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Autore: hipster    07/04/2012    3 recensioni
Prequel della mia fan fiction, Angels and Demons.
Blaine è un demone e incontra Elizabeth Hummel, la madre di Kurt, negli Inferi. Sopraffatto dalla curiosità, decide di conoscere il giovane Hummel.
[Demon!Blaine]
Genere: Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta
- Questa storia fa parte della serie 'Angels and Demons'
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Note: Molti di voi mi avevano chiesto un sequel di Angels and Demons, perciò sono qui con un fantastico- prequel.
 
Non mi uccidete. Ma davvero, per un sequel proprio non posso fare nulla. Mi perdonate? *occhi da cucciolo alla Darren Criss*
Era da un po’ che lavoravo su questo prequel e finalmente mi sono decisa a pubblicarlo! Perché ora? Perché oggi è il compleanno di una ragazza speciale e fantastica, the Blaine to my Kurt, la mia Kloala, da voi conosciuta come Rach Criss.
Tutto per te, vecchiazza <3
Buona lettura!
Courage!
 
 
 
BuioChePrecedeL’Alba giocava tranquillo, accendendo piccoli fuochi e spegnendoli, quando improvvisamente NotteSenzaStelle arrivò, seguita da MietitoreDiAnime.
«Ciao!» li salutò, entusiasta. I due restarono a guardarlo, leggermente imbarazzati, prima di decidersi a salutarlo, cosa che fece insospettire oltre ogni dire Buio. «Che succede?» chiese.
Notte sospirò, ma non rispose. Poi Buio notò una strana figura nascosta dietro Mietitore: «Siete andati sulla Terra senza avvertirmi un’altra volta!» protestò Buio, alzandosi in piedi.
«Non ti trovavamo…» disse Notte, tentando di giustificarsi, ma Buio con un moto di stizza la zittì. «Credevo avessimo deciso di salire di livello insieme, ma come sempre non rispettate l’accordo!» protestò ancora Buio; Notte e Mietitore dovettero scusarsi più volte, prima che Buio si decidesse a perdonarli.
«Almeno vediamo cosa avete preso» concesse. BuioChePrecedeL’Alba si avvicinò all’anima legata a Mietitore e la osservò attentamente: sembrava diversa dalle altre. Non urlava, non si disperava, non imprecava, non supplicava. Se ne stava lì, ferma e immobile, guardandoli tutti e tre dall’alto in basso come se li stesse giudicando.
Ma quando Buio la guardò negli occhi, vide una profonda tristezza in essi. Una sola, singola lacrima eterea le attraversò la guancia.
Mietitore sogghignò e la attirò di più a sé per le catene, pronto ad inglobarla, ma Buio lo fermò: «Aspetta! – esclamò – voglio parlarle!».  Mietitore sbuffò infastidito: «Tu e le tue manie» borbottò, ma non si oppose.
Buio si avvicinò a lei: «Come ti chiami?» chiese. Altre lacrime sfuggirono dagli occhi dell’anima, ma sempre compostamente: «Elizabeth – rispose, con la caratteristica voce tremula delle anime, ma incrinata dal pianto – Elizabeth Hummel».
Buio annuì e si avvicinò di più a lei, ma senza toccarla: «So che sembra spaventoso, ma non temere. Non sarà doloroso» disse dolcemente, tentando di rassicurarla.
«Non ho paura per me!» esclamò Elizabeth, indignata. «Ma per il mio bambino. Che ne sarà del mio bambino?!» urlò angosciata e cominciò a piangere più forte.
«Come si chiama?» chiese ancora Buio. Non sapeva il motivo, ma si sentiva irresistibilmente attratto da quest’anima: lei stava per passare dall’esistere al non-esistere e intanto pensava a suo figlio. Tanto amore lo sconvolse: che persona era suo figlio se lei gli era tanto legata? Doveva essere un bambino meraviglioso.
«Kurt» disse in un sussurrò l’anima, smettendo all’improvviso di piangere. La sua voce aveva accarezzato dolcemente quella parola: «Kurt Hummel» ripeté.
Poi Elizabeth tentò di divincolarsi dalle catene e avvicinarsi a lui: «Ti prego, sorveglialo! Non permettere che gli accada qualcosa!» urlò e Buio si allontanò da lei, colpito dalla sua veemenza. «Ti supplico, prenditi cura di lui!» continuava ad urlare Elizabeth.
«Ora basta!» intervenne Mietitore. «Sono stanco di aspettare.» esclamò, poi tirò le catene di Elizabeth, avvicinandola a sé. Lei continuò ad urlare il nome di Kurt e a supplicare Buio, poi semplicemente svanì inglobata da Mietitore.
Ancora illuminato dalla luce dell’anima sbottò: «Trovati un’anima tua per conversare, B!» e andò via, seguito da Notte che però gli lanciò uno sguardo di scuse.
Buio si risedette di nuovo come prima e accese un fuocherello. Poi lo spense.
Decise che avrebbe seguito il consiglio di MietitoreDiAnime.
Salì sulla Terra attraverso un portale – era ancora troppo giovane per Svanire dagli Inferi sulla Terra – e, seguendo la scia di Mietitore, ritrovò il corpo di Elizabeth.
I funerali erano appena terminati, la bara già chiusa e sottoterra. Accanto alla tomba c’era un uomo che stringeva forte la mano di un bambino. Entrambi piangevano: l’uomo silenziosamente, il ragazzino singhiozzando forte.
«Dov’è andata la mamma?» chiese improvvisamente il bambino tra le lacrime. «In cielo, Kurt» rispose l’uomo, asciugandosi le guance e tirando su con il naso. «E perché?» chiese ancora il bambino, voltandosi verso di lui, il viso illuminato dalla curiosità.
«Non c’è un perché – rispose l’uomo con voce strozzata – A volte succede e basta».
«Vuoi dire che lei è andata via? Perché non mi voleva bene?» chiese il bambino, che ormai era abbastanza chiaro essere il figlio di Elizabeth, Kurt. L’uomo si inginocchiò di fronte a lui per guardarlo negli occhi e gli mise le mani sulle spalle: «No, Kurt! Questo non devi pensarlo. La mamma ti amava, tantissimo. Ma purtroppo la morte esiste. Però ricordati: lei sarà sempre con te, nel tuo cuore, finché tu ce la terrai dentro. Finché ti ricorderai di lei, la mamma sarà sempre con te. Hai capito?» disse accorato e Kurt annuì.
Buio non poté sopportare oltre: riattraversò il portale e ridiscese a “casa”: era la prima volta che si sentiva così. In colpa. Ma non doveva sentirsi in colpa; lui era un demone, Mietitore era un demone: era il loro lavoro, il loro destino, quello di mantenere l’Ordine! Non erano loro a decidere. Era l’Ordine!
Ma vedere quel piccolo bambino – Kurt – che cercava di trovare una spiegazione, quando evidentemente non c’era… Lo aveva fatto sentire male. Colpevole. Responsabile.
Anche se lui non lo era. No. Non era colpa sua.
 

*****


Quella era la quinta notte che “visitava” Kurt. Apriva un portale che sbucava proprio nell’oscurità del suo armadio. Aprì leggermente le ante per poterlo vedere: era nel suo lettino, ma non dormiva. Il respiro era troppo veloce. Perciò, appena si accorse del movimento, Kurt balzò a sedere. Strinse forte il suo orsetto di peluche a sé: «Chi c’è? Sei tu, Mostro?» balbettò nell’oscurità e Buio ridacchiò.
Gli occhi di Kurt si spalancarono a quel suono e balzò giù dal letto gridando: «Papààà!». Corse in camera del padre e Buio lo seguì, ridendo e nascondendosi.
«Kurt, è solo un’ombra» stava dicendo Burt, accarezzandogli i capelli per rassicurarlo. Il bambino si avvicinò ancora di più a lui sotto le coperte: «Invece no! È un mostro che appare ogni notte nel mio armadio! Vuole mangiarmi!» esclamò risoluto.
Burt sospirò e gli concesse di dormire con lui. Buio poteva vedere il sorriso luminoso di Kurt anche da dietro la porta. Ridacchiando, si avviò verso il portale, ma una strana sensazione lo assalì.
Kurt era fuggito via da lui terrorizzato. Kurt l’aveva chiamato “Mostro”.
 

*****

 
Buio assorbì lentamente l’anima, vedendo la sua figura illuminarsi sempre di più e ispessirsi, diventando quasi luce solida. Amava assorbire le anime: lo faceva sentire così vivo. E poi, ogni anima era un’esperienza nuova, entusiasmante: ogni loro sensazione, ricordo, emozione diventava sua.
E fu proprio uno di quei ricordi dell’anima a risvegliarlo completamente: quell’uomo aveva incontrato Kurt poco prima di essere preso. Era sicuramente Kurt, quel Kurt Hummel. Quel frugoletto che sgambettava come impazzito giù dal letto per correre tra le braccia del papà.
Lo aveva riconosciuto dagli occhi: quegli occhi erano indimenticabili.
Fu in quel momento che decise di rivederlo. Non attraverso un ricordo, ma di persona. Doveva trovarlo. Svanì – finalmente aveva il potere per farlo! – e riapparve in casa sua. Ma non c’era. Seguì la sua scia e lo trovò in una scuola. Era da solo, in un’aula, seduto su uno sgabello di un pianoforte e cantava.
E la sua voce era il suono più bello che Buio avesse mai udito.
Ora che lo notava, Kurt era cresciuto molto: non era più un bambino, no; Kurt Hummel era diventato un giovane uomo, attraente e talentuoso.
La sua espressione mentre cantava emanava pace e serenità e Buio poteva giurare che niente su questa Terra era talmente bello da reggere il paragone con il volto di Kurt in pace con l’universo.
Il ragazzo sorrise mentre cantava, probabilmente perché era riuscito a prendere una nota particolarmente difficile.
Buio desiderò che Kurt sorridesse anche a lui in quel modo: non più terrore nei suoi occhi, ma dolcezza; non più mani che lo allontanavano, piedi che scalciavano, ma un abbraccio delicato; un sorriso, anziché una smorfia di terrore.
Voleva vedere quel sorriso dedicato a lui, e a lui soltanto.
 

*****

 
La macchina si fracassò con uno schianto contro la vetrina del negozio. Le persone sui marciapiedi cominciarono ad urlare. Un bambino poco lontano piangeva disperato e chiamava la sua mamma.
E l’anima del ragazzo nell’auto fuoriuscì dal suo corpo; Buio lo afferrò al volo: «Fermo lì!» disse giocoso, legandolo a sé. «Sono morto, vero?» chiese l’anima del ragazzo con voce triste, guardando il suo corpo sotto di sé. «Esatto, amico! Come ti chiami?» chiese Buio.
«Blaine» rispose. «Bel nome! Grazie, Blaine!» disse Buio, poi lo assorbì velocemente, sperando che nessuno si accorgesse di lui. Di solito i demoni, dopo aver raccolto un’anima, la portavano con loro negli Inferi per poi assorbirla: l’energia scatenata da un assorbimento li rendeva visibili per pochi attimi, poteva essere pericoloso farlo in pubblico.
Ma Buio non aveva molto tempo.
Dopo aver assorbito Blaine, si gettò nel suo corpo.
 
La prima sensazione che lo assalì fu il dolore: le ferite provocate dall’incidente bruciavano e poteva sentire il sangue fluire via dal suo corpo; una sensazione piuttosto sgradevole.
Quando riuscì ad aprire gli occhi, fu colpito dalla luce accecante del sole: non gli faceva male però come al solito, il corpo di Blaine lo proteggeva.
Poi sentì le mani dei paramedici sul suo petto che tentavano di rianimarlo. «È vivo!» esultò una donna e Buio sorrise debolmente. Lo caricarono lentamente e attentamente su una barella per portarlo in ospedale.
«Come ti chiami?» chiese un medico, mentre cominciava a medicarlo.
«Blaine – rispose – Blaine Anderson.»
 
E ora a noi due, Kurt Hummel.
Sarai mio. 

   
 
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