Dean
aprì gli occhi, quando le note di “Heat of the
moment”
invasero la stanza, cercando a tentoni con una mano la radiosveglia per
spegnerla. Quando finalmente colpì il tasto dello snooze, si
rilassò e fece un
sospiro, ripensando al sogno.
Si prese
un po’ di tempo per riprendersi, mentre frammenti di
sogno si accavallavano l’uno sull’altro in un
puzzle confuso di dolore e
sangue. In quell’incubo era solo, circondato da fiamme e fumo
nero, in un posto
che avrebbe potuto essere solo l’Inferno, e aveva paura, una
fottuta paura. Non
ne conosceva la ragione, ma sapeva che c’era qualcosa
d’intimo, nella sua
anima, che gli provocava un dolore immenso nonostante non fosse il suo
corpo a
subirlo. Qualcosa lo corrodeva dall’interno, così
potente da essere solo il senso
di colpa, così straziante da lasciarlo senza fiato,
impotente davanti alle
anime che torturava; si sentiva un mostro, e sapeva che tutta quella
sofferenza
- psicologica, certo, ma pur sempre reale – era la punizione
adeguata per un’anima
spezzata e malvagia come la sua. Ne era fermamente convinto, tutto
quello che
aveva sopportato per anni era solo la minima parte di ciò
che realmente si
meritava, per il dolore che aveva causato a suo fratello, a suo padre,
a sua
madre, al mondo. Forse era masochista, ma il Dean onirico ne era
fermamente
convinto e lui, il vero Dean, non
poteva fare altro che restare rinchiuso in quel sogno, preda di quelle
convinzioni così giuste ma anche così sbagliate.
Si sentiva se stesso ma anche
un altro, un qualcuno che ha portato troppe responsabilità e
troppa sofferenza
sulle spalle, e la cosa lo spaventava. Era presente quando vedeva se
stesso
torturare anime giorno dopo giorno, era stato presente quando i demoni
lo
avevano torturato, e non ne poteva veramente più di quelle
immagini, costretto
a guardare, a provare, a sentire tutto quello notte dopo notte.
Poi
arrivava la luce, il calore, che con una promessa di pace lo
strappava da quell’antro buio, dalle urla, ma non dal dolore.
Non voleva
andarsene, tutto quello che stava provando era una punizione per tutto
ciò che
aveva commesso ed era giusta. Non
sopportabile, solo giusta.
in
qualche modo sapeva di non poter vincere contro quella luce,
voleva sentirsi amato e protetto come non era stato per quei
quarant’anni e
forse non era stato mai. Così si era abbandonato a quel
conforto,
tranquillizzato da due immensi pozzi blu, lasciandosi portare via, in
alto,
lontano.
*°*°*°*
<<
Dean! Alzati! >> la voce di sua madre lo riscosse da
quelle fantasie.
Con un
sospiro sconfortato spinse via le coperte, uscendo da quel
bozzolo caldo, incapace ormai di riprendere sonno. Non
avrebbe più dormito, se ogni notte fosse stato costretto a
vedere
quelle cose, a sentirle... scosse la testa, tentando di
mandare via quelle
immagini terribili di morte e distruzione di cui era preda
già da qualche
notte.
Uscì
dalla camera e si diresse in bagno, non prima, però, di aver
svegliato il suo fratellino. Si fermò un attimo sulla
soglia, preparandosi
psicologicamente a cosa avrebbe trovato nella camera di Sammy. Quando
entrava nell’antro, non
poteva fare a meno di essere
nauseato: Scaffali pieni di libri, cartoline di città, mappe
geografiche,
ricoprivano le pareti e sulla scrivania campeggiava un laptop con vari
post-it
attaccati, perlopiù con codici ed equazioni. Suo fratello
era veramente un
Nerd, sbuffò.
Aprì
la porta senza bussare, non voleva svegliare così
la sua piccola Samantha. Fu
costretto, come al solito, a rivedere la sua affermazione: la piccola Samantha era stravaccata al
centro del letto con gambe e braccia penzoloni, in boxer e maglietta,
con la
bocca socchiusa e i capelli – sì, proprio quel
cespuglio castano che aveva in
testa – sconvolti. Se non avesse conosciuto bene suo
fratello, Dean avrebbe
pensato avesse fatto sesso selvaggio quella notte ma, dato che era di
Sam che
stavamo parlando, molto probabilmente aveva solo passato ore insonni a
leggere
le sue solite storie di fantasmi, vampiri e demoni. Un libro aperto sul
pavimento accanto ad una mano della Bella Addormentata ne era la prova.
Lo
raccolse e, sbirciando di sfuggita la copertina, si accorse che era un
altro
libro della collana di Supernatural. Sbuffò: Solo Sammy
poteva leggere libri su
due ragazzi che non solo combattevano assurde creature sovrannaturali
per
sventare l’Apocalisse ma si chiamavano anche come loro.
Per Dean
erano tutte stronzate; angeli, demoni, Lucifer e Michael,
erano tutte delle idiozie inventate da un certo Chuck Shurley,
sicuramente un
pazzo visionario, a giudicare dalle storie che scriveva.
Beh, fatti
suoi, si disse Dean,
valutando come avrebbe svegliato suo fratello
quella mattina, mentre il suo sguardo si posava sul libro che teneva
ancora in
mano e un ghigno si disegnava sul suo volto.
Trenta
secondi dopo, il succitato libro veniva lanciato attraverso
la stanza e colpiva un ignaro Sam in mezzo alla fronte.
*°*°*°*
<<
Buongiorno mamma >> Dean scese in cucina salutando Mary
con un bacio, ammirandola esattamente con lo stesso sguardo di quando
era un
bambino. Era bellissima, e lo avrebbe pensato sempre.
<<
Buongiorno tesoro >> sorrise Mary dolcemente
<< Tuo fratello è già sveglio?
>> domandò.
<<
Ci puoi scommettere >> rispose il figlio, reprimendo
una risata.
Il
Bigfoot nel frattempo era sceso al piano di sotto, e aveva
fulminato il maggiore con lo sguardo << Questa me la
paghi >>.
<< Questa volta non è andata poi così male, o no? >> ribatté Dean, mentre le immagini di tutti gli altri lieti risvegli di Sam gli tornavano alla mente.
Mentre ricordava di quando aveva portato lo stereo dal fratello e lo aveva svegliato con “Highway to Hell” a tutto volume, non poté fare a meno di scoppiare a ridere.
<<
rimpiangi il
giorno in cui ti ho fatto trovare il tanga di Lisa in faccia, immagino
>>
aggiunse malizioso mentre suo fratello arrossiva e sua madre
evitava altri commenti imbarazzanti versando il caffè al suo
Dean.
<<
Oggi arriverà il mio nuovo paziente >>
cominciò Mary,
non appena si fossero tutti seduti a tavola, attendendo le reazioni dei
suoi
figli, che non tardarono ad arrivare, ovviamente l’una
l’opposto dell’altra.
Il primo
a reagire fu Dean << Che cosa? Un altro? Ti prego,
mamma... >> La madre lo zittì con uno sguardo,
mentre il suo fratellino
era il ritratto sputato della felicità. Sam, ovviamente,
adorava i pazienti perché,
a dir suo, vivevano in un mondo a parte, cui non era concesso entrare.
Perciò
li riempiva di domande per sapere cosa vedevano, di cosa erano
convinti, perché
seppur le loro credenze fossero bizzarre, il piccolo Winchester sapeva
che c’erano
uomini senza fede in niente, e ciò lo deludeva. Il fratello,
ecco, sembrava
proprio tra quelli.
Dean, al
contrario di quello che credeva l’altro, non aveva nulla
contro il lavoro di mamma o le persone che si portava a casa, solo che
a volte
erano troppo invadenti e lui ci teneva al suo spazio personale e alle
sue cose.
Ripensò a quel Misha, convinto di essere preda dei Leviatani
e scosse la testa.
A volte era anche divertente sentire delle loro visioni, ma…
ne aveva già abbastanza
dei suoi incubi, non voleva vedere anche l’Inferno
privato di quei poveri diavoli, grazie tante.
La madre
nel frattempo si sperdeva in chiacchiere inutili su come
si sarebbero trovati bene con il ragazzo, che aveva
l’età di Dean, e Samantha
era già preda di pensieri su come far sentire a suo agio il
nuovo arrivato. Sembravano due comari.
Il
maggiore si alzò, realizzando in quel momento che era
domenica
e quindi niente scuola. Chiedere al fratello di uscire era fuori
discussione, con
Lisa si erano lasciati da poco e lui non era il tipo da andare a fare
scenate
solo perché ora stava con Mike, quindi pensò di
ripiegare andando a sistemare
la sua piccola, una Chevy Impala del ’67, nera, lucida,
appartenuta a suo padre.
Ovviamente
sua madre intuì le sue mosse prima ancora che decidesse
cosa fare di preciso. << Dove pensi di andare Dean? Devi
esserci quando
arriverà >> disse con le mani sui fianchi.
Quella donna era un mostro.
Il
Winchester in questione si risedette affranto. << Lo sto
andando a prendere ora >> fece Mary rispondendo a una sua
domanda
silenziosa << e farai bene a esserci ancora quando
tornerò >> lo
minacciò brandendo la borsetta.
*°*°*°*
Quando il
paziente arrivò, Dean non poté fare a meno di
sentirsi
un po’ su di giri, come il resto della sua famiglia.
Dopotutto ogni nuovo
arrivo era diverso, con qualche aspetto odioso e qualche lato
divertente. Si
ricordò di Anna, la ragazza che credeva di ascoltare gli
angeli, un bel
tipetto, considerando che aveva sempre avuto un debole per le rosse. Se
non
fosse stato per i tabù imposti da sua madre, cioè
non provarci con le pazienti
carine, probabilmente – sicuramente – non avrebbe
esitato a conoscerla meglio,
ghignò.
Con
questo ragazzo però le cose sarebbero andate diversamente.
Prima di tutto, non era il classico tipo che vedeva cose strane, o
credeva di
essere qualcosa di alieno, tipo supereroe, che si andava gettando dalle
scale
per provare al mondo di saper volare. All’apparenza sembrava
normale ma il
fatto di averlo trovato nudo in giro per la città, senza
alcuna memoria a parte
il suo nome, non era qualcosa all’ordine del giorno.
Sua
madre, una psicologa, li aveva già ammorbati durante la
colazione, raccontando tutto ciò che aveva scoperto, dal
fatto che non sapesse
nulla dei costumi umani e che non sembrasse in grado di parlare la
lingua
inglese né qualsiasi altro tipo d’idioma. Ripeteva
quello che sentiva e
ascoltava molto. Era un bambino nel corpo di un adolescente, come se
fosse nato
in quel corpo o se avesse avuto un’amnesia totale. Un bel
mistero, secondo
Mary.
Dopo
tutte queste informazioni era normale che Dean fosse un po’
curioso, anche se cercava di non darlo a vedere. Bastava già
Sammy che
saltellava in giro per la casa, in attesa del loro nuovo coinquilino.
Sentì
la porta di casa aprirsi e scattò in piedi. Lui
non si sarebbe lasciato prendere dall’emozione,
no certo.
<<
Ragazzi, sono a casa! >> li raggiunse la voce di Mary
dal corridoio << Forza, entra >> aggiunse
con un tono più basso,
dolce, probabilmente accompagnato da un sorriso.
La
signora Winchester fece il suo ingresso in cucina, seguita da
un ragazzo, moro, pallido, che si guardava intorno come se dovesse
memorizzare
ogni singolo dettaglio della stanza.
<<
Dean, Sam, lui è Castiel >> li
presentò la donna con
un gran sorriso << Castiel, loro sono i miei figli
>>
A quel
punto il nuovo arrivato alzò lo sguardo e lo fece correre
tra i due fratelli, soppesandoli per un secondo, prima di posarsi di
nuovo su Mary
e farle un piccolo sorriso. Quest’ultima annuì con
approvazione, poi incaricò
Dean di fargli visitare la casa, mentre lei preparava il pranzo.
<<
Mi raccomando >> disse squadrandolo per un attimo,
prima di regalare un altro ampio sorriso al ragazzo.
Il
maggiore alzò gli occhi al cielo, poi guardò
Castiel e disse
<< Andiamo Cas, ti faccio vedere la tua stanza
>>.
Il suo
interlocutore lo fissò
inclinando il capo, puntando nei suoi due enormi occhi blu
che, Dean ne
era certo, gli avrebbero assicurato una folla di ragazzine adoranti al
seguito.
Nonostante lui non rientrasse in quella categoria, sotto il suo sguardo
innocente non riuscì a reprimere un brivido e ad arrossire
come una tredicenne.
Maledetta pelle chiara e lentigginosa.
Oh, ma
andiamo! A questo qui nessuno aveva detto che non si
fissano le persone? Per sfuggire all’imbarazzo che quello
sguardo terso, puro, gli provocava,
si rivolse alla
madre in una muta richiesta.
<<
Penso che Castiel si stia chiedendo il perché del tuo
soprannome >> venne in suo aiuto Mary, mentre Sam
tratteneva le risate; a quanto
pare il suo rossore era ben visibile.
<<
N-Non ti piace? >> provò a dire Dean,
sconvolto dalle
emozioni che quel blu – Dio, così
blu! - gli scatenava. Ma cosa gli prendeva?
Il
ragazzo dagli occhi di cielo raddrizzò la testa e sorrise
<< piace >> annuì, e Dean non si
chiese perché al suono della sua
voce il cuore aveva fatto un triplo salto mortale. Si sentiva veramente
un
drogato.
Un colpo
di tosse lo riscosse e si rese conto di stare guardando
un semisconosciuto con uno sguardo ebete e un sorriso altrettanto
stupido
stampato in faccia. Probabilmente il cervello si era spento in quegli
ultimi
minuti.
Fece un
cenno a Castiel e si diresse al piano di sopra, sentendo
Sammy e sua madre bisbigliare qualcosa, ma non ci diede troppo peso.
*°*°*°*
Aveva
mostrato al nuovo arrivato la sua stanza, affianco alla sua,
detto dove era il bagno e aiutato a sistemare le poche cose che gli
avevano
dato in quel centro, ma per qualche strana ragione restava in quella
stanza con
lo sguardo fisso su Castiel, che lo guardava di rimando, scrutando con
talmente
tanta intensità il verde dei suoi occhi da fargli credere
gli stesse leggendo l’anima.
Non
sapeva cosa lo bloccava e gli impediva di andarsene, ma non
era qualcosa di razionale e non riusciva a combatterla. Sentiva che
sarebbe
potuto restare lì ad ammirarlo per sempre ed era una cosa
che un po’ lo
spaventava, ma si sentiva così al sicuro sotto quello
sguardo che la paura di
diventarne dipendente lo toccava solo fino ad un certo punto.
Probabilmente il
centro di tutto erano quegli occhi, di un blu così intenso
da essere quasi
surreale. Era convinto di averli già visti da qualche parte,
ma… non riusciva a
ricordare dove, ed al momento non gli interessava. C’erano
solo lui e Castiel.
Nota dell’Autrice:
Ciao da me e da Gabe, il mio arcangioletto sulla spalla!
Dopo il primo capitolo di "You Give Love a Bad Name" ero ansiosa di scrivere qualcos'altro :P Probabilmente sto facendo solo danni, lo so, ma adoro le AU e leggendo “Jump and Touch the sky” non ho potuto fare a meno di pensare a questa idea. :D
Non so
bene di quanti capitoli sarà composta, se la
scriverò in modo decente, se vi piacerà, o
altro.. So solo che dopo aver letto
il primo capitolo della fic di GabrielaWinchester
non ho potuto fare a meno di mettermi a
scrivere :) Ho
finito proprio ora questo capitolo
e mi sono detta: Pubblico o non pubblico? Poi vabbè, tentar
non nuoce, quindi
eccomi qua :D
Vi prego
di dirmi cosa ne pensate, non vorrei aver scritto una
serie di stupidaggini *autostima a -100* ;)
Ovviamente
la dedico a GabrielaWinchester
Senza la quale non mi sarebbe mai venuto
in mente di cimentarmi in questa storia quindi se
non vi piace è colpa sua :D
Baci,
L.