Anime & Manga > Dragon Ball
Ricorda la storia  |      
Autore: FairyCleo    07/04/2012    45 recensioni
“Com’ è andata? Mi sembri stanco…”.
Non aveva risposto, cercando di mantenere la calma. Aveva appena avvertito una fitta fortissima allo stomaco, e aveva cominciato a tremare. E poi, era successo: senza alcun preavviso, Vegeta aveva lasciato cadere la bottiglia al suolo che, inesorabilmente, si era infranta in mille pezzi spargendo il contenuto ovunque, e si era piegato in avanti, incapace di controllare il conato che era appena salito lungo il suo esofago.
“PAPA’!” – Trunks si era precipitato accanto a lui, inorridendo alla vista di ciò che suo padre aveva appena vomitato. Sangue. C’ era tantissimo sangue sul pavimento. Sangue uscito dalla bocca di suo padre.
“Papà, ti prego, rispondi!” – il bambino aveva le lacrime agli occhi.
“Chiama… Chiama tua madre…” – aveva detto, lasciandosi cadere a terra. Era sudato, e continuava a tenersi entrambe le mani premute sullo stomaco – “Chiama tua madre” – aveva ripetuto un’ ultima volta, prima che il buio calasse intorno a lui.
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Disclaimer: I personaggi non mi appartengono e non scrivo a scopo di lucro.
 
The end
 
Era una tiepida mattina di maggio. Il sole splendeva alto in un cielo ravvivato dal volo disordinato di centinaia di rondini scure.  Fiori dai colori sgargianti avevano fatto capolino tra i duraturi fili d’erba, rendendo la monotonia del verde un vero e proprio arcobaleno  di colori.
Sulla Terra la vita proseguiva serena, eppure,  gli eroi che avevano salvato la galassia intera dalla crudeltà di Majin-Bu non avevano cessato i loro allenamenti.
Goku e Vegeta avevano preso la decisione di darsi appuntamento una volta a settimana presso i monti Paoz per allenarsi e dare libero sfogo a tutta la loro potenza, e così stavano appunto facendo.
Il principe dei saiyan aveva ormai rinunciato all’idea di superare il suo eterno rivale, ma per nessuna ragione al mondo avrebbe smesso di lottare contro i propri limiti. Voleva diventare più forte non per il semplice gusto di sentirsi potente, ma perché voleva essere in grado di difendere le persone che gli stavano più a cuore. Per questa ragione aveva accettato di buon grado la proposta del decerebrato di trovarsi una volta a settimana in un luogo desolato e allenarsi fino allo sfinimento. Doveva ammettere che, per una volta, quell’idiota aveva avuto davvero un’ottima idea.
Il giorno prestabilito per l’allenamento era quello che il principe dei saiyan attendeva con maggiore ansia. Si preparava con cura, indossando i guanti più candidi e gli stivali più comodi, imponendosi di impegnarsi ogni volta con tutta l’anima, con il proposito di trarre il maggior numero di insegnamenti da Goku. A volte, gli sembrava assurdo che un ragazzo più piccolo di lui, per giunta cresciuto su di un pianeta piccolissimo, fosse diventato il guerriero più potente dell’intera galassia. Ma non provava più invidia. Provava solo una grande ammirazione per quel saiyan dal cuore tenero che era stato in grado di aiutarlo a cambiare così radicalmente.
Non c’erano esclusioni di colpi. Ogni allenamento era un autentico scontro.  Pugni, calci, onde di energia potentissime  venivano scagliate senza alcuna remora. Combattevano come se ogni volta fosse l’ultima, come se l’uno fosse il peggior nemico dell’altro, come se l’uno fosse l’avversario più temibile mai affrontato prima, cosa che si dimostrava ogni volta sempre più palese, a dire il vero. Perché loro erano questo: erano i due guerrieri più potenti dell’intero universo. Erano coloro che avrebbero potuto decidere il bello e il cattivo tempo, ed erano coloro che non si sarebbero mai presi simili libertà. Erano come dei guardiani, come degli angeli custodi che vegliavano sulle anime dei vivi – e molto spesso anche dei morti. Nessun nemico l’avrebbe avuta vinta contro di loro. Avrebbero lottato fino alla fine, proteggendo con le unghie e con i denti anche il più piccolo essere vivente, l’avrebbero fatto perché è questo che fanno gli eroi, e loro erano i più grandi eroi che l’universo avesse mai avuto l’opportunità di veder nascere.
Quel giorno, come tutti gli altri del resto, avevano terminato quello spossante allenamento finendo al suolo, stremati, con gli abiti ridotti a brandelli e le membra cosparse di centinaia di ferite. Ansimavano sfiniti,  ma erano allo stesso tempo tremendamente felici. Sapevano di aver dato il massimo, di aver fatto tutto ciò che era nelle loro possibilità, e forse anche di più.
C’era una cosa, però, che Goku aveva notato con suo grande disappunto: Vegeta gli sembrava molto più stanco del solito. Questo non era del tutto normale per uno che si pavoneggiava sempre in giro dicendo di essere quello che fra i due aveva maggiore resistenza.  Avrebbe potuto chiedere, o si sarebbe beccato un pugno sul naso?
“Vegeta… Stai bene?” – aveva domandato, esitante.
 “Tsk! Certo. Perché?”.
“Mi sembri… strano!” – si era trattenuto dal dirgli che gli sembrava spossato. Non voleva di certo scatenare la sua ira funesta… Ci teneva alla pelle, lui!
“Non sono strano, Kaharot! E poi, da quando ti preoccupi per me?” – aveva domandato, ridacchiando  divertito mentre si tirava su e cercava di togliersi inutilmente la polvere dai vestiti.
“Te ne vai di già?” – Goku aveva assunto un’espressione alquanto delusa. Possibile che Vegeta non volesse mai fargli compagnia dopo gli allenamenti? Il saiyan adorava passare del tempo in compagnia di quel burbero d’un principe.  Vegeta aveva un carattere particolare, lo sapeva bene, ma a lui importava poco. Si era rivelato un buon amico, una persona su cui contare, e questo era l’importante. Gli aveva dato spesso consigli impliciti, e non si era mai tirato indietro in caso di necessità,  anche se non accettava mai senza prima aver sbuffato sonoramente e avergli dato dell’ebete. Ormai c’era abituato.
“Sì… Non vedo l’ora di andare a fare una doccia”.
“Allora ci vediamo venerdì prossimo?”.
“Tsk… Quando la smetterai di farmi sempre le stesse domande, Kaharot?” – e, sorridendo, si era librato in volo, partendo verso la volta di casa.
*
Erano diversi minuti che Vegeta se ne stava sotto la doccia. Stava cercando di lavare via la stanchezza e la fatica di quella giornata, ma la cosa gli stava risultando più difficile del previsto. Erano giorni ormai che si sentiva stranamente spossato. Aveva poca fame - condizione stranissima per un saiyan - e avvertiva uno strano fastidio allo stomaco. Aveva provato a prendere qualcosa che lo aiutasse a lenire quel dolore, ma era stato del tutto inutile. Per di più, aveva  notato di aver perso peso di colpo, e la cosa non gli piaceva affatto. Odiava stare male. Diventava una bestia. Sentiva di non essere del tutto padrone del proprio corpo, e la cosa peggiore era il dover essere costretto a dipendere dagli altri. E lui era un uomo indipendente. Certo, Bulma gli lavava i vestiti e gli preparava i pasti, ma quella era una cosa del tutto irrilevante. Anzi, ad essere sincero, ringraziava Dende per aver fatto sì che sua moglie e sua suocera non si fossero ancora accorte di niente. Non ce l’avrebbe fatta a sopportare le loro ansie. Quando voleva, era davvero bravo a nascondere le cose, anche se stava iniziando a chiedersi per quanto tempo quel maledetto fastidio lo avrebbe tormentato.  
“TESORO! LA CENA E’ PRONTA!” – aveva urlato Bulma dal piano di sotto. Senza attendere oltre, il principe dei saiyan aveva chiuso il rubinetto dell’acqua e si era infilato l’accappatoio. Sapeva fin troppo bene che non sarebbe stato saggio farsi chiamare una seconda volta.
*
Non aveva quasi toccato cibo. Per tutto il tempo, aveva spostato i bocconi di carne da una parte all’altra del piatto, non trovando però la forza di portarli alla bocca, masticarli ed ingoiarli. L’odore della cena gli aveva solo dato la nausea.  Si era accorto che la sua famiglia lo stava osservando preoccupata, e questo perché Bulma aveva cucinato tutti i suoi piatti preferiti. Era profondamente a disagio. Non avrebbe voluto sentirsi chiedere da tutti cosa c’era che non andava, e per questo si era sforzato di mandare giù alcuni bocconi, anche se questi, appena arrivati nello stomaco, non avevano fatto altro che far peggiorare quel fastidio che lo stava facendo impazzire.
“Tesoro… tutto bene?”.
“Sì, perché?” – aveva cercato di apparire quello di sempre, nonostante il dolore.
“Non hai appetito? O forse non ti piace quello che ho cucinato?”.
“Tsk… Ormai sono abituato a mangiare tutto quello che cucini, Bulma…”.
“Che vorresti dire?”.
“Quello che ho detto!”.
“RAZZA DI SCIMMIONE INGRATO! COME OSI TRATTARMI IN QUESTO MODO DOPO TUTTO QUELLO CHE FACCIO PER TE OGNI GIORNO?”.
Conosceva troppo bene sua moglie, e fortunatamente era riuscito a farla distrarre. Sperava solo che nessun’altro gli facesse domande. Non avrebbe saputo cosa inventarsi, e non voleva dir loro che non era al massimo della forma, anche se si trattava di una cosa da niente. Era il principe dei saiyan, ed era più che ovvio che nulla avrebbe potuto sconfiggerlo.
Ovviamente, Vegeta ancora non sapeva quanto si stesse sbagliando.
*
Era trascorsa una settimana, ma non c’erano stati miglioramenti. Il dolore allo stomaco aveva continuato a tormentarlo, e ormai faticava a mandar giù persino l’acqua.  Per di più, aveva perso dell’ulteriore peso, e la spossatezza lo stava logorando dall’interno.
Bulma non aveva visto o aveva fatto finta di non vedere quello che gli stava capitando, ma c’era da dire che lui era stato molto bravo a non dare nell’occhio, tentando di mangiare ad orari diversi, passando più tempo nella Gravity Room, dicendo alla sua famiglia che aveva deciso di dimagrire un po’ per avere la possibilità di diventare più veloce e indossando abiti più larghi rispetto alla sua solita battle suit blu. Aveva fatto tutto questo in attesa che le cose migliorassero, ma purtroppo così non era stato. E la cosa peggiore era che doveva allenarsi con Goku quel giorno, ma non aveva la più pallida idea di come avrebbe fatto ad alzarsi dal letto.
Che diavolo gli stava capitando? Non aveva mai avuto un dolore così forte e costante in vita sua. Si sentiva come se ci fosse qualcosa che lentamente lo stava consumando dall’interno. Forse, era la volta buona di prendere la decisione di andare a farsi dare un’occhiata da uno di quegli insulsi medici terrestri. Non che si fidasse do loro, ma che alternative aveva? A quanto pare, proprio nessuna.
D’un tratto, aveva sentito qualcuno bussare alla porta della stanza, e non era stato difficile capire che si trattasse di Bulma. Sicuramente voleva avvisarlo dell’arrivo di Kaharot. Dei quanto avrebbe voluto che quel giorno avesse avuto un qualsiasi impegno con quella maestrina di sua moglie! E invece niente, il decerebrato era arrivato puntuale come un orologio .
“Tesoro, c’è Goku…”.
Inizialmente non aveva risposto. Era stato davvero tentato di dirle che quel giorno non si  sarebbero allenati, ma non aveva ceduto. Era pur sempre il principe dei saiyan, e non poteva mostrarsi debole davanti a sua moglie e davanti al suo avversario.
“Arrivo” – si era limitato a dire, cercando di mantenere un’espressione neutra.
Sarebbe stata una lunga giornata. Non aveva dubbi.
*
Non sapeva come ci fosse riuscito, ma era tornato a casa dopo ore ed ore trascorse ad allenarsi e a cercare di non far notare a Kaharot quali fossero le sue reali condizioni.
“Ma che ti è successo??? Bulma ha smesso di cucinare per te?? Mamma quanto sei dimagrito!” – gli aveva detto senza alcun tatto quel decerebrato. Lui si era limitato a dirgli di farsi gli affari suoi e aveva stretto i denti, cercando di sembrare  il più normale possibile. Continuava a chiedersi come ciò fosse stato possibile, visto che più di una volta aveva creduto di perdere i sensi. Dannazione, quel dolore lo stava letteralmente facendo impazzire. Doveva prendere provvedimenti, e doveva farlo subito.
Cercando di fare meno rumore possibile, si era recato in cucina. Aveva sete e avvertiva una stranissima sensazione di amaro in bocca. Senza pensarci troppo, aveva preso la prima bottiglia capitatagli in mano – del succo di frutta alla pesca – e ne aveva bevuto una lunghissima sorsata, cercando di eliminare quel sapore orribile che gli stava dando la nausea.
“Papà! Sei tornato!” – la voce allegra di suo figlio lo aveva colto di sorpresa, facendolo sussultare. A quanto sembrava, non era stato poi così bravo a non farsi sentire.
“Già…”.
“Com’è andata? Mi sembri stanco…”.
Non aveva risposto, cercando di mantenere la calma. Aveva appena avvertito una fitta fortissima allo stomaco, cominciando a tremare.
E poi, era successo: senza alcun preavviso,  Vegeta aveva lasciato cadere la bottiglia al suolo, bottiglia che, inesorabilmente, si era infranta in mille pezzi, e si era piegato in avanti, incapace di controllare il conato che era appena salito lungo il suo esofago.
“PAPA’!” – Trunks si era precipitato a soccorrerlo, inorridendo alla vista di ciò che suo padre aveva appena rigettato, alla vista di quel liquido scarlatto che tante volte era sgorgato anche dal proprio corpo. Sangue. C’ era tantissimo sangue sul pavimento, e quel sangue era uscito dalla bocca di suo padre.
“Papà, ti prego, rispondi!” – il bambino aveva le lacrime agli occhi, era in preda al panico – “Papà…”.
“Chiama… Chiama tua madre…” – aveva detto, lasciandosi cadere a terra, fradicio di sudore. Continuava a tenere entrambe le mani premute sullo stomaco – “Chiama tua madre” – aveva ripetuto un’ultima volta, prima che il buio calasse intorno a lui.
*
Si era svegliato con grande fatica. Aveva le membra completamente intorpidite, e sentiva di non avere il totale controllo del proprio corpo. La testa era diventata tremendamente pesante, e il dolore allo stomaco era come un peso attenuato da un cuscino. Per di più, faceva fatica ad incamerare aria nonostante avesse capito di essere attaccato ad un respiratore.
Quando finalmente era stato in grado di aprire completamente gli occhi, aveva potuto scoprire che non si trovava nella propria camera da letto. Quello in cui si trovava era un luogo sterile e impersonale. L’odore di disinfettante gli era penetrato sin dentro alle ossa, e il bip incessante del macchinario che monitorava il suo battito cardiaco lo stava facendo agitare. Si trovava in un ospedale, era ovvio. Si trovava in uno di quegli stupidi ospedali terrestri. Ma che ci faceva lì? Chi aveva osato condurre il principe dei saiyan in quell’ammasso di cemento e ferro dove venivano ricoverati i terrestri malati? Lui non era un terrestre, e non era malato. Non era malato affatto. Ricordava chiaramente di aver vomitato sangue e di aver perso i sensi, ma Bulma non poteva averlo portato in un ospedale. Perché cavolo lo aveva portato lì?
Odiava la penombra, odiava il silenzio ostentato di quei posti, non tollerava di essere bloccato su di un letto con aghi che gli penetravano le braccia e uno stupido respiratore che lo aiutava a rimanere in vita. E poi, perché lo avevano lasciato solo? Dov’era Bulma? Dov’era Trunks? Dov’era quella sciocca di sua suocera che per ogni graffietto lo dava per spacciato?
In preda al panico, aveva cercato di tirarsi su a sedere, ma un’infermiera sbucata da chissà dove gli aveva posato entrambe le mani sulle spalle, intimandogli di stare sdraiato.
“Non deve alzarsi signor Brief” – signor Brief? Da quando lo chiamavano con il cognome di sua moglie? – “Stia giù… Tra un po’ arriverà il chirurgo e inizieremo la procedura per l’intervento”.
Di sasso.
Vegeta era rimasto di sasso udendo le parole della donna.
Intervento? Cosa voleva dire che dovevano prepararlo per l’intervento? Di che razza di intervento stava parlando quell’oca? Quei terrestri avevano deciso di farlo a fette, forse? No! Mai! Lui era Vegeta, il principe dei saiyan, e per quanto avesse deciso di proteggerli non avrebbe mai e poi mai permesso che giocassero a fare gli allegri macellai con il suo corpo!
“Quale intervento? Ma di cosa sta parlando?” – aveva detto, togliendosi con poca delicatezza la maschera dell’ossigeno dalla bocca.
Ma l’infermiera non si era scomposta, evidentemente abituata ad avere a che fare con pazienti sconvolti, e con grande pazienza e tenacia era riuscita a riposizionare la mascherina al suo posto.
“Stia rilassato signor Brief, e non si preoccupi. Sono certa che il nostro chirurgo riuscirà ad asportarle il tumore che ha allo stomaco”.
Vegeta era certo che gli fosse appena crollato il mondo addosso.
*
Il tragitto dalla stanza in cui era stato ricoverato alla sala operatoria era stato il più difficile che il principe dei saiyan avesse mai intrapreso.  I neon del corridoio spoglio stavano abbagliando i suoi occhi stanchi ma vigili. Il cigolare delle ruote della barella sembrava che volesse trapanargli il cervello, e i passi frettolosi degli infermieri che lo stavano scortando erano come il suono delle anime dell’inferno risorte per tormentarlo. Sembrava che ogni passo fosse un conto alla rovescia verso il patibolo.
Un tumore.
Aveva un tumore allo stomaco. Aveva un tumore allo stomaco e doveva essere operato d’urgenza.
“Il tumore è esteso” – gli aveva detto il chirurgo, serio, grave – “Dobbiamo intervenire immediatamente, o potrebbe non sopravvivere”.
Rischiava di morire. E stavolta il nemico non sarebbe stato un mostro dal colore improbabile che si divertiva a seminare panico sulla Terra. No. Stavolta il nemico era il suo stesso corpo che gli si era ribellato, voltandogli inesorabilmente le spalle. Il suo nemico era quel corpo che aveva sempre trattato come un tempio.
Non aveva avuto la forza di replicare. La notizia l’aveva sconvolto al punto di togliergli la parola.
“Qui fuori ci sono sua moglie e suo figlio. Vorrebbero salutarla prima dell’intervento per augurarle buona fortuna”.
Ma lui aveva rifiutato.
“Non voglio vederli” – aveva asserito, risoluto.
Chiunque lo avrebbe scambiato per un ingrato, ma il chirurgo era un uomo che più volte si era ritrovato in una simile situazione, e si era reso conto immediatamente che non era per egoismo o per cattiveria se il suo paziente aveva reagito in quel modo. Lo aveva fatto per una ragione più semplice, ma immensamente più profonda: non voleva che i suoi cari lo vedessero in quello stato. Era un uomo forte, tutto d’un pezzo, e non poteva permettersi di scaricare pesi e angosce sulle spalle delle persone che amava.
Ed eccolo lì, solo, proprio come aveva voluto, a varcare la soglia della sala operatoria. Eccolo lì, solo, a lasciare che l’anestesista facesse il suo lavoro. Eccolo lì, solo, a fare il conto alla rovescia.
Dieci… Nove… Otto… Subito dopo, di nuovo il buio.
*
Stavolta, il suo risveglio non era stato solitario. Si era accorto immediatamente della presenza di Bulma e di Trunks. La sua famiglia era lì, accanto a lui, pronta a confortarlo e dargli la forza di andare avanti. Non sapeva se sentirsi lusingato o quasi oppresso da tutte quelle attenzioni. Ma di per certo c’era una cosa: per nessuna ragione al mondo avrebbe chiesto loro di andare via.
“Amore…” – gli aveva sussurrato all’orecchio sua moglie, ostentando una forza d’animo che in realtà non possedeva. Nonostante i suoi occhi fossero appannati, Vegeta era riuscito a vedere chiaramente le lacrime che la sua Bulma stava cercando di trattenere ad ogni costo. Avrebbe voluto dirle di smetterla, ma non gli era stato possibile: aveva qualcosa infilato giù per la gola che gli impediva di parlare. Era ridotto ad un rottame. Se la situazione non fosse stata talmente tragica, gli sarebbe quasi venuto da ridere.
“Ciao papà…” – lo aveva salutato Trunks, sedendosi con attenzione accanto a lui, ma senza sfiorarlo. Per la prima volta nelle sua giovane vita, aveva paura di far del male a quell’uomo così burbero e fiero che lui chiamava padre. Sembrava talmente fragile e vulnerabile. Temeva di poterlo rompere. Era proprio come una di quelle ballerine di cristallo che sua madre si ostinava a collezionare. Doveva fare attenzione almeno fino a quando il suo papà non si sarebbe ristabilito completamente. Perché il suo papà ce l’avrebbe fatta, ne era certo.
“E’ andato tutto bene… Sei stato bravissimo, tesoro” – gli aveva sussurrato Bulma, intuendo la sua muta domanda – “Ora cerca di riposare… Presto tornerai a casa”.
Stavano andando via. Perché stavano andando via? Lui non voleva riposare, voleva che loro rimanessero lì. Voleva fare l’egoista e impedirgli di andarsene. Era il principe dei saiyan, non potevano abbandonarlo come un cane sull’autostrada!
Ma, poco prima che Bulma uscisse dalla stanza, si era chinata su di lui con dolcezza, e gli aveva posato un tenero bacio sulla fronte,  facendogli una promessa che Vegeta avrebbe tanto voluto sentire.
“Non diremo niente a nessuno. D’accordo, tesoro? Sarà una cosa che rimarrà qui, fra di noi. Ma ora riposa amore, ti prego. E sta. tranquillo: tra poco tornerò da te”.
E così aveva fatto. Vegeta si era davvero tranquillizzato.
Non avrebbe mai ringraziato abbastanza il destino che gli aveva fatto incontrare quella donna che lo conosceva meglio di se stesso. Sperava solo che quello stesso destino non gli impedisse di rimanere insieme a lei il più a lungo possibile.
*
Dopo una sola settimana dall’intervento, Vegeta era già in piedi che smaniava di tornare ad allenarsi, ma nonostante la sua reazione più che positiva all’operazione, il chirurgo gli aveva imposto di riposarsi il più possibile. L’intervento era stato un vero successo, ma il tumore, la perdita repentina di peso, il dolore continuo che aveva sopportato per giorni e giorni e il decorso post-operatorio lo avevano molto debilitato, e non poteva davvero scherzarci su.
Un intervento chirurgico era una cosa seria anche per un saiyan, e questo Vegeta lo sapeva bene, ma proprio non ce la faceva a stare fermo. Fortunatamente, era giunto ad un compromesso con sua moglie e con il suo medico: avrebbe fatto qualcosa di assurdo e totalmente inutile per uno come lui – ovvero correre e sollevare qualche piccolo peso – ma avrebbe dovuto farlo, o sarebbe impazzito.
Doveva però ammettere di non sentirsi proprio al massimo della forma. Avvertiva ancora dolore, e la terapia farmacologica che stava seguendo non era una passeggiata, ma la stava affrontando con grande dignità.
Non voleva causare altre apprensioni ai suoi cari. Bulma e Trunks lo avevano trattato per tutta la settimana come un impedito, e nonostante non si fosse lamentato più del dovuto non aveva intenzione di protrarre quella situazione troppo a lungo. I primi giorni erano stati davvero tremendi, e li aveva lasciati fare senza fiatare. Sua suocera lo aveva servito e riverito con eccessiva premura, e suo suocero aveva installato nella camera da letto sua e di Bulma un televisore a schermo ultrapiatto grande quasi quanto l’intera parete e un impianto dolby surround che avrebbe fatto invidia ad un cinema. Non era un amante dei programmi tv, ma non aveva potuto fare molto steso a letto, e doveva ammettere che guardare i varietà e i canali sportivi lo aveva distratto. Soprattutto, Vegeta aveva scoperto che gli piaceva molto il calcio – cosa che a quanto gli aveva spiegato Trunks valeva per il 99% della popolazione maschile mondiale – e si era divertito molto una sera a tifare per la squadra preferita di suo figlio che doveva affrontare una partita di campionato molto importante.
La cosa peggiore di tutte, però, non erano stati il dolore, o l’impossibilità di allenarsi. No. La cosa peggiore, era stata l’aver costretto sua moglie a mentire. Aveva sentito fin troppo bene la telefonata che aveva fatto a Goku, telefonata in cui aveva asserito che ‘Vegeta non si sarebbe potuto allenare con lui per qualche tempo perché doveva aiutarla a mettere a punto un progetto importante‘. Fortuna che Kaharot era un tantino credulone, altrimenti si sarebbe messo a fare strane domande. Purtroppo, la stessa cosa non si poteva dire di sua moglie e degli altri. Bulma aveva disdetto tutti i suoi appuntamenti, e aveva continuato a mentire a tutti pur di proteggerlo. Ma era più forte di lui. Non riusciva a sopportare che gli amici di famiglia lo guardassero con compassione. Per quanto li avesse accettati come tali, era pur sempre il principe dei saiyan, e non poteva permettere che qualcuno provasse pietà per lui. Solo che non aveva previsto quanto tutto quello potesse essere difficile per una che aveva una vita mondana come sua moglie.
Per non parlare di Trunks, poi. Suo figlio si precipitava a casa dopo la scuola, faceva i compiti in pochissimo tempo, e dedicava tutto il suo tempo a lui, dimenticandosi degli amici e dei passatempi. Non aveva mai ricevuto tante attenzioni in vita sua. Ne era quasi affascinato e spaventato allo stesso tempo.
Ma ora stava bene, e tutto sarebbe presto tornato come prima. Anche se, ogni volta che si spogliava e vedeva la cicatrice sul torace rabbrividiva. Tra tutte quelle che si stagliavano sul suo corpo, quella era di sicuro la più spaventosa. Eppure, Vegeta non poteva che gioire nel vederla.
“Se ho la possibilità di vederla e toccarla è perché sono stato io a vincere” – continuava a ripetere al suo riflesso nello specchio. Era in momenti come quello che sentiva di essere tornato se stesso. Era in momenti come quelli che si sentiva più vivo che mai.
*
Ma le cose non stavano andando così bene come era sembrato all’inizio. Dopo alcune settimane di calma piatta, Vegeta aveva cominciato ad avere dei dolori atroci allo stomaco. Il medico aveva detto che poteva essere normale, soprattutto nel momento in cui avrebbe dovuto riprendere a mangiare normalmente, e per questo aveva aumentato il dosaggio dei medicinali.
Quella notte, però, non avevano avuto alcun effetto. Vegeta era stato male per tutto il tempo, ritrovandosi al mattino fradicio di sudore e stravolto dal dolore. Non aveva emesso un lamento per tutta la notte, ma arrivato alle prime luci dell’alba, non aveva più resistito.
“Bulma…” – aveva mugugnato – “Bulma… Ti prego… Aiutami…”.
Ma la donna che lo aveva sposato non era stata in grado di fare molto. Il medico era stato chiaro: non poteva prendere altre pillole se non trascorrevano un tot di ore, e l’unica cosa che poteva fare era cercare di alleviare il dolore tramite il calore. Per questo, Bulma aveva preparato una borsa dell’acqua calda e gliel’aveva posta sulla zona dolorante, ma non sembrava aver sortito grandi effetti. Vegeta aveva cominciato a tremare per il dolore, e Bulma poteva giurare di averlo visto piangere quando lo aveva lasciato per preparargli la borsa dell’acqua calda.
Disperata, si era rifugiata in cucina, scoppiando in un pianto incontrollato. Non lo aveva mai visto in quelle condizioni. Mai. Vegeta si era sempre fatto forza, si era sempre rialzato da solo ed era tornato ad allenarsi, nonostante le bende, le ferite e i dolori. Ma stavolta tutto era diverso. Stavolta era interno al suo corpo il male che lo stava divorando, e non capiva perché non volesse abbandonarlo in nessun modo. Perché doveva continuare a soffrire? Perché?
D’un tratto, aveva sentito sua madre parlare con qualcuno che aveva una voce tremendamente familiare. L’avrebbe riconosciuta fra mille, quella voce, ma non riusciva proprio a capire cosa ci facesse lui lì.
“Ciao Bulma! Passavo da queste parti e mi chiedevo che cosa stessi combinando con Vegeta!” – aveva trillato, non appena arrivato in cucina. Ma, nel notare quanto la sua amica fosse sciupata e quanto profonde fossero le sue occhiaie, si era bloccato di colpo, intuendo che qualcosa non andava.
“Bulma… Che cos’hai?”.
Proprio mentre la turchina stava per rispondere, un tonfo seguito da un lamento straziante erano giunti alle orecchie dei presenti, facendoli rimanere di sasso.
“Ma che succede?” – aveva chiesto Goku, allarmato.
“Vegeta!”.
Senza esitare un attimo, i presenti si erano precipitati al piano di sopra, trovandosi davanti ad una scena straziante. Vegeta era caduto dal letto e aveva schiacciato la borsa dell’acqua calda che si era distrutta, facendo sì che il liquido bollente ustionasse la pelle sudata e pallida del saiyan.
Bulma e sua madre si erano precipitate a soccorrerlo, terrorizzate, e senza pensarci troppo, gli avevano letteralmente strappato di dosso la giacca del pigiama zuppa d’acqua bollente, lasciando scoperta l’enorme, orribile cicatrice che deturpava il corpo magrissimo di Vegeta. Quest’ultimo aveva gli occhi serrati, e il volto contratto in una smorfia di dolore sconvolgente.
Goku non riusciva a capire cosa stesse accadendo. Perché Vegeta era così magro? Perché era così pallido? Perché stava così male? E che cos’era quella cicatrice che aveva all’altezza dello stomaco? Sconvolto da ciò che si stava palesando davanti ai suoi occhi, era rimasto immobile sulla soglia ad osservare la scena, almeno fino all’istante in cui i suoi occhi non avevano incontrato quelli disperati e colmi di lacrime di Bulma.
Senza che lei dicesse qualcosa, il saiyan si era avvicinato e aveva sollevato Vegeta fra le braccia, proprio come aveva fatto quella volta in cui Freezer lo aveva ucciso senza alcuna pietà. Solo che stavolta, il suo principe sembrava mille volte più piccolo e mille volte più indifeso. Con uno sforzo estremo, Vegeta aveva socchiuso gli occhi, mormorando un no di sconfitta nell’attimo in cui si era reso conto di chi fosse la persona che lo teneva fra le braccia.
“Che cosa devo fare, Bulma?” – aveva chiesto, sperando di potersi rendere utile.
“Mettilo sul letto, ti prego. Ha bisogno di calore per alleviare il dolore allo stomaco. Ma io… Io non ho più borse dell’acqua calda… E lui ne ha bisogno adesso! Oh! Mamma, Goku, vi prego, fate qualcosa!”.
Senza farselo ripetere due volte, aveva steso il principe dei saiyan sul letto, stendendolo su di un fianco. Si era tolto gli stivali e si era sdraiato accanto a lui, cingendogli il busto con un braccio fino a posare una mano sul suo stomaco, proprio sotto le braccia del principe che continuava a stringere convulsamente la parte dolorante.
“Goku… ma che stai facendo?”.
Il saiyan non aveva risposto alla signora Brief. Aveva chiuso gli occhi e sembrava  molto concentrato. Con grande stupore di Bulma e di sua madre, dal palmo della mano di Goku aveva iniziato a propagarsi una tenue luce giallognola, e pochi istanti dopo Vegeta aveva cominciato a rilassarsi, sciogliendo la presa ferrea che aveva continuato ad esercitare sul suo stomaco, fino ad addormentarsi.
“Ma cosa…?”.
“Sto facendo ciò che mi hai detto, Bulma. Sto producendo calore”.
*
Era stato uno shock venire a conoscenza della crudele verità. Goku non riusciva a credere alle parole di Bulma.
“Vegeta ha avuto un cancro allo stomaco. Era molto grave, ma lo hanno operato… E’ in via di guarigione, adesso”.
In via di guarigione? Se quello che aveva visto era guarire, Goku non voleva sapere cosa significasse essere malati.  Mentre lo stava stringendo, aveva sentito la sua aura indebolirsi sempre di più. Era come se fosse una lampadina che si stava mano a mano spegnendo. Cielo, non poteva credere che il principe dei saiyan fosse stato messo KO da una malattia. Ma si sarebbe presto rialzato. Ne era certo. Niente avrebbe potuto sconfiggere definitivamente Vegeta. Presto sarebbe tornato ad allenarsi insieme a lui, più forte e più prestante di prima. E Goku aveva avuto tutte le intenzioni di aiutarlo.
*
Aveva provato di tutto. Aveva provato a portargli dei fagioli di Balzar, aveva provato ad invocare Shenron, aveva persino chiesto a Baba di preparargli una pozione, ma nulla di tutti ciò era servito. Vegeta non aveva sortito nessun beneficio da tutto ciò. Goku si sentiva sconfitto. Non era riuscito ad aiutare il suo amico a guarire.
*
Erano trascorsi quattro mesi dal giorno dell’operazione. Le cose non erano ancora tornate alla normalità, e probabilmente questo non sarebbe più successo. Vegeta era sempre più magro e sempre più stanco. Ormai aveva quasi del tutto rinunciato ad allenarsi. Il suo fisico gli si era completamente ribellato. Dalle analisi era purtroppo risultato che si erano formate delle metastasi, e la chemioterapia che era stato costretto a fare lo stava consumando lentamente. Non aveva quasi più il coraggio di guardarsi allo specchio. Una volta, sfiorandosi il corpo, toccava muscoli e tendini guizzanti,  adesso, l’unica cosa che percepiva erano le ossa che sporgevano senza alcuna pietà. La pelle era diventata giallognola, gli occhi erano sempre arrossati, e aveva perso diverse ciocche di capelli. Ogni mattina, al suo risveglio, trovava il cuscino cosparso da centinaia di sottili fili neri. Trascorreva più tempo che poteva rinchiuso nella camera da letto, in quella penombra che tanto odiava. Non capiva come sua moglie e suo figlio avessero ancora il coraggio di guardarlo.  Quello non era più l’uomo che avevano conosciuto e amato. Era solo un rottame, una pallida imitazione del guerriero che era stato e che non sarebbe tornato mai più. Vegeta era troppo intelligente per essersi reso conto di quello che stava effettivamente accadendo. Stava perdendo quella battaglia, ed era certo che presto avrebbe perso anche la guerra. Ma doveva resistere. Doveva farcela per quello che gli aveva confessato Bulma due mesi addietro. Sua moglie era incinta. Bulma portava una creatura in grembo, e fosse cascato il mondo, sarebbe rimasto in vita fino al giorno della sua nascita.
Stava sorridendo amaramente, Vegeta. Continuava a domandarsi in quale istante di preciso fosse diventato così sentimentale. Probabilmente, suo padre si sarebbe rivoltato nella tomba se avesse potuto leggergli nel pensiero, ma poco gli importava: era un uomo diverso, un uomo maturo che voleva bene ai propri cari e agli amici, doveva forse vergognarsi di ciò?
Già, gli amici. Ormai Kaharot e la sua famiglia si erano trasferiti a casa sua. Vivevano al terzo piano del grande stabile della Capsule Corporation, e Vegeta si era reso perfettamente conto che se non fosse stato per quel decerebrato e quella maestrina di sua moglie, Bulma e Trunks sarebbero crollati già da tempo. Sua moglie stava un po’ meglio, grazie alle attenzioni e alle premure di Chichi , e Gohan e Goten si stavano prendendo cura di Trunks come se fosse stato il terzo fratello Son. E sì, per quanto fosse assurdo, chi si stava prendendo maggiormente cura di lui era proprio quell’imbranato di Kaharot. I primi tempi erano stati traumatici per entrambi. Goku non riusciva ad accettare quel cambiamento fisico così debilitante che aveva piegato il principe dei saiyan, ma con il tempo aveva smesso di badarci, ed entrambi avevano cominciato a comportarsi come persone normali. Avevano imparato a giocare a poker e a briscola, guardavano le partite di calcio alla tv con i figli, ogni tanto andavano a pescare, e quando Vegeta era veramente in forma e non era di cattivo umore andavano a fare una passeggiata nel parco, godendosi il sole di settembre. Era un rapporto davvero insolito quello che si era venuto a creare fra i due, ma il principe ne era ben felice. Grazie a Goku, a volte dimenticava di essere malato.
*
Non capiva cosa fosse quel trambusto. Erano le dieci del mattino quando aveva aperto gli occhi dopo una notte trascorsa quasi del tutto insonne, e non riusciva davvero a capire perché Bulma e gli altri dovessero fare proprio tutta quella confusione. Ormai, alzarsi dal letto era diventata un’impresa. Vegeta trascorreva quasi tutta la giornata sdraiato sul letto, cercando di dare meno fastidio possibile alle persone che aveva attorno e che si prendevano cura di lui.
A fatica, era riuscito ad arrivare alla finestra, sbiancando nell’istante in cui si era reso conto che in giardino c’era tutta la ciurma di amici di famiglia che stava festeggiando sua moglie. Dovevano aver saputo che aspettava un altro figlio. Era felice per lei: aveva appena avuto la conferma che le persone con cui aveva affrontato mille peripezie non l’avrebbero mai abbandonata.  Ormai, la pancia di Bulma era ben visibile. Era alla fine del quinto mese, e il piccolo a volte si divertiva a scalciare.
“Ha il tuo caratteraccio” – gli diceva sua moglie, prendendolo in giro.
Non aveva voluto sapere se fosse un maschio o una femmina. Voleva che fosse una sorpresa. A Vegeta importava poco il sesso del bambino. Sapeva già che sarebbe stato straordinario. Era il figlio del principe dei saiyan dopotutto, no?
Qualcuno lo stava osservando, in silenzio. Si era accorto immediatamente di chi si trattasse. Era ridotto ad uno straccio, ma era ancora perfettamente in grado di percepire le aure altrui. Almeno quello, gli era ancora concesso.
“Entra, Goku…” – ormai aveva smesso quasi del tutto di chiamarlo Kaharot.
“Giù ci sono tutti… Hanno deciso di fare una sorpresa a Bulma. Ognuno ha preparato qualcosa da mangiare, e mio suocero ha portato tre cinghiali grossi come dei dinosauri! Bulma è così felice”.
Non aveva risposto, aspettando che Goku dicesse qualcosa che però tardava ad arrivare. Era evidente che non fosse in grado di trovare le parole giuste per chiedergli di unirsi a loro.
Dopo interminabili minuti di silenzio in cui il Son aveva deciso di battere ritirata, la voce di Vegeta lo aveva fermato, facendogli cambiare idea.
“Prenderesti il maglione nero nell’armadio? E’ troppo in alto e non ci arrivo” – aveva chiesto con fermezza e gentilezza allo stesso tempo.
Goku aveva sorriso, triste. Perché non riusciva a reagire nonostante  avesse tutta quella forza d’animo? Non riusciva davvero ad accettarlo.
*
Gli amici di sempre non riuscivano a capire perché a casa Brief regnasse una tristezza che non si addiceva né al luogo né alla circostanza.  Bulma e Trunks continuavano a sorridere, ma era chiaro come il sole che il loro era un sorriso tirato. La turchina sembrava incredibilmente stanca, i bellissimi occhi di Trunks erano spenti, e i genitori di Bulma improvvisamente sembravano invecchiati di cent’anni.
Crilin e C18 erano pensierosi, così come il maestro Muten che si continuava a domandarsi perché Chichi e i suoi cari si fossero trasferiti a casa Brief. E poi, che fine aveva fatto Vegeta? Per quanto fosse un tipo polemico e burbero, era pur sempre il papà, e avrebbero dovuto fare anche a lui gli auguri per il futuro nascituro.
“Bulma” – aveva chiesto Crilin, tentennante – “Dov’è Vegeta?”.
La turchina aveva intuito che il momento di rispondere a quella fatidica domanda non avrebbe tardato ad arrivare, ma non era ugualmente riuscita a trovare una risposta adeguata. Non voleva far passare il suo Vegeta per un marito freddo ed un padre snaturato, ma gli aveva giurato su quel letto d’ospedale di non dire niente, e avrebbe prestato fede al giuramento fatto fino alla fine, a costo di diventare la peggiore delle bugiarde.
Stava per rispondere che era a letto per colpa di una leggera febbre quando il diretto interessato aveva fatto il suo ingresso nella serra, domandando a voce alta cosa fosse tutta quella confusione, lasciandola di sasso.
I presenti avevano perso l’uso della parola nel vederlo. Crilin era sbiancato, cosi come tutti gli altri.  Era stato uno shock non indifferente vedere il fiero principe dei saiyan ridotto la metà di quello che ricordavano. Dal maglione nero si intravedevano le costole e le ossa del bacino. I pantaloni erano tenuti su da una cintura e il cappellino che aveva in testa aveva una funzione inequivocabile. La pelle era gialla e gli occhi erano rossi come il fuoco. Sembrava che stesse in piedi grazie a chissà quale miracolo, eppure, aveva avuto la forza di camminare verso la moglie e guardarla negli occhi, prima di posarle la mano sulla pancia. Quel gesto così intimo aveva intimorito ancora di più i presenti, non abituati a vedere il principe comportarsi in quel modo.
“Tsk. Che credevate di fare, eh? Non me lo sarei perso per niente al mondo”.
*
Non riuscivano a crederci. Era semplicemente impossibile. Videl era scoppiata a piangere nell’apprendere la triste notizia, e persino la fredda C18 era apparsa visibilmente turbata. Yamcha, che non aveva mai visto di buon occhio il principe dei saiyan, era stravolto, e non riusciva a smettere di guardarlo. Era così diverso dal saiyan che tutti conoscevano. Era stanco, provato, consumato da una malattia che lo stava consumando dall’interno, una malattia che non avrebbero mai potuto associare ad un guerriero della gloriosa stirpe saiyan. Avevano sempre creduto che quegli scimmioni fossero praticamente indistruttibili. Certo, Goku aveva avuto quel terribile episodio del virus che aveva colpito il suo cuore, ma alla fine, con le adeguate cure, era riuscito a sopravvivere. Perché per lui sembrava che non ci fosse via d’uscita? Perché per Vegeta doveva essere diverso?
Era stato un autentico colpo al cuore vederlo ridotto in quello stato. Eppure, nonostante tutto, non aveva detto di no quando i bambini gli avevano chiesto di giocare a carte.
Tutti avevano notato che spesso portava una mano all’altezza dello stomaco nel disperato e inutile tentativo di reprimere una smorfia di dolore, ma nessuno aveva osato chiedere come si sentisse. Sarebbe stata una mancanza di rispetto, un modo per sottolineare ancora una volta quella sua assurda condizione.
 Non aveva praticamente toccato cibo, se non qualche cucchiaiata di una specie di pappetta dall’aspetto poco invitante che gli aveva servito Chichi con estrema premura. Goku era ben consapevole che il momento peggiore per Vegeta era proprio quello che sopraggiungeva dopo i pasti, e per questo si stava tenendo pronto a qualsiasi evenienza. Ma, per fortuna, quel giorno sembrava che le cose andassero meglio.
Il principe dei saiyan se ne stava sdraiato sull’erba umidiccia della serra, con i bambini accanto, e sembrava sereno, nonostante tutto. E in effetti lo era. Solo allora si era reso conto di essere stato uno stupido ad essersi nascosto per tutto quel tempo. Certo, sentiva spesso su di sé gli sguardi angosciati degli amici, soprattutto quello di Dende che non era stato in grado di aiutarlo, ma non facevano poi così male come pensava. Più che altro, era risentito per aver causato ancora dolore. Per un motivo o per un altro era fonte di lacrime e facce scure. Ma forse, in un certo senso, in quell’occasione avrebbe dovuto sentirsi fiero di aver scaturito una simile reazione.
“Papà, dove vai?” – aveva chiesto Trunks, vedendolo alzarsi con grande sforzo.
“Tsk… Ti informo che anche i principi hanno bisogno del bagno…” – aveva commentato, soffocando malamente un sorriso. Con calma, passo dopo passo, si stava avviando verso le stanze interne della propria casa quando, all’improvviso, il mondo intorno a sé aveva cominciato a girare. Il dolore allo stomaco era aumentato, e in un attimo si era ritrovato fradicio di sudore. Lo spazio che lo separava dal terreno si era accorciato, e senza che lui potesse opporsi era caduto al suolo, in preda ad un conato di sangue che non era stato capace di controllare.
“VEGETA!”- era stato Goku il primo a soccorrerlo, teletrasportandolo immediatamente nel più vicino ospedale.
Quella giornata di festa si era conclusa con l’erba macchiata di sangue e un cappellino cosparso di ciocche corvine riverso al suolo.
*
Apprendere quale sarebbe stata la sorte di Vegeta era stata una doccia gelata per tutti. Bulma sapeva già che le metastasi erano diffuse e che forse la chemioterapia non sarebbe stata sufficiente a debellarle, ma non avrebbe mai e poi mai creduto che avessero potuto propagarsi in tutto il suo corpo tanto rapidamente.  Ormai non c’era più niente da fare. Quelle erano state le parole del chirurgo. Non c’era più niente da fare. Avrebbe dovuto interrompere la chemioterapia nell’immediato, e l’unica cosa che avrebbe potuto aiutarlo sarebbero state alcune compresse di morfina.
“Non scheggiatele, non polverizzatele” – aveva ordinato il chirurgo – “Potrebbe morire per avvelenamento”.
Bulma era alla fine del quinto mese di gravidanza.
A Vegeta erano state date tre settimane di vita.
*
Nessuno si spiegava come fosse possibile. Le tre settimane date a Vegeta erano diventate quattro. Da quattro erano diventate otto. Da otto erano diventate dodici.
Il principe dei saiyan era irriconoscibile. Ormai non mangiava quasi più e veniva tenuto in vita da un continuo susseguirsi di flebo. Era ridotto pelle e ossa, e non era capace neppure di andare in bagno da solo. Una volta, Goku l’aveva sorpreso immerso nella vasca da bagno, in lacrime: Bulma era stata costretta a lasciarlo da solo per qualche minuto per sbrigare un’importante commissione, e lui non aveva trovato la forza di uscire dalla vasca. Era stata una scena straziante, ma Goku si era fatto forza, cercando di rincuorare come meglio poteva l’uomo che aveva di fronte.
Vegeta non poteva neppure immaginare quanto Goku lo stimasse. Era certo che al suo posto non avrebbe avuto una simile tenacia. Il principe dei saiyan stava resistendo solo per veder nascere il suo secondogenito. I medici continuavano a chiedersi come fosse possibile che un uomo riuscisse a sopportare simili sofferenze per un tempo così lungo. A volte non era neppure in grado di articolare i suoni, e spesso Goku si accorgeva che il suo sguardo diventava velato, assente. Gli doleva il cuore doverlo lasciare, di sera. Non aveva detto niente a nessuno, ma spesso si teletrasportava nella camera da letto sua e di Bulma per controllare il suo stato di salute, trovandosi a sorridere amaramente ogni volta che lo vedeva contarsi in silenzio per uno spasmo.
Era ingiusto. Tutto quello era terribilmente ingiusto. Vegeta doveva morire in battaglia, non di certo nel proprio letto per colpa di una malattia.
*
La corsa in ospedale era stata repentina. Le acque si erano rotte all’improvviso, e Chichi aveva preparato il borsone con il necessario per Bulma e il nascituro in un batter d’occhio.
Vegeta aveva cercato di fare di tutto per accompagnarla, ma non gli era stato possibile. Ormai non era neppure in grado di stare seduto senza l’aiuto di qualcuno. Era stato Trunks a costringerlo a rimettersi a letto, dicendogli che sarebbe andato tutto bene e che sarebbe stato lui ad occuparsi di tutto finché la mamma e il fratellino non sarebbero tornati.
Ma Vegeta non poteva aspettare. Suo figlio stava per nascere, e non poteva perdersi quel momento per nessuna al mondo.
*
La stanza in cui sua moglie era stata ricoverata era un tripudio di fiori colorati spediti dagli amici. Le tende non erano state tirate, e un tiepido raggio di sole filtrato appena dal vetro della finestra stava accarezzando con dolcezza il viso di una Bulma placidamente addormentata nel letto posto accanto alla culletta in cui riposava la creaturina che aveva appena dato alla luce.
Aveva il cuore in gola. Era emozionato come mai lo era stato prima di allora. Era vero, quella era la seconda volta che diventava padre, ma il tempo lo aveva cambiato nel profondo, smussando quegli angoli così duri di cui una volta andava tanto fiero, permettendogli finalmente di capire quanto grande e speciale fosse l’attimo in cui per la prima volta si fa la conoscenza della propria prole.
Vegeta si era avvicinato con cautela, traendo proprio da quell’esserino talmente piccolo la forza necessaria per non crollare su se stesso come un castello di carta.
Ed eccola lì, avvolta in una copertina rosa, la copia esatta della donna che aveva sposato. Dormiva con i piccoli pugni stetti accanto al viso paffuto. Era così piccola e fragile, eppure allo stesso tempo era così forte. Il suo respiro era lento e regolare, e ogni tanto muoveva le braccine a scatti. Forse, stava sognando. Ma i neonati potevano farlo? Quante cose non sapeva sui bambini, e quante non ne avrebbe mai saputo. Con estrema delicatezza, aveva allungato una scarna mano verso la testolina turchese, accarezzandola con dolcezza.  Quella era la sua bambina, la creatura che aveva contribuito a mettere al mondo. Come avrebbe potuto lasciarla ora che l’aveva vista, ora che sapeva quanto bisogno aveva di essere protetta, guidata, consolata, amata? Ma lui ne sarebbe mai stato in grado, anche se non avesse dovuto lasciarla? Con Trunks non era stato un padre esemplare. Con una figlia femmina, le cose diventavano ancora più complicate. Già immaginava le orde di ragazzi che avrebbero fatto la fila per avere un appuntamento con lei. Ma Vegeta sapeva benissimo che non si trattava di una ragazza qualunque, ma di una principessa saiyan, e che di certo non si sarebbe lasciata abbindolare facilmente.
Le stava sorridendo quando, ad un tratto, la piccola aveva aperto gli occhi, incatenandoli a quelli arrossati e stanchi del suo papà. Non un lamento era uscito da quella boccuccia, non un sospiro. Vegeta aveva trattenuto il respiro nell’attimo in cui si era accorto che sua figlia lo stava fissando, curiosa. Era impossibile che una bambina che aveva solo poche ore di vita potesse fare una cosa simile. Eppure, lo stava fissando per davvero, e lo stava facendo senza alcun timore. Bulma aveva avuto ragione per davvero, quella volta: era davvero molto simile a lui.
*
Trunks era entrato nel panico. Non riusciva a trovare suo padre. Vegeta non si trovava né nella sua camera da letto, né in nessun’altra stanza della loro casa. Si era allontanato solo un attimo, come aveva fatto a perderselo sotto il naso?
Dopo aver preso un bel respiro nella speranza di calmarsi, aveva raccolto tutte le sue forze pur di concentrarsi, nel tentativo di percepire l’aura del suo papà. Ma ciò era stato impossibile: era troppo debole perché lui potesse sentirlo. Disperato, stava per scoppiare in lacrime, bloccandosi solo nel momento in cui aveva capito dove potesse essersi cacciato suo padre.
In men che non si dica, si era librato in volo e aveva raggiunto l’ospedale in cui la sua mamma aveva partorito. Con il cuore in gola, aveva chiesto ad un’infermiera dove fosse ricoverata la signora Brief, e a grandi passi aveva raggiunto la stanza numero 23.
Con suo grande stupore, aveva trovato gran parte dei suoi amici. Chichi, Goku, Gohan, Videl, Crilin e il piccolo Goten, che era corso ad abbracciare il suo migliore amico, erano scoppiati in un pianto disperato.
“Goten… ma che succede?”.
“Mi-mi dispiace amico mio… Mi dispiace tanto”.
E, in quel momento, si era domandato perché non avesse deciso di rimanere a casa.
*
Vegeta era disteso nel suo letto matrimoniale, immobile. Era sudato, nonostante rabbrividisse per il freddo. Il respiro era diventato affannoso, e ad ogni movimento del diaframma la sua gola emetteva un rumore sinistro, una sorta di rantolo aspirato che mostrava a tutti quanto fosse diventato difficile per lui fare un gesto così semplice e naturale come respirare.  Non si muoveva, Vegeta. Lo sconsiderato gesto compiuto per poter vedere la sua bambina aveva decretato la sua sconfitta definitiva.
Lo avevano trovato riverso sul pavimento della stanza in cui era stata ricoverata Bulma, e si erano accorti della sua presenza grazie al pianto disperato di Bra, che aveva smesso di urlare non appena Vegeta aveva ricevuto i primi soccorsi. Era stato quasi come se quella creaturina dagli occhi color del mare avesse voluto aiutare il suo papà, quel papà che aveva resistito così tanto solo per poterla vedere almeno una volta.
Trunks era appena entrato nella stanza, cercando di fare più piano possibile.  Lentamente, si era arrampicato sulle coltri, stendendosi accanto al suo adorato papà. Sapeva che presto non lo avrebbe visto mai più. Sapeva che non avrebbe avuto più occasione di sfiorarlo, di allenarsi con lui, di sentire la sua voce che con severità lo rimproverava o lo incitava. Sapeva che non avrebbe mai più visto quegli occhi fieri e pieni di orgoglio e questo lo stava distruggendo. Avrebbe tanto voluto dirgli di non andare via, di non lasciarlo solo, e avrebbe voluto chiedergli scusa per tutte le volte che lo aveva fatto arrabbiare, ma non c’era riuscito. Le parole gli erano morte in gola, soffocate dalle lacrime che calde e salate avevano cominciato a sgorgare dai suoi grandi occhi azzurri.
Con cautela, aveva allungato una mano, fino a portarla sul torace del suo papà. Il suo cuore batteva lentamente, troppo lentamente, ma batteva ancora. E Trunks aveva deciso che non si sarebbe mosso da lì fino a quando esso non si fosse fermato, fino a quando il corpo del suo amato padre avesse perso ventuno grammi, quei ventuno grammi che si diceva fossero il peso dell’anima.
“Papà…” – aveva sussurrato Trunks, dopo che Vegeta si era mosso, posando con fatica la mano su quella del figlio.
Il principe dei saiyan aveva aperto gli occhi stanchi e aveva girato il capo quanto bastava per poter osservare quel viso così simile al suo. Quanto era cresciuto suo figlio, il suo Trunks? Era diventato un piccolo uomo. Ma sarebbe stato in grado di fare quello che stava per chiedergli e che purtroppo gli aveva già chiesto qualche tempo addietro?
“Promettimi… che ti prenderai… prenderai cura… della mamma… e di Bra…”.
Trunks non era riuscito a controllarsi, nonostante gli sforzi. Quello era stato troppo, era stato davvero troppo. Il suo labbro inferiore stava tremando e le lacrime avevano inzuppato le candide lenzuola di cotone.
“Papà… no…”.
“Devi promettermelo…” – e gli aveva stretto la mano con le poche forze che aveva.
Il piccolo si era sentito perso. Perché doveva prendersi quella responsabilità? Perché suo padre non poteva restare lì con loro a proteggerli silenziosamente come aveva sempre fatto? Perché?
Ma ecco che, all’ improvviso, un’idea aveva preso forma nella sua mente, facendolo quasi esultare di gioia.
“MA CERTO! Papà, sta tranquillo! Appena avrai smesso di soffrire, andremo su Namecc e chiederemo al drago Polunga di riportarti in vita! Come abbiamo fatto a non pensarci prima? E’ così ovvio|! Andrà tutto bene papà! Torneremo a stare insieme!” – era così contento. Avrebbe riavuto il suo papà.  Avrebbe finalmente riavuto il suo papà.
Ma la sillaba pronunciata dalle labbra bianche e screpolate di Vegeta aveva infranto quel meraviglioso sogno ad occhi aperti.
“No”.
Non aveva sentito bene. Non poteva essere altrimenti. No? Suo padre aveva detto di no? Impossibile. MA PERCHE’, poi? Che voleva dire no?
“Papà…”.
“No Trunks. Basta interferire col destino”.
Non poteva crederci. Furioso, aveva sottratto la mano dalla stretta esercitata da suo padre, stringendo i pugni con ira crescente.
“Perché vuoi lasciarci, eh? Non vuoi stare con noi? Tu ci odi! DILLO CHE CI ODI!”.
Era talmente arrabbiato da non essersi reso conto di quello che aveva appena urlato. Ma nel vedere suo padre con gli occhi colmi di quelle stesse lacrime amare che poco prima avevano rigato il suo viso, si era sentito morire dentro.
“Darei qualunque cosa per stare qui con voi, ma non sarebbe giusto. Non si può sempre barare, figlio mio” – un violento attacco di tosse aveva interrotto il discorso del principe. Preoccupato, Trunks lo aveva aiutato a sollevarsi un po’, sistemandogli meglio i cuscini sotto il capo, una volta calmatosi.
“E’ arrivato per me il momento di espiare, Trunks” – aveva detto, quasi più a se stesso che al bambino -“Ed è arrivato il momento per i saiyan di avere un nuovo principe e di avere una principessa”.
Il piccolo saiyan dai capelli lilla era rimasto di sasso. Suo padre gli aveva appena passato il testimone.
“Ricordalo sempre, figlio mio. Tu sei il principe dei saiyan. Il fiero, valoroso principe dei saiyan”.
Con uno sforzo disumano, raccogliendo le sue forze e tutto il suo coraggio, si era impettito, e aveva asciugato le lacrime con la manica della camicia, mostrandosi fiero e altezzoso a quel padre che lo amava più della sua stessa vita.
Vegeta gli stava sorridendo, stanco ma con il cuore in pace.  
“Bra e la mamma staranno bene, papà. Te lo prometto. Giuro sul mio onore che le difenderò a costo della vita”.
Il principe dei saiyan stava guardando suo figlio con orgoglio. Era davvero un bravo bambino. Il bambino migliore del mondo.
“Ti voglio bene, Trunks…”.
Era arrossito. Non si sarebbe mai abituato a sentir pronunciare quelle parole da suo padre. Ora meno che mai, visto che non avrebbe più avuto il tempo per farlo.
“Anche io papà” – aveva ricacciato indietro le lacrime, lo aveva fatto per l’ultima volta – “Anche io”.
*
Vegeta si era spento alle 15.10 di un tiepido pomeriggio di marzo, proprio quando le prime foglie avevano cominciato a fare capolino.
Tutti i guerrieri e i compagni di avventura erano venuti a rendere omaggio al principe dei guerrieri saiyan.
Bulma, Trunks, la piccola Bra e gli anziani coniugi Brief erano in testa al corteo funebre, in preda ad un dolore composto che aveva quasi dell’inverosimile.
Goku era distrutto. Più volte era stato sul punto di scoppiare in lacrime, per poi trattenersi all’ultimo minuto. Vegeta lo avrebbe polverizzato se avesse visto una scena tanto sdolcinata. Lui era fatto così: era un uomo forte, dai modi bruschi e dal pessimo carattere, ma allo stesso tempo buono e disposto ad aiutare chi ne aveva bisogno. Non poteva ricordarlo con le lacrime. No.
Nessuno di loro avrebbe dovuto ricordarlo piangendo.
Alla fine della funzione, tutti i guerrieri si erano riuniti attorno al feretro, e per onorare la memoria di uno dei guerrieri più potenti della galassia avevano fatto esplodere in cielo i loro colpi più potenti. La volta celeste era diventata un turbinio di esplosioni di luce che avevano incantato gli occhi dei passanti, curiosi di sapere perché a quell’ora del giorno qualcuno si divertisse a far esplodere fuochi d’artificio.
Trunks era quello che fra tutti aveva aumentato maggiormente la propria aura, esplodendo i suoi colpi più potenti.
“Guardami papà!” – aveva urlato al cielo – “Guardami! Sono il principe dei saiyan! E questo è per te!”.
Un Big Bang Attack dalla potenza straordinaria aveva appena superato l’esosfera.
*
Erano trascorsi quindici anni dalla morte di Vegeta. Goku e la sua famiglia si erano definitivamente stabiliti a casa di Bulma, e insieme, la Brief e la Son erano diventate la più strana e allo stesso tempo la più affiatata famiglia del mondo.
Trunks era diventato un uomo, ormai, e aveva mantenuto fede alla promessa fatta a suo padre: aveva protetto sua madre e sua sorella dai pericoli più impensabili e da quelli più banali, e aveva fatto anche di più, prendendo fra le mani le redini della società. Spesso, si domandava perché sua madre, ancora così bella, non si fosse risposata, ma la risposta era fin troppo ovvia. Nel suo cuore non ci sarebbe mai stato posto per un altro uomo. Il ricordo di suo padre era fervido, e anche se si sentiva tremendamente la sua mancanza, a volte era come se lui fosse ancora lì.
Bra era diventata una ragazza bellissima che aveva l’abitudine di lasciare dietro di sé una lunghissima scia di cuori infranti. Probabilmente, suo padre avrebbe sgozzato uno ad uno i suoi pretendenti, ma questo non l’avrebbe fermata ugualmente. Era intelligente e sicura di sé, e aveva davvero un pessimo carattere. Boriosa e altezzosa, a volte era così simile a Vegeta che sua madre scoppiava in lacrime nel sentirla sbottare per un nonnulla.
Quel giorno, faceva molto freddo, e Trunks si era accorto che sua sorella era entrata nella Gravity Room, la stanza che suo padre aveva usato per allenarsi in vista dello scontro contro il suo eterno rivale al torneo di arti marziali. Da quando si era ammalato, nessuno vi aveva più messo piede, neanche Goku. Un po’ per timore, un po’ per rispetto, quella stanza era rimasta sigillata per anni, e l’unica che aveva avuto il coraggio di entrarvi era stata la sua piccola, sfacciatissima sorellina, sorellina che se ne stava immobile al centro si essa, con gli occhi chiusi.
“C’ è ancora il suo odore, qua dentro” – aveva detto Trunks dalla soglia, sorridendo con tristezza. Bra non aveva risposto, sfidando suo fratello ad entrare. Sapeva che per lui era difficile compiere quel passo: aveva passato ore e ore della sua giovane vita ad allenarsi a gravità elevatissime con suo padre, quel padre che lei non aveva mai conosciuto.
Dopo qualche attimo di esitazione, suo fratello le si era avvicinato, posandole una mano sulla spalla.
“Era davvero come racconta la mamma?” – aveva chiesto lei, senza guardarlo.
Suo fratello si era aspettato una simile domanda, ma non sarebbe stato comunque impreparato.
“Credimi, era anche di più”.
Bra aveva sorriso, triste, ma allo stesso tempo estremamente determinata.
“Allenami” – erano state le parole uscite dalla sua bocca.
“Che cosa?”.
“Hai capito bene, Trunks. Allenami”.
Era rimasto di sasso a quella richiesta assurda. Cosa le era passato per la testa? Non poteva allenarla. Era fuori questione! Sì, era una saiyan, ma era pur sempre una ragazza!
“Ma…”.
“NON OSARE DIRMI DI NO!”.
Ed eccolo lì, quello sguardo fiero. Lo stesso sguardo che tante volte aveva visto apparire sul volto di suo padre.
“Sono la principessa dei saiyan, ricordi?”.
E, grazie a quelle parole, era stato in grado di prendere una decisione.
“Allora va a metterti qualcosa di più comodo, e lascia che il principe dei saiyan ti mostri come si diventa un guerriero”.
I due fratelli si stavano sorridendo l’un l’altro, felici di essersi in un certo senso ritrovati. Perché, per quanto fossero tremendamente diversi, erano allo stesso tempo due facce della stessa medaglia. E quella medaglia era l’uomo che aveva dato la vita per entrambi: quell’uomo era Vegeta.
Fine
________________________________________________________________________________
 
*Cleo fa capolino silenziosamente*.
Credo che prima di parlare di questa mia fic sia il caso di fare qualche premessa: non sono un medico, quello che ho scritto riguardo a questa terribile malattia è un po' frutto di ricerche su internet, un po' appreso da un film che ho visto ultimamente e che ha ispirato questa storia, e un po' è stato dedotto da tutto il dolore che essa causa ormai a milioni di persone.
“The end”. La fine. Quale altro titolo avrei potuto dare a questa storia?
Non so bene perché ho immaginato questo tragico epilogo per il principe dei saiyan. Forse, proprio perché tutti pensavano che sarebbe morto in battaglia, o forse, solo perché sono una maledetta masochista.
Non so bene cosa dire, a riguardo. So che è assurdo, ma è così.

E' una One Shot lunghissima, ne sono consapevole, e ringrazio tutti coloro che hanno avuto il coraggio di leggerla fino alla fine.
Spero solo che vi abbia commosso così come ha commosso me.
Baci grandi
Cleo

 
   
 
Leggi le 45 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: FairyCleo