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Autore: HurriMeme    16/04/2012    1 recensioni
Di cosa parla questo racconto? Zombie.
Vi dico subito, che sono una principiante, quindi perdonatemi per eventuali errori obsoleti.
Per il resto, siete invitati ad immergervi nella vita di Alan, che potrebbe sembrare nulla di speciale...ma di certo, non sarà la vita di tutti i giorni
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Spazio Autrice.

Di solito va messo alla fine del capitolo, ma volevo precisare alcune cose.
Questa è in assoluto la prima cosa che pubblico, non è la prima che ho scritto, ma è la prima che può essere etichettata ''decente''
Perdonatemi per eventuali errori.
Vorrei le vostre recenzioni positive, ma soprattutto negative, in modo che io possa migliorare. Prendetelo come fosse un consiglio, ecco.
Il titolo di questo racconto, è una frase tratta da Sherlock Holmes. (mio punto debole.)
Non tutti i capitoli saranno così lunghi, anzi credo che questo sia esageratamente lungo, ma rileggendo tutto ciò che ho scritto non riuscivo a trovare una parte giusta dove ''staccare'' un attimino. :)
Mi scuso anche per questo, dato che sembrerà un po' noioso.
Per il resto, di personale...niente, ho semplicemente 15 anni, mia madre adora scrivere, e mi ha sempre invitata a provare, anche se ovviamente, lei non saprà mai nulla. Mi vergogno molto di pubblicare una mia storia a dire il vero, è un po' come Gordie, personaggio del racconto di Stephen King Stand By Me, '' la scrittura è una cosa intima, un po' come la masturbazione'' beh ecco, detto proprio papale papale :)
Per chi si aspetta cose esageratamente violente, perdonatemi, ma non ci sarà nulla di ciò, niente spargimenti esagerati di sangue, solamente qualche zombie penzolante e qualche cervello spappolato. Forse, più in la... :)







Quel giorno Alan si alzò dal letto maledicendo quella giornata.
Non perché fosse piena d'impegni, ma perché era solamente una giornata delle tante, di quelle che, vivi o non vivi, non fa nulla.
Di quelle dimenticate, inutili, messe nei cassetti dei ricordi persi, o da perdere.
Un bacio in fretta ad Emily, sua moglie, e un cenno ad Anne e Chris, i suoi figli.
A questo punto, arriva il momento di descrivere Alan, la sua vita, e il suo lavoro, ma veramente, non è nulla di molto interessante, tutto già visto, tutto così banale.
Una moglie carina di nome Emily, e due figli, Anne e Chris; Anne, una bambina di 9 anni dalle buffe trecce bionde e le guance rosse e tonde, come due piccole mele, fissata da sempre con i Gufi. Chris, descritto dalle professoresse ‘’L’ennesimo ragazzino disagiato, contro tutto e tutti.’’ Ma Alan lo sa che ciò che pensano realmente è ‘’Tenterà il suicidio verso i 21 anni, o forse prima. Forse in Galera, forse in stada.’’ diciamo che Chris non  era un ragazzo che suscitava gioia....e il suo odio per la scuola, rendeva il tutto più difficile.
Oltre la scuola, non amava neanche la sua casa, la sua famiglia, i suoi ‘’amici’’ e anche la sua vita.
Ma Alan, ormai si era arreso.
Così, uscì da casa con ancora un pezzo di cornetto in mano e in bocca il sapore del caffè, che sua moglie proprio non riusciva a capire come farlo.
Per questo motivo buttò il pezzo di cornetto nel giardino della vicina, una vecchia inacidita che nonostante la sua notevole età riusciva a sentire benissimo pettegolezzi di ogni tipo, di cui l'80% falsi.
E come se non bastasse, a renderla ancora più odiosa, era il suo amore sproporzionato per un cane di merda, un chihuahua insopportabile, che non riusciva a tenere quella bocca chiusa un attimo.
Il cane addentò subito il cornetto.
Alan decise di entrare nel Bar dove si ritrovava ogni mattina.
''Ehi Jessie, un caffè e un cornetto con marmellata... se c’è.'' Jessie era la Barista del Bar dove si ritrovava quasi tutte le mattine. Jessie era una ragazza carina, amante del Rock, quel giorno indossava una maglietta dei Beatles.
''C’è sempre un cornetto alla marmellata per te, Alan.'' Gli fece un sorriso, e notò che in fretta e in furia entrò Bill, il capo del locale
''Jessy, quante volte ti ho detto di metterti la divisa? Non è brutta, ti sta bene, ne sono certo, ma ti prego, mettila. Ormai i clienti si chiedono chi ci sia a servire i tavoli, ti confondi con i clienti, lo vuoi capire?''.
Jessie fece si con la testa, ma non gli diede molta importanza, le sue attenzioni, erano rivolte al televisore, come tutti all’interno del Bar.
Quella giornalista, sudata, stressata, preoccupata, con voce affannata cercava di mandare avanti il servizio;
''PRESTO SARà CODICE ROSSO, QUI IN GERMANIA ORMAI è UNA VERA E PROPRIA EPIDEMIA.
MORTI CHE SI RISVEGLIANO, PERSONE MANGIATE VIVE, INSOMMA, VERI E PROPRI ZOMBIE. SAPPIAMO CHE è UNA COSA INCREDIBILE, MA TUTTI NOI VI PREGHIAMO DI CREDERCI, E ASSOLUTAMENTE CONSIGLIATO DI NON USCIRE DI CASA, O TORNARCI IMMEDIATAMENTE. SONO GIà 23 I CASI IN SOLAMENTE DUE ORE, SEMBRA CHE, QUESTE ‘’PERSONE’’ SE COSì SI POSSONO DEFINIRE, MUOIANO DEFINITAVENTE SOLO DOPO UN COLPO SECCO AL CERVELLO, QUESTO è TUTTO PER ORA, VI TERREMO AGGIORNATI, MANDO LA LINEA ALLO STUDIO.'' Stupore? Terrore? Spavento? No, nulla di tutto ciò. La notizia, entrò dall’orecchio sinistro per uscire da quello destro.
''Questi simpaticoni del TG ci stanno facendo un bellissimo scherzo di Halloween. Credono davvero che ci spaventiamo alla parola Zombie? Pronunciata il 31 Ottobre? Ma per favore..'' e il vecchio Sam, dopo una risatina isterica, tornò a bere la sua birra.
 Beh, mandare il onda un servizio di questo genere, il giorno di Halloween, non era stata un ottima idea.
Finì il suo caffè, e andò a pagare.
''Il conto, per favore''
''Ecco a te, un euro e 80 centesimi.'' Jessie fece una piccola pausa per battere lo scontrino e continuò
''Allora, che ne pensi? Dico, zombie...non è assurdo?''
''Jessie,  credi a queste stronzate?''
''Sul web questa notizia sta spopolando, si dice che i morti siano saliti a 50 in...mezz’ora.''
''Il web, Jessie, è solo un mucchio di spara cazzate e di pesci che ci credono...fidati, puoi dormire sonni tranquilli'' e dopo averla salutata con un occhiolino, si affrettò a prendere la metro.
Non si poteva nascondere il fatto che, in città c’era una certa elettricità; erano tutti più indaffarati, tutti che correvano, tutti con il fiato sul collo.
La metro era piena zeppa, a malapena riuscì a scendere alla sua fermata.
Entrò nel suo ufficio, non fece in tempo a posare la 24ore che squillò subito il telefono.
''Alan, sono Emily, sbrigati torna a casa. Non tira una buona aria qui fuori. La...la gente è strana...e al TG parlano di un virus...che...Ti prego, torna.''
''Emily dannazione, quanti anni hai? è Halloween, il TG ci vuole fare uno scherzo, ti prego, sono appena arrivato e mi aspetta una giornata terribile, non farmi pensare che sei in pensiero per me, ok?''
''Tu non capisci, non c’è nessuno scherzo, dannazione Alan, è la verità, c’è qualcosa! Chris e Anne sono a casa, sono andata a riprenderli a scuola. Ti pre..'' Alan non riuscì a sentire, interrotto dall’entrata di Carol, la sua segretaria.
ììSenti emily, devo andare, tornerò stasera, non c’era bisogno di andare a prendere Chris e Anne.''Emily iniziò a piangere.
''N...non piangere, ti prego. Ti amo, ok?''
''Ti amo anch’io'' Prima che potesse pronunciare altro, riagganciò il telefono.
''Scusa Carol, dimmi..''
''C’è un codice rosso in sala 13, non c’è tempo, deve aiutarci subito''
''Ma, carol, la sala 13 non è di mia competenza. La Sala 13 è al comando di Dave...non posso operare io.''
''Dave si è lincenziato subito dopo aver letto la cartella del paziente. Ha lasciato tutto qui, non ha preso nulla, in un secondo era nel sedile della sua auto a sfrecciare verso casa. Non ho idea di cosa gli sia preso.''
'' LICENZIATO? Non è possibile, Dave vive per il suo lavoro.'' Dave era il suo migliore amico. Un uomo forzuto, ma molto, molto fragile. A buttarlo giù moralmente ci voleva davvero troppo poco.
''Senti, il paziente sta delirando, è un codice rosso, vuoi smuovere il culo e operare o lasciar morire quel povero uomo?'' Senza pensarci troppo prese il suo camice e si pulì in fretta le mani, e a passo svelto andò verso la sala 13. In ospedale era come se fossero tutti impazziti, i medici correvano da una parte all’altra, evidentemente avevano più operazioni da fare. Dal cartellone vide che metà dei medici erano in servizio.
L’altra metà ancora non entrava. Eppure di solito erano tutti in perfetto orario. Per sbaglio scontrò un medico che non guardava dove stesse andando, concentrato sulla sua cartella.
Non lo degnò neanche di uno ‘’scusa’’, ma lo riportò sui suoi pensieri.
''Allora, cosa gli è successo?''
''è...è stato morso.'' lo disse con un tono indeciso, come se non sapesse cosa stesse dicendo.
''Morso? Cos’è una presa per il culo questa? Diamo codice rosso anche per un morso? '' Non fece in tempo ad aprire la porta della stanza, che trovò un uomo agonizzante, sdraiato sopra la barella. Era un uomo sui 40 anni. Dalla tuta che aveva, si intuiva che fosse un operaio.
''Santo Dio...'' Alan riuscì a sussurrare solo queste due parole alla vista di quel morso, che aveva staccato una parte abbondante del bacino dell’uomo.
L’uomo non aveva ancora perso conoscenza, mentre Alan preparava un sedativo, per avviarsi all’operazione, provò a chiedergli chi l’avesse ridotto così.
''Che animale ti ha fatto questo? Un...orso...un cane di grossa taglia...?''
''No si....signore...è...è  stato un ragazzo''  Alan capì che non era più lucido.
'' Come ti chiami?''
''Joseph...mi...mi chiamo Joseph, s-salvati....non...non c’è tempo....è la f-fine''
''Senti,  ora non sforzarti a parlare e chiudi gli occ....'' Alan non fece in tempo a finire la frase che il fiato affannato dell’uomo finì.
Chiuse gli occhi, per un eterno riposo.
Alan non sapeva cosa dire, fare, pensare. Come aveva potuto essere stato così idiota da non sbrigarsi? Da non capire che avrebbe dovuto agire subito per fermare l’emorragia. Si levò i guanti e con rabbia li lanciò sul lettino.
''Ore del decesso...12 :27.'' è difficile da capire ma, per un medico, la cosa più brutta è perdere un paziente.
Un cuoco, si sente deluso se un cliente porta indietro il suo piatto, e proverà a rifarlo, rimediando.
Una sarta, può sbagliare un punto, e con calma e pazienza, cerca di rifarlo, rimediando.
Ma un medico, non può rimettere nulla a posto, dopo aver combinato un errore. E l’errore di Alan è stato quello di prendersi più calma possibile, credendo che non fosse nulla di che.
''Mi dispiace, Alan, lo so, lo capisco...è brutto quando muore un paziente ma tu...non potevi farci nulla...''
''Risparmiami la tua pietà, questa volta non c’è una scusa. Ho creduto fino all’ultimo che non fosse nulla di grave, ho creduto che ci fosse stato tempo. Non c’è stato, ed....ed è morto.'' Sbattendo la porta, Alan si rinchiuse nel suo ufficio, i pensieri incominciavano a volare, la confusione era troppa, c’erano troppe domande e troppi pensieri.
E se fosse tutto vero?
Perchè quelle notizie al giornale, perchè c’era quell’aria di agitazione, perchè quell’uomo morto per colpa di un morso...procurato, stando alle sue parole, da un umano?
Alan non sapeva darsi delle risposte.
Entrò Carol, con un espressione di dispiacere.
''Mi spiace ma...devi riprenderti, abbiamo altro lavoro, oggi, non so se hai notato, ma pochissimi sono in servizio. Ho chiamato a casa il capo ma..ha risposto la segreteria.''
''Ho notato dannazione. Dimmi Carol, chi ha chiamato per soccorrere il signore? Ha chiamato lui?''
''No, abbiamo ricevuto la chiamata da una voce femminile, ma quando siamo arrivati sul posto c’era solo lui. ''
''Non c’era nessuno che può dirci come è andata la storia?''
''Ma...Alan, questo è un problema della polizia, di certo non tuo. E poi è un quartiere abbandonato da anni...ci sono solo prostitute e spacciatori, appena sentono una sirena corrono via. Non trovi nessuno, anche gli uccellini si rifiutano di cantare in quel posto, gli fa troppo schifo.''
''E lui, che ci faceva?''
''Alan...ma cosa ne posso sapere io? Posso solo dire che in una tasca dei suoi pantaloni è stata ritrovata un sacchetto di cocaina. E così le cose si collegano, ma ti ripeto, sei un capo reparto, non un poliziotto, torna al tuo lavoro prima di perdere altre vite.''
Carol fu molto irritata da tutte quelle domande, se ne andò sbattendo la porta.
Forse lei non capiva la gravità della situazione, o farse era solo lui a farsi troppi film, ma ebbe una risposta chiara quando sentì un suo urlo, la sua immaginazione lo portò a pensare che avesse di nuovo buttato a terra tutte le fialette di sedativo che aveva prima in mano.
Ma no, quello era un urlo di terrore, si riusciva a percepire il dolore e soprattutto la paura che c’era dentro.
Corse ad aprire la porta, con ancora in mano la penna e la cartella del paziente, e lo spettacolo fu quello di un film Horror o di un libro di Stephen King.
''Che cazzo...'' Inutile descrivere lo stupore nel suo volto, o la paura che lo assaliva, che lo divorava. Notò Carol a terrà, sanguinante; La sua lunga coda di capelli castani era completamente impiastricciata di sangue, e dietro al collo, un grosso morso.
Il signore di prima, Joseph, era risorto, ma con qualche imperfezione.
Un colorito verdastro, rugoso, come se fosse stato a mollo in un lago per settimane.
Nonostante il foro nel bacino riusciva a camminare, ma non a correre. Alan lo notò quando, in un nanosecondo, tentò di scappare verso le scale; camminava lentamente, ma camminava e qualcosa gli diceva che non voleva dicerto andarsi a prendere un caffè al bar di sotto.
Non aveva più dubbi, le notizie del telegiornale erano reali, e quella giornalista disse che il loro unico punto debole era il cervello.
Alan sperò che quella bic mordicchiata fosse abbastanza appuntita da sfondargli il cranio in due.
Mentre prendeva la ricorsa per sfondare il cervello di quella ‘’cosa che cammina’’, il tempo si era quasi fermato; per un secondo Alan non sentì più le urla di medici e pazienti, sentiva solo il bisogno di salvarsi il culo.
''STRONZO BASTARDO,  PRENDI QUESTO!'' era come impazzito, la sua serietà e regolarità era andata a puttane,  non pensò che quell’essere non poteva neanche sentirlo, molto probabilmente.
Quando fu certo di avergli spappolato il cervello, si buttò a terra, appoggiando la schiena sul bancone del salone.
Non c’era più nessuno; quel momento era durato un eternità. Era diventato un ospedale abbandonato da Dio e da gli uomini. Cartelle mediche a terra, fogli calpestati, medicinali a terra, vetri rotti, cadaveri di cui erano rimasti quasi solo le ossa.
Sentì dei rumori provenire dalle scale, forse avevano mandato dei ‘’rinforzi’’ o forse erano altri..zombie?
Gli suonava così assurdo dire la parola Zombie, era così impossibile.
Alan si alzò, prese il coltellino che utilizzava per le operazioni e lo impugnò, prese anche la sua 24ore.
Con cautela, senza far rumore, cercò di avvicinarsi alle scale per vedere se ci fossero zombie o se, quei passi erano di una persona umana.
I riflessi di Alan però lo ingannarono, e si lanciò con il coltellino, e per pochi istanti ebbe paura di aver tagliato in due la testa di un essere umano.
''Hey amico, calmati, sono vivo, non vedi!'' Alan tirò un sospiro di sollievo, vedere qualcosa di umano era come dargli la certezza che non era in un incubo.
''Scusa credevo che fosse...'' Non gli dette il tempo di concludere.
''Lo capisco, è un inferno lì fuori, non si esce, quelli che son scappati credendo di potercela fare, hanno solo aumentato il numero di zombie la fuori, comunque piacere, Simon.'' Questo simon, era un ragazzo cicciotello, con un po’ di barba, ma sembrava un tipo simpatico e anche in gamba.
''Alan, piacere mio...senti, non, non ho idea di cosa stia succedendo...tu che ci fai qui?''
''Ecco, devi darmi una mano. Devo trovare mia madre. Vedere se sta bene, tu sei un medico, me lo ricordo, anche se tu non ti ricordi di me. Sei stato tu ad operare mia madre Linda.''
''Linda...Linda Accursio? La signore malata di cancro al seno?''
''Si, si è lei! L’hai vista?''
''No..però posso dirti dov’è la sua stanza, seguimi''
''Grazie fratello, te ne sono grato.''
Alan corse verso la stanza 17, la fortuna volle che fosse al piano di sopra, quindi era richiesta l’attenzione al massimo...ma l’attenzione di Alan, si fermo sul corpo, ormai senza vita di Carol.
Carol era una grandissima stronza, ma gli voleva bene...e per questo motivo, non voleva vederla ridotta come una di quelle merde.
''Aspetta un attimo.'' Alan prese il suo coltellino, lo aprì, e facendosi forza, lo puntò sulla testa di Carol.
''Ci tenevi, lo devo dai tuoi occhi...mi spiace.'' Quell’uomo era riuscito a capire; qualsiasi altra persona al suo posto gli avrebbe urlato contro, e invece Simon non fiatò, rigido come un blocco di marmo dietro ad Alan si limitò a guardare la scena.
''Prendi questo'' E Alan gli porse un altro coltellino.
''Bisogna stare attenti, tua madre è al piano di sopra, prenderemo le scale perchè l’ascensore non è sicuro, potrebbe esserci un orda di zombie la sopra e...non avremmo tempo per difenderci, occhi aperti, ok?''
''Ok'' Salirono le scale con estrema attenzione. Mentre saliva Alan lanciò  uno sguardo alla finestre.  Lì fuori era l’inferno...non aveva idea di come sarebbe potuto uscire.
E Emily? Anne? Chriss?  Come stavano? Alan sperò solo che non fossero li in mezzo, a sbandare e sbavare come quei mostri la fuori.
''Amico, non urlare o cose del genere, parla  a bassa voce. In TV hanno detto che hanno un udito 30 volte più sviluppato del nostro, il minimo rumore, scattano'' Simon lo informò. Alan in effetti non aveva la minima idea di cosa stesse accadendo realmente, cos’era, se c’era una cura. Per tutta la mattinata non aveva prestato attenzione a tutte le notizie che parlavano di Zombie su internet,  pensando fosse solo una marea di cazzate, e beh, si c’erano urla e botti, ma cosa ci si aspetta  a Dallas?
E invece  tutto si era  ribaltato nella vita reale, i mostri sono usciti fuori dalla TV, fuori dai libri, e si sono catapultati nella realtà.
Alan ritornò alla sua missione solo grazie ad uno Zombie che stava mangiando letteralmente Paul, un medico pieno di se e rompicoglioni; Alan non provò rancore o tristezza, anzi gli dispiaceva rovinare il pranzetto a quello Zombie. Non poteva che ricordare la scena di poche settimane fa, quando Paul  si vantava del suo nuovo macchinone; senza pensarci Alan disse ‘’oh, te lo sei comprato con tutti i soldi che rubi ai tuoi clienti?’’ e da li, l’odio di Paul, già molto grande, diventò un vero e proprio detestarsi a vicenda.
Sembrava di più una scena da Liceo, invece erano tutti uomini grandi e grossi.
Simon fece due passi, in completo silenzio e piantò una coltellata nella testa di quello Zombie.
Dalla sua veste riconobbe che quello zombie era Sara, una ragazza di 16 anni ricoverata lì dal 2 Marzo, per un cancro.
Alan non poteva che incazzarsi a pensare quanto era stata ingiusta la vita di quella ragazza.
''Pss, Simon, di qua''
Simon aprì piano la porta. Di sua madre non era rimasto altro che poche ossa, il resto era nella pancia di qualche zombie.
Il volto di Simon  speranzoso, non cambiò. Tutte le espressioni che un umano normale poteva fare in certe situazioni, Simon non le faceva.
''Cazzo...me lo aspettavo. Ora cerchiamo di salvarci il culo, amico''
''Scusa, non ti dispiace neanche un po’?''
''Allora, voglio che tu capisca bene cosa c’è li fuori; il nulla. è tutto finito, la normalità non tornerà , mai più, ok? Tutte le persone che conoscevi molto probabilmente sono morte. Bisogna che questo tu lo accetta subito, e se non ci riesci sei libero di crollare e farti mangiucchiare da uno Zombie.
Oppure...''  Fece una pausa.
''Oppure cosa?''
''Oppure combatti, amico.''
''E come possiamo combattere, sono di più di noi, insomma ho dato un occhiata dalla finestra e...cazzo...siamo sommersi''
''Esatto. Vuoi che te lo ripeta? Combatti o Crolli?''
''Combatto, diamine.''
''Questo è lo spirito giusto, andiamo, cerchiamo una via di fuga da questa gabbia per topi''
Simon scese le scale fino ad arrivare al secondo piano, Alan lo seguì a ruota.
Si affacciò alla finestra e disse con decisione
''Hai mai fatto bungee jumping?''
''Simon, cosa intendi fare?''
'' Un saltino, niente di che, vedi quel pick up rosso? Si, è il mio bambino, dietro ho un po’ di cibo, credo che ora verrà schiacciato.''
''Siamo al secondo piano cazzo Simon, moriremo schiacciati al suolo''
''Secondo te io sono scemo? L’ho messo in modo che possiamo caderci perfettamente, avanti, lo so che non sono un tipo atletico, quindi ho sfruttato la mia logica, e l’esperienza di anni e anni nei videogiochi di Zombie, per  salvarmi il culo, in questo caso, salvarci.''
''Sei...sei folle.''
''Si, e spero che la mia follia ci salva il culo, dato che quelli che sono al primo  piano stanno per arrivare per farsi uno spuntino.'' Nel frattempo che parlava aprì la finestra.
''Senti, allora, il trucco sta nell’ rotolare sulla tenda del bar, quello è fondamentale, vai prima tu, queste sono le chiavi, te l’ho detto, non sono un tipo atletico...se dovesse andar male, almeno ti salvi il culo''
''Se dovesse andar male, scendo e ti faccio salire con la forza su quel fottuto furgone, chiaro?''
''Sei un amico. Ma ho qualche chilo in più di te'' E facendo l’occhiolino lo spinse verso la finestra
Era alquanto insolita come cosa. Insomma, non aveva mai fatto pratica in caso di ‘’inondazione di zombie’’
Si rotolò sul tendone del bar e atterò dentro il pick-up, gli zombie lo capirono e infatti posarono gli occhi su di Alan.
C’erano un mucchio di zombie ammassati intorno ad un auto nera molto grossa. Sopra il tettuccio dell’auto c’era Jessie, che cercava di non fari divorare.
Alan entrò, dopo un po’ di minuti sentì un tonfo e  capì che per fortuna Simon era dentro.
''Senti Simon, dobbiamo fare un attimo una cosa, metti in moto, vai verso quell’ammasso.''
''Non ho idea di cosa tu voglia fare, ma ci sto.''
''Grazie, amico.''Alan non era molto abituato a dare ‘’dell’amico’’ ad uno sconosciuto, ma Simon gli stava davvero simpatico.
'' Allora, ora che dobbiamo fare?''Alan abbassò il finestrino e gridò
''Jessie, salta!''Gli fece delle mosse per dirgli di sbrigarsi, e si decise a saltare.
Jessie per poco non fu morsa, ma per fortuna, gli zombie non erano molto intelligenti, quindi non pensavano a saltare per acchiappare Jessie, si limitarono ad alzare le braccia sperando di prenderla, ma non ci riuscirono.
Dovettero però sfrecciare velocissimamente, perchè Jessie non fece in tempo ad entrare dentro, ma rimase dietro nella parte aperta, sdraiata nel cassone, cercando di non farsi vedere dagli zombie.
Simon era completamente gasato
''Cazzo amico, hai visto che mossa? Altro che...che Resident Evil! Cazzo mi sento di poter uccidere tutti quei zombie con un solo fottutissimo coltellino svizzero! Alan lo guardò divertito
''Attento a non farlo davvero..'' Simon rise e continuò a sfrecciare verso quelle stradine vuote, che portavano alla campagna, si mise anche a cantare  ‘’We take care of our own’’ di Bruce Springsteen dalla felicità.
''Ti prego simon – disse tra una risata e l’altra – sei più stonato di mia nonna'' Per un attimo si erano lasciati alle spalle gli zombie, le loro vite ormai distrutte e si stavano facendo una bella risata.
Alan si sentì il cuore più leggero.
  
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