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Autore: e m m e    07/04/2012    15 recensioni
L’amicizia tra case diverse non è sempre facile da gestire. Soprattutto quando uno dei due compagni risponde al nome di Sherlock Holmes.
[Crossover Sherlock/Harry Potter]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Autore: emme
Fandom: Sherlock BBC/Harry Potter

Titolo: Il colore delle api.
Personaggi: John, Sherlock.
Riassunto: L’amicizia tra case diverse non è sempre facile da gestire. Soprattutto quando uno dei due compagni risponde al nome di Sherlock Holmes.
Rating: Pg
Word: 2460
Generi: Introspettivo, Romantico.
Avvisi: Pre-slash, Crossover.
Note: Questa storia partecipa a Let’s ship again, indetto da Il_Genio_Del_Male con il prompt del Sabato: “Ambizione”.
E... accidenti, erano mesi che volevo scrivere una crossover tra Sherlock e Harry Potter.
Questa fic si ispira ad una fanart di Y0do. Personalmente adoro il suo stile e come ha deciso di smistare i nostri due eroi! XD
Beta: Geilie, che ha betato alla velocità della luce e con la solita accuratezza che rende i suoi lavori betaggi di gran classe. *spam time* XD

Il colore delle api

Quando John era stato smistato tra i Tassorosso, tutti i suoi compagni, in pochi giorni, avevano concordato di avere davanti a loro un Tasso un po’ anomalo.
Dopo pochi mesi di scuola molti erano arrivati a sospettare che il Cappello Parlante avesse fatto un tragico errore, smistando un palese Grifondoro tra i miti e semplici Tassorosso.
Ma ormai il danno era fatto e con il senno di poi a John non sarebbe mai dispiaciuto.
In effetti se fosse finito tra i Grifondoro la sua successiva amicizia con Sherlock Holmes avrebbe avuto seri problemi ad essere accettata dai compagni di entrambi.
Intendiamoci, non che un Tassorosso e un Serpeverde che facevano comunella fossero visti di buon occhio, soprattutto quando il Tassorosso aveva due anni più del Serpeverde e sembrava farsi comandare a bacchetta da quest’ultimo. Ma a John non importava quello che gli altri pensavano e a Sherlock tutte quelle chiacchiere riguardo l’amicizia vera – che doveva essere coltivata solo tra compagni di casa con le solite, dovute eccezioni – non facevano né caldo né freddo.
Così, con il passare degli anni, gli studenti smisero di chiacchierare su quella strana coppia di amici, un Tasso che per coraggio e intraprendenza poteva essere scambiato per un Grifone e una Serpe che... be’, che era una vera Serpe.
Sherlock non era certo l’esempio di studente modello: si interessava solo di alcune materie – alle lezioni Astronomia non aveva mai messo piede, ritrovandosi ogni anno con una T nella pagella e compiti supplementari che pazientemente John compilava per lui durante le vacanze – ma il suo cervello aveva qualcosa di straordinario, forse più simile a quello di un Corvonero, senza tuttavia che il ragazzo rispecchiasse la loro diligenza e la loro attenzione nel rispettare le regole. A dirla tutta, le regole per Sherlock Holmes erano fatte per essere infrante e ignorate.
Il suo più vivo interesse stava nella verità, “la verità è una sola e io voglio essere il primo ad arrivare a lei”, era solito dire a John.
E John lo ammirava per questo, ammirava il suo modo di approcciarsi ai problemi e ammirava il suo buon cuore, nascosto sotto strati profondi di ironia e scetticismo.
Non era facile far comprendere ai propri compagni – quelli che più degli altri studenti in tutta la scuola subivano umiliazioni cocenti proprio da parte dei Serpeverde – quanto Sherlock fosse speciale e quanto John fosse necessario per l’amico... e viceversa, naturalmente.
Quando ci pensava non riusciva a ricordare precisamente come avesse iniziato ad avere rapporti con Sherlock, dato che non frequentavano le stesse lezioni e le loro compagnie di amici erano estremamente diverse, ma forse tutto risaliva al mistero che – se John avesse mai voluto scrivervi un racconto – avrebbe intitolato “A Broomstick in Scarlet”.
Era il periodo in cui tutte le scope della scuola era state dipinte di rosso per qualche motivo.
La McGonagall era andata su tutte le furie, John lo ricordava bene, perché il professor Snape aveva insinuato che la colpa fosse da attribuire ai Grifondoro, vista la tinta che era stata usata.
John si era interessato della cosa perché era quello l’anno in cui avrebbe voluto provare ad entrare nella squadra di Quidditch della propria casa ed era stato allora che aveva conosciuto Sherlock.
Era un bambino di undici anni – allora era ancora più basso di lui, bei tempi! – ed era comparso a tarda sera nel dormitorio dei Tassorosso, quando per puro caso nella sala comune era rimasto soltanto lui, troppo preso dalla lettura di un libro per rendersi conto dell’orario.
John era rimasto allibito, perché quel piccoletto conosceva tutte le parole d’ordine di ogni casa e sembrava che per lui fosse stato un giochetto da nulla procurarsele.
Era un piccolo Serpeverde – quindi per antonomasia avrebbe dovuto essere vendicativo – ma John non si fece intimidire e lo prese per un braccio sbattendolo fuori dalla sala comune, sordo alle sue proteste e alle pretese di fare delle domande per riuscire a venire a capo del caso delle scope dipinte di rosso.
Quel primo, straordinario incontro lo aveva portato a interessarsi al ragazzino in modo quasi morboso: era un piccoletto, ma sembrava saperci fare.
Ancora John non poteva sapere quanto Sherlock sapesse farci, in effetti, ma era rimasto affascinato dai suoi occhi azzurri così calmi e posati e al tempo così attenti e indagatori.
Erano diventati amici, più o meno, nei giorni seguenti, e John aveva scoperto che cosa volesse dire avere a che fare con un vero e proprio genio.
Dopo cinque anni interi, passati sempre praticamente appiccicati, John ricordava quel primo periodo trascorso col piccolo Sherlock come qualcosa di prezioso da custodire nella memoria, perché entro pochi mesi la scuola sarebbe finita e lui si sarebbe trovato a dover trascorrere i successivi due anni senza vederlo.
Sarebbe stata dura, molto dura, non avere a che fare con un amico pedante, noioso, borioso e esigente quasi ventiquattro ore al giorno, ma in qualche modo avrebbero superato quel periodo di separazione.

« John! » lo chiamò una compagna di casa, distogliendolo dai suoi pensieri e ricordandogli che se avesse voluto finire il compito di Trasfigurazione avrebbe dovuto smettere di pensare a Sherlock e darsi da fare.
John sollevò gli occhi dalla propria pergamena ancora intonsa e osservò la ragazza dai prepotenti capelli rosa. « Che succede, Tonks? » domandò incuriosito.
« Hanno di nuovo buttato Sherlock nel lago! »
John scattò in piedi. « Che cosa? »
« I Grifondoro... » continuò l’altra. « Questa volta- »
Ma John non sentì mai che cosa aveva fatto quella volta il gruppetto di Grifondoro che si divertiva a prendersela con Sherlock e si precipitò verso il lago abbandonando i propri libri in sala comune, lontano anni luce dal pensiero del compito di Trasfigurazione.
Pochi minuti dopo trovò Sherlock seduto in riva al lago che sputacchiava acqua e si scostava dal volto i capelli resi ancora più scuri dall’umidità.
Tirò il fiato quando vide che stava bene e che le persone attorno a lui si stavano allontanando, dopo essersi accertate che non avesse bisogno di ulteriore aiuto.
« Stai bene? » domandò John portandosi una mano al petto per rallentare i battiti e calmare la respirazione.
« Sì. »
« Che cosa hai detto questa volta? »
Sherlock lo guardò aggrottando minacciosamente le sopracciglia, mentre si alzava in piedi e cercava di darsi una ripulita senza tuttavia accennare ad estrarre la bacchetta.
John ci pensò per lui, dato che Sherlock se la cavava molto meglio con gli incantesimi di attacco e difesa che con quelli domestici, dunque lo asciugò e ripulì i vestiti dalla terra e dalle foglie.
Poi con un sorriso allungò una mano e gli tolse un alga dai capelli umidi.
Sherlock tossicchiò e distolse lo sguardo. « Perché pensi che sia sempre colpa mia? »
« Perché la tua lingua non riesce a stare ferma e il tuo cervello ti impedisce di capire quando è il caso di finirla. »
Sherlock si infilò le mani in tasca e si incamminò sull’erba seguito a ruota dall’amico, non più preoccupato, ma un po’ intenerito dall’aspetto dimesso che Sherlock sempre assumeva quando veniva battuto fisicamente, anche se da un gruppo di quattro o cinque persone.
« Stavano provando a eseguire un Incanto Patronus, e io ho fatto notare loro come il movimento del polso fosse sbagliato » spiegò il ragazzo col tono saputo che irritava i più, ma che John ormai conosceva come qualcosa di particolare e che per sempre avrebbe ricondotto a Sherlock.
« Come se tu sapessi quale è l’esatto movimento del polso per eseguire un Incanto Patronus... non siamo in grado di capirlo: solo se entrerai al Corso per Auror potrai sperare di impararlo. »
« Non ho alcuna intenzione di diventare un Auror. Ne basta già uno in famiglia. »
« Ma se mi hai detto che Mycroft è uno Spezzaincantesimi?! »
Sherlock gli lanciò un’occhiata obliqua, evidentemente divertito dalla sua confusione. « In realtà Mycroft è un po’ di tutto... Ti ho detto che lavora per il ministero, ma allora non ci conoscevamo così bene... potremmo addirittura dire che Mycroft è il Ministero. »
« Ma via, Sherlock! »
« Liberissimo di non crederci... comunque lui mi ha insegnato ad eseguire un Patronus. »
John si bloccò in mezzo al giardino, mentre le ombre della sera si allungavano attorno a loro e gli altri studenti si ritiravano nel castello in piccoli gruppetti o in una passeggiata solitaria in compagnia di un libro.
« Sai fare un Patronus » ripeté con voce attonita.
« Sì » rispose Sherlock semplicemente. « Ma ancora non riesco a dargli una forma corporea ben definita... Mycroft dice che è perché non ho trovato il mio ricordo felice » aggiunse con una smorfia di disappunto.
John si sedette allora sull’erba, ignorando l’ora di cena e invitando Sherlock a fare lo stesso.
« Perché dici così? Abbiamo centinaia di ricordi felici. »
Sherlock dopo un attimo di tentennamento si sedette a sua volta accanto a quell’amico che entro pochi mesi lo avrebbe lasciato solo in quella scuola piena di persone strane, strane e ordinarie.
Persone che non erano come John, che non lo ascoltavano parlare per ore ed ore dei riti di accoppiamento delle api o di quanto la Trasfigurazione fosse una materia sopravvalutata. Persone che non sarebbero uscite di nascosto durante la notte per andare a scoprire chi fosse il misterioso ladro di scorte di Essenza di Belladonna. Persone che non sorridevano come John e che quando lui diceva qualche cosa ritenuta offensiva dagli altri si scusavano al posto suo, come se fosse la cosa più facile del mondo.
Persone che non toglievano le alghe dai capelli e che non prendevano le tue difese anche quando palesemente avevi compiuto qualcosa di sbagliato o illegale.
Non lo aveva mai detto a nessuno – men che meno a se stesso – ma pensare che John se ne sarebbe andato lo metteva in uno stato d’animo di agitazione e tristezza che di certo non lo aiutava a superare gli ostacoli di quel difficile incantesimo.
« Prova adesso! » lo invitò John posandogli una mano sul braccio. « Magari se c’è qualcuno che ti osserva darai il massimo. Sei abbastanza ambizioso da poterci riuscire! »
Fu la fiducia incondizionata che Sherlock vide negli occhi dell’amico a dargli la spinta che gli mancava per mettersi di nuovo alla prova, o meglio, in mostra.
Come si aspettava, il primo tentativo fu nullo: si limitò ad uscire dalla punta della bacchetta quella nebbiolina che ormai conosceva bene.
Allora Sherlock chiuse gli occhi e si mise a fare quello che sapeva fare meglio: riflettere.
Scegliere un ricordo felice non era facile.
Aveva provato a classificarli, ma era ancora più complesso riuscire a quantificare la propria felicità senza rischiare di falsare i risultati del calcolo finale.
C’erano tanti momenti, vissuti spesso con John, che quando li ricordava lo mettevano di buon umore, e altrettanti momenti, vissuti da solo con se stesso, che lo lasciavano soddisfatto della propria mente e dei propri ragionamenti ma dai quali la felicità era pressoché assente.
Per Sherlock non era facile riuscire a mostrare i propri sentimenti a qualcun altro e quando si trattava di lui stesso aveva ancora maggiori difficoltà; per questo riuscire a trovare un ricordo che lo rendesse semplicemente lieto di quello che aveva, al di là dei ragionamenti, del calcolo e della razionalità, era qualcosa di complesso e al limite dell’incomprensibile.
Doveva essere passato qualche minuto quando John all’improvviso gli prese la mano sinistra – quella che non impugnava la bacchetta – e gliela strinse con gentilezza, come a dargli coraggio.
Fu allora che Sherlock si rese conto di una verità palese, dalla quale non poteva più nascondersi: non erano i momenti passati con John che lo rendevano felice – in effetti quei momenti erano banali e privi di interesse estrinseco – ciò che veramente contava, ciò che dava ad ogni cosa un sapore diverso, era solo John.
John era il pensiero felice sul quale avrebbe potuto costruire l’impianto per la buona riuscita di quell’incantesimo.
O sul quale avrebbe potuto costruire mille altre cose, a dirla tutta.
Sta di fatto che Sherlock rispose un poco alla stretta dell’amico e con gli occhi ancora serrati pronunciò di nuovo l’incantesimo.
Quando sentì John trattenere il fiato capì che era andato finalmente a buon fine e aprì gli occhi.
Davanti a loro, una piccola, quasi insignificante, ape svolazzava portando dietro si sé la sua scia d’argento.
Sherlock fu quasi deluso: si era aspettato un animale diverso, benché considerasse le api estremamente affascinanti.
John guardava l’animaletto danzante con occhi rapiti.
« È perfetto, Sherlock... » sussurrò, senza rendersi conto di essersi spostato in avanti, molto molto vicino al volto dell’amico.
Ed era davvero perfetto. Non c’era altro animale che potesse mostrare la vera essenza di Sherlock: puntiglioso, pungente, a volte terrificante, noioso e borioso, ma estremamente laborioso, attento e meticoloso. Le api lavorano tutte insieme per il bene comune e John sapeva che di Sherlock si sarebbe potuto fidare per sempre perché mai avrebbe fatto qualcosa contro un amico.
La piccola ape scomparve all’improvviso quando la concentrazione di Sherlock calò di botto. John riportò il suo sguardo sul Serpeverde e si accorse di averlo a pochi centimetri di distanza dal volto.
Fece per tirarsi indietro, imbarazzato oltre ogni dire, quando l’altro gli prese di nuovo la mano e la strinse con forza.
« Vorrei che tu non ti diplomassi, John. »
Era la prima volta che gli diceva qualcosa di simile ad una dichiarazione di amicizia e John non tentò nemmeno di nascondere il suo compiacimento – né il suo rossore – perché sapeva bene che Sherlock se ne sarebbe comunque accorto.
« Sono solo due anni, Sherlock... » tentò, impacciato, con la profonda consapevolezza della pressione di quelle dita magre sul proprio polso.
Sherlock socchiuse le palpebre, come studiandolo nelle penombra ormai vicina alla notte.
Alla fine lo lasciò andare e si strinse nelle spalle, tornando a riprendere quel suo contegno sdegnoso e altero.
« Hai ragione. Andiamo a cena, adesso. »
Poi si alzò e in due secondi si era già incamminato verso la scuola, lasciando l’altro a boccheggiare sull’erba.
John lo guardò, le spalle un po’ incurvate, la camminata sicura, la testa alta, il colore verde e argento della cravatta che si mescolava così bene con il suo giallo e nero.
Giallo e nero, il colore delle api.
Due anni erano troppi, davvero, davvero troppi.

Note finali:
Io sono la donna delle pari opportunità, quindi per me Sherlock può essere sia Serpeverde, sia Corvonero e John sia Tassorosso, sia Grifondoro.
Solo che ho un feticismo per le coppie formate da un Tasso e una Serpe, quindi per il primo Crossover ho scelto questa disposizione.
Per il prossimo... chi può dirlo! XD
Ah, il cameo di Tonks lo dovevo inserire, ne andava della mia reputazione! XD

  
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