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Autore: Ronnie Devour    12/04/2012    0 recensioni
La protagonista della Fan Fiction ha sicuramente un passato da cui cerca sempre di scappare, inutilmente. Ha inseguito il suo sogno di diventare una modella, fino a raggiungerlo, poi si è fidanzata con un ragazzo che la picchia e la violenta quasi tutti i giorni. Chi sarà questo ragazzo che ha portato la protagonista a diventare anoressica? Lei incontrerà Jared, che diventerà un suo grande amico. Sboccerà l'amore tra loro, oppure ci saranno ulteriori intoppi che la porteranno a rimanere chiusa nella ''gabbia'' che è casa sua, assieme al fidanzato? Ma non è tutto; la protagonista conoscerà un altro ragazzo, italiano, che perderà completamente la testa per lei e farà di tutto per cercare di farla star bene. Jared sarà d'accordo dell'amicizia tra lei e questo ragazzo italiano?
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Un pugno affonda nel mio stomaco.
Mi spinge nel solito angolo buio della camera – la nostra camera –, prendendomi per i capelli, umidi a causa del sudore e delle lacrime.
Si inginocchia davanti a me, sorridendo compiaciuto. Allunga una mano, probabilmente per togliere il mascara colato dalle mie guance, ma mi irrigidisco, nascondendo la testa tra la braccia. Ritira la mano e si alza, abbottonandosi i pantaloni.
Rimango nell'angolo che tanto mi fa paura, a piangere in silenzio. Allungo una gamba e mi sembra di avere davanti un ramoscello d'ulivo.
Mi alzo, lasciando che la maglia strappata mi copra solamente fino all'ombelico, e reggendomi alla parete, vado verso il bagno.
“Che vuoi che sia?” continuo a ripetermi.
“Basta aprire la bocca e lasciare che le dita arrivino fino alla gola e nient'altro”.
Mi chino davanti al water e comincio a gettare fuori tutto.
Sempre reggendomi alla parete, vado verso il lavandino per sciacquarmi la bocca. Mi guardo allo specchio, e riesco a vedere l'umiliazione, la tristezza e la paura in fondo ai miei occhi. I miei zigomi sono sporgenti, come se potessero lacerare la carne della mia faccia da un momento all'altro. La mia pelle è molto pallida, con qualche chiazza violacea vicino al mento e un graffio sotto all'occhio sinistro.
Sfilo da sotto il lavandino il mio peggior nemico. Mi tolgo la maglietta, che è l'unico indumento che ho addosso, e con le gambe che tremano salgo sulla bilancia.
“Devo dimagrire. 29 chili sono troppi per una ventiseienne come me”.
La porta del bagno di apre all'improvviso, mentre lui mi sta venendo incontro. Sembra furioso. Mi prende il viso con una sola mano, come se volesse stritolarlo e fa come se volesse tirarmi su da lì, facendomi mettere in punta di piedi.
“Tra un'ora ti voglio sul posto di lavoro. Non ammetto ritardi e vedi di sistemare quella tua faccia da culo che ti ritrovi, intesi?”
Annuisco velocemente, ad occhi spalancati, poi vengo scaraventata a terra e lui se ne va, sbattendo la porta.Mi aggrappo al lavandino e mi tiro su, guardandomi di nuovo allo specchio. Le impronte delle sue dita sono rimaste marcate sulla mia faccia.
Prendo il mio enorme beauty-case e comincio a tirare fuori ciò che mi serve, cercando di trattenere le lacrime che vogliono scorrere sulle mie guance sciupate.
Ancora senza vestiti, comincio a truccarmi, passando fondotinta e cipria su tutta la faccia e persino sul petto. Prendo l'eye-liner nero e comincio a passarlo su quasi tutta la palpebra mobile dei miei occhi. Da quando mi sono fidanzata con il mostro che mi ha ridotta in queste condizioni, sono costretta a conciarmi così. Fino a tre anni fa ero una ragazza solare, socievole, chiacchierona, estroversa e chi più ne ha più ne metta. Amavo alzarmi presto la mattina per vedere l'alba e per vedere la natura che si risveglia. Amavo la luce del sole e il calore dei suoi raggi che si infilava sotto alla pelle, fino ad arrivare a scaldare il cuore. Amavo la pioggia sottile che ti accarezza allegramente la faccia. Amavo vestirmi con colori diversi e amavo truccarmi con un leggero ombretto rosa chiaro, che risaltava i miei occhi verdi. Amavo la vita, fino a che non vi si è catapultato quello stronzo.
Con passi insicuri vado verso la camera e apro l'armadio.
Prendo un paio di shorts di jeans, che assomigliano più ad un paraculo, che a un paio di pantaloncini, e una maglietta grigia che non arriva nemmeno a coprire i miei fianchi. Apro l'altra anta e prendo un paio di scarpe nere col tacco.
Mi guardo un'ultima volta allo specchio, lasciando che i miei capelli biondi e lunghi quasi fino al sedere, prendano la loro normale ondulatura.
Non sono vestita abbastanza bene, ma credo che questo non importi perché una volta arrivata al lavoro, dovrò spogliarmi e indossare quello che decideranno gli altri. Sono una modella da quattro anni, ormai. È sempre stato il mio sogno fin da quando ero bambina, e adesso che si è realizzato, vorrei che si spezzasse in tanti e minuscoli pezzettini, come se fosse un bicchiere lanciato contro un muro in un momento di rabbia.
“Se non puoi essere la mia troia, allora non sarai la troia di nessuno” è ciò che lui mi ripete sempre. Ecco perché non posso licenziarmi; sicuramente mi ucciderebbe.
Cerco di prendere stabilità, ed esco da casa.
Cammino per la strada, cercando di farmi vedere il meno possibile. Mi guardo sempre intorno, forse troppo spesso. Ho sempre paura che qualcuno mi faccia qualche brutta sorpresa. Camminare almeno aiuta a dimagrire, ecco perché non prendo mai la metropolitana o un taxi.
Dopo quaranta minuti, arrivo a destinazione.
Questa sera io e le mie colleghe sfileremo in un posto non ben definito di Parigi, la città in cui vivo.
Sospiro ed entro nell'immenso locale in cui dovrò passare tutta la notte. Non c'è ancora nessuno, a parte lui, le mie colleghe ed i soliti parrucchieri.
Lui, vedendomi, abbandona la conversazione con cui era preso e viene a salutarmi. Mi bacia delicatamente sulle labbra e poi mi sorride. Io mi limito ad abbassare la testa, fingendo di essere timida, poi vado verso il camerino.
“Non piangere. Non piangere” continuo a ripetermi.
Charlotte, la mia collega, entra subito dopo di me e mi saluta: “Pronta per stasera? Dobbiamo fare bella figura; ci saranno un sacco di persone famose!” sembra davvero impaziente di cominciare.
Annuisco e comincio a togliermi i vestiti, subito dopo aver letto la scaletta delle uscite.
Ormai non parlo più con nessuno. Mi limito ad annuire o fare cenno di ''no'' con la testa. Ho perso perfino la voglia di parlare. D'altro canto, esco da casa solo per venire al lavoro, e vedo sempre le solite persone con cui non mi interessa avere una conversazione.
Dopo un'ora e mezza, tutto è pronto, e io sarò la settima ragazza ad uscire sulla passerella.
È il mio turno; inizialmente vengo accecata da una serie di luci puntate tutte su di me, ma poi riesco ad abituarmi. Arrivata in cima alla passerella, faccio la mia solita mossa: quella di guardare il pubblico, poggiandomi una mano sul fianco sinistro.
Molti Vips sembrano interessati veramente alla sfilata, in particolare un uomo che avrà sui trent'anni. Mi fissa come se fossi la cosa più brutta e orripilante che avesse visto sulla faccia della Terra. Evidentemente sono troppo grassa.
Non ci faccio molto caso e lascio che la nottata vada come deve andare.

È il momento di tornare a casa, ma stavolta sono accompagnata da lui, lo stronzo.
Entriamo, e chiude la porta di casa sbattendola. Mi strappa la borsetta dalle mani e mi carica in spalla, per poi quasi lanciarmi nel letto.
Risparmio ciò che è successo dopo.
Mi sono addormentata nuovamente nell'angolo che tanto temo, tremando, con la testa di nuovo tra le braccia e tutto l'eye-liner colato sulle guance. 

  
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