato di nuovo con la corazza addosso? Chiese questi, con tono rassegnato e divertito.
- Si- Rispose laconico Rodolfo.
-Durante il mio turno di guardia? Insisté quello, immaginandosi una risposta che non tardò ad arrivare.
-Si- Ribatté meccanicamente l’altro.
-Potresti smetterla di dire solo “si”? Tentò Giorgio, ancora intorpidito dal risveglio.
-Si- Concluse Legioni,  mentre cercava di soffocare uno sbadiglio –ho dovuto fare due turni di seguito e dovrò fare pure questo se non voglio ritrovarmi con la gola tagliata, perché tu ti addormenterai durante il tuo turno di guardia come sempre -
Il bruto alzò le mani, quasi a dire “mi arrendo” e ribatté.
-Non ti faresti certo uccidere da qualche ladruncolo-
Detto questo si alzò e farfugliando qualcosa  d’incomprensibile sull’importanza del sonno,  costrinse Legioni a sistemarsi sul suo giaciglio, niente meno di una manciata di paglia sistemata alla meno peggio, per poi iniziare a fare la guardia con quel suo spadone minaccioso alla mano.
Rodolfo, troppo stanco per opporre qualsivoglia resistenza, decise di potersi concedere un piccolo riposo,  perché in fondo il suo compagno non sarebbe stato cosi ottuso da addormentarsi nel bel mezzo degli Appennini….

 

Avrebbe potuto affermare di esserci rimasto di stucco, ma nemmeno lui ci avrebbe creduto, anzi, ad onor del vero, delle due questa era l’unica fine che riteneva possibile:  se Rodolfo aveva imparato qualcosa su Giorgio, era che la sua inaffidabilità era eguagliata solamente dalla perizia con cui adoperava  le lame.
Forse fu  per questo che quando il soldato si svegliò, la mattina dopo, trovando il suo compagno seduto sull’erba verde smeraldo e la schiena appoggiata alla dura corteccia di un albero,  la testa leggermente reclinata in avanti, decise di lasciarlo riposare ancora un po’.

Ancora assonnato, Rodolfo si guardò attorno per trovare lo spadone del compagno fino a quando intravide il luccichio metallico dell’arma: lontano quel tanto che bastava dal nullafacente da far si che un eventuale intruso potesse prenderlo senza alcun problema ed usarli come bersagli, ed allo stesso tempo lontano abbastanza da far si che Giorgio, allungando la mano, non avrebbe potuto prenderlo; in poche parole accessibile a tutti tranne che al suo proprietario.

Sospirando come un mantice, Rodolfo si sedette su di un muretto in pietra, ormai quasi completamente ricoperto dall’edera e iniziò ad osservare il campo: una piccola radura circolare, ricoperta d’erba, poco lontana dalla strada principale che portava dalla Toscana a Forlì, strada alla quale era collegata da un piccolo sentiero che si faceva largo tra la fitta rete di alberi che circondava quel modesto rifugio.

Ad uno di questi alberi stavano legati tramite cinghie di cuoio due cavalli: uno dalla criniera bianco latte ed il manto nero come pece, l’altro dal manto e crine marrone scuro, entrambe le cavalcature erano due purosangue alti e possenti.
Il miliziano alzò lo sguardo al cielo, ormai illuminato del sole, mentre una struggente malinconia gli invadeva il cuore

“Sono quasi a casa”

Si disse, mentre dolci ricordi gli invadevano la mente.

 

Un uomo stava ben piazzato al centro di un cortile di pietra grigia: aveva corti e ricci capelli neri che incorniciavano due acuti occhi verdi; come indumenti invece indossava una casacca nera che lasciava intravedere il fisico allenato, unita a dei calzoni blu notte, entrambi accomunati da fini e raffinate decorazioni rosso vermiglio, il tutto completato da una mantellina rosso cupo che copriva parte della spalla destra dell’uomo, infine nella mano sinistra teneva un bastone di legno scuro, levigato fino a  far si che somigliasse vagamente ad un lama.

Di punto in bianco uscì, da una delle colonne che sorreggevano il cortile, un bambino dai corti capelli biondi ed occhi neri all’incirca di dieci anni, che si avventò contro il più grande con un spada di legno alla mano.

I due ingaggiarono subito una lotta serrata, o almeno cosi appariva agli occhi del più giovane, il quale cercava, invano, di colpire il più vecchio, che invece si limitava a semplici parate od in alternativa rapide schivate, nonché qualche rara stoccata, mirata più a tenere il nemico sulle spine che colpirlo realmente.

-Ancora a giocare alla guerra?! Urlò, almeno a giudicare dal timbro della voce, una donna.
Rodolfo Legioni Da Venezia  girò lo sguardo verso la porta di casa Legioni, la sua casa.
Sull’uscio stava una donna, dai capelli biondo grano ed occhi neri come ossidiana, di all’incirca trent’anni, vestita di un elegante abito rosso scuro con arabeschi bianchi.

Quello per Rodolfo fu un grave errore: il suo avversario gli sferrò un colpo a ginocchio e approfittando della sua momentanea incertezza gli salto addosso, facendolo cadere a terra.
-Vedi Papà! Ti ho battuto!
Esultò il bimbo, accoccolato sul petto dello sconfitto.

-Ottimo lavoro Lorenzo! Da grande diventerai più forte perfino di me! Rispose il padre, prendendolo in braccio ed alzandosi.

-è pronto in tavola? Chiese alla moglie Rodolfo, Marta Langua gli rispose con un cenno affermativo e il marito poggiò il figlio a terra.

-Vai- Gli disse scompigliandogli i capelli –Noi ti raggiungiamo, va bene?
Lorenzo tentennò un poco, ansioso di giocare ancora, poi, spinto dalla fame, si avviò verso la porta di casa e sparì nell’edificio.

-Tutto bene? Chiese  Legioni, notando che la moglie portava fra le mani un oggetto della grandezza di un bastone, avvolto in un pregiato panno di velluto azzurro cielo.

-Giulietta fa ancora la scavezzacollo… oggi stava insieme ad alcuni compagni d’Antonio, non vuole capire che non è gente da frequentare, almeno non da una brava ragazza- Disse Marta, con  tono incerto.

-Suvvia Amore, in verità tu preferisci che frequenti loro rispetto a..come li chiami? “Nobili spocchiosi”? Ribatté Rodolfo, divertito.

-Ma non sono un buon esempio, cosi non crescerà ben…-Iniziò Marta, subito interrotta dal marito

-Tu eri una ladra se non sbaglio e di certo non sei cresciuta male- Vedendo la moglie guardarlo storto Rodolfo si sbrigò a concludere –Ma vedrò di parlarle- 

-Ma guarda un po’ te che mi tocca sentire- Ribatté la donna, avviandosi verso la porta di casa –Proprio te mi doveva venire in mente di derubare quel giorno-

-Potresti dirmi a cosa serve quella spada? La incalzò Rodolfo, indicando il panno azzurro che la donna teneva in mano.

La stessa donna che, quando le parole del marito gli arrivarono alle orecchie, farfugliò qualcosa, ormai rossa in viso.

Rodolfo esibì il più magnetico fra i suoi sorrisi, iniziandosi ad avvicinare lentamente alla moglie.

-Non penserai che basti un panno di velluto a nascondere un’arma ad un soldato di professione…..-

Marta fece repentinamente un passo indietro.

-Domani partirai per Firenze…- Disse, incespicando nelle sue stesse parole.

-Quindi? Chiese Rodolfo,cercando di dissimulare il suo divertimento nello stuzzicare la sua consorte, fin troppo timida quando si avventurava nella parte più romantica di quel sentimento chiamato amore.

-Starai fuori molto tempo.... e sarà pericoloso- sussurrò Marta a testa bassa.

L’uomo  avanzò osservando quella stessa ragazza che aveva cercato di derubarlo per le strade di Venezia tanto tempo fa, ma che insieme ai suoi fiorini si era impadronita anche del suo cuore.

Lei in risposta alzò la testa ed esibendo uno sguardo fiero srotolò il panno, rivelando una schiavona di squisita fattura, dalla guardia dorata ed elegante nonché una lama di ferro dal filo impeccabile, ottima di taglio quanto di punta e  di certo nemmeno paragonabile alle lame che i Borgia fornivano alle loro truppe.

Marta, la sua ladra, lo strinse a sé.

-Non morire, ogni volta che sguainerai questa lama per combattere, ti ricorderà che noi ti aspettiamo…devi veder crescere i nostri figli-

Rodolfo rimase impietrito, prima che un calore familiare gli invase il petto.

-Non ho nessuna intenzione di morire- Ribatté, poi, dopo un attimo d’esitazione si corresse –No, io non morirò-

 
-Andiamo? Chiese Giorgio con fare allegro, mentre riponeva le ultime provviste nelle bisacce del suo cavallo –Manca l’ultimo tratto di strada e saremo arrivati a Forlì, da lì prenderemo una nave per Venezia-

Rodolfo invece era già a cavallo del suo destriero e teneva con mano ferma i finimenti del suo purosangue.

-Fammi indovinare- Iniziò Giorgio, che intanto aveva finito di riempire le bisacce ed era saltato in groppa al suo cavallo, armatura compresa –hai preparato la tua roba ieri sera, mi sbaglio?

Rodolfo scoppiò a ridere

-eh già, cosa che avresti dovuto fare anche te-

Disse, prima di spronare il suo cavallo al galoppo.

Giorgio sbuffò, intenzionato a rispondere, quando una nera ombra calo dalle chiome degli alberi, avventandosi sulla guardia.

 

 

Ezio estrasse la lama dal collo del Miliziano, che cadde a terra con un tonfo sordo; poco lontano stava riverso in un lago di sangue il guerriero in armatura che aveva abbattuto qualche minuto fa, gli occhi spenti che attraverso l’elmo osservavano un cielo che non potevano più vedere.

“Secondo le informazioni di Machiavelli dovrebbero avere una pagina del codice”

Si disse Ezio, iniziando a depredare il soldato appena ucciso.

-Eccola! Esclamò l’assassino,  estraendo dalle tasche del templare un foglio di carta ripiegato, eppure Ezio si dovette ricredere subito: la carta non era stata ancora intaccata dallo scorrere del tempo, anzi, sembrava scritta il giorno prima.

Incuriosito,  il ragazzo aprì la pagina, scorrendo rapidamente quelle parole di nero e lucido inchiostro.

 

 Tre colpi, secchi e decisi, alla porta della sua casa.

Tre semplici colpi nel pieno della notte bastarono a far alzare Marta Langui dal suo letto ed attraversare la casa fino ad arrivare alla porta della sua abitazione.

Tre semplici colpi affinché aprisse la porta e trovasse solo il freddo della notte ad attenderla, insieme ad una lettera posata sull’uscio della sua casa.

Tre semplici colpi per spezzare una famiglia.

 


Marta, Mia cara Marta, se leggerai questa lettera con ogni probabilità sarò morto.

Di sicuro negli Appennini, sulla strada per Forlì…..ironico vero? Morire proprio quando stavo per tornare a casa, dopo essere sopravvissuto alla lotta fra Lorenzo De’ Medici e la famiglia Pazzi…

Ricordi come ci siamo conosciuti?

Io ero un semplice mercenario troppo pieno di se stesso che andava in giro sfoggiando le mie armi come fossero d’oro….prima che mi rubassi tutti i miei risparmi e mi costringessi a rincorrerti per mezza Venezia.

Immagino che per te questo sarà difficile da accettare, ma so che puoi andare avanti, sei sempre stata forte, in grado di fare ciò che gli altri reputavano troppo indegno o difficile per una donna, non ti sei mai arresa ne ti sei mai piegata.

Forse è per questo che ti amo….o forse non c’è una vera ragione per la quale ti amo, ma per quel che vale io sono e sarò sempre tuo.

L’unica cose che ti chiedo è di perdonarmi….ti ho promesso….Vi ho promesso che sarei tornato e cosi non è stato.

Sembra non potrò più addestrare Lorenzo a tirare di spada…..o sgridare Giulietta sui doveri di una brava ragazza.

Amore mio.

 

Avrei voluto rivederti un’ultima volta.

 

 

 

 

Ezio rimase lì, appollaiato sul tetto di uno dei tanti edifici di Venezia,  immobile come una statua, dopo aver abbandonato la lettera davanti alla casa di Marta Langui.

La stessa casa che adesso stava guardando, immobile.

Cosa fosse quella lettera l’Auditore l’aveva intuito subito: una lettera per la moglie in caso di morte, riscritta ed aggiornata ogni volta possibile, per far si che la consorte potesse sempre ricevere le sue ultime parole.

La tentazione di  andarsene l’aveva assalito subito dopo aver abbandonato la missiva, eppure Ezio rimase ad osservare, cercando di mettere a tacere il suo cuore che intanto aveva iniziano a dolergli quasi una spina l’avesse trapassato.

Nulla è Reale, Tutto è Lecito….Io sono un assassino della confraternita…. ho fatto il mio dovere. Solo il mio dovere.

Un urlò, una flebile parte di un grido straziante raggiunse Ezio, che rivedeva nella sua mente la morte della sua famiglia, la perdita di suo padre.

Pian piano iniziò a piovere

No…Sono un semplice assassino.

Ezio alzò il viso al cielo, bagnandosi il volto ed i capelli nell’acqua che oramai iniziava a cadere a catinelle.

-Prima regola dell’assassino, trattieni la lama dalla carne degli innocenti- si disse, chiedendosi cosa lo differenziasse dallo Spagnolo, che gli aveva strappato il padre, in quel momento. 

Dov’era la differenza fra vittime e carnefice?

-In un certo senso, lui era innocente- Concluse Ezio,  osservando quelle gocce che dal cielo scendevano sulla terra, quasi fossero lacrime di un Dio, pronte a lavar via tutto il sangue versato dagli uomini.

Un attimo dopo Ezio Auditore Da Firenze era scomparso di nuovo nell’ombra,  mentre la pioggia continuava a cadere sui tetti e sulle strade di Venezia.

 



Ed ora vi lascio al giudizio.xD

Correttezza grammaticale: 5/10 
Stile: 8/10 
Originalità: 10/10 
Trattazione dei personaggi: 10/10 
Uso del prompt: 5/5 
Gradimento personale: 5/5 
Tot. 43/50 

Mi è piaciuta in generale l'inquadratura che hai dato alla vicenda, l'inquadratura contestuale sia dal punto di vista del personaggio che vediamo in scena (corredato del suo mondo), sia dal punto di vista del periodo coevo (ad esempio, quel riferimento alla convinzione tipicamente medievale che il cielo fosse una sfera chiusa ospitante il paradiso). Ho apprezzato molto la minuzia nello descrivere, ad esempio, le armi. Molti pezzi sono descritti magistralmente dal punto di vista stilistico; la tua storia è zeppa di virtuose descrizioni, che plasmano con meticolosità paesaggi, persone, vestiti... non posso che apprezzare questo, ma attenzione perché è una lama a doppio taglio. Infatti, tendi a dilungarti in periodi troppo lunghi, traballanti, che si reggono in piedi con difficoltà, e alcuni diventano davvero contorti da leggere e da capire, tanto che per comprenderli senza fraintendimenti ho dovuto soffermarmi a scandire parola per parola e a dare ad ognuna un ruolo. Capisci facilmente di come questo vada a discapito della scorrevolezza. Hai uno stile bello, elegante, elaborato, piacevole anche dal punto di vista lessicale, ma con quell'unico cavillo. Magari, a volte, dovresti cerca di spezzare maggiormente i periodi, se questi diventano eccessivamente lunghi, perché altrimenti gestirli al meglio non è cosa facile. 
Nonostante ciò non ho voluto penalizzarti troppo, perché imbattersi in uno stile come il tuo è raro. Una storia con delle descrizioni così approfondite e plasmanti mi mancava, e tu sai farle davvero bene. 
Con i rimproveri detti prima non volevo quindi generalizzare, ci sono molte parti scritte in modo eccellente. 
Per finire qui la questione stile, finisco di segnalarti altri casi, ad esempio: 

• il tutto completato da una mantellina rosso cupo che copriva parte della spalla destra dell'uomo → dato che espliciti già il soggetto a inizio periodo, Un uomo, non è necessario ripetere a chi si riferisce il verbo. Senza fare ripetizioni, quindi, è meglio scrivere: il tutto completato da una mantellina rosso cupo che gli copriva parte della spalla destra ; 
• Chiese Rodolfo, cercando di dissimulare il suo divertimento nello stuzzicare la sua consorte → analogamente, l'aggettivo possessivo sua riferito a consorte è superfluo. 

Già che ci sono ti giustifico anche quel 5 in grammatica. L'errore principale che fai sono gli accenti: 

• Sì vuole l'accento ; 
• immaginandosi una risposta che non tardo (tardò) ad arrivare ; 
• gli salto (saltòaddosso, facendolo cadere a terra ; 
• Vedi Papa (Papà; 
• E (Èpronto in tavola ; 
• farfuglio (farfugliòqualcosa ; 
• lo strinse a se (sé; 
• da li (lìprenderemo una nave per Venezia . 

Attento poi a omettere troppa punteggiatura prima e dopo i dialoghi, mancano un sacco di punti. Per finire con gli errori, poi passiamo ad altro, ce ne sono alcuni di battitura: 

• esibendo un (unosguardo fiero srotolò il panno ; 
• entrambi accomunati da fine (finie raffinate decorazioni rosso vermiglio ; 
• che insieme hai (aisuoi fiorini ; 
• a volte non inserisci lo spazio dopo la virgola, ad esempio: Giorgio,era ; Giorgio,allungando ; Disse,prima ; 

Una ripetizione grave: fino a quando non ne vide il luccichio metallico dell'arma → non è necessaria la particella pronominale ne, dato che espliciti già a cosa appartiene il luccichio. O scrivi fino a quando non ne vide il luccichio metallico oppure fino a quando non vide il luccichio metallico dell'arma ; 

E per finire, alcuni errori di punteggiatura. Il più eclatante sono i tre punti di sospensione, che non possono mai essere seguiti da un punto. 
Scusami questa ramanzina lunga e noiosa, ma mi sembrava corretto giustificarti esaurientemente il perché di quel risultato. 
Dedichiamoci ora alla sostanza della storia. 

Ma più di ciò Rodolfo in quel bruto d'acciaio riconosceva Giorgio Litorio da Firenze
Credo che questa sia una frase molto rappresentativa del principale messaggio che vuoi trasmettere, in questo tuo racconto. Che dietro ogni etichetta si nasconde una persona. 
Il flash back è qualcosa di squisito, un quadro vivido e nostalgico; i personaggi sono resi con spessore, sono dinamici e vivi. A dare un tocco di originalità al quadretto familiare che presenti, ci pensa la figura di Marta, che trovo molto interessante, in primis per il suo passato di ladra. Non è la tradizionale donna venerea e pura, non è nemmeno la classica donna della fazione templare, anzi, pensandoci è molto più vicina al fronte degli assassini sotto questo punto di vista. Ancora una volta quindi si sottolinea il dinamismo, la vivacità e l'apertura della vita di Rodolfo, che nonostante combatta per i Borgia si è innamorato di una ladra. Certo, è vero che questo dinamismo era già presente in Assassin's Creed, con Maria e Altaïr. In ogni caso, qui sembra proprio Ezio fare di tutta l'erba un fascio, spezzare vite senza esitazione, senza chiedersi il perché, senza porsi il problema delle circostanze e delle conseguenze. E non se ne rende conto, finché queste non gli cadono addosso. Rimane, come cieco, sulla sua convinzione: I templari sono i cattivi, io sono nel giusto. A questo proposito, ho trovato straziante il finale, soprattutto per quanto riguarda la figura di Ezio, anche se in questo caso non può proprio essere considerato la vittima. 
È interessante il suo conflitto interiore, è nuova e spiazzante la sua debolezza, e soprattutto è giustificato il suo lancinante senso di colpa. 
Ho sempre pensato che il protagonista di questo bellissimo videogioco fosse molto ambiguo, in stallo tra l'essere un personaggio positivo o negativo. Per ovvie ragioni. 
Sei stato originale ad aver capovolto le situazioni, o meglio, ad aver capovolto il punto di vista canonico. Soprattutto, più che analizzare la figura di un personaggio templare importante (come può essere Cesare Borgia) hai messo in scena una guardia, una comune guardia, un personaggio molto secondario e anonimo. E dietro questa maschera hai costruito una storia, hai rivelato una vita come tante altre vite, tant'è che Ezio non si sente lontano dall'assassino di suo padre, dei suoi fratelli. 
Perché anche lui ha spezzato una piccola vita, una silenziosa famiglia. E perché continua a spezzarne, tutti i giorni. 
La riflessione finale è bellissima. Bellissima, argomentata a modo, tanto che susciti un dubbio tenace e pungente anche nel lettore. Ezio prova ad autoconvincersi di essere nel giusto, di seguire il suo credo, ma alla fine non riesce e risolve questo suo conflitto interiore asserendo di essere solo un semplice assassino. 
Ho voluto premiarti sull'originalità perché, essendo vietate le AU, non potevi davvero fare di meglio. Le descrizioni contestuali e particolari danno già di per loro più originalità al racconto, lo rendono caratteristico, meno anonimo, meno insipido. Il quadretto familiare che presenti, benché sia tradizionale (ad esempio, il padre che insegna a combattere al figlio) ha comunque le sue particolarità, ad esempio, il profondo legame che Rodolfo prova per la moglie, la figura stessa della donna, il bizzarro modo in cui si sono conosciuti e innamorati. 
È originale il modo in cui hai trattato Ezio, che anche se è un personaggio relativamente secondario, è visto sotto tutt'altra luce. È un Ezio debole, pentito, pieno di rimorsi, che si ferma a riflettere sulle sue azioni. Poche volte l'abbiamo visto così. Nonostante ciò, mantiene freddamente il suo IC. 
In definitiva, credo che il tuo intento di osservare gli uomini che si celano dietro le etichette di Templare e Assassino sia riuscito in pieno. La riuscita drammatica della tua storia è resa anch'essa distintamente, sottolineata ancor di più dai toni strazianti della lettera (a proposito, commovente la scelta di Ezio di lasciarla sulla soglia della casa del Miliziano). Complimenti, davvero. Non saprei che altro aggiungere. Complimenti.
  
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