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Autore: Sophrosouneh    06/04/2012    2 recensioni
"Era un figlio ingrato e un ragazzo problematico.
Così si divertivano ad apostrofarlo genitori e professori. Un modo tanto gentile, quanto disgustoso per sottolineare quanto inutile e dannoso fosse per la società.
Suo padre lo sapeva, lo aveva sempre saputo.
Per questo gli aveva dato quel nome: Yue.
Il nome di un bimbo che non sarebbe dovuto nascere, il nome da incidere su una lapide bianca." [cit.]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Yue Kato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Sophrosouneh
Titolo: Il nome dell’odio
Fandom: Angel Sanctuary
Personaggi: Yue Kato, Ruiet

Genere: Introspettivo, Malinconico
Avvertimenti: missing moment
Rating: Verde
Credits: tutti i personaggi appartengono a quella santa donna di Kaori Yuki, che personalmente venero anche solo per il fatto di aver disegnato questo manga.
I brandelli di canzone che trovate disseminati nel testo appartengono
a “Hallelujah” di Rufus Wainwright.
Note: non so perché, ma sono follemente innamorata di questa sottospecie di coppia che più crack non si può. Comunque volevo scriverci qualcosa ed è venuta fuori questo aborto incentrato su Kato e i suoi pensieri per-morte. Sì, perché io vi sfido a non piangere leggendo la sua morte (quella definitiva!). Io ho finito una scatola di klinex.

Piccola nota: ricordo che Yue è un carattere che si pone sulle lapidi davanti al nome dei morti. E suo padre stesso asserisce di averlo chiamato così perché sperava in una sua morte prematura.

 

Il nome dell’odio.

 

Era una giornata come un’altra.
Il tempo pareva destinato a fermarsi per quanto scorrevano lenti i minuti. Nell’immobile silenzio del luogo la sua anima sembrava un paradosso. Eppure mai aveva trovato un paesaggio che tanto gli fosse simile: un’immensa distesa di detriti dai quali si levano al cielo miasmi tossici. Quelli erano gli scarti del più puro dei regni, i resti di una guerra immortale che le alte cariche combattevano da prima che l’essere umano vedesse la luce.
E lì giacevano i ricordi: merkavah completamente distrutte, resti di città devastate dall’onda distruttrice della guerra. Di quel cielo, il più vicino al regno di Gehenna, non era rimasto che uno sbiadito ricordo.

 Allo stesso modo, che cos’era rimasto di lui? Assolutamente nulla. Chi si sarebbe preso la briga di ricordare un bastardo di strada. Era un figlio indesiderato che aveva quasi distrutto tutto ciò che di più caro aveva al mondo. Ed era morto stupidamente, proprio come aveva vissuto. Era ancora nel fiore degli anni, ma aveva un corpo distrutto dai suoi mille vizzi. Se quel giorno l’angelo organico non lo avesse aperto con la sua spada, certo non sarebbero passati molti anni prima che la sua morte naturale avesse finito per sopraggiungere.

 
Era un figlio ingrato e un ragazzo problematico.
Così si divertivano ad apostrofarlo genitori e professori. Un modo tanto gentile, quanto disgustoso per sottolineare quanto inutile e dannoso fosse per la società.
Suo padre lo sapeva, lo aveva sempre saputo.
Per questo gli aveva dato quel nome: Yue.
Il nome di un bimbo che non sarebbe dovuto nascere, il nome da incidere su una lapide bianca.

 

Kato odiava il suo nome, quasi quanto odiava la sua famiglia.
Solo lei aveva saputo volergli bene. Sua sorella Sae lo aveva sempre, in qualche modo, difeso dalle ire del padre.
Era un uomo tradito  che ogni volta nel volto del figlio rivedeva l’empio e folle tradimento perpetrato dalla moglie. Eppure sua sorella non la pensava così, Kato avrebbe persino potuto azzardarsi a dire che per lui lei provasse una qualche forma di amore.
E lui cosa aveva fatto? L’aveva odiata con tutto il suo cuore tentato di violentarla il giorno precedente alle sue nozze.
Era vero quello che dicevano di lui, era un dannato mostro.
Eppure, nonostante ciò, lei continuava a rimanere costante nel suo amore per lui. Glielo aveva mostrato Setsuna quel giorno nell’Ades. Sua sorella ancora custodiva il suo cuore in un portagioie in frantumi, simbolo del loro legame impalpabile ed eterno.
Sae era l’unica che mai avesse creduto in lui e che ancora continuasse a ricordarlo dopo la morte.

 

Love is not a victory march
It's a cold and it's a broken Hallelujah

 

 

Una fitta di dolore gli attraversò il braccio. Ormai il corpo che Uriel gli aveva donato stava marcendo. Era venuto il tempo di agire. Non aveva mai desiderato la gloria eterna, ma neppure era disposto ad abbandonare la sua anima all’incoscienza così facilmente. C’era ancora un’ultima cosa che doveva fare prima di congedarsi.

 

 

“Intanto prendi questo, dovrebbe bastarti come acconto”
Kato gettò malamente un arto, infagottato in un panno di lana, sul banco dello scienziato.
Il piccoletto si limitò solamente ad alzare lo sguardo dal proprio lavoro per rivolgergli un’occhiata interrogativa.
“Quando tutto sarà finito potrai avere il mio corpo, come promesso. Ma, per il momento, mi serve.”
Lo sguardo di Kato non ammetteva repliche, profondo e sicuro. Una splendida maschera per contenere il lancinante dolore e lo smarrimento che provava in quel momento.
Lentamente stava perdendo la consapevolezza di tutto. Per questo tentava di aggrapparsi il più possibile ai pochi punti fermi che possedeva. Se avesse continuato ad aspettare avrebbe finito per dimenticare ogni cosa.

 
“Non me ne faccio nulla di un pezzo di carne da macello” sussurrò severamente Ruiet.
“Non mi aiuterai?”
L’arcangelo sospirò, appoggiando definitivamente sul tavolo i ferri del mestiere.
Poi fissò i suoi occhi grandi e penetranti in quelli di Kato. Per quanto piccolo fosse quel marmocchio, quando voleva, sapeva apparire più severo di un padre.
“Non ho detto questo.”

 

There was a time you let me know
What's real and going on below
But now you never show it to me, do you?

 

 

Stava dimenticando tutto. A stento riusciva a mantenere le sembianze del suo volto umano.
Ormai non era che una vecchia marionetta rotta che ancora, negli ultimi spasmi di agonia, tenta di trascinarsi avanti. Tutto per uno scopo quanto mai lontano e irraggiungibile. Anche lei voleva sentire di nuovo gli appalusi.
Per lui applausi non ce ne sarebbero stati, e neppure lacrime di commiato.
Allora perché andare avanti? Non lo sapeva. Era la sua anima che continuava a seguire la via che aveva imboccato. Vide mille volti ma non ne riconobbe neppure uno. Tutto era bianco nella sua mente. Non c’era più giusto o sbagliato, amici o nemici, tutto era diventato pallido e amorfo.
Non gli era mai piaciuto il bianco. Era troppo puro e lui non lo era mai stato.
O almeno così gli sussurrava una vocina morente da qualche parte in quell’immensità.

 
Sapeva che la fine stava arrivando. Non c’era più modo di tornare indietro.
“Io vado.” Urlò vedendo il portellone della merkavah che si apriva di fronte ai suoi occhi. Avrebbe aiutato il Salvatore per quell’ultima volta.
Un verso indistinto di disapprovazione si levò dalla poltrona di pilotaggio dell’immensa macchina da guerra. Pareva suonare come un “andrai a farti ammazzare, cretino”.
Rilassò le labbra in sorriso sincero, fino all’ultimo Ruiet avrebbe continuato a trattarlo come uno sciocco idealista. Curioso come, la prima volta che faceva qualcosa di buono e disinteressato, ormai di ideali nella sua mente vuota non ne avesse praticamente più.

 
“Prenditi cura di lui, Fifì!” urlò all’androide che rispose con un metallico bip di assenso.
Per quanto intelligente potesse essere, Ruiet rimaneva pur sempre un bimbo capriccioso e testardo.
Quasi quanto lui. Per questo gli piaceva divertirsi a torturarlo.
“So badare a me stesso, e ora vattene prima che le uniformi bianche ci scoprano!” non si era neppure voltato a guardarlo.
Kato continuò imperterrito a sorridere avvicinandosi al portellone.
“Grazie di tutto, moccioso”
Si imporporarono le guance del bimbo, lacrime gli rigarono il volto, eppure parlò nascondendo il  tutto.
“Vattene, prima che cambi idea.” Mai più di adesso avrebbe voluto fermarlo e ordinargli di tornare indietro, rievocando le clausole di un contratto di cui non importava più a 
nessuno dei due.

Ma non lo fece mai.
E Kato scomparve abbracciato dalla calda luce dell’Aziluth.
Non lo rivide più.

 

Maybe there's a God above
And all I ever learned from love
Was how to shoot at someone who outdrew you.

 

 

Yue Kato.
Yue Kato.

Odiava il modo in cui queste due parole suonavano, odiava un lontano abominino di famiglia e, ancor di più, odiava quegli assillanti compagni di viaggio (ammesso che ne avesse avuti).
Li odiava tutti. Oppure, per quanto ne sapeva, poteva anche amarli.
Se ne stava seduto, inondato dalla bellissima luce della cometa e della sua via non ricordava assolutamente nulla. Perfino i pallidi ricordi che tanto aveva rincorso adesso erano svaniti, lasciando il posto a una lontana consapevolezza di aver in qualche modo vissuto. Di essere stato qualcuno, anche solo per un secondo.
Presto avrebbe dimenticato anche questo.

 
C’era solo quel nome che tornava insistentemente a martellargli il cervello.
Era un nome stupido che probabilmente apparteneva ad una persona inutile ed insignificante.
Ma, per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare dove lo avesse sentito, né, tantomeno a chi appartenesse.

 
Yue Kato.
Perfetto per una lapide vuota.

 

It's not a cry you can hear at night
It's not somebody who's seen the light
It’s a cold and it’s a broken Hallelujah
.

 

  
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