“Mr Watson, abbiamo finito.
John sospirò irritato. Odiava essere intervistato, odiava la
notorietà, odiava tutto in quel momento.
Odiava soprattutto come si fosse immischiati nella sua vita
privata, come l’avessero fatto senza alcun ritegno,
fregandosene dei sentimenti
suoi e dei suoi cari.
Fregandosene anche di lui.
Si passò una mano sugli occhi, pensando a quanto doveva
essere masochista. Cercò di ingoiare quel nodo alla gola,
suo compagno ormai da
due anni. Ma non ci riuscì.
L’amara consapevolezza che il mondo si era dimenticato di
quello che era successo non fece altro che scatenare in lui stizza,
rabbia e
dolore.
Quanto, quanto dolore.
“E’ stato davvero gentile, sappiamo che lei di
solito non
concede interviste. Che è…molto riservato,
ecco.”
La giornalista sorrise cortesemente, porgendogli la mano.
Era molto giovane, non doveva avere più di venti anni.
Eppure si era dovuta
adattare in fretta al mondo del giornalismo, anche se non si sarebbe
mai
aspettata, durante i suoi brillanti anni di college, di vedere il suo
nome
scritto tra le pagine di un giornale scandalistico.
Chissà cosa deve aver
fatto per arrivare fin qui, pensò John,
osservandola mentre cercava
involontariamente di allungare una gonna troppo corta, che certamente
la
metteva in imbarazzo.
Certamente quelli non erano i suoi ordinari vestiti. Certamente
qualcuno l’aveva costretta a indossarli. Certamente lei non
ne era felice.
“Certamente.”, sussurrò John, pensando
quasi con fastidio
che le sue abilità deduttive stavano diventando sempre
più affinate. E sapeva
bene da cosa – da chi
questo fosse
stato determinato.
Gli occhi gli si chiusero di scatto, contratti in uno spasmo
di nervosismo e angoscia.
Era sempre così, ogni santa volta.
“Come, prego?” La ragazza lo fissava stupita,
sinceramente
preoccupata. “Si sente bene?”
John riacquistò il self-control in pochi istanti.
“Sto bene,
certo. Ehm…si figuri. I suoi capi sono stati molto
insistenti, ad un certo
punto non ho più potuto dire di no.”
La giornalista rispose con un sorriso impacciato. “Oh, mi
dispiace…mi rendo conto della loro pedanteria, mi creda. Non
è il solo ad
esserne…vittima, diciamo così.”
Accompagnò le sue parole con un altro
‘involontario’
allungamento della gonna, che John colse fin troppo bene.
Hai fatto centro anche
stavolta, John.
“Bene, se abbiamo finito, io potrei
anche…” L’uomo si alzò
dalla poltrona, chiaramente intenzionato ad andarsene. La ragazza di
fronte a
lui si alzò di scatto: un gesto automatico, dato sicuramente
dalla rigida
educazione che doveva aver ricevuto sin da bambina – John
aveva capito anche
questo, osservando la sua perfetta postura e la composta posizione
parallela
delle sue gambe.
Eppure, non si finisce mai di imparare.
“Aspetti!” La giornalista si era fatta scappare
un’esclamazione, vedendo che il dottor Watson, probabilmente
la persona più
garbata, posata e intelligente che avrebbe visto durante tutta la sua
carriera,
stava per lasciare la stanza.
Non poteva e non doveva assolutamente sprecare
quell’occasione.
John aveva appena infilato un braccio nella manica della sua
giacca, ed era ancora in quella posizione che fissava la giovane,
stranito.
“Mi dica. Vuole farmi anche qualche altra
domanda?”, chiese
non troppo cortesemente – ma se ne accorse solo dopo, e
cercò di scusarmi con
un mite sorriso.
La sua interlocutrice arrossì lievemente.
“Mi…mi scusi.
Io…no, lasci perdere. Non importa. E’ solo una
curiosità mia, niente di prettamente
giornalistico.” Si diresse verso la scrivania, dove
appoggiò il laptop che
aveva usato durante l’intervista.
Con quel gesto sembrò quasi abbandonare ogni ritrosia. Fu
per quello che si girò di scatto verso il dottore.
“Lo so che potrà sembrarle impertinente, ma devo
chiederglielo. Le ho già fatto domande su di lui, ma sento
che ce n’è una che
nessuno le ha mai fatto. Probabilmente sarà qualcosa che invaderà i suoi spazi, ma ho
assoluto bisogno di domandarglielo.”
La ragazza non potè non notare l’improvviso
irrigidimento di
John, assieme all’ombra che passò sul suo viso al
nominare quel ‘lui’ – cosa
che già era avvenuta durante l’intervista. La sua
innata cortesia l’aveva
spinta ogni volta ad accorciare la domanda, a cambiare abilmente
argomento o a
ruotare la questione in modo da evitare il più possibile
l’agonia di
quell’uomo.
Ma questa volta non ce la fece.
“Io volevo chiederle se, dopo tutto questo tempo,
è mai
tornato al 221B di Baker Street.”
Il cuore di John perse un battito.
Da quanto tempo non pensava a quella strada, a quella casa,
a quello che c’era dentro?
Ormai dovevano essere passati mesi. Fece un rapido conto, e
con un nodo alla gola si rese conto che era ormai trascorso un anno.
Un lungo anno di sofferenza e chiusura, di silenzio e buio.
Ricordava bene l’ultima volta, quando si era intrufolato
nell’appartamento con la scusa di controllare quello che era
rimasto nel
frigorifero. Ricordava lo scricchiolio delle scale, il pomello della
porta
rovinato dai troppi clienti che l’avevano tastato,
l’atmosfera silenziosa e
cupa che aveva trovato all’interno.
Un amaro sorriso apparve sul suo volto quando ripensò alla
lieve speranza che lo aveva colto.
Magari lui è
lì. Magari mi sta aspettando qui, con il suo
sguardo sostenuto e una mano sollevata per aria, che aspetta solo il
passaggio
di un cellulare.
Ma niente, non c’era. L’unica presenza vitale nella
casa era
il lento e disgustoso decomporsi di una mela infilzata in un coltello e
rimasta
sul tavolo.
John non capiva. O forse aveva capito, e non voleva sapere.
Se ne andò, silenzioso come se ne era andato. Lasciando
tutto come trovava, per ricordare come tutto avrebbe dovuto rimanere
tale per
sempre.
Si era ripromesso di tornare. E non l’aveva mai fatto.
Era stato una delusione. La signora Hudson –e il solo
ripensare a lei non fece che aumentare il suo malessere- probabilmente
lo
ricordava con affetto, e lo aspettava.
L’appartamento lo aspettava. Quello che il 221B di Baker
Street simboleggiava lo aspettava.
E lui invece era in piedi, con una giacca infilata storta,
davanti a una giovane donna che attendeva una sua risposta e che
probabilmente
si chiedeva se non era stata troppo invadente.
Lo era stata, in effetti.
La giornalista, vedendo che non riceveva risposta,
mentalmente si stava dando della stupida.
Eppure era una donna, santo cielo! Avrebbe dovuto capire che
era ancora presto per parlarne. Due anni possono essere
un’infinità di tempo,
come un batter di ciglia.
Stava cercando le parole più adatte a chiedere scusa, e
tutte le sembravano banali e idiote.
E lei era pure una giornalista, santo Dio.
“Guardi, io…davvero, non imp-”,
balbettò in qualche modo, prima di essere
interrotta da un gesto di John.
L’uomo aveva cancellato dal suo sguardo ogni ombra, e
sorrideva pacato.
“Sa una cosa? Non ci sono mai tornato. Ma sarebbe proprio
ora di farci un salto, non crede?”
Perché era vero, lei era stata invadente.
Ma quell’invadenza
fece scattare qualcosa in John.
E quel qualcosa era l’invasione
del 221B di Baker Street.
Ancora una volta.
___________________________
Secondo capitolo, secondo personaggio.
Che dire? Io amo John Watson, in ogni tipo di versione. Credo sia il
mio personaggio preferito in assoluto, anche più di Sherlock.
E descrivere quello che sente, quello che prova è descrivere
anche una parte di me, dal momento che sono così legata al
personaggio.
Oh, lo so. Molto poetico e commovente y_y
Ecco, volevo precisare una cosa. Io non ricordo assolutamente che fine
fa la mela di Moriarty. Sì, la famosa mela con 'I O U'
*brividi solo allo scriverlo*
Io ho pensato che fosse rimasta lì, nel disordine generale.
E che si stesse decomponendo.
Molto carina come immagine, no? :D
[solleva cartello 'IRONIA']
Ah, già. Vorrei
ringraziare enormemente tutti coloro che hanno letto - siete un sacco,
mi rendete felice *-*
Ma ancora di più ringrazio chi mi ha commentato, chi ha
messo la storia tra le seguite e tra quelle da ricordare. Siete in 9,
in totale. E vi lancio amore e cioccolato <3
[aggiornamento dell'ultima ora: siete in 10, in 10! *feels like Nilla
che conta i dalmata di Pongo e Peggy <3*]
Vediamo, vediamo...di cosa parlerà il prossimo capitolo?
Probabilmente tornerò sulla prospettiva di Sherlock e Irene.
Ci saranno altre reazioni? Lui come si comporterà con lei? E
lei, con lui?
Oh, si vedrà, si vedrà...*ridacchia da dietro un
ventaglio (?)*
Niente, io allora vi saluto eh.
A presto, cari :)
Vale