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Autore: SofiaAmundsen    05/04/2012    4 recensioni
Elisa riesce finalmente a raccimolare i soldi per raggiungere la città dei suoi sogni: Londra. Il London eye, il Big Ben, sono meravigliosi, ma tutti sanno il vero motivo per cui è partita: conoscere lui, l'attore che è riuscito a farla innamorare attraverso uno schermo, l'unico ad essere così bello da sembrare perfetto, l'unico ad avere una voce così sexy da farle venire i brividi.
E di certo, Elisa, mentre saliva su quell'aereo, non si sarebbe mai aspettata di svegliarsi una mattina nel letto di lui che le susurra all'orecchio "ti prego, non partire".
(Benedict Cumberbatch)
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Londra.Londra.Londra.
«Elisa, il tavolo 3 sta ancora aspettando quelle cazzo di bibite, ti muovi??»
Londra. Londra. Londra.
«E quando hai fatto vai a pulire i cessi che fanno schifo!»
Londra. Londra. Londra. Ho bisogno di ripetermelo in continuazione per non togliermi il grembiule da barista e legarlo bello stretto intorno al collo del capo. Londra, ricordalo sempre, è per questo che lo fai. Vado a prendere le bibite dietro al bancone e getto uno sguardo alla foto del London Eye che ho attaccato sopra alla cassa.Nonostante la foto sia sgualcita e macchiata di cibo, la Ruota appare bellissima: le luci di ogni singola cabina sembrano illuminare tutta la città, immersa nel semibuio della notte, e si riflettono nell'acqua del Tamigi creando disegni brillanti da ammirare e nei quali tutta Londra sembra a sua volta riflettersi. Ogni volta che guardo quella foto mi sento un po' rincuorata, un po' meno esausta, un po' più speranzosa.
Aspetto paziente la mezzanotte, come una cenerentola al contrario; non chiedo al tempo di scorrere più veloce, so già che non la farà per me: glie l'ho già chiesto troppe volte, invano.
Mentre sparecchio un tavolo, sento una tasca che vibra: tiro fuori il telefono e sul display appare la scritta "Marco <3". Non rispondo, mi richiederebbe uno sforzo fisico e mentale che adesso non sono in grado di sopportare. Non so più come gestirlo, il rapporto con Marco. È probabilmente il ragazzo più simile al principe azzurro che potrei immaginare, mi apre la portiera quando salgo nella sua macchina, mi tratta come una principessa, mi soffoca di complimenti e regali, non mi permette mai di pagare quando usciamo insieme e ha i più bei occhi azzurri che abbia mai visto, su quel viso da bravo ragazzo. Ma sento che lui, non è la scelta giusta per me. E lui lo sa. E questo mi fa stare male, tanto, perchè io ci tengo a lui.

Tra mancie scarse o nulle, clienti che cambiano ordine in contiunazione, e bibite versate a terra da pulire, fingendosi "felice di farlo", come suggerisce sarcastico e vagamente sadico il mio capo, arriva questa benedetta mezzanotte. E con lei, la mia libertà.
Il ristorante è ormai vuoto, così quando slaccio il grembiule corto che sono obbligata a portare lo lascio tranquillamente su un tavolo, e saluto il proprietario urlando da una stanza all' altra «capo -odio doverlo chiamare così, preferisco di gran lunga signor Petroli, ma lui insiste -io ho finito, vado!». Prendo il grugnito che esce dalla cucina come un saluto.

Penso alla doccia che farò, mentre infilo il giubbetto, per togliermi quell' odore di pizza e alcol che ho nei capelli, e al mio letto, sul quale non vedo l'ora di buttarmi, sfinita.
Ma c'è ancora qualcosa che mi divide dal letto e la doccia: i due chilometri e cento metri che intercorrno tra il "Mantegna" e casa mia. Sospiro, e mi preparo a camminare esausta nel buio. 
Londra, Londra, Londra, ricordalo Elisa.
Ma quando esco fuori i miei pensieri vengono interrotti dalla sorpresa di quello che vedo: Marco, in piedi, davanti alla porta del ristorante, appoggiato sulla sulla sua macchina, che mi sorride, dolce come sempre.
«Ciao»
«Ciao Marco...che ci fai qui?»
«Non mi dai neanche un bacio?»
Non ha risposto alla mia domanda, ma non ci faccio caso e gli lascio un bacio leggero a metá tra la guancia e le labbra.
«Mi permette, madmuaselle, di riaccompagnarla a casa?»
Sorrido, e non parlo mentre salgo in macchina e lui mi chiude delicatamente la portiera.
«Come mai questa...sorpresa?»
«Bè avevo voglia di vederti, e poi io...non riesco a pensare che la sera devi tornare tutta sola ecco...» arrossisce lievemente mentre finisce la frase e io non posso fare a meno di sentirmi in colpa per aver ignorato la sua chiamata. Gli metto una mano sulla coscia gli sorrido più dolcemente che posso quando si gira a guardarmi.
«Allora, magari domani usciamo...che ne dici? Possiamo andare al cinema se ti va!»
«Non lo so Marco, vediamo.»
Per un attimo, deluso, rimane in silenzio. Poi ricomincia a parare con un tono che non ha mai usato nei miei confronti, quasi alza la voce.
«Mi dici per quale motivo non vuoi mai stare con me? Spiegami, che c'è, non hai tempo, hai un altro o semplicemente non ti vado bene?»
«Non è niente di tutto questo, è che...non lo so, sono confusa forse»
«Si ma dovresti fare un po' di chiarezza, per lo meno a me! Io non so più cosa pensare, stiamo insieme o no?»
Marco non era mai stato così diretto e non aveva mai urlato contro di me, sono quasi spaventata.
«Non lo so» rispondo, e da li cala un silenzio che ci accompagna fino a casa, un silenzio in cui vorrei dirgli che si, invece, lo so: è che tu sei fantastico, sei perfetto, ma forse è proprio per questo che sento che non sei la scelta giusta per me. Ma non te lo dirò mai, perchè ci tengo troppo a te, e forse così faccio solo male ad entrambi.
Mi riaccompagna a casa e prima di scendere gi lascio un bacio sulla guancia e uno sguardo che dice "scusa", ma lui finge di ignorare entrambi.

Una doccia può bastare per spegnere l'odore di birra dai capelli, ma non per calmare il tumulto di sensi di colpa, sentimenti confusi, affetto indefinito che ho nel cuore, così, quando mi metto a letto, non riesco a dormire: le parole di Marco che rimbombano nella testa mi tengono sveglia. 
Guardo l'orologio: le due. È inutile rotolarmi nel letto all' infinito, tanto vale che mi alzi e mi trovi qualcosa da fare che mi distragga.
Vado in salotto e accendo la tv, ma a quest'ora fanno solo repliche straviste di film di vent'anni fa. Allora torno in camera mia, e decido di mettere a posto l'armadio. Inizio con i primi ripiani: jeans, magliette, felpe, qualche vestito che mi va un po' piccolo, ma che tengo lo stesso; passo all'altra anta, quella che evito di aprire per paura che mi cada addosso la montagna di roba che c'è o che venga risucchiata da Narnia: Dio solo sa cosa c'è la dentro!
Giochi di quando ero piccola, le mie vecchie pagelle, le prime scarpette da punta e...una scatola, con una scritta in nero: "io e Nana".
"Nana", la nonna.
Non ricordo neanche più perchè la chiamavo così. Ah si, perchè lei era come il cane di Wendy, Nana, su Peter Pan, si prendeva cura di me.
La prendo e mi ci siedo accanto, sul pavimento.
Dentro c'è di tutto, le foto di quando mi ha portata a cavallo la prima volta, il suo fazzoletto, quello che metteva sempre e che una volta mi ha fatto provare (e io mi sono sentita così felice!), il bicchiere di Doremì con cui bevevo solo ed esclusivamente quando ero da lei. Mi chiedo come mai, se è morta da più di un anno, la sento ancora così vicina, come se non se ne fosse mai andata. Prendo tra le mani la bambola che aveva sempre sul letto e mi accorgo che sotto c'è una cornice, decorata di tutti fiori colorati, con una foto all' interno: io, da piccola, sulle sue ginocchia, tutte e due ridiamo, tutte e due non potremmo essere più felici di così.
La riconosco, è quella che hanno trovato accanto a lei quando...bè, è il suo ultimo regalo per me, comunque. La stringo tra le mani mentre una lacrima mi riga il volto; ed è proprio stringendola che mi rendo conto che il coperchio sul retro non si chiude bene. La giro e vedo che qualcosa si frappone tra le due superfici, impedendo loro di combaciare perfettamente.
Ma è solo quando la apro, che mi accorgo che quel qualcosa sono una serie di banconote da 20 e 50 euro.
E un foglio, con la sua grafia: 
Per la mia Wendy, raggiungi la tua isola-che-non-c'è.
Non ce la faccio a non piangere, ci provo, perchè so che lei mi sta guardando, ma davvero non ce la faccio. Sapeva tutto, lo ha sempre saputo, la mia "nana", da quella volta che mi ha fatto vedere Peter Pan e che io sono rimasta affascinata dai tetti spioventi e dai lampioni sul Tamigi, che il mio sogno era andare a Londra, anche solo un giorno, anche solo un' ora.
   
 
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