Ciao a tutti!!! Questa storia mi è venuta di getto mentre
riflettevo sulla mia sfortuna “amorosa” ^^”!!! Il riferimento a persone o fatti
è puramente casuale e i protagonisti sono frutto della mia invenzione!! Non
dico molto se non che è un pochetto
malinconica…buona lettura!!!
My tears
Sembra ieri che il sole splendeva sulla mia vita,
ieri che, pieno d’aspettative, guardavo al futuro con occhi speranzosi. Amavo quell’esistenza
piacevole, amavo la routine che muoveva le mie giornate, amavo svegliarmi la
mattina e non sapere cosa mi sarebbe successo di lì a poche ore. Ma adesso tutto è cambiato, quella guerra,
che prima era lontana, si è infilata violentemente nelle nostre vite
sconvolgendole, separandomi da tutto ciò che di più caro avevo. Ricordo ancora
quella mattina a scuola, quando tutto cominciò: ero al quinto anno del liceo,
eccitato all’idea di poter, finalmente, frequentare l’Università e dare un significato
alla mia vita, quella stessa vita che adesso viaggia alla deriva su una piccola
nave rotta dalla violenza delle onde del destino. Ricordo il boato assordante
delle esplosioni, il tetto che crollava poco lontano da noi, le urla strazianti
dei miei compagni, le pozze di sangue sul pavimento e il suo sguardo,
agghiacciato dal terrore, volto a guardare i suoi amici riversi a terra, poi
più niente…le immagini si sovrappongono sulla mia mente. Da quel giorno non
l’ho più rivista, lei che tanto amavo, lei che osservavo di nascosto durante le
lezioni e che mi allietava le giornate con la sua allegria; non riesco a
ricordarlo quel suo sorriso speciale, ogni volta che ci penso mi affiorano
nella mente i suoi occhi colmi di paura e lacrime. La guerra divagò così tanto
che decisi di andarmene, non era più possibile vivere nella mia città, non
c’era lavoro, né cibo, né sicurezza così, con una sola, misera valigia, salii
sul primo treno in partenza…
Sono trascorsi tre lunghissimi anni e mi pare
strano ritrovarmi a camminare di nuovo per queste strade, tutto è cambiato,
distrutto dalla fame e dal dolore, ed anche se la città è la stessa, nessuna
vernice potrà mai nascondere ciò che è passato di qua. Le case paiono
raccontare, attraverso le macchie sulle mura, gli orrori commessi al loro
interno, la gente cammina, di negozio in negozio, con espressione vacua e a
passo svelto, sembra che ad ogni cosa sia stata strappata via l’anima, è come
trovarsi in un mondo fittizio mosso per inerzia dalle macchine. Asciugo una
lacrima che è inevitabilmente scesa dai miei occhi, nel vedere come si è
ridotta questa città, e mi fermo ai piedi di quella che, tempo fa, era casa
mia…i muri, alti e scrostati, rivelano qua e là il loro originario colore crema
chiaro, scritte offensive in nero si fanno spazio sugli angoli del portone e le
finestre sono ben chiuse come se, così facendo, potessero impedire alla
malinconia di entrarvi. Assorto nei miei pensieri, vengo interrotto dalla vista
di un vecchio signore che esce barcollando dal portone, mi avvicino per
chiedergli informazioni ma, burbero, mi precede esclamando un “Hai sbagliato
strada mascalzone che non sei altro! Devi andare due isolati più in là, qui non
hai da fare niente capito?! Ed ora va via, non ho voglia di parlare con te!!!”
e se ne va borbottando insulti contro gli americani. Chissà cosa voleva dire?!
Decido di scoprirlo e m’incammino verso il luogo indicatomi, con le mani ben
sprofondate nelle tasche dei pantaloni. L’aria si è imbrunita e nel cielo
cominciano ad apparire le prime stelle, mentre l’umidità mi penetra nelle ossa
gelandole e ricordandomi la dura realtà in cui mi trovo. Appena giunto a
destinazione le parole dell’anziano mi si fanno subito chiare in testa:
prostitute d’ogni età stanno in piedi, o sedute, sul ciglio della strada
lanciando provocazioni a chiunque passi di là; incredibile a cosa porta la
fame! Scorgo qualche viso noto, ma loro, per mia gran fortuna, non mi
riconoscono…faccio ancora qualche passo, osservando il modo in cui sono
ridotte, e il sangue mi si gela nelle vene alla vista di ciò che ho davanti,
lei, Erika, è lì appoggiata ad un palo che mi fissa ad occhi sbarrati. Indossa
una minigonna in jeans scolorita e un paio di stivali neri che lasciano
scoperte le lunghe gambe avvolte da un paio di calze a rete, i capelli ricci
sono sciolti e le ricadono sulle spalle, mentre una maglia nera aderente lascia
vedere, in modo assai provocante, l’incavo dei suoi seni. Penso tra me e me a
quanto sia bella osservando i suoi occhi, contornati da una spessa linea di
matita, che si spostano ripetutamente dal mio volto alle mie mani…pare
spaesata, impaurita, così decido di avvicinarmi per parlarle, ma lei cambia
repentinamente atteggiamento. Prima che possa dire qualunque cosa, mi getta le
braccia al collo sensualmente e mi sussurra all’orecchio “Chiedimi quanto
voglio e portami via da qui….ti prego”. Nonostante la vicinanza del suo corpo
mi dia i brividi, riesco a cogliere il tono stanco e triste della sua voce così
ci accordiamo su un prezzo fittizio e ce n’andiamo tenendoci per mano, ma, una
volta svoltato l’angolo, anche quel contatto cessa. Durante tutto il tragitto
non apriamo bocca, limitandoci a camminare sotto i colpi del vento, lei con le
braccia incrociate sul petto ed io con le mani rigorosamente nelle tasche dei
pantaloni. Ci dirigiamo silenziosamente verso il mio vecchio appartamento,
coscienziosi entrambi di ciò che ci aspetta…non appena apro la porta un odore
acre di muffa mi assale assieme ad un senso d’abbandono e malinconia; tutto è
come l’ho lasciato, coperto solo da uno strato di polvere e calcinacci qua e la
sul pavimento. Rimaniamo immobili qualche istante, indecisi sul da farsi, poi
prendendo qualche cuscino, lo posiziono ai piedi del divano invitandola a
sedersi; lei esita, timorosa, ma alla fine si rilassa e si accomoda mormorando
un “grazie” sommesso.
Per spezzare la tensione che ci separa vado in
cucina a preparare due caffé con qualche avanzo trovato nella dispensa, passano
alcuni minuti in cui tendo l’orecchio verso il soggiorno ma di lei, nessun
rumore, così trono di là con le due tazze fumanti. Erika è seduta nella stessa
posizione in cui l’ho lasciata e si guarda nervosamente le mani, giunte in
grembo, le porgo il suo caffé e lei, per la prima volta, mi regala un timido
sorriso che le illumina il bel volto arrossato dal freddo. La guardo negli occhi,
quegli occhi nocciola così grandi e profondi, e attendo che sia lei a parlare
per prima…
“Sei stato via molto tempo” mi dice piano, io
annuisco, lei beve un sorso e prosegue “Sono morti tutti sai Mirko?! Uno ad
uno, stroncati dalla guerra e dalla fame, li ho visti spegnersi davanti ai miei
occhi ed ogni volta era come se mi strappassero via un pezzo di me. Più
passavano i giorni e più non riuscivamo a procurarci cibo e medicine
sufficienti per sopravvivere, alla fine mi rimase solo Virginia, la mia migliore
amica, te la ricordi?! Tentai di tutto per curarla, ma non c’erano medici
disposti ad aiutarmi così mi presi cura io di lei usando ogni mezzo possibile
e, quando morì, mi sentii strappare qualcosa via dal petto, fu come morire
assieme a lei” una piccola lacrima cade sul cuscino, si asciuga il volto poi
sospira e continua “ho pianto così tanto da potermi bastare per tutta la vita.
Mi chiusi in casa, sola col mio dolore, ma le scorte di cibo durarono pochi
mesi così fui costretta a trovarmi un lavoro…purtroppo, però le occupazioni
scarseggiano durante le guerre, così mi ritrovai sulla strada. Per tutti questi
anni ho pregato Dio in ogni modo di farti tornare! Eri l’unico rimasto e non
volevo credere di aver perso anche te…” alza gli occhi e mi fissa “Mi sono
sentita così sola Mirko! Sola e persa in un mondo orribile….e tu non c’eri…”.
Di colpo comincio a rendermi conto dell’inferno che ha passato in quegli anni e
il suo dolore me lo sento cadere sulle spalle come fosse un grosso masso…Dio ma
perché l’ho lasciata?! Mi sento terribilmente in colpa! Sono fuggito come un
vigliacco abbandonandola a lottare contro un mondo troppo crudele. Insicuro e
vacillante le afferro una mano e tento di rassicurarla “Ma adesso sono qui e
non ti lascerò più sola…perdonami, non me ne sarei dovuto andare”; all’udire le
mie parole pare calmarsi, ma poi comincia a tremare, “Non voglio tornare sulla
strada! Non resisto più…tu non sai che mi fanno…non voglio” continua a
ripetermi stringendo convulsamente la mia mano; la spingo dolcemente verso me e
l’abbraccio per la prima volta nella mia vita. “Non ci tornerai Erika, te lo
prometto” le sussurro tentando di convincere entrambi che, forse, assieme
riusciremo ad uscirne. Rimaniamo in quella posizione per qualche minuto, lei
poggiata al mio petto ed io che le accarezzo i capelli, come si fa con una
bambina che si è appena svegliata da un incubo…a mano a mano che il tempo
scorre il suo respiro si fa più regolare, alla fine si calma e la sento
sussurrare “E tu? Cos’hai fatto in questi tre anni?”. Prendo fiato “Niente d’interessante,
davvero…” non voglio farle pesare di essere stato più fortunato, ma lei mi
sprona così proseguo titubante “Bèh, ho viaggiato per lavoro…” le dico “sono
stato in Francia…” all’udir queste parole Erika s’illumina di colpo,
“Davvero?!” mi chiede “E com’è? Descrivimela per favore”. Decido di
assecondarla e le racconto del Notre Dame, della Torre Eiffel, del Moulin
Rouge…lei mi guarda incantata e alla fine esclama “mi piacerebbe vederle…” “Ti
ci porterò” azzardo io “appena possibile”. Che importa se non sono sicura di
poter mantenere la promessa?! Mi basta vedere il suo sguardo felice per star
bene, i suoi occhi sognanti sono preziosi, per me, più di qualunque gemma…mi
ringrazia ed io la stringo forte a me godendo appieno della sua presenza. È
così esile tra le mie braccia che ho paura di ferirla con ogni gesto che
compio, Dio quanto mi è mancata!! Il profumo di vaniglia dei suoi capelli m’inebria
i sensi fino a stordirmi, “Per tutti questi anni!” butto fuori improvvisamente
“ho cercato tue notizie ovunque…mi sei mancata…” sospiro e non riesco a
trattenere le lacrime che cominciano a pungermi fastidiosamente gli occhi. Lei
si stacca da me e mi fissa spiazzata dalla mia reazione, mi sento un idiota,
avrei dovuto confortarla ed invece mi sono messo a piangere come un bambino!!
Abbasso lo sguardo vergognandomi della mia stupidità, ma lei mi poggia una mano
sotto il mento e mi costringe a guardarla…il rossetto è sbiadito sulle labbra
carnose e l’eye-liner è lievemente colato ai lati degli occhi, ma è bella
ugualmente, anche segnata dal dolore di una vita che non ha chiesto e che non
si meritava. Mi riscopro a pensare a quanto è diventata donna durante questi
pochi anni e mi accorgo di desiderarla come il primo giorno in cui l’ho vista,
come un ragazzino innamorato…lei si avvicina e mi asciuga col pollice una
lacrima sfuggita al mio controllo. Non appena ci rendiamo conto della poca
distanza che separa i nostri visi, arrossiamo leggermente ma. Prima che lei
possa allontanarsi, le catturo le labbra con le mie. Ci baciamo, dapprima con
leggerezza, poi con sempre più passione e desiderio intrecciando le nostre
lingue in una danza senza sosta…le sue mani affondano nei miei capelli, mentre
si lascia sfuggire un gemito dalle labbra. Sempre baciandoci cominciamo a
spogliarci a vicenda e, quando anche l’ultimo capo è finito sul pavimento, ci
stacchiamo per guardarci…il suo corpo è così candido e perfetto, lì davanti ai
miei occhi, che mi sento montare addosso una rabbia feroce e folle verso coloro
che l’hanno violato senza permesso. La prendo per le spalle e la faccio
stendere, con delicatezza, sotto di me, mentre continuo a riempirla di baci
sulle labbra, tra i seni, sulle palpebre, assaporando il gusto delicato della
sua pelle, ad un certo punto Erika mi guarda con una strana luce negli occhi ed
io capisco che è pronta. Timoroso ed impacciato, poiché consapevole di esser
vicino ad avere ciò che ho sempre desiderato, la penetro dolcemente…facciamo
l’amore con trasporto e desiderio, riversando nell’altro tutte le nostre paure,
i nostri dolori e piangendo tutte le lacrime represse. Lei si muove con
esperienza sotto di me, pare impegnata in una danza priva di melodia e, quando
giungiamo simultaneamente al culmine del piacere, lascio uscire dalle mie
labbra un gemito che si va a spegnere sul suo collo. Esausti ma felici, ci
sdraiamo su un fianco in mezzo alla polvere di quella casa colma dei miei
ricordi, tra i cuscini consunti e l’odore acre della polvere da sparo; lei
sospira guardandomi e mi sorride con una dolcezza infinita. “Non mi sono mai
sentita così viva in tutta la mia vita” mi dice piano, colpito dalle sue parole
l’abbraccio con foga, stringendola forte come se potesse scivolarmi via dalle
mani. Ho trovato in lei il mio passato, presente e futuro; lei che ho sempre
temuto di perdere, lei che ho abbandonato in mezzo al dolore e che mi ha
aspettato in silenzio, lei così fragile, che ha combattuto la morte con una
forza incredibile. “Ti amo” le soffio tra i capelli…la sento sorridere sul mio
petto, “Ripetimelo ancora” mi dice alzando la testa per guardarmi negli occhi,
la bacio lievemente “Ti amo…” le ripeto spostandole un boccolo castano dietro
le orecchie. Lei mi stringe forte il petto sussurrandomi “Anch’io…” mentre fuori
della finestra sorge l’alba di un giorno che, sento, sarà diverso dagli altri;
sì perché ora so che, assieme, forse riusciremo a superare il dolore, così mi
addormento, cullato dal suo respiro regolare e caldo, contento di aver,
finalmente, trovato la pace…
Allora?!?!? Che
dite me la lasciate una recensioncina?! Per favore!!! Anche piccola piccola, giusto per sapere se posso continuare a scrivere
storie qui su Efp o se mi conviene ritirarmi…siate
sinceri!!! Grazie mille….Mione14