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Autore: Dony_chan    10/04/2012    6 recensioni
Una one-shot saltata in testa d’improvviso che si trasforma in una fan fiction a più capitoli. Mi sorprendo, alle volte! Questa storia si concentra sui protagonisti di Detective Conan, in un mondo dove l’Organizzazione non è mai esistita, dove l’APTX non ha fatto nessun danno, dove le vite dei personaggi scorrono tranquille e indisturbate, e dove... bè, sta a voi scoprirlo!
Enjoy!
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Hi, nice to meet you!
9.

 
 
Una lieve brezza scompigliò i capelli umidi di Kazuha, facendole venire la pelle d’oca lungo il collo e la schiena. In un’altra situazione, la ragazza si sarebbe lasciata sfuggire un sorriso e avrebbe preso a scaldarsi la parte infreddolita, ma non in quel momento.
Tutti i suoi sensi era puntati sul ragazzo che le stava di fronte, pronti a captare qualsiasi reazione, anche il minimo battito di ciglia. Ma sembrava che Heiji non fosse in grado nemmeno di sbattere le palpebre.
Non respirava. Non deglutiva. Non si muoveva.
Stava semplicemente fermo lì, a fissarla. E questo, fece infuriare irrimediabilmente Kazuha.
Perché la stava studiando? Era lei, quella, che aveva bisogno di spiegazioni. Ed era sempre lei, quella che doveva registrare ogni singolo movimento da parte dell’altro.
Non toccava a lui, no.
Non sapeva perché, ma l’imbarazzo di poco prima era scemato ben presto, sostituito dalla rabbia.
Rabbia... Kazuha non conosceva veramente il significato di questo sentimento. O almeno, non fino ad allora. Lei si era sempre considerata una persona mite e pacata, sempre pronta ad aiutare il prossimo, vittima rarissime volte dell’ira. Ma, mai come in quel momento, aveva sentito il sangue ribollirle nelle vene.
“Come, prego?” si decise a mormorare Heiji, facendo un passo in avanti. La sua voce era uscita con un tremolio, e questo fece capire a Kazuha che il ragazzo dovesse aver capito bene la domanda che lei gli aveva rivolto.
 
“Ti piaccio?”
 
Accidenti, ma dove lo aveva preso il coraggio? Cosa l’aveva spinta a parlare prima di sentire il suo discorso? E perché ora lui tentennava ancora di più?
“Hai capito bene” gli rispose la giovane, stringendo i pugni, fino a che le nocche divennero bianche. “Mi pare che sia una domanda molto semplice”.
Ed ecco, di nuovo, la rabbia prendere il sopravvento sulle sue buone maniere.
Heiji aprì e chiuse la bocca un paio di volte, stupito dal tono della ragazza, e forse un po’ intimorito dallo sguardo di fuoco che lei gli stava rivolgendo con durezza. Heiji si lasciò ad un sospiro impercettibile e si convinse a fissare gli occhi verde smeraldo della ragazza, sostenendoli con altrettanta sicurezza.
“Sì” disse soltanto, in un soffio carico di emozione. Le sue gote si colorarono di un poco, ma la voce non vacillò come era solito fare quando parlava con lei, ed i suoi occhi chiari rimasero fissi in quelli di Kazuha, che sentì una gamba cederle nel momento in cui Heiji aveva confermato alla sua domanda.
Kazuha mandò giù, sentendo però la saliva farsi sempre più rara. Non sapeva con esattezza cosa dire, e come comportarsi. Il cuore le batteva nel petto, come una tarantella sconnessa, e sentiva nello stomaco uno strano subbuglio. Forse aveva mangiato troppo?
Aveva detto ‘sì’. Quindi lei gli piaceva. Sonoko aveva ragione. Come mai non se n’era mai accorta prima? Improvvisamente, Kazuha sentì la rabbia sparire e le gambe voler cedere sotto il suo peso, per accasciarsi al suolo. Abbassò il capo, allentando i pugni, e sentì il suo viso arrossarsi per l’imbarazzante situazione.
“Da... da quanto?” riuscì a mormorare. Non voleva saperlo, in realtà. Ma non aveva trovato niente di meglio da dirgli. Il suo cervello ronzava a vuoto. Non le era di nessun aiuto.
Heiji spostò un po’ di sabbia con il piede, come per prendere tempo. A sua volta abbassò lo sguardo, insieme alla voce. “Dai tempi dell’ultimo anno di liceo” le rivelò, e Kazuha perse un battito.
Alzò di scatto il viso, non riuscendo però a catturare gli occhi del giovane detective, sfuggenti e intimiditi. Inconsciamente, incrociò le braccia al petto, rimanendo fissa a guardarlo, sentendo nascere sulla sua fronte una ruga di stizza.
“Mi sei piaciuta subito, da quella volta in cui ci siamo incrociati nello spogliatoio. Ricordi?” iniziò Heiji, sorridendo dolcemente alla sabbia. “Avevi dimenticato la sciarpa nel dojo, e da lì ho capito che tu eri la ragazza giusta per me”.
Kazuha spalancò gli occhi, optando per il silenzio. Sì, se la ricordava quella volta, ma dovette ammettere a se stessa che in quell’occasione nulla l’aveva portata a pensare che Heiji fosse il ragazzo che stava cercando o che mai avrebbe cercato. Sì, l’aveva trovato carino, ma non era scattato in lei nulla di particolare. Ed ora, sentendo i ricordi di Heiji, non le sembrava nemmeno di essere lei quella ragazza che era entrata in palestra, più di un anno addietro, e lo aveva incrociato a fine di un allenamento.
“Quando ho saputo del tuo trasferimento a Tokyo, per l’università...” ricominciò il detective, interrotto un secondo dopo dalla ragazza, che distese un braccio davanti a sé per bloccare il suo discorso. “Fermo, fermo, fermo!” disse acida, sentendo di nuovo la collera prendere possesso delle sue vene, e del suo cuore.
‘Quando aveva saputo del suo trasferimento’? ‘Quando aveva saputo del suo trasferimento?!’. Kazuha boccheggiò, cercando le parole meno sgarbate che riuscisse a reperire nel suo vocabolario, ora sottosopra. “Aspetta un attimo... tu... mi hai seguito a Tokyo?!” domandò fremente.
Heiji alzò finalmente lo sguardo su di lei, ancora sorridente. Non appena incrociò gli occhi fiammanti della ragazza, il suo sorriso scomparve all’istante, lasciando le sue labbra incerte e dubbiose.
Kazuha chiuse un istante gli occhi. Si sentiva spiata, si sentiva usata. Sentiva che il loro primo incontro a Tokyo era stato tutto una messinscena, un piano organizzato con cura e metodicità dal ragazzo che stava di fronte a lei.
E, nello stesso tempo, in quel momento, lei non si sentiva Kazuha.
“Non ci posso credere” sibilò, aprendo gli occhi e fissando lo sguardo di Heiji con disgusto. Non sapeva bene perché la stava prendendo così male, ma in quel momento non riusciva a ragionare con lucidità. In quell’intero anno, Heiji l’aveva ingannata. L’aveva presa in giro. Aveva finto amicizia, nonostante il suo scopo fosse tutt’altro. Queste, erano le considerazioni che frullavano rumorosamente nella testa della ragazza.
“Mi hai seguita fino a Tokyo!” ripeté, ma stavolta in un’affermazione. “Ti sei finto mio amico... mi hai solo presa in giro!”.
Heiji accusò il colpo, sbiancando, capendo un secondo dopo quello che aveva dedotto – erroneamente – la ragazza. “No, no... aspetta, Kazuha, non...”.
“Ti sei fatto assumere dal detective Mouri perché sapevi che ero amica di Ran?!” esclamò a voce fin troppo alta. Kazuha scosse il capo, infastidita e profondamente delusa. “Ma per quanto tempo hai spiato i miei movimenti?!”.
Heiji fece un passo avanti e tentò di allungare una mano verso la sua spalla, ma la ragazza fece due passi indietro, sfuggendo dalla sua presa. Non voleva che lui la toccasse. Non voleva averlo vicino un istante di più.
“Non ti ho affatto spiata! È stata una coincidenza, il fatto che tu e Ran aveste fatto amicizia e che io...” stava tentando di spiegarle, ma Kazuha proruppe in una lieve risata fredda. “Sì, come no. Heiji... stammi lontano” sputò fuori.
Guardò per l’ultima volta i suoi occhi, ritrovandosi a pensare che fino a poco prima si erano addolciti al ricordo del loro primo incontro. Ma questa constatazione le faceva ancora più male del pensare a come lui l’avesse raggirata.
Gli voltò le spalle e si mise a correre lontana da lui, accecata dalla rabbia e dalla paura di questo nuovo sentimento.
Kazuha non conosceva veramente il significato della rabbia, ma ora, grazie ad Heiji, la stava facendo sua.
 
 
Ran sentì un peso enorme gravarle nel cuore, che fino a qualche minuto prima era stato libero e spensierato. Prese un grosso respiro e formulò ad alta voce la risposta da dare alla domanda che le era appena stata posta.
“Sono al mare con Sonoko e Kazuha”.
Dall’altra parte del telefono, si sentì il suo interlocutore cadere nel silenzio più assoluto. Ran prese ad infossare i piedi nudi dentro alla sabbia bollente, mordicchiandosi il labbro inferiore, con il cuore a mille. Una nuvoletta passeggera le fece temporaneamente ombra, impedendo ai raggi del sole di scottare la pelle della ragazza, che, al contrario, alzò il capo alla ricerca della luce, proprio come se fosse stata privata dell’aria che respirava.
“Al mare, eh...” sospirò la voce metallica del suo fidanzato.
Shun, alla fine, aveva chiamato. Sembrava preoccupato e infastidito di non essere riuscito a trovarla a casa sua, quella mattina, quando vi si era recato per chiarire sulla loro discussione della serata precedente. Suo padre non era nemmeno in agenzia, e quindi Shun non era stato informato della scappatella della giovane assieme al suo gruppo di amici, vecchi e nuovi.
“Sei qui a Tokyo?” le domandò atono.
Ran spostò il cellulare sull’altro orecchio, per prendere tempo. La voce del suo fidanzato non la convinceva per niente. Sentiva che era irritato dal non aver saputo prima della sua vacanza, ma allo stesso tempo avvertiva stanchezza nella sua voce. Come se di quella situazione ne avesse fin sopra i capelli.
“No... sono fuori Tokyo” disse, e senza curarsi di specificare altro, gli pose una domanda, cercando di non far trapelare il fastidio che l’avvolgeva quando ancora rifletteva sulla cena mandata a monte del giorno prima. “Ti sei calmato, da ieri?”.
Shun sbuffò, e fece cadere il silenzio per la seconda volta. Ran se lo immaginò sdraiato sul divano del suo appartamento, gli occhi chiusi e i polpastrelli che massaggiavano le sue tempie, il volto stanco e tirato. Se fosse stata accanto a lui, probabilmente avrebbe preso ad intrecciare le dite nei capelli di lui, in un gesto automatico e privo di spontaneità, come per rassicurarlo  e per dirgli che tra loro tutto andava bene. Che il loro litigio non aveva cambiato niente.
Ma non era vero. Qualcosa, quella discussione, aveva cambiato.
E Ran non voleva far finta che nulla fosse successo.
“Lunedì ho la partita. Ci sarai?” le chiese lui dopo un po’. Ran annuì, rendendosi conto qualche istante dopo che Shun non poteva vederla. “Certo” rispose allora, passandosi una mano fra i capelli.
“Bene” soffiò il ragazzo. “Allora ci vediamo lunedì...” concluse, sentendo a sua volta la ridicolezza di quella conversazione. Si stavano dicendo tutto e niente allo stesso tempo.
“Okay. A lunedì” lo salutò Ran, sentendosi in parte colpevole di quella situazione.
 
No, non ho fatto nulla di male!
 
sbuffò irata una vocina nella sua testa. Ecco, ricominciava di nuovo a sentirsi sempre la responsabile delle sofferenze di Shun. Tornava a sentirsi come quella che deve abbassare la testa e tenersi tutto dentro. Tornava a sentire la sua voglia di vivere premere per sparire.
Ma questa volta la vera Ran non avrebbe mollato.
“Senti, Ran” disse di slancio Shun, appena in tempo, prima che la giovane chiudesse la conversazione. Il silenzio che lei gli diede in risposta fece capire al ragazzo di poter continuare. “Questa situazione non mi piace per niente. Voglio chiarire, ma non ora. Ne riparliamo lunedì, va bene?”.
Ran annuì a nessuno per la seconda volta, confermando ad alta voce la sua opinione solo qualche attimo dopo. “Va bene. Non... non stancarti troppo. Con gli allenamenti”.
Shun rise, atono. “Ci proverò. Ciao”.
Ran chiuse la comunicazione prima del suo fidanzato, trovandosi a fissare incantata lo schermo buio del suo cellulare, reprimendo la voglia di richiamarlo e di costringerlo a venire lì a Shirahama. Voleva parlargli, subito. Ma voleva vederlo negli occhi.
Voleva chiedergli cosa stesse succedendo. Come mai la loro situazione fosse caduta nella repulsione vicendevole, dalla sera precedente.
Lo sentiva distante, lo sentiva diverso. Che gli era successo?
La nuvola ribelle sparì, portando via con sé la zona d’ombra che era stata temporaneamente la compagna di Ran, in quella breve e infruttuosa telefonata.
“Purtroppo il frullato alle fragole l’avevano finito, e allora ti ho preso quello al cioccolato. Spero ti vada bene lo stes...” la voce di Shinichi scemò lentamente, quando si ritrovò davanti agli occhi Ran, rannicchiata sulla sua sdraio in maniera totalmente differente da come l’aveva lasciata dieci minuti prima.
La ragazza alzò il viso su quello dell’amico, ed abbozzò un sorriso per cercare di rassicurarlo. Aveva capito dallo sguardo di lui che si stava già preoccupando, e lei non voleva riempirlo con i suoi lamenti e con i suoi tormenti nei confronti di Shun. L’aveva già tediato abbastanza.
“Va benissimo al cioccolato, grazie Shinichi” mormorò la ragazza, allungando una mano e afferrando il bicchiere di plastica. Shinichi non lo lasciò andare, aumentando la presa, fissando i suoi profondi occhi blu in quelli di lei, che però ostentavano a lasciarsi leggere.
“Che cosa è successo?” le domandò.
“Nulla”.
“Raaan” la richiamò lui, arricciando il naso, come se la questione gli puzzasse. La ragazza si lasciò andare ad un sospiro, ed agguantò il suo frullato prima che il giovane glielo potesse impedire. Iniziò a mordere nervosamente la cannuccia, permettendo di tanto in tanto al frullato di salire fino alle sue labbra, senza però inghiottirlo.
“Non è successo assolutamente niente” ripeté la ragazza, seguendo con lo sguardo Shinichi, fino a che non si sedette accanto a lei sulla sdraio. “Mi ha solo chiamata Shun...”.
Shinichi, a quel nome, si incupì improvvisamente. Bevve un sorso del suo frullato alla menta con estrema avidità, inspirano pesantemente. Nel giro di un paio di minuti finì la sua bevanda e lasciò cadere ai suoi piedi il bicchiere vuoto, ripromettendosi di raccoglierlo il prima possibile.
Studiò in tralice la ragazza, che lo stava ancora guardando silenziosa. Al suo sguardo, si irritò, mettendosi dritta a sedere in un battibaleno.
“Che c’è?!”.
Shinichi sbuffò, e la guardò con le sopracciglia incurvate verso l’alto. “Dovresti dirmelo tu. Sei tutta cupa e minacciosa... che ti ha detto?”.
Ran non voleva parlare di Shun. Non con Shinichi, che chiaramente lo detestava, e che quindi era di parte. La ragazza si domandò come il suo fidanzato potesse stare antipatico a così tanta gente, escludendo a lei e a Kazuha. Ma a quella domanda interiore, non riuscì a trovare risposta.
“Gli ho detto che sono al mare con Sonoko e con Kazuha. Ci è rimasto male, ed era ancora distante. Ha detto che vuole chiarire, ma l’ho sentito freddo. Non era il solito Shun, è cambiato qualcosa in lui” riassunse Ran, cominciando a gustarsi davvero il suo frullato.
“Bè, si è proprio sforzato” si lasciò scappare Shinichi, trattenendo a stento la stizza. Ran lo guardò male, sentendo che comunque lui aveva ragione. Se fosse successo il contrario, ora come ora, Ran sarebbe corsa da lui il più in fretta possibile per chiarire ciò che andava chiarito. Invece Shun aveva rimandato tutto a dopo la partita. Forse, era convinto che dopo quella, lui si sarebbe rilassato e tutto sarebbe tornato pacifico come prima.
“La nostra relazione non può essersi bloccata per uno stupido litigio” disse Ran, più a se stessa che al ragazzo che le stava accanto. “Non può”.
Shinichi incrociò le gambe sulla sdraio e fissò lo sguardo verso il cielo. Poi, i suoi occhi si spostarono sul mare davanti a loro e sorrise. “Non siete in sintonia” disse semplicemente, facendo arrossare le guancie di Ran.
La ragazza gettò a terra il bicchiere del frullato, che macchiò lentamente la sabbia di cioccolato, guardando la nuca del ragazzo con occhi che mandavano lampi. Come... come si permetteva?!
Shinichi avvertì lo sguardo della ragazza, la guardò irata com’era, ma non fece crollare il suo sorriso. “Facciamo un esempio banale, vediamo se riesco a farti capire che intendo: l’acqua”.
Ran scosse il capo. “Non ti seguo”.
Shinichi allungò la mano verso la borsa della ragazza, chiedendole il permesso che fu concesso con un cenno del capo, ed estrasse la bottiglietta vuota che prima aveva spedito lui stesso dritto in testa ad Hattori.
Tolse il tappo e cominciò a correre verso la riva, abbassandosi e catturando un po’ di acqua nella bottiglia, per poi fare ritorno da Ran che, sempre più sbigottita e confusa, aveva deciso di stare ad ascoltare ciò che il detective aveva in mente di farle capire.
“Cosa c’entra l’acqua con me e Shun?” si concesse solo di domandare, ricevendo una lieve risatina come risposta da parte del ragazzo, che guardava la bottiglietta con un sorriso.
“Una cosa per volta” le disse, passandole la bottiglia. Gliela indicò con il capo, e Ran rimase con gli occhi fissi sull’oggetto, perplessa. “Mi sai dire cos’è l’acqua? Scientificamente parlando”.
La ragazza agitò la bottiglia sotto il naso del detective, ghignando. Aveva già scordato il motivo per cui erano arrivati a parlare di quello. “Questo me lo dovresti dire tu, visto la facoltà che fai”.
“Dai, Ran, sii seria” la rimproverò lui, con un sorriso.
Ran aggrottò le sopracciglia, passando la bottiglietta nelle mani del ragazzo. “Una molecola? Una relazione? Idrogeno ed ossigeno?” tentò, sentendo che le sue reminescenze di chimica cercavano di tornarle alla mente.
Shinichi si illuminò. “Esatto, brava: una relazione” disse spostando gli occhi su quelli chiari di Ran. “L’idrogeno si incontra con l’ossigeno, e insieme creano una relazione: H2O. In questa relazione, ciascuno da all’altro ciò di cui l’altro ha bisogno” spiegò il ragazzo, con voce lenta e rassicurante. “È la storia d’amore perfetta. È la storia d’amore che funziona”.
Shinichi finì di spiegare abbassando di nuovo gli occhi sulla bottiglietta, guardandola con aria malinconica. “Nessuno dei due rinuncia ad una parte di sé. Condividono, si legano, si relazionano. Ma sono completi, pieni.”
Ran non osò dire una parola, sentendo gli occhi pizzicare. Era incredibile, e basta. Quello che aveva detto, valeva più di mille discorsi a vuoto.
“Ho capito” ammise, cercando lo sguardo sfuggente del ragazzo. “Ma a volte dei compromessi vanno fatti, non credi?”.
Shinichi abbozzò un sorriso stanco, stropicciandosi poi il viso. “No, non sono d’accordo. Per me l’amore deve essere vissuto a pieno, con l’altro, e con se stesso. Non trovo che i compromessi siano accettabili. Bada: solo i compromessi che comportano una perdita di te” precisò puntando l’indice sotto il suo mento, facendosi pensoso. “Forse è per questo, che non mi sono mai veramente innamorato” rise di sé.
Ran gli sorrise, allungando una mano su quella del ragazzo, stringendogliela nella sua. Shinichi alzò lo sguardo su di lei, e si ritrovò anche lui a sorridere, perdendosi in quell’azzurro in tempesta.
“Non è cambiato qualcosa in Shun, Ran...” mormorò Shinichi. “Qualcosa è cambiato in te”.
 
 
Il detective Kogoro Mouri spense la televisione con uno sbuffo annoiato, iniziando a strappare i biglietti della corsa di cavalli su cui aveva puntato, e su cui aveva perso buona parte del suo ultimo stipendio. Lasciò ricadere a terra i pezzettini di carta, ripromettendosi di spazzarli via poco prima di chiudere l’agenzia e di andare in cerca di un buon ristorante a basso prezzo per mettere qualcosa sotto i denti, visto e considerato che Ran non c’era per preparargli una quantomeno decente cena.
Nella vuota agenzia l’unico rumore che riempiva la stanza era il ronzare del climatizzatore, oramai quasi andato del tutto. L’uomo abbozzò un sorriso ironico, sentendosi un fallito per come la sua vita stava andando negli ultimi tempi: il suo lavoro non stava di certo andando a gonfie vele, nemmeno con l’aiuto di quel ragazzino intelligente che aveva assunto come assistente; era separato, e la moglie non poteva quasi vederlo; e Ran era fidanzata con quel bell’imbusto di un baskettaro.
Dieci anni prima, non avrebbe mai immaginato di finire in quelle condizioni. Doveva fare qualcosa, doveva risollevare quantomeno la sua posizione professionale. Non voleva più costringere Ran a fare la spesa nei supermercati a basso costo, non voleva più affrontare l’inverno con il riscaldamento mal funzionante, non voleva più andare ai bagni pubblici per colpa della caldaia rotta.
Aveva bisogno di un miracolo, o più semplicemente di un cliente abbiente.
Senza nemmeno avere il tempo di completare il pensiero, dalla porta dell’agenzia provenne un lieve bussare insistente. Kogoro saltò su, sistemandosi nervosamente i capelli. Percorse a grandi falcate lo spazio che lo separava dalla porta d’ingresso, sistemandosi la cravatta bucherellata e abbozzando un sorriso invitante.
“Grazie ai Kami!” sussurrò quasi con le lacrime agli occhi, prima di spalancare la porta e accogliere dentro alla sua agenzia nientepopodimenoche... la sua quasi ex moglie.
“Oh” disse asciutto, sentendo il sorriso smontarsi e fare le valigie per non fare ritorno tanto presto. “Sei tu. Ciao”.
Kogoro si fece da parte, invitandola ad entrare con un cenno della mano, e ricevendo in risposta uno sguardo di disappunto dalla donna che avanzava lentamente nella stanza, i capelli comunemente legati in un alto chignon che tentavano in tutti i modi di sfuggire dalla crocchia che li teneva uniti.
“Sempre il solito perfetto ospite, non ti smentisci mai” lo rimbrottò la donna, appoggiandosi al divano, incrociando le braccia al petto. “Ci credo che non hai più un cliente, dati i tuoi modi burberi”.
Kogoro chiuse la porta con un colpo secco, facendo poi affondare le mani nelle tasche dei pantaloni, studiando la quasi ex moglie con irritazione e noia. Quel giorno, lei indossava un completo bordeaux, con le scarpe alte e una collana di perle che seguiva il decolté che mostrava la camicia rosa. Portava anche gli orecchini che lui e Ran le avevano regalato quello stesso Natale, e nel complesso non poteva certo dire che fosse brutta. Anzi, quel giorno era particolarmente bella. Sexy.
Perché, poi, dato che veniva dal lavoro? Aveva avuto un pranzo con un cliente? E ci era andata vestita... così?!
“Che sei venuta a fare, Eri? Hai finito presto dal lavoro e sei venuta qui a disturbarmi?”.
La donna scosse il capo, sorridendo in segno di resa. Lo fissò in silenzio per un lungo ed interminabile secondo, prima di inclinare la testa di lato e decidere di accomodarsi sul divano, lasciando andare la valigetta di pelle che aveva sempre con sé ai suoi piedi. Aspettò che l’uomo si sedesse di fronte a lei, poi accavallò le gambe e riprese a sorridere. “Ti porto un caso da risolvere” disse pacatamente, riaccendendo negli occhi del detective la luce che aveva avuto non appena aveva avvertito il bussare alla sua agenzia.
 
Lavoro!
 
 
 
Sonoko si aggiustò il vestito sbarazzino che si era comperata qualche ora addietro in un negozietto piccolo, ma veramente carino che stava poco distante dall’ostello in cui alloggiavano. Lo aveva comperato apposta per la serata, avendo portato con sé il minimo indispensabile – il costume glielo aveva gentilmente prestato Ran – che aveva pensato di usare stando da Kazuha per qualche giorno.
Quella sera si sentiva terribilmente femmina, ed era in cerca della sua preda. Era stufa di vedere Shinichi e Ran assieme, ridere e chiacchierare come una coppia ormai consolidata. Certo, lo stesso non si poteva dire per i due ragazzi di Osaka.
Qualcosa doveva essere successo, perché nessuno dei due osava guardarsi negli occhi. Ora stavano anche parecchio distanti, come se l’altro non esistesse. Avrebbe indagato. E avrebbe anche mollato un pugno a quel testone di Hattori, se solo si fosse permesso di far star male Kazuha.
Ma non in quel momento. Non quella sera.
“Sarebbe questa... la festa?” domandò Shinichi, trattenendosi dallo scoppiare a ridere. Sonoko lo intercettò, nella sua smorfia pre-risata, e gli tirò una gomitata sul fianco per impedire che potesse deriderla.
“E io che ne so! Ti ho fatto leggere il volantino, no? Ne so quanto te” borbottò la giovane ereditiera, sondando con lo sguardo la spiaggia alla ricerca di ragazzi carini.
In realtà... non ce n’era nemmeno uno. Nel raggio di almeno venti chilometri. E anche all’ostello, loro erano gli unici giovani under quaranta. Sembrava che lì a Shirahama ci fossero soltanto famiglie in villeggiatura. Bambini e genitori, bambini e genitori, bambini e genitori...
Sonoko si grattò furiosamente il capo, imprecando. La ragazza che le aveva distribuito il volantino, quel pomeriggio, sembrava giovane. O si era rifatta di botox?! Sonoko non ci capiva più niente, ma sapeva bene che non sarebbe rimasta su quella spiaggia a mangiare attorno ad un fuoco e a cantare canzoni da boy-scout, insieme ai nonnetti e ai nipotini un solo minuto di più.
“Io me ne vado” sbottò cupa, facendo già dietrofront.
Sentì qualcuno trattenerla dal polso, che si riscoprì essere Ran. La ragazza la fissava severa, e non sembrava avere l’intenzione di lasciarla tornare indietro.
“Ora tu vieni con noi, e mangiamo insieme. Non fare i capricci” le disse come se stesse parlando con una bambina.
In quel momento, doveva ammetterlo, si sentiva proprio come una bambina capricciosa.
Sonoko gonfiò le guancie, e si arrese a seguire Ran, insieme al gruppetto di amici. Attraversarono parecchie coperte distese sulla sabbia, i cui proprietari erano famigliole allegre, che addentavano la carne cotta ai ferri e le patatine grondanti salse occidentali.
Si portarono fino alla fine della spiaggia, dove, accanto agli scogli, si ergeva un modesto falò che scoppiettava indisturbato, alimentato dalla legna che un paio di ragazze stavano faticosamente trasportando fino a lì. Heiji e Shinichi non rimasero con le mani in mano, e si affrettarono a dare aiuto alle due giovani, alleviandole dal peso della legna. Entrambe portavano sul capo lo stesso cappellino che Sonoko aveva visto indossare alla ragazza che si era scontrata con lei quel pomeriggio, e pensò che presumibilmente dovessero fare parte del gruppo organizzativo.
“Ehilà!” trillò allegramente una voce alle spalle di Sonoko. Una mano le batté la schiena, un po’ troppo violentemente, e la ragazza si voltò leggermente piccata.
Una giovane con i capelli neri legati in due ordinate treccine la stava guardando, sorridendo apertamente. Il suo viso non risultò nuovo a Sonoko, che capì si trattasse della ragazza di quel pomeriggio. “Sei venuta! Che bello!” disse, leggermente spaesata.
Posò a sua volta lo sguardo allegro su Ran e Kazuha, impedendo con una forza enorme di non trasformarlo in una smorfia.
“Piacere, io sono Kita, una delle animatrici” si presentò la giovane, con un breve e formale inchino. Le tre giovani amiche la imitarono, sentendosi stranamente a disagio. Lo sguardo che aveva rivolto loro quella Kita sembrava carico di giudizio, e non sapevano spiegarsi il perché.
“Emh, ciao... senti... dove sono tutti?” domandò Sonoko, sporgendosi verso l’orecchio della ragazza, iniziando a sussurrarle concitatamente. “La festa deve essere da un’altra parte vero? Dove sono?”.
Kita si posò una mano davanti alla bocca, ridendo. “Ma sono tutti qui! Non vedete?” disse spostandosi e facendo tornare visibili agli occhi di Sonoko le famiglie sedute sulla spiaggia.
La ragazza storse il naso, infastidita.
“La mia amica voleva sicuramente chiedere se...” iniziò Ran, con i suoi modi gentili, venendo interrotta dal borbottio di Sonoko. “Ma dove sono i ragazzi carini?! Qui ci sono solo padri di famiglia sposati!”.
Gli occhi di Kita divennero freddi all’istante, mentre quella cominciò a scrutare dall’alto in basso Sonoko, quasi con disgusto. “Ma cosa mi tocca sentire! Una madre che va alla ricerca di uomini invece che stare con i suoi figli! Ma cosa credi, che noi siamo delle maestre d’asilo che dovranno badare ai tuoi bambini? E dire certe cose, poi, davanti al marito!”. Kita si portò le mani alle orecchie, scrollando il capo come se fosse costretta ad ascoltare una musica straziante.
Le tre amiche rimasero basite, sbattendo più volte le palpebre, confuse. La ragazza che stava di fronte a loro non doveva avere tutte le rotelle al posto giusto. Oppure si trattava di una burla. Ma che scherzo era mai quello?
Ran e Kazuha si voltarono verso Sonoko, gli occhi ridotti a due minuscoli puntini.
“Fi-figli?”
“Marito?!”.
Alle spalle di Sonoko stava Shinichi, ignaro della situazione venutasi a creare. Il ragazzo spostò lo sguardo sulle tre compagne di viaggio, e poi si concentrò sul dimenarsi quasi grottesco dell’animatrice.
“Ma lui non è mio marito!” esclamò Sonoko a pieni polmoni, puntando un indice minaccioso verso il naso di Shinichi.
Kita sobbalzò, portando al petto entrambe le mani, l’espressione confusa. “Ah, no?” chiese timidamente, iniziando ad arrossire.
“No!” esclamarono sia Sonoko che Shinichi. “Non mi sposerei mai con una matta del genere” aggiunse seriamente Shinichi, lasciando intravedere un sorriso canzonatorio sul suo volto perfettamente composto.
“E non ho figli! Ho vent’anni appena compiuti!” continuò Sonoko, fermandosi solo dopo un po’, per voltarsi verso il ragazzo ed inarcare un sopracciglio. “Che... che cosa hai detto?!” abbaiò, facendo partire una risata isterica nel giovane detective.
Shinichi scrollò le spalle, cercando di sminuire la situazione, mentre il suo viso incominciava a farsi sempre più pallido a causa dell’aura minacciosa della giovane ereditiera.
Gomenasaaaiii”* disse la giovane animatrice, inchinandosi profondamente verso tutte e tre le ragazze, in segno di scuse. “Ho confuso tutto, credevo che foste qui per la festa in spiaggia dei bambini che organizziamo ogni anno!”.
Sonoko per poco non cadde gambe per aria, mentre Kazuha, corrugando un po’ la fronte, fece un passo avanti verso Kita. “Festa per bambini?” chiese delucidazioni, come se non avesse sentito bene.
Kita annuì con vigore. “Esattamente! Ogni anno ne organizziamo una per le famiglie in villeggiatura, per far divertire i bambini. Ci ha affidato questo compito il nostro comune, e noi siamo ben lieti di eseguirlo!”.
“Per la verità, sei contenta solo tu. Noi lo facciamo per pagarci l’università” borbottò una voce cupa alle spalle del gruppetto. Una ragazza dai corti capelli ricci si fece avanti, le mani sui fianchi, e sospirò sconsolata quando posò lo sguardo sulle famiglie allegramente intente a cenare.
Kita posò le mani sulle spalle della ragazza e la fece voltare di forza verso il gruppo di Tokyo, con un  gran sorriso sulle labbra. “Lei è Akane! Un’altra delle animatrici...”
“... e, purtroppo, sua migliore amica” completò la giovane, indicando con il pollice la faccia di Kita alle sue spalle. Poi fece un sorriso e ammiccò alle ragazze. “Piacere!”.
Ran e Kazuha fecero per presentarsi, quando Sonoko, ormai rinvenuta di colpo dalla notizia che l’aveva colpita in pieno qualche minuto addietro, cominciò ad agitare le braccia in aria. “Aspettate, aspettate!”. Sapeva che se le presentazioni le avessero fatte le sue amiche, ci sarebbe voluta una vita, e lei aveva piuttosto fretta di capire.
“Io mi chiamo Sonoko, e queste qui sono Ran e Kazuha” disse indicandole velocemente. “Mentre questi due sono Kudo e Hattori. Bene, tanto piacere! Ora...” disse, abbassando la voce e avvicinandosi per non dover farsi sentire dal suo gruppo. Kita ed Akane sbatterono le palpebre più volte, ma allungarono lo stesso l’orecchio verso la giovane ereditiera, curiose.
“Ecco, volevo sapere... dove sono i ragazzi?!” domandò arrossendo lievemente, ma per fortuna l’oscurità che li stava avvolgendo ogni minuto sempre di più celò il suo imbarazzo.
Sonoko, non ricevendo risposta, si decise ad alzare gli occhi sulle due ragazze. Kita ed Akane avevano lo sguardo perso nel vuoto, davanti a loro. Non la stavano nemmeno calcolando. Sembrava che non avessero ascoltato una singola parola di quello che aveva bisbigliato loro Sonoko. Erano in una specie di trans, e questo irritò la giovane ereditiera, che posò svelta le mani sui fianchi ed estrasse l’espressione più scocciata che era in grado di fare.
“Ma che vi prende? Ehi! Avete sentito quello che ho detto, oppure...” ma Sonoko non riuscì mai a finire la frase che aveva cominciato. Si era voltata nella stessa direzione dove le due ragazze stavano guardando, e il suo cuore perse un battito.
Accanto al falò stava un ragazzo, con ai suoi piedi una nuova cassetta piena zeppa di legna. Aveva lo sguardo perso nel fuoco, leggermente corrugato, ed indossava a sua volta un cappellino a forma di cocomero, che gli stava sulle ventitré. Gli stava dannatamente bene, sulle ventitré.
Si accucciò e recuperò la cassetta, sollevandola come se questo non gli causasse il minimo sforzo. Gli occhiali da vista che indossava gli scivolarono di un poco lungo il naso, e lui se li aggiustò subito, lasciando il peso della legna su un solo braccio, in un tocco che Sonoko giudicò tremendamente sexy. Ma che ci poteva essere di sexy, in quel gesto? Forse era perché... era lui, quello sexy.
Sonoko parlò, senza staccare gli occhi dalla figura del ragazzo che piano piano le stava dando le spalle e si stava dirigendo da un’altra parte.
“Chi... chi è, quello?” domandò, sentendo improvvisamente caldo.
Akane, accanto a lei, si mosse inquieta, e si posò le mani sul viso accaldato un istante dopo. “Lui è...” stava per spiegare, la voce tremante.
“Makoto-saaaaaan!” chiamò la voce squillante di Kita.
Il ragazzo si fermò e si voltò molto lentamente verso la fonte che lo aveva chiamato, riconoscendo la voce. Il suo sguardo si posò per primo su Sonoko, che sentì le gambe cedere leggermente.
 
Makoto...
 
 
 
Ran osservò divertita la reazione della sua migliore amica. Sembrava sul punto di lasciar cadere a terra tutta la saliva che aveva in bocca, se non si fosse sbrigata a chiudere la mandibola. Forse sarebbe dovuta intervenire, ma per fortuna Kazuha capì al volo la situazione e le diede una leggera gomitata sul fianco, che fece sussultare Sonoko e le fece chiudere di scatto la bocca. Senza però distogliere lo sguardo dal giovane, che ormai si era più che avvicinato a loro.
“Che c’è, Saitou?” domandò, facendo rabbrividire persino Ran per il tono di voce basso e profondo che uscì dalle sue labbra.
Kita lo guardò come implorante, per poi scuotere il capo e cercare di ricomporsi. Akane, al suo fianco, sembrava ancora nel mondo dei sogni.
“Ma-Makoto-san, volevo presentarti alcuni nuovi amici” disse timidamente, facendo un cenno della mano nella direzione del gruppetto di Tokyo.
Il ragazzo si voltò e passò lo sguardo su tutti i presenti, senza l’accenno di un sorriso. Non sembrava scocciato, o irritato. Sembrava semplicemente che sorridere fosse l’ultima delle sue priorità.
Quando i suoi occhi si posarono su Ran, quelli della ragazza ebbero un guizzo. Con il cervello, e la memoria, in azione, fece un passo avanti, portandosi l’indice sotto il mento. “Mi ricordi qualcuno...” disse pensosa, per poi battere le mani, illuminata da un ricordo. “Tu sei il grande campione di karate Makoto Kyogoku, non è vero?” domandò la giovane, con un gran sorriso.
Makoto annuì lentamente, corrugando a sua volta la fronte. “E tu... anche tu mi ricordi qualcuno” le fece sapere.
Sonoko si riprese, scrollando il capo ed avvicinandosi a Ran. Le mise un braccio attorno alle spalle ed ammiccò arrossendo in direzione del karateka. “Lei è Mouri Ran, la campionessa di karate femminile”.
Makoto non si illuminò come aveva fatto precedentemente Ran. Si limitò ad annuire e a dire un semplice “Ora ricordo”, per poi tornare a guardare le due ragazze di Shirahama. “Vado a sistemare da un’altra parte la legna di troppo” disse, e poi si voltò, allontanandosi silenziosamente proprio come era venuto.
Kita ed Akane si lasciarono andare ad un sospiro innamorato, mentre contemplavano la schiena muscolosa del ragazzo, guardandolo con occhi illuminati di una nuova luce.
“Bè, ora abbiamo capito che non c’è nessuna festa, qui. Credo che potremmo...” iniziò Shinichi, trattenendo una risatina guardando Sonoko, che però Ran intercettò. Gli diede un pizzicotto non troppo gentile sul braccio, che gli impedì di completare la frase.
“Oh, no, un bel niente!” rispose Sonoko, agguantando alla velocità della luce il cappellino a forma di cocomero che stava sulla testa di Kita. Lo indossò al rovescio, e poi cominciò a correre nella direzione dove era sparito Makoto, inseguita da Kita ed Akane, che, gelose, sembravano aver avvertito le intenzioni della giovane ereditiera.
Ran sorrise guardando l’amica allontanarsi, sentendosi più leggera al solo ricordo della sua faccia di poco prima. Sembrava che la sola vista di quel misterioso ragazzo, l’avesse alleviata dal solito stress che sembrava seguirla come un ombra in quell’ultimo periodo.
“Ed ora che facciamo?” domandò Heiji, posandosi le mani dietro la nuca, avvicinandosi al trio rimasto fermo impalato a guardare Sonoko allontanarsi.
Ran notò con la coda dell’occhio che Kazuha, al solo sentire la voce del ragazzo, fece una specie di smorfia, e gli diede le spalle, fissando cocciutamente il mare davanti a lei, che leggermente burrascoso, sembrava rispecchiare perfettamente il suo umore.
La giovane karateka si scambiò uno sguardo con Shinichi, che ammiccò e le fece cenno di precederlo. “Mi sembra ovvio. Li seguiamo”.
A Ran, il verbo ‘seguire’ usato dal giovane, suonava un po’ troppo come ‘spiare’.

 
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* Gomenasai = mi dispiace
 
 
 
 
Devo dirlo a mia volta: gomenasaaaiiii..! :(
Ma ve lo dico già: entro domenica, pubblico il decimo capitolo, perché la prossima settimana scolastica, sarà l’inferno per me... e allora mi metto a scrivere prima così non vi farò attendere più di tanto :)
Allora, questo capitolo conta undici pagine del mio amico word, ma se fosse stato per me sarebbe venuto fuori di trenta XD Avevo mille cosa da voler dire, ma mi sono imposta un freno, sennò finivo la storia con questo chap   O.o   e non mi sembrava il caso..… :)
Oddio, è la mia prima long che supera gli otto capitoli *-*  mi sento un pochino soddisfatta XD
Vabbè... cosa mi dite del capitolo?? ^^ Recensite, recensite ^^


Ah, una precisazione: il paragone che Shin fa con l’acqua, non è interamente frutto della mia mente malata, ma ho preso il la, ed anche un sol, da un discorso che ha fatto a degli studenti uno scrittore che adoro all’ennesima potenza, e che vorrei tanto come professore di lettere: Alessandro D’Avenia <3
Vi metto il link del video, in caso vogliate dare un’occhiata  -->  http://www.youtube.com/watch?v=sjpKS4SrGDA
 
Intanto ringrazio quelle sei fantastiche ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, e che adoro ogni minuto che passa sempre di più: Yume98,  _Flami_,  88roxina94,  withoutrules,  Shine_ e izumi_! ^^
E mille grazie anche a SimpSiro e a ciachan che hanno messo la storia tra le seguite :D

Grazie anche a chi legge soltanto!
Ci vediamo al decimo capitolo!!
Un abbraccione one one,
 
Dony 
  
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