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Autore: Rota    10/04/2012    2 recensioni
La giovane Kaname si mise in posa, sulla panca di legno, dandole le spalle e così permettendole di toccare i suoi capelli – che, sciolti e morbidi, le scendevano fino alle scapole. Akemi si avvicinò a lei e posta una mano sul capo cominciò a far scorrere i denti dello strumento tra i ciuffi chiari.
La familiarità si vedeva attraverso i piccoli gesti, la vicinanza di una persona che rendeva fluidi i movimenti e naturali le intenzioni. Madoka non era una persona formale ma come tutti cercava sicurezza nell'abitudine - e a poco a poco persino Akemi stava diventando una figura a lei conosciuta.
La ragazza chiuse gli occhi, ad un certo punto, sorridendo al vuoto.
-Hai un tocco delicato...-

[HomuraMadoka - semplice semplice (L)]
Genere: Fluff, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Homura Akemi | Coppie: Homura/Madoka
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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*Autore: Rota
*Titolo: Fiocco rosso – Sensazione Magnifica
*Fandom: Puella Magi Madoka Magica
*Personaggi: Homura Akemi, Kaname Madoka
*Genere: Sentimentale, Fluff, Triste
*Avvertimenti: Missing Moment, One shot, Spoiler!, Shojo ai
*Rating: Giallo
*Note autore: Siccome io sono una puzzona, allora faccio continuamente solo HomuraMadoka in questo fandom XD A parte gli scherzi, mi piaceva l'idea di fare qualcosa di semplice e tranquillo, giusto per ricordare al mondo che amo tantissimo queste due e quanto mi piaccia il personaggio di Homura (L)(L)(L)
Ipotizzate che sia ambientato in diversi "tempi" vissuti da Homura, dall'inizio – ovvero da quando ancora non era una Puella Magi ma seguiva Madoka nelle sue missioni come spettatrice – alla fine, ovvero a quando fece in modo d'essere l'unica Puella Magi.
Mi sembra incredibile ma sono riuscita a sforare le 2500 parole anche in questo fandom XD ne sono davvero felice, vuol dire che mi ha preso davvero *o*
Anche se è una cosina semplice semplice, spero vi piaccia :D






-Posso aiutarti, se vuoi...-
Madoka restò un attimo interdetta, colta davvero alla sprovvista da una tale proposta: non era molto frequente sentire Homura Akemi parlare di propria iniziativa, figurarsi vedersela così vicino.
Dopo qualche istante di imbarazzante silenzio, Madoka cercò di rimediare con un sorriso un po' forzato e quindi le porse la spazzola che teneva tra le mani. Homura le sorrise timidamente, perché anche se non c'era nessuno nello spogliatoio della scuola dopo tutte quelle ore di studio e fatica, le risultava sempre difficile aprirsi alle persone, quasi ne avesse timore.
Persino con Madoka le succedeva, nonostante lei non fosse davvero come tutte le altre, nonostante fosse splendida e al di sopra di ogni umano paragone.
La giovane Kaname si mise in posa, sulla panca di legno, dandole le spalle e così permettendole di toccare i suoi capelli – che, sciolti e morbidi, le scendevano fino alle scapole. Akemi si avvicinò a lei e posta una mano sul capo cominciò a far scorrere i denti dello strumento tra i ciuffi chiari.
La familiarità si vedeva attraverso i piccoli gesti, la vicinanza di una persona che rendeva fluidi i movimenti e naturali le intenzioni. Madoka non era una persona formale ma come tutti cercava sicurezza nell'abitudine - e a poco a poco persino Akemi stava diventando una figura a lei conosciuta.
La ragazza chiuse gli occhi, ad un certo punto, sorridendo al vuoto.
-Hai un tocco delicato...-
Lo disse senza troppo pensarci, perché i complimenti sinceri sono quelli che non hanno alcuna giustificazione né ragione dietro ma nascendo dal cuore salgono velocemente e senza ostacoli alle labbra. Homura si fermò un solo istante prima di continuare il suo operato e rispondere, un poco balbettante e un poco a bassa voce, alla compagna di scuola. Era rossa in volto e Madoka poteva benissimo capirlo anche senza vederlo perché ancora la genuinità colorava di puro ogni suo tono.
-Grazie...-
Non dissero altro almeno finché a Madoka non venne chiesto il laccio per i capelli. La ragazza si sporse appena in avanti e estrasse dalla propria sacca da ginnastica un sottile fiocco rosso, lungo lungo. Homura glielo aveva già visto addosso – perché di piccoli particolari si sfama la curiosità latente che unisce le persone, con cose apparentemente inutili si basano le relazioni più durature. Quando Madoka glielo porse, oltre la spalla, lei lo afferrò con le dita e le raccolse i capelli in una coda di cavallo alta, senza lasciare sul capo la minima piega. Kaname si alzò e si girò verso di lei.
-Ti ringrazio! Sei stata molto gentile!-
Homura sorrise con timidezza e abbassò gli occhi, rispondendo con un filo di voce e restituendo la spazzola alla legittima proprietaria.
Poi però Madoka le prese la mano, senza il minimo preavviso, e già trascinandola verso l'uscita dello spogliatoio le rivolse un'altra espressione gioiosa.
-Forza! Torniamo a casa assieme!-
Homura si lasciò trascinare, senza neanche chiedersi come potesse essere tanto bello un sorriso – se ne beò e basta.


-Preso!-
Homura atterrò sull'asfalto dopo un piccolo salto, tenendo ben saldo tra le dita il laccio rosso che aveva recuperato.
Madoka era davanti a lei di qualche passo, metà dei capelli raccolti e l'altra metà sciolti, con in viso un'espressione stupita e la mano non ancora protesa verso il vuoto, ad afferrare l'aria che le aveva sciolto il già debole laccio.
La giovane Akemi si ricompose, cercando di assumere una posa più dignitosa. Si avvicinò all'altra ragazza con un debole sorriso, porgendole quanto le era scappato. Madoka l'attese con pazienza, sorridendole apertamente quando le arrivò accanto e prendendole le braccia tra le mani, contenta come non mai. Quel giorno era sola – Sayaka non l'aveva accompagnata, presa da dolori estranei ma non del tutto maturi per sbocciare in una follia omicida.
-Per fortuna c'eri tu! Grazie!-
L'abbracciò un poco, davvero riconoscente, e la pelle di Homura si accese esattamente della stessa tonalità d'arancione con cui il tramonto colorava il cielo e le nuvole tutte.
L'altra ragazza sfiorò la sua mano quando recuperò l'oggetto con le sue dita sicure e sempre calde. Appoggiò la cartella per terra, in mezzo alle gambe, prima di cominciare a raccogliersi i capelli per legarli, tenendo lo sguardo basso e il sospiro racchiuso nella gola.
Era affranta e ogni cosa in lei pareva voler esprimere questo concetto.
Qualcosa che andava oltre la stanchezza si era insidiato nelle sue membra e le aveva scosse, con violenza, facendole tremare come se fosse un intero terremoto a sconvolgere la Terra e tutto il resto. Homura era diventata brava a sondare a fondo nell'animo delle persone, specialmente in quello di Madoka, perché aveva imparato che troppa gentilezza alle volte poteva portare alla menzogna e l'altruismo nascondeva parti di verità che avrebbero donato la giusta dose di realtà all'insieme generale delle cose.
Cose stupide, per sognatrici come Madoka Kaname. Cose per cui valesse la pena illudere la gente e farla sperare, farla amare, farla vivere felice. Madoka era una gran bugiarda, ma di quelle che non chiedevano perdono né in verità ne avevano alcun bisogno: non c'era peccato che potesse oscurare la sua aurea.
Il motivo della sua bellezza era tutto lì.
Ad un certo punto, un po' divertita dal suo arrovellarsi circa qualche ciuffo che non voleva stare al proprio posto, Homura la fermò appoggiandole con semplicità la mano sul braccio; quando l'altra la guardò, domandandole con gli occhi cosa volesse, lei le prese il laccio dalle dita e completò l'opera, stringendo bene il fiocco rosso sopra la testa di Madoka.
Assolutamente perfetto.
Alla fine, persino Akemi aveva trovato dentro di sé la forza per sorridere, facendo la promessa a sé stessa che quel sorriso – il sorriso di lei – non avesse mai da trovare motivo per spegnersi.
Madoka le prese di nuovo la mano, trascinandola avanti.
-Casa tua è da questa parte, giusto? Allora per un pezzo ci faremo compagnia!-
Più del colore del sole, più del colore della luna e degli astri, Homura pensava che fossero meravigliosi gli occhi di Madoka che la guardavano felici.


-Dovremmo dormire, ora...-
Madoka non reagì subito alle sue parole ma alzò con una certa lentezza il viso dalle braccia dietro cui l'aveva nascosto e le sorrise, senza più tanta forza. Era notte inoltrata e la sola lampada del comodino emetteva una flebile luce, a malapena capace di delineare i confini degli oggetti che occupavano la stanza.
Homura era seduta sul materasso, davanti a lei – era rimasta a fissarla per molti minuti, chiedendosi spesso se stesse guardando davvero la ragazza oppure se il suo sguardo si era perso nel vuoto assecondando il disordine che aveva in mente.
Se il dolore era sempre lo stesso, se la morte rimaneva uguale a sé stessa in ogni singola occasione, allora perché non ci si poteva fare l'abitudine? Guardare Madoka raggomitolata su sé stessa non era un'immagine che riusciva a sopportare, non ancora.
La ragazza mosse piano i piedi, distendendo le gambe coperte da un pigiama morbido. Non aveva invitato lei Homura a casa propria ma non si era opposta quando l'aveva seguita fin dentro camera. Non lo sapeva con certezza, ma in quel momento ciò che le gonfiava il petto era riconoscenza.
-Non ho molto sonno...-
Homura scosse la testa, cercando di essere paziente.
Abbassò gli occhi e scacciò con un gesto secco le immagini violente che le si affollarono tutte nella mente, una dopo l'altra. La morte di Sayaka, la morte di Kyoko, dolore e perdita, Madoka che ancora una volta urlava e piangeva.
Non si ricordava il numero preciso delle volte che si era ripromessa di permettere più tutto quello, perché ogni unità pesava come un macigno sulla sua coscienza. Sapeva che erano troppe, però, lo sapeva perfettamente.
Fu Madoka a muoversi, dopo qualche altro minuto di silenzio. Non disse nulla e fece il meno rumore possibile, ma si mise a quattro zampe e arrivò da lei con quel sorriso spento che aveva fatto quando l'aveva chiamata. La guardò negli occhi e Homura fu davvero sicura che fosse sul punto di chiederle qualcosa – di molto importante, di estremamente vitale – però poi desistette e con il capo chino si fece strada tra le sue braccia e le sue gambe, accomodandosi forzatamente nel suo abbraccio.
La giovane Akemi impiegò qualche istante a capire cosa fosse successo, a realizzare quegli avvenimenti tanti nuovi e tanto sorprendenti. Per quanto avesse potuto desiderarlo nel tempo, sentire il peso della ragazza contro di sé era una sensazione che mai aveva provato e che non seppe decifrare subito. Piano, con lentezza, chiuse il busto di lei in un abbraccio, quasi si trattasse di un cristallo o una pietra preziosa a cui riservare tutte le proprie attenzioni.
E solo quando le mani si chiusero contro la schiena della ragazza. Madoka cominciò a singhiozzare contro di lei, non trattenendo più le lacrime e quindi inumidendole i vestiti.
Homura chiuse gli occhi, senza avere sulle labbra alcuna parola di conforto, senza avere negli occhi alcun sentimento abbastanza gentile da poterla consolare.
Alzò solo la mano al suo capo, in un gesto delicato che le sciolse i capelli stretti nel fiocco rosso. La accarezzò tutta la notte, finendo poi addormentata tra le sue braccia mentre ancora le stringeva le dita nelle proprie.


Acqua e macerie ovunque – un freddo silenzioso che le strisciava lungo la pelle del corpo e si insinuava in profondità, radicandosi nella sua intera persona.
Appoggiata su un pezzo di muro sfatto, Homura era inginocchiata e immobile, stretta in sé stessa come se volesse trattenere qualcosa. In realtà, aveva nello sguardo un tale vuoto da fare quasi paura.
Era incurante del vento che le passava tra i capelli, era incurante delle gocce gelate che scendevano dal tralicio sopra la sua testa formando una scia cristallina e infinita, era incurante persino del silenzio di morte che si era esteso a ogni cosa, rendendo quel cimitero ancora più lugubre e terrificante.
Respirava piano, assorta, senza pensare a nulla.
Non fu neanche sorpresa quando quel piccolo demone bianco – Kyubey – atterrò con un piccolo balzo sopra un masso che le si trovava di fianco, discreto. Le disse qualcosa di inutile sulla capacità distruttiva dell'ultima Puella Magi che aveva creato, le disse anche che era sorpreso e che non se lo sarebbe mai aspettato perché Madoka, a tutti gli effetti, non aveva ragione d'essere tanto potente se non per un qualche motivo misterioso.
Lei evitò di ricordargli l'odio che provava nei suoi confronti e che l'aveva spinta a volerlo morto in tutti i modi possibili: sarebbe stato inutile spreco di parole e lei si scoprì stanca all'improvviso.
Invece si guardò la mano chiusa a pugno e aprì, lentamente, le dita fino a vedere tutto il palmo chiaro pieno dei calli di troppe battaglie.
Quella volta non c'era alcun fiocco rosso da stringere, niente chioma chiara da legare, nessun ciuffo scomposto da domare.
La giovane Kaname era morta in un'esplosione portando seco tutto quanto senza lasciarle proprio niente, neppure la sensazione ritrovata di una carezza gentile sul volto. Aveva pensato che sacrificando quell'effimero piacere – sentire il suo calore sulla pelle e il suo sapore sulle labbra – avrebbe salvato la sua vita, permettendole di andare avanti anche senza di lei.
Non c'era amore più vero e intenso di quello che sacrificava sé stesso, ma era evidente che non bastava ancora.
Kyubey fece un sospiro, guardandola con la stessa espressione di sempre: sentì il suo sguardo viscido addosso e allora decise.
Si alzò di scatto, ben ritta sui propri piedi. Prima che il demone bianco, colto dall'improvvisa consapevolezza di essere stato in un qualche modo raggirato, comprendesse appieno la portata dei suoi poteri, lei stava già camminando indietro, sicura e decisa nel percorrere quella poca strada che la divideva dall'inizio.
Si sarebbe risvegliata di nuovo nel letto dell'ospedale, con lunghe trecce nere. Si sarebbe di nuovo presentata come Homura Akemi – ribadendo che fosse un nome assolutamente nella norma, come tutti gli altri. Avrebbe combattuto le streghe per Mami, per Sayaka e specie e soprattutto per Madoka. Non avrebbe ancora accettato la resa.
Stringendo nella propria mano non altro che il vuoto, tra le dita non altro che la propria determinazione, questa volta avrebbe sancito lei la piccola differenza capace di portare al più felice dei finali.


Stava nascendo un nuovo giorno, al di sopra della sua testa. Akemi alzò lo sguardo al cielo e poté notare il blu scuro della notte che scemava, via via che scendeva col mento fino all'orizzonte lontano. Rosa che diventava giallo di luce, bianco latte di una nuova vita.
Sospirò portandosi avanti e saltando dall'altra parte della strada con un solo gesto. Atterrò con grazia sopra la trave di un muro di legno e roteò appena, guardandosi attorno. Nonostante il rumore della città, nonostante le anime che si affannavano sulla strada, nonostante il vento sporco di grigio, pareva esserci una pace di fondo che riscattava ogni umana bruttezza.
Nessuna strega in giro, solo un male senza nome che come ombra accompagnava ogni bene – in maniera naturale e congenita, niente per cui valesse la pena allarmarsi.
Homura camminò appena lungo il muro, forzando l'equilibrio mantenuto a stento dal proprio piede. Con leggerezza, svuotò il cervello di tutti i pensieri e di tutte le sensazioni fino al momento in cui l'idea di un meritato riposo non prese completamente la sua persona e le fece provare quella strana sensazione di gratitudine che le mancava di sentire da troppo tempo a quella parte. Allargò le braccia nel vuoto e continuò quel piccolo gioco, senza troppo preoccuparsi d'altro ma sentendosi tranquilla.
Aveva riscoperto solo di recente cosa significasse sorridere. Passato troppo tempo a rimproverare, dentro di sé e con parole cattive, l'ingenua bontà altrui, si era dunque trovata a condividere la medesima morale e la medesima serenità che tutto tinge di giusto, persino l'essere sciocca in un sorriso dal nullo significato. Madoka era così, piena di vita, ed era ironico che proprio nel momento in cui lei mancava fisicamente Homura la sentisse così vicina, così sua.
La ragazza alzò la mano al proprio capo, ravvivandosi i capelli. Nel compiere il gesto, però, altri pensieri le tornarono alla mente e altre immagini le affollarono la vista. Sorrise di nuovo, toccandosi il fiocco rosso che aveva tra i capelli e che le stringeva appena la testa. Non lo sfilò ma ne toccò i bordi liberi dal laccio, sentendo la morbidezza del tessuto sotto le dita.
In quel momento come allora, in un passato vissuto tante volte, quell'oggetto non apparteneva a lei ma riusciva a completarne l'esistenza, collegandola ad un'entità sempre presente e sempre al suo fianco – chiamata da altre bocche “amore”, capace di avere mille facce diverse, mille occhi e mille sorrisi ma un'unica anima immortale.
Lo considerava una sorta di amuleto sacro, perché nessuno a parte Madoka le era parso tanto degno d'amore e di venerazione.
Lo considerava una sorta di talismano protettore, perché niente meglio di Madoka l'aveva protetta dall'oblio della sconfitta e della perdizione.
Guardò ancora il cielo, sorridendo alle nuvole rosate. Alzò quindi la mano – e le sentì, lo poté davvero giurare, dita sottili che si intrecciarono alle sue, con delicatezza e gentilezza; e lo vide, un sorriso bellissimo che non poteva essere eguagliato da alcuno.
Andò avanti, portando con sé come se la stesse trascinando a forza quella sensazione magnifica.
   
 
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