L’ARCOLAIO
BIANCO
C’era
una volta e forse c’è ancora, una fanciulla nata
sotto gli astri più antichi, che da sempre aveva il compito
più importante per
gli esseri viventi. Lei non lo sapeva, in realtà, e tutte le
volte che la madre
le faceva presente il suo dovere, lei sbuffava nervosa.
La fanciulla
era giovane, intrappolata nella torre che si
innalzava sulla montagna più alta e dall’alto
osservava il mondo e gli umani.
La sua stanza
era grande e luminosa e al centro di essa si
innalzava un arcolaio imponente, costruito con del legno bianco e
pregiato, che
arrivava a toccare il soffitto.
Fina dalla
sua nascita, la fanciulla lo osservava con
rispetto e curiosità ma, crescendo, il compito che le
assegnarono la annoiò ogni giorno
di più.
“Non
capisco perché io debba rimanere qui, chiusa tutto il
giorno a lavorare.” Borbottava la fanciulla, mentre il legno
girava sciogliendo
la matassa rossa e trasformandola in un esile e sottile filo quasi
invisibile.
“E’
il tuo compito. E’ ciò per cui sei
nata.” Le rispondeva la madre, raccogliendo
il filo e attorcigliandolo accuratamente in gomitoli affusolati.
La fanciulla
sbuffava e pigiava il piede sul pedale,
ritmicamente come le era stato insegnato, accompagnando la matassa con
le mani.
“Ma
cosa accadrebbe se smettessi di farlo?” chiese curiosa
ed anche indispettita. La madre la guardò severa e
scosse la testa ; “non si può smettere di
essere ciò che si
è o le conseguenze sarebbero disastrose”, le
rispondeva,
intimandola a lavorare e la fanciulla sbuffava nervosa.
La sera,
quando terminava il lavoro e riponeva i gomitoli
nei bauli, sapeva già che la mattina seguente non li avrebbe
più trovati. I
gomitoli sparivano sempre senza che lei ne sapesse il
perché! Così, pensierosa
e triste, si
rannicchiava alla finestra ad osservare il mondo.
Tutto scorre,
qui
sotto di me, sotto i miei occhi. La vita scorre ed io sono bloccata nel
mezzo.
Pensava.
Osservava gli
uomini camminare, ridere,
innamorarsi...vivere.
E lei? Cosa
ne sarebbe stato di lei e che senso aveva la
sua di vita?
“Cosa
guardi, figlia mia ?” le chiese la madre una sera.
La fanciulla
sospirò senza
voltarsi ma rimanendo a fissare quel mondo lontano, al di là
del vetro.
“Guardo
la vita, madre...quella che a me non spetta”
rispose triste.
La madre si
sedette accanto a lei e dopo alcuni minuti di
silenzio le indicò un punto
nel bosco, al bordo di un ruscello. Seduta con una cesta accanto, vi
era una
ragazza giovane, come ad occhi umani doveva sembrare lei, che cantava
lavando
le vesti.
La fanciulla
guardò la madre
confusa :” Non capisco, cosa c’è di così
speciale?”
La madre
sorrise e le indicò un altro
punto, più lontano. Un giovane stava camminando
al fianco del suo cavallo stanco, in cerca di una fonte
d’acqua per
abbeverarlo. Gli mancavano pochi passi sulla destra per raggiungere il
ruscello.
“Dici
che la vita non ti spetta, ma sbagli figlia mia, tu
puoi fare e disfare della vita stessa e questo è un potere
che nessun altro può sopportare,
ricordatelo sempre.”
E sola la lasciò, a
contemplare quelle parole.
Ma la notte
era lunga e la tristezza era da troppo tempo cresciuta
in quell’animo curioso ed insoddisfatto. Continuò a guardare
gli uomini sotto di lei ma le domande la
vinsero e sfidarono la rabbia che la colse improvvisa così come se non
se ne rendesse conto,
iniziò a colpire e
distruggere
l’Arcolaio Bianco.
La madre
accorse ma quando entrò nella sua
stanza fu troppo tardi.
L’Arcolaio era distrutto e giaceva a terra abbandonato,
mentre la furia
abbandonò pian piano
il corpo della
fanciulla.
“Cosa
hai fatto?” gridò la madre
sconvolta da quella visione.
“Voglio
essere libera e felice” rispose la fanciulla
nervosa.
La madre si
avventò su di lei e
la scosse con forza, spingendola verso la finestra a
guardare il mondo.
“Ecco
a cosa ha portato la tua voglia di libertà.”
La ragazza
con la cesta che poco prima sedeva vicino il
ruscello si alzò,
andandosene. Il cavallo del
ragazzo si accasciò a terra,
stremato dal troppo cammino e il suo padrone lo accarezzò, piangendo.
Il ruscello
era lì a pochi
passi ma il ragazzo non era riuscito a trovare la via.
“Cosa
centra con me?” chiese la fanciulla confusa.
La madre
sospirò e alzò lo sguardo
verso il resto del
mondo, che a poco a poco sembrò cambiare
colore, ingrigirsi, sotto una patina invisibile.
“Noi
creiamo la vita, bambina mia. E per il tuo egoismo,
da oggi ognuno su questa Terra vivrà nella continua ricerca
del suo destino,
perché tu hai spezzato per sempre il filo che li teneva
legati l’un l’altro. Da
oggi, ogni uomo è solo e non sarà più
il destino a guidarlo ma loro stessi
dovranno ricercarlo, l’uno negli altri. Questo è
un arbitrio che non tutti
posso sopportare.”
La fanciulla
si voltò verso il
mondo ed abbassò lo sguardo
verso i due giovani. Le loro strade si erano divise senza
che loro lo sapessero, il loro destino era stato spezzato.
Da allora
l’uomo vaga nel mondo alla ricerca di ciò che lo possa
ricondurre al
proprio destino. Il filo rosso che spetta ad ognuno di noi, attende
paziente di
ricongiungersi all’altro capo e compiersi, perché
la felicità dell’uomo è nel
mezzo, nel punto di unione delle due cime. Il resto è
spezzato, il resto rimane
incompleto.
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Questa favola è inserita nella mia originale "L'Amore non è Peccato", spero vi sia piaciuta è la prima favola che scrivo e mi sono molto divertita. E' un genere nuovo per me ma che ho davvero molto apprezzato :D
A presto
Lela