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Autore: xCyanide    18/04/2012    4 recensioni
Era bello pensare e ripensare a come si erano conosciuti. Non era stato niente di programmato, assolutamente. Era stata tutta una coincidenza, una meravigliosa, splendida coincidenza, ma pur sempre tale.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era bello pensare e ripensare a come si erano conosciuti. Non era stato niente di programmato, assolutamente. Era stata tutta una coincidenza, una meravigliosa, splendida coincidenza, ma pur sempre tale.

Frank era seduto nella sua camera, con la chitarra in grembo, e stava cercando di suonare Astro Zombies, dei Misfits. Senza successo apparente, ma ci stava provando. Stava imprecando a voce alta, quando Emily era entrata con la sua solita faccia da “Frankie caro, devo chiederti una cosina”. Era così, sua nonna, faceva quell’espressione un po’ tra il sofferente e il dolce e lui non sapeva dirle di no.
Lei si sedette sul letto, sorridente, e gli poggiò una mano sulla spalla.  Lui la guardò curioso  e lasciò lentamente la chitarra accanto a sé, tirando la maglia sgualcita.
-Dimmi – la incitò, rassegnato.
Lei ghignò, quasi in modo sadico, e sospirò. –Devo uscire.
-E quindi? – voleva molto bene alla nonna, ma lei parlava sempre in modo strano, le dovevi estorcere le informazioni di bocca, come dire.
-Quindi, oggi sono andata a fare la spesa con tuo padre e ho comprato alcune cose anche per quella mia amica, Helena, e vorrei portargliele – cominciò. –Ma non riesco a tenere le buste, mi piacerebbe che venissi con me.
Lui sbuffò, ma acconsentì, alzandosi lentamente dal letto e infilandosi il primo giacchetto che gli capitò in mano. Emily, intanto, l’aveva avvertito che l’avrebbe ritrovata in soggiorno appena fosse stato pronto per uscire.
Frank si avvicinò allo specchio e si maledì per i capelli arruffati e troppo lunghi. Perché non si decideva mai a tagliarti? Li arruffò ancora di più, quel tipo di arruffato-ma-programmato, e impugnò la sua matita per gli occhi, rigorosamente rossa. Si truccava non perché era vanitoso, c’era molto di più. Lui soffriva di insonnia, non dormiva mai, e il fatto di colorarsi la pelle vicino agli occhi lo aiutava a coprire il colore livido che si formava tutte le mattine.
Sbuffò ancora, domandandosi perché sua madre non potesse essere un pochino più presente nella vita di sua nonna. L’avrebbe dovuta aiutare lei a portare le buste a casa di questa Helena, non era un suo dovere. Ma doveva essere riconoscente almeno un poco verso la donna che l’aveva cresciuto, per cui si stampò un sorriso finto sulla faccia e uscì dalla sua camera, scendendo velocemente le scale.
Emily lo aspettava seduta sulla poltrona in salone, con le buste che Frank doveva portare vicino. Lui le squadrò e si domandò perché una vecchietta avesse bisogno di tutte quelle cose. Si grattò la testa e le prese, faticando un pochino per reggerle tutte. Erano quattro buste, per Dio, tutte piene fino all’orlo.
-Grazie, Frankie caro – disse, riconoscente, la nonna.
Lui le diede un bacio sulla testa e aprì la porta di casa, socchiudendo gli occhi per via della luce del sole.
Erano giorni che non usciva di casa. Quando poteva godersi le vacanze, in quel caso la disinfestazione a scuola, lo faceva da solo. Non gli piaceva avere gente intorno, non era una persona socievole, per niente. Avrebbe voluto essere capito dalle persone, ma per sfortuna ciò non succedeva. Non aveva mai trovato nessuno che condividesse anche solo una delle sue idee, nessuno che ridesse alle sue battute, nessuno che non gli desse nomignoli o che non lo chiamasse nano.
-Vedrai, ti piacerà Helena – esordì raggiante Emily., interrompendo il flusso di pensieri.
-Sono sicuro di si – mormorò. –Dove si trova casa sua? – domandò, già stanco, nonostante avesse camminato poco. Era una persona negata per il movimento, non aveva mai fatto sport o roba del genere, non gli era mai interessato entrare nella squadra di basket della scuola, anche perché per la sua altezza non l’avrebbero mai preso.
-Qui vicino, non preoccuparti. Dobbiamo solo svoltare l’angolo e siamo arrivati – la faceva facile, Emily! L’angolo di cui parlava si trovava a non meno di centocinquanta metri da loro. Frank gemette, frustrato.
-Come mai sei andata tu a farle la spesa? – chiese.
-Ha problemi con il nipote più grande – rispose,  rattristandosi un poco. –Michael e Gerard, i figlia di sua figlia, vivono con lei per via del lavoro dei genitori, che non sono mai a casa, e Gerard ha un po’ di problemi con i compagni di scuola. Lei rimane a casa la mattina perché spesso la chiamano e le dicono che suo nipote è appena stato picchiato , o cose del genere. E’ molto preoccupata.
-E dove va a scuola questo Gerard?
-Qui a Belleville, però non viene in quella cattolica come te, lui va in quella pubblica – spiegò Emily.
-Mmmh – si limitò a dire Frank. Gli piangeva il cuore ogni volta che sentiva di avvenimenti come quelli. Gli dava fastidio pensare che ci fossero persone che subivano pestaggi ogni fottutissimo giorno e che magari non potevano fare nemmeno niente per evitarlo. Lo faceva andare in bestia.
Girarono finalmente quell’agognato angolo ed Emily gli indicò la casa che dovevano raggiungere. Era piccola, niente di particolare, completamente bianca, tranne il portone e il tetto verdi e la cassetta delle lettere arancione, con sopra incisi i loro cognomi “Lee Rush, Way”
Sospirò, percorrendo il vialetto di ciottoli il più velocemente possibile e lasciando le buste sul porticato.
Emily lo raggiunse più lentamente e suonò il campanello sorridente. Sapeva che la nonna voleva bene a questa Helena, ma lui non  l’aveva mai vista.
Andò ad aprirgli una vecchietta bassina e con la faccia rotonda. Aveva le labbra curvate in un sorriso dolcissimo e aveva dei guanti da cucina in mano.
-Emily! – esclamò, andando a abbracciarla. Il completo rosa confetto che portava splendette alla luce del sole.
-Lui è mio nipote, Frank – lo presentò la nonna. Porse la mano a Helena, ma questa gli buttò le braccia al collo e lo strinse, ridacchiando.
-Emily mi ha parlato molto di te, giovanotto! – aveva sempre un tono di voce alto e abbastanza nasale, allegro e solare. Era… carina. –Entrate, prego, sto facendo i biscotti.
Li fece accomodare in cucina, nonostante Frank avesse detto che aveva da fare. Helena aveva insistito per farlo sedere e lui aveva acconsentito alla fine, alzando gli occhi al cielo, attento a non farsi vedere.
La vecchietta aveva cominciato a dire che era molto felice quel giorno perché ancora non avevano chiamato da scuola per dirle qualcosa di brutto su Gerard.  Le sembrava un sogno, aveva ridacchiato. Non capitava spesso.
Aveva, poi, sfornato i biscotti e fatto rimpinzare il ragazzo, che, sinceramente, adorava quella pasta frolla, ma non era uno da complimenti.
Avevano parlato quasi per un’ora, quando qualcuno aveva aperto la porta di casa.
-Oh, sarà sicuramente Gee! – aveva esclamato contenta Helena.
Ma la figura nera di Gerard aveva oltrepassato la cucina, velocemente e a testa bassa senza degnare di uno sguardo la nonna. Lei aveva fatto una faccia preoccupata, che poi si era tramutata in rassegnazione e durezza.
-Gerard, vieni subito qui! – alzò la voce, in modo da farsi sentire, usando il tono più autoritario che aveva. –Abbiamo degli ospiti, si saluta! – ma si vedeva che non era quello il motivo per cui lo voleva far andare in cucina. Era allarmata per…
-Oh, Dio! – si fece uscire dalla bocca Emily, quando vide Gerard.
Il ragazzo, infatti, aveva tutta la parte sinistra del volto ridotta a un livido. Gli sanguinava il labbro inferiore e stava piangendo di vergogna a vedere le facce sgomente degli “ospiti”.
-Tesoro, vieni qui – sussurrò Helena, aprendo le braccia e stringendo Gerard a sé dolcemente.
Lui si guardò intorno, cercando di asciugarsi le lacrime.
-Cosa succede? – gli domandò la nonna.
-Niente – sminuì lui. –Non è successo niente.
Aveva la voce roca e sofferente. Frank non sapeva cosa dire, si sentiva in imbarazzo, voleva sorridere a quel ragazzo davanti a lui, voleva dirgli che tutto sarebbe andato meglio, ma non poteva farlo. Si sentiva protettivo verso Gerard, nonostante fosse la prima volta che lo vedeva. Sentiva una specie di attrazione fisica verso di lui, aveva la voglia di abbracciarlo, stringerlo a sé e dirgli che gli voleva bene.
Helena lasciò andare Gerard e si scusò dileguandosi con lui verso il bagno. Udiva gli urli del ragazzo quando lei gli passava il disinfettante sulle ferite, Emily stava per piangere.
-Ma lo conciano sempre così? – chiese Frank, titubante.
Sua nonna si limitò ad annuire, triste.
Quando Helena rientrò in cucina con un fazzolettino in mano, guardò Frank supplichevole.
-Potresti… potresti andare a fargli compagnia? Ho paura – aveva sussurrato, tremando.
Frank, un po’ confuso, aveva sorriso alla vecchietta, passandole una mano sulle spalle in modo da tranquillizzarla e le aveva chiesto dove si trovasse la camera del nipote.
Scese le scale lentamente, domandandosi perché un ragazzo avesse dovuto avere una cantina come stanza, ma poi si era ritrovato davanti la grande porta nera e aveva bussato piano.
-Chi è? – aveva sentito, sempre con quella voce roca e, alle orecchie di Frank, angelica.
-Emh… sono il nipote di Emily. Helena mi ha chiesto di farti compagnia, ma se vuoi... vado – aveva risposto, un po’ pauroso di sentirsi dire “si, vai via, nessuno ti vuole qui”.
La porta, però, si era aperta e lui era entrato ritrovandosi davanti la stanza più disordinata che avesse mai visto.
Il pavimento non si vedeva più, coperto dai vestiti e dalle tele ancora inusate. Il profumo dei colori a olio lasciati a essiccare sul letto ti avvolgeva come una carezza. E le pareti erano tappezzate di disegni scuri, sanguinolenti e violenti. Erano disegni di una persona frustrata, si vedeva, e a Frank si strinse ancora di più il cuore a vederli. Alla sua destra era appeso un pipistrello… imbalsamato? Oddio, un pipistrello imbalsamato! Si scostò velocemente, prima che potesse toccarlo anche solo con un dito.
Gerard era proprio davanti a lui, che armeggiava per infilare una cosa nella scrivania vicino a letto. Qualcosa che Frank riconobbe come una lametta.
Ora capiva, ora capiva tutto. “Ho paura” gli aveva detto Helena. Aveva il terrore di perdere il nipote.
Frank si sentì in dovere di proteggere il ragazzo che aveva davanti. Si promise mentalmente che avrebbe fatto di tutto per salvarlo.
-Perché? – gli uscì dalla bocca. Quando si trattava di impulsività, si malediva sempre. Non aveva filtro tra cervello e bocca.
-Sempre la stessa domanda – bofonchiò l’altro. Frank si stava rendendo conto piano dell’aspetto fisico di Gerard. Era alto, abbastanza cicciotto e aveva una cascata di capelli neri iper-impicciati che gli cadeva sulla faccia livida. Ma, nonostante tutto quel casino, in un lampo Frank pensò che era comunque il ragazzo più bello che avesse mai visto, che aveva due occhi grandi e limpidi di una tristezza unica, di un verde ialino, ma impossibili da leggere. Lo guardò dritto negli occhi e Frank si sentì in soggezione.
-Forse perché alla gente piacerebbe sapere perché ti auto-distruggi – aveva insistito il più piccolo.
-Beh, non credo tu voglia sapere il perché, nipote di Emily – disse saccente Gerard.
-Frank, mi chiamo Frank – aveva puntualizzato.
-Allora, Frank – mimò la voce dell’altro, -credo tu non voglia sapere perché, mmh?
-Io credo proprio di si, invece – si impuntò, spostando alcuni colori e sedendosi sul letto.
-Chi… chi ti credi di essere? – aveva domandato, alterato, Gerard.
-Qualcuno che ti vuole ascoltare – Frank lo guardò male. –Forse parlarne ti aiuterebbe.
-Sai cosa c’è, Frank?! Parliamone! Parliamo dei miei fottuti problemi, sono sicuro che poi non vorrò più uccidermi! – esclamò, come se fosse divertente.
-Così va meglio – mormorò Frank, facendogli spazio vicino a sé.
-Che vuoi sapere?
-Perché?
-Perché, cosa?! – domandò alterato Gerard.
-Il perché dei pestaggi, il perché della lametta, il perché di tutto.
-I pestaggi… - ci pensò su. –Mmmh, la differenza – disse, sicuro. –La differenza tra me e le altre persone. Mi vedono diverso, io non ci trovo niente di diverso, sono solo gusti, no?
-Cosa?
-Tu hai una personalità, Frank?
-Direi di si – il più piccolo era titubante. Aveva una personalità?!
-Beh, anche io – abbassò lo sguardo, diventando inaspettatamente rosso. –Ma loro non capiscono. Non capiscono niente.
-Loro, chi?
-Le persone che vengono a scuola con me. Loro non capiscono niente.
-Di cosa?
-Non ci arrivi proprio, eh? – Gerard ridacchiò.
-Direi di no.
-Sono gay – disse il più grande, sentendosi immediatamente più leggero. –Se la sono presa con me solo perché mi vedono come la femminuccia della situazione. Ma io non so rispondere con la violenza, io sono un tipo da camera e fumetti, fumetti e camera – sospirò. –E ora ti capirò se vorrai lasciarmi qui, non è un problema, davvero…
Frank si sentì in dovere, allora, di tranquillizzare Gerard, confessandogli qualcosa che non aveva mai detto a nessuno.
-Io… sai, anche io… - lo guardò, cercando di fargli capire che andava tutto bene. –Sono bisessuale – poi stette un attimo in silenzio, sorridendo.
-Perché sorridi? – aveva chiesto innocente, Gerard.
-Perché mi sto ricordando di quando l’ho capito.
-E quando… quando te ne sei reso conto?
-Ero a una festa, avevo pressappoco quattordici anni e mia mamma non sapeva nemmeno che c’ero andato. Insomma, tra un bicchiere di qua e una canna di là, mi sono ritrovato la lingua di un mio compagno di classe in gola – rise, al ricordo. –All’inizio una vocina nella mia testa mi ha detto che avrei dovuto vergognarmi di quello che stavo facendo, ma poi l’ho mandata affanculo. E’ stata la cosa più sensata che avessi potuto fare. E sai che ti dico? – aspettò un cenno di Gerard per continuare. –Anche tu dovresti mandare a farsi fottere la vocina che hai nella testa, quella che ti dice di ucciderti, perché non c’è niente di cui vergognarsi, davvero. Nonostante tutte le volte che ti possano pestare, nonostante le volte che, nel mio caso, mi chiamino Pansy, no… pensare che sia sbagliato, okay?
Gerard lo guardò confortato e lo ringraziò, prima di posargli un bacio sulla guancia. Avevano trovato una persona che li capiva, finalmente.
 
Ebbero tempo di conoscersi meglio, passarono le tre settimane successiva insieme, non si staccavano mai e le loro nonne erano felici. Soprattutto Helena, che finalmente vedeva il nipote sorridere. Non le era più capitato di sentirlo ridere, ma quando si trovava con Frank non riusciva a stare serio, soprattutto per le battute che tirava fuori ogni tanto l’altro.
Le due vecchiette, che non riuscivano a farne a meno, spettegolarono spesso della quasi storia d’amore dei loro bambini, ridacchiando insieme davanti a un buon thè.
Tutto si concretizzò, infatti, qualche pomeriggio dopo, quando Gerard e Frank erano nella camera di quest’ultimo. Stavano guardando per la trecentesima volta “L’alba dei morti viventi” ed erano vicini, le loro braccia si toccavano ogni volta che cambiavano posizione. Erano diventati talmente tanto amici che nemmeno ci facevano più caso alla vicinanza dell’altro, era diventata come una cosa normale quanto respirare.
-Sai, Gee? – domandò Frankie, a cui stavano seriamente per esplodere i pantaloni alla vista di Gerard così rilassato sul SUO letto, in camera SUA.
-Mmmh? – gli domandò l’altro, girandosi verso di lui.
-Ti è mai capitato di dover dire una cosa, ma di non sapere come la prenderà l’altra persona?
-Si… perché? – chiese titubante Gee.
-Beh… Io non so coma dirtelo ma… - ci pensò un attimo, -è da tanto che mi chiedo perché ancora non ti ho sbattuto sulla prima superficie piana che ho trovato quando ne ho avuto l’occasione – bofonchiò tranquillamente, come se non gli avesse detto niente.
Gerard si limitò a girare la testa verso la televisione con la faccia svogliata. –Me lo chiedo da tanto anche io, sai? Perché non mi hai mai sbattuto sulla prima superficie piana quando ne hai avuto l’occasione?
-Vergogna?
-Beh, c’è ancora tempo per farlo, ne sei consapevole? – mormorò Gee, con uno sguardo tutt’altro che innocente.
Frank si piazzò bene vicino a lui, facendosi stringere tra le sue bracci a e gli baciò una guancia, delicatamente. Gerard abbozzò un sorriso e gli carezzò una guancia, dolce.
Il cuore di Frank stava per scoppiare al pensiero di Gerard così vicino, di Gerard che lo volevo almeno un poco di quanto lo voleva lui. Aveva pensato spesso a quel momento, ma non era come l’aveva immaginato. Nella sua immaginazione, Gee non era così morbido e accogliente, nella sua immaginazione non aveva un odore così buono, ella sua immaginazione… oh, al diavolo l’immaginazione! Questo, tutto questo, era molto meglio della sua immaginazione, dieci volte meglio.
Quando Frank si sentì pronto, passò una mano dietro la nuca dell’altro e lo attirò verso di sé lasciandogli un soffice bacio sulle labbra.  All’unisono pensarono alla morbidezza della bocca dell’altro, di quanto l’avevano bramata. Il bacio si approfondì lentamente diventando umido. Le loro lingue si incontrarono, danzando lentamente e loro ridacchiarono insieme.
-Dio, Gee – ansimò Frankie. –Tu non ti rendi conto, non…
Gerard gli passò una mano dietro la schiena stringendolo di più, quasi a inglobarlo in sé. –Non mi rendo conto di cosa, mmh? – chiese, riempiendolo di baci leggeri.
-Non ti rendi conto di quanto ti amo, vero?
-Queste parole sono musica per le mie orecchie – soffiò Gee nell’orecchio di Frankie. –Grazie, Frankie. Grazie di tutto.
 
Era bello pensare e ripensare a come si erano conosciuti. Non era stato niente di programmato, assolutamente. Era stata tutta una coincidenza, una meravigliosa, splendida coincidenza, ma pur sempre tale. La più bella coincidenza di tutta la loro vita. La coincidenza che teneva Gerard in vita e la coincidenza che aveva fatto capire a Frank che non doveva avere più paura di camminare in questo mondo da solo.

 


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xCyanide Corner

OS non-sense, scusatemi, ma c'era una vocina nella mia testa che mi diceva "Devi pubblicare qualcosa su EFP, pubblica, pubblica" e io le ho dato retta, per cui spero vi piaccia. Una recensione non fa mai male, mi raccomando. :3

Alla prossima, xCyanide
  
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