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Autore: valehina    11/04/2012    2 recensioni
Irene attese paziente, in silenzio.
Aspettò fin quando la sua tazza fu totalmente vuota, fin quando il caffè nella tazza dell’uomo si fu raffreddato. Aspettò un’eternità, o pochi istanti.
Aspettò che un passato nemmeno troppo lontano venisse recuperato.
E poi, il colpo di grazia.
“Si sposa. L’eterno scapolo convolerà a nozze con una bella londinese.”
Sherlock cadde.
[dovevo scriverci. DOVEVO.]
A Kiki. Grazie di tutto, DDMV.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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2. Invadenza

Nevermind. 


2. Invadenza

 

“Mr Watson, abbiamo finito.
John sospirò irritato. Odiava essere intervistato, odiava la notorietà, odiava tutto in quel momento.
Odiava soprattutto come si fosse immischiati nella sua vita privata, come l’avessero fatto senza alcun ritegno, fregandosene dei sentimenti suoi e dei suoi cari.
Fregandosene anche di lui.
Si passò una mano sugli occhi, pensando a quanto doveva essere masochista. Cercò di ingoiare quel nodo alla gola, suo compagno ormai da due anni. Ma non ci riuscì.
L’amara consapevolezza che il mondo si era dimenticato di quello che era successo non fece altro che scatenare in lui stizza, rabbia e dolore.
Quanto, quanto dolore.
“E’ stato davvero gentile, sappiamo che lei di solito non concede interviste. Che è…molto riservato, ecco.”
La giornalista sorrise cortesemente, porgendogli la mano. Era molto giovane, non doveva avere più di venti anni. Eppure si era dovuta adattare in fretta al mondo del giornalismo, anche se non si sarebbe mai aspettata, durante i suoi brillanti anni di college, di vedere il suo nome scritto tra le pagine di un giornale scandalistico.
Chissà cosa deve aver fatto per arrivare fin qui, pensò John, osservandola mentre cercava involontariamente di allungare una gonna troppo corta, che certamente la metteva in imbarazzo.
Certamente quelli non erano i suoi ordinari vestiti. Certamente qualcuno l’aveva costretta a indossarli. Certamente lei non ne era felice.
“Certamente.”, sussurrò John, pensando quasi con fastidio che le sue abilità deduttive stavano diventando sempre più affinate. E sapeva bene da cosa – da chi questo fosse stato determinato.
Gli occhi gli si chiusero di scatto, contratti in uno spasmo di nervosismo e angoscia.
Era sempre così, ogni santa volta.
“Come, prego?” La ragazza lo fissava stupita, sinceramente preoccupata. “Si sente bene?”
John riacquistò il self-control in pochi istanti. “Sto bene, certo. Ehm…si figuri. I suoi capi sono stati molto insistenti, ad un certo punto non ho più potuto dire di no.”
La giornalista rispose con un sorriso impacciato. “Oh, mi dispiace…mi rendo conto della loro pedanteria, mi creda. Non è il solo ad esserne…vittima, diciamo così.”
Accompagnò le sue parole con un altro ‘involontario’ allungamento della gonna, che John colse fin troppo bene.
Hai fatto centro anche stavolta, John.
“Bene, se abbiamo finito, io potrei anche…” L’uomo si alzò dalla poltrona, chiaramente intenzionato ad andarsene. La ragazza di fronte a lui si alzò di scatto: un gesto automatico, dato sicuramente dalla rigida educazione che doveva aver ricevuto sin da bambina – John aveva capito anche questo, osservando la sua perfetta postura e la composta posizione parallela delle sue gambe.
Eppure, non si finisce mai di imparare.
“Aspetti!” La giornalista si era fatta scappare un’esclamazione, vedendo che il dottor Watson, probabilmente la persona più garbata, posata e intelligente che avrebbe visto durante tutta la sua carriera, stava per lasciare la stanza.
Non poteva e non doveva assolutamente sprecare quell’occasione.
John aveva appena infilato un braccio nella manica della sua giacca, ed era ancora in quella posizione che fissava la giovane, stranito.
“Mi dica. Vuole farmi anche qualche altra domanda?”, chiese non troppo cortesemente – ma se ne accorse solo dopo, e cercò di scusarmi con un mite sorriso.
La sua interlocutrice arrossì lievemente. “Mi…mi scusi. Io…no, lasci perdere. Non importa. E’ solo una curiosità mia, niente di prettamente giornalistico.” Si diresse verso la scrivania, dove appoggiò il laptop che aveva usato durante l’intervista.
Con quel gesto sembrò quasi abbandonare ogni ritrosia. Fu per quello che si girò di scatto verso il dottore.
“Lo so che potrà sembrarle impertinente, ma devo chiederglielo. Le ho già fatto domande su di lui, ma sento che ce n’è una che nessuno le ha mai fatto. Probabilmente sarà qualcosa che invaderà i suoi spazi, ma ho assoluto bisogno di domandarglielo.”
La ragazza non potè non notare l’improvviso irrigidimento di John, assieme all’ombra che passò sul suo viso al nominare quel ‘lui’ – cosa che già era avvenuta durante l’intervista. La sua innata cortesia l’aveva spinta ogni volta ad accorciare la domanda, a cambiare abilmente argomento o a ruotare la questione in modo da evitare il più possibile l’agonia di quell’uomo.
Ma questa volta non ce la fece.
“Io volevo chiederle se, dopo tutto questo tempo, è mai tornato al 221B di Baker Street.”

 
Il cuore di John perse un battito.
Da quanto tempo non pensava a quella strada, a quella casa, a quello che c’era dentro?
Ormai dovevano essere passati mesi. Fece un rapido conto, e con un nodo alla gola si rese conto che era ormai trascorso un anno.
Un lungo anno di sofferenza e chiusura, di silenzio e buio.
Ricordava bene l’ultima volta, quando si era intrufolato nell’appartamento con la scusa di controllare quello che era rimasto nel frigorifero. Ricordava lo scricchiolio delle scale, il pomello della porta rovinato dai troppi clienti che l’avevano tastato, l’atmosfera silenziosa e cupa che aveva trovato all’interno.
Un amaro sorriso apparve sul suo volto quando ripensò alla lieve speranza che lo aveva colto.
Magari lui  è lì. Magari mi sta aspettando qui, con il suo sguardo sostenuto e una mano sollevata per aria, che aspetta solo il passaggio di un cellulare.
Ma niente, non c’era. L’unica presenza vitale nella casa era il lento e disgustoso decomporsi di una mela infilzata in un coltello e rimasta sul tavolo.
John non capiva. O forse aveva capito, e non voleva sapere.
Se ne andò, silenzioso come se ne era andato. Lasciando tutto come trovava, per ricordare come tutto avrebbe dovuto rimanere tale per sempre.
Si era ripromesso di tornare. E non l’aveva mai fatto.
Era stato una delusione. La signora Hudson –e il solo ripensare a lei non fece che aumentare il suo malessere- probabilmente lo ricordava con affetto, e lo aspettava.
L’appartamento lo aspettava. Quello che il 221B di Baker Street simboleggiava lo aspettava.
E lui invece era in piedi, con una giacca infilata storta, davanti a una giovane donna che attendeva una sua risposta e che probabilmente si chiedeva se non era stata troppo invadente.
Lo era stata, in effetti.

 
La giornalista, vedendo che non riceveva risposta, mentalmente si stava dando della stupida.
Eppure era una donna, santo cielo! Avrebbe dovuto capire che era ancora presto per parlarne. Due anni possono essere un’infinità di tempo, come un batter di ciglia.
Stava cercando le parole più adatte a chiedere scusa, e tutte le sembravano banali e idiote.
E lei era pure una giornalista, santo Dio.
“Guardi, io…davvero, non imp-”, balbettò in qualche modo, prima di essere interrotta da un gesto di John.
L’uomo aveva cancellato dal suo sguardo ogni ombra, e sorrideva pacato.

 
“Sa una cosa? Non ci sono mai tornato. Ma sarebbe proprio ora di farci un salto, non crede?”

 
Perché era vero, lei era stata invadente.
Ma quell’invadenza fece scattare qualcosa in John.
E quel qualcosa era l’invasione del 221B di Baker Street.
Ancora una volta.







___________________________

Secondo capitolo, secondo personaggio.
Che dire? Io amo John Watson, in ogni tipo di versione. Credo sia il mio personaggio preferito in assoluto, anche più di Sherlock.
E descrivere quello che sente, quello che prova è descrivere anche una parte di me, dal momento che sono così legata al personaggio.
Oh, lo so. Molto poetico e commovente y_y

Ecco, volevo precisare una cosa. Io non ricordo assolutamente che fine fa la mela di Moriarty. Sì, la famosa mela con 'I O U' *brividi solo allo scriverlo*
Io ho pensato che fosse rimasta lì, nel disordine generale. E che si stesse decomponendo.
Molto carina come immagine, no? :D
[solleva cartello 'IRONIA']

Ah, già. Vorrei ringraziare enormemente tutti coloro che hanno letto - siete un sacco, mi rendete felice *-*
Ma ancora di più ringrazio chi mi ha commentato, chi ha messo la storia tra le seguite e tra quelle da ricordare. Siete in 9, in totale. E vi lancio amore e cioccolato <3
[aggiornamento dell'ultima ora: siete in 10, in 10! *feels like Nilla che conta i dalmata di Pongo e Peggy <3*]

Vediamo, vediamo...di cosa parlerà il prossimo capitolo?
Probabilmente tornerò sulla prospettiva di Sherlock e Irene. Ci saranno altre reazioni? Lui come si comporterà con lei? E lei, con lui?
Oh, si vedrà, si vedrà...*ridacchia da dietro un ventaglio (?)*

Niente, io allora vi saluto eh.
A presto, cari :)

Vale

   
 
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