Fili bianchi

Menma fu la prima a svegliarsi, quel mattino. Un raggio di sole, sfuggito alla cortina di tende che copriva la finestra, aveva finito per proiettarsi direttamente sulle sue palpebre chiuse. Era agosto, e l'unico filo d'aria che entrava nella stanza, riscaldato dal riverbero del sole sul cemento della città, era con tutta probabilità già bollente quanto il vapore che esce da una pentola a pressione.
Si voltò verso Jintan. Stava di nuovo dormendo sul sofà, con la pancia che sbucava dalla maglietta e un braccio sollevato sopra la testa.
Menma aggrovigliò il lenzuolo all'estremità del letto, spingendolo via con i piedi. Vicino a lei era ancora posato il Game Boy con la cartuccia del gioco dei Nokémon inserita nello slot; qualcuno l'aveva spento per lei, la sera prima.
Rotolò giù, ricordando com'era bello sentire il freddo del pavimento contro la schiena nei giorni più afosi di agosto, quando ancora non era un fantasma. Ora non faceva differenza. Mezzo giro su se stessa e si sarebbe ritrovata a pancia in giù, ma le sensazioni non sarebbero cambiate per niente.
A carponi, raggiunse il divanetto su cui Jintan ancora dormiva. Non si era spostato nemmeno di un centimetro.
Gli punzecchiò la guancia con l'indice; era fresca. Ancora non aveva capito perchè, ma il calore di Jintan era l'unico che riusciva a percepire.
Non ottenne nessuna reazione da lui; nemmeno un fremito delle palpebre, neppure un battito di ciglia, nessun piccolo movimento delle dita, non un singolo aggrottarsi di sopracciglia.
Con il dito percorse di nuovo il profilo del suo viso; la pelle di Jintan era fresca, ma quella sensazione non era affatto spiacevole. Jintan era vivo, nonostante tutto. Era vivo: lo dimostravano le vene sottili delle sue braccia tiepide; lo diceva il suo palmo liscio e caldo, su cui - premendo solo un pochino - poteva sentire il cuore battere attraverso il proprio polpastrello. La mano di Jintan era così grande in confronto alla sua, e così viva. Tutto, di lui, sembrava urlare ciò che li rendeva così diversi, quel confine tra esistere e non esistere così semplice da spezzare.
Fu toccando la sua pelle che si rese conto per la prima volta di odiare davvero il fatto di essere morta; non ci aveva pensato seriamente, prima d'allora. Tutto ciò che voleva era rimanere con i suoi amici e scherzare e ridere con loro; tutto ciò che desiderava era giocare con il videogioco dei Nokémon, parlare, mangiare il ramen salato, rimanere a dormire ancora sul letto di Jintan, restare con lui, rimanere con lui, vivere con lui, vivere.
Jintan.
Non ci sarebbe riuscita. Non c'era nessuna possibilità, e ne era consapevole.
Eppure, la sua mano era ancora così calda contro la sua, e il suo respiro leggero era così piacevole da ascoltare. Le sarebbe piaciuto poterlo sentire per sempre, ogni mattino, ad ogni risveglio, come accadeva da quando era riapparsa.
Jintan era ancora immobile, disteso sui cuscini con il braccio sollevato sopra la testa e il dito di Menma posato tra l'indice e il medio.
Chissà cosa penserebbe Jintan di questi pensieri. Forse mi caccerebbe via da qui, se sapesse che vorrei rimanere per sempre con lui.
Svegliarci insieme ogni mattina, come due fidanzati. Avvampò al solo pensiero, ma non fece rumore.
Jintan dormiva ancora, mentre Menma lentamente afferrava una ciocca di capelli candidi e la intrecciava prima attorno ad una delle sue dita e poi ad una di quelle di Jintan. Due fedi bianche, forgiate nella stessa lega, che sancivano un matrimonio silenzioso.
Menma appoggiò la guancia fredda sul suo palmo caldo e sorrise piano, mentre l'intreccio si scioglieva e gli anelli svanivano insieme al sonno di Jintan.