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Autore: sistolina    18/04/2012    4 recensioni
Questa umile OS è liberamente ispirata, nonchè mio personale dono alla meravigliosa Giuls, alla fanfiction Woke up this morning and found myself dead.
"“Ci siamo riusciti, sembra” mormorò l'amico con gli occhi gialli e inquieti da sotto il cappello di lana infeltrito.
“Già” non si erano incontrati perché erano due gran chiacchieroni, e meno che mai continuavano ad essere amici perché aprivano il proprio cuore l'uno all'altro ogni sabato pomeriggio davanti ad una tazza di the.
C'erano giorni interi in cui a malapena si parlavano, chiusi nei loro roboanti silenzi ritrosi e carichi di elettricità statica.
Non avevano niente da dirsi, alle volte. Altre, nessuna voglia di farlo.
Altre ancora, come quella sera d'inverno ghiacciato in uno scantinato di New York, avevano condensato una vita insieme nel fiato fluido di una manciata di parole.
Note discordanti di una melodia imperfetta."
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Giuls, non conosco modo migliore per tirarti su di morale

 

In the darkness 'round the sun



Mi piace il disegno… perché te lo sei fatto?” chiese a voce bassa, mentre passava lentamente una mano sulla fenice
“È il simbolo della rinascita, me la sono fatta tre anni fa... quando ho deciso di cambiare un po’ vita”
“Anche Lars ce l’ha?”
“Sì, anche lui”

 

Godeva.

Capitava sempre quando metteva piede lì. Se era una giornata di merda, se aveva una voglia matta di farsi, se qualche troietta passata da casa sua si era sgraffignata qualcosa, lui andava lì. Se ne sbatteva delle chiamate svogliate dei suoi, che ogni secondo martedì del mese si facevano sentire puntualmente per ricordargli quanto inutile fosse la sua vita, e che se voleva c'erano sempre il Centro Ostroff e le sue “cure specializzate”.

Lui non aveva bisogno di cure.

C'erano stati momenti in cui non aveva avuto bisogno di nient'altro che un ago infilato al posto giusto nel braccio, momenti un cui aveva avuto bisogno di scopare, o di guidare sparato sulla Statale. Raramente aveva bisogno di mangiare e non aveva mai bisogno di sentimenti. I sentimenti sono per quelli che hanno troppa fifa di drogarsi o pochi soldi per bere, o sono troppo sfigati per trovarsi qualcuno da fottere.

C'erano stati anche giorni in cui non aveva avuto bisogno di niente, e altri che non ricordava.

Interi giorni vuoti inghiottiti dall'oblio di una pace artificiale, ma fottutamente comoda.

Lui non stava godendo, glielo dicevano i suoi denti stretti sulle labbra, le sopracciglia che quasi s'incontravano, e la vena gonfia sul collo. Non avrebbe aperto bocca però, perché voleva fare il duro.

Istintivamente si portò la mano al collo, proprio sotto la nuca, la pelle incandescente e scivolosa, lievemente in rilievo sulla carne tenera e arrossata.

Sollevò un angolo della bocca, che era la massima imitazione di sorriso che avesse mai conosciuto, e cercò a tentoni il pacchetto di Lucky spiaccicato ma mai dimenticato nella tasca posteriore dei jeans.

“Bello, lo sai che qui non si fuma” Oz sovrastò ringhiando il confortevole ronzio dell'ago sulla pelle, con espressione eloquente “sono tre mesi che non me spippo una, e di certo non arriverai tu, pulce, a farmi ricominciare” da quando era diventato un fottutissimo hippy salutista?

Si strinse nelle spalle, porgendogliela con noncuranza

“Lars” non aveva bisogno di sapere cosa stava per dire. Probabilmente non avrebbe detto nulla, limitandosi a far rimbalzare il suo nome lungo le quattro mura crepate della cantina, con quel tono da fratello maggiore scocciato.

Hendrix era prevedibile come i film con Hugh Grant.

“Che cazzo fai?” Oz non andava per il sottile, e quasi sfregiò l'altro con l'ago pur di scostarsi abbastanza da non permettere al fumo della sigaretta accesa di raggiungerlo.

Lars provava da sempre uno strano piacere nell'inquietare gli altri, nel premere sull'acceleratore delle loro debolezze, nel titillare quel posto dentro che ancora non erano riusciti a rinforzare come Cristo comanda.

“Che ti sembra? Mi pare una merdata stare da schifo per stare meglio” il tatuatore non era un tipo accomodante. Lo conosceva dalla riabilitazione, ed era quel genere di individuo grande e forte che piange come un bambino davanti alla pubblicità progresso dei bambini malati in Africa, ma aveva un ago in mano e una bella coda di precedenti a fargli pesare il culo, quindi Lars si riprese la sua sigaretta, e si strinse nelle spalle “Fa' come vuoi. Se preferisci crepare nel tuo piscio, a ottantanni, in un ospizio” Hendrix rise, un po' malfermo nella sua posizione da modello di Abercrombie sul lettino imbottito, mentre la pelle arrossata del torace brillava sotto la luce al neon dello scantinato puzzolente dove Oz compiva i suoi miracoli.

“Ricchi stronzetti” sghignazzò l'uomo roboante, tranquillo come se avessero appena parlato di baseball o di donne, impugnando il suo strumento musicale. Agli occhi di Lars quel suono aveva la vaga cadenza di una sinfonia.

Non avrebbe nemmeno saputo suonare a tempo il triangolo, ma con un ago per tatuaggi in mano era Dio. E su una cosa aveva ragione: lui era ricco, viziato e stronzo. Sapeva chi era Mozart, e non pensava che Wagner fosse la marca di un preservativo. Aveva i soldi per viaggiare, per comprarsi vestiti firmati finto vintage e per andare all'opera, a Broadway, da Ralph Lauren sulla 5th e dove cazzo gli pareva.

E non faceva finta di meritarlo, ma nemmeno se ne vergognava. Aveva decisamente scheletri nell'armadio più putrescenti di una carta di credito illimitata American Express.

 

***

 

Ti ho visto quasi affogare nel tuo vomito, ma non avrei mai pensato che mi avresti fatto così pena…”
disse alla fine e si leccò il labbro per uscire di casa e lasciarlo lì da solo.

 

Era stata una serata di merda. Una fottutissima serata di merda.

Aveva una voglia maledetta di farsi. Anche solo una tirata e via, un po' di coca, solo per stare su, per tirare fino all'alba, per avere un po' di tempo vuoto di cose da fare, assaporare il morire della notte con più precisione, più calma, con comodità, rilassata iperattività.

Aveva i soldi, Zecca era nei paraggi, lo sapeva, era sempre nei paraggi quando lui aveva un centone pronto, e voleva fottutamente farsi.

Per questo era andato lì, per questo si era trascinato fino nel Queens senza avere un cazzo da fare davvero. Per questo continuava a camminare radente le pareti luride e frastagliate di cartelloni scollati e strappati male di film vecchissimi, facce di merda di politici in campagna elettorale e poster di concerti.

Una dose. Una sola, per sistemare tutto.

Non aveva neanche voltato l'angolo per l'High che il casino gli aveva già fatto pizzicare le orecchie: gente che spingeva e imprecava, urla, richiami, saluti. Una coppia stava scopando contro un muro, lui che le teneva la mano sulla bocca, infossato nei suoi capelli. Lei gli lanciò uno sguardo inequivocabile, e Lars passò oltre, un po' barcollando, un po' strisciando, un po' correndo. Un'altra volta tesoro...

Uno stronzo in tuta mimetica bucherellata gli arrivò contro senza vederlo

“Scusa amico”

“Cazzo!” imprecò controllando che il portafogli fosse ancora nella tasca interna del giubbotto di pelle. Il Queens era come l'Inferno a quell'ora. Non potevi nemmeno sbattere le ciglia con la sicurezza di riavere le mutande quando avessi riaperto gli occhi.

Svoltò l'angolo, e imprecò “Ma che...” nel vicolo un neon sfondato pendeva dall'entrata di un locale di spogliarelli chiuso da quando i pantaloni a zampa erano ancora di moda, tamburellando luce ed ombra come le sue dita sul volante e proiettando la sagoma di qualcosa di cencioso e privo di sensi sdraiato a terra, accanto ad una Triumph in condizioni schifose con il finestrino in frantumi. Si avvicinò, accucciandosi accanto al qualcosa che era appena diventato qualcuno: un tizio magro da spavento stringeva convulsamente un cappello di lana nero in una mano dalle dita rotte, e nell'altra artigliava il manico della custodia di una chitarra, sporca di sangue rappreso su un lato, unica arma a disposizione per difendersi da chiunque avesse tentato di rubargli la macchina. Sbirciò dentro.

Pessima mossa. Una siringa fece capolino da sotto un sedile, una bustina di ero scoppiata aveva riversato il contenuto lì vicino, invitante come poco altro in quel momento, e un cucchiaio bruciacchiato era rimasto incastrato fra i sedili nella macabra imitazione di una bandiera a mezz'asta, solenne metafora delle loro esistenze. Sacchetti di patatine, lattine accartocciate, un kebab andato a male e morsicato a metà traballante sul cruscotto. Niente chiavi, niente fili tagliati.

Tornò a prestare la sua altalenante attenzione al tipo riverso sull'acciottolato umido, infagottato in una felpa nera col cappuccio.

“Hei bello, vedi di non essere morto perché non passerò quello che mi resta di questa notte di merda in una stazione di polizia” lo scrollò con poca gentilezza “Coso, non mi far perdere tempo andiamo” il viso era irriconoscibile, sfigurato di sangue rappreso, e i capelli, lunghi sulle orecchie, indefinibili nel distratto miscuglio di sporcizia e sangue incrostato. Li avrebbe dovuti tagliare, e parecchio.

L'altro alla fine mugugnò qualcosa, spalancando un occhio del giallo più innaturale che avesse visto in un essere umano. Almeno era vivo.

Serrò le dita buone attorno alla custodia nera e logora che stringeva ancora nella mano sinistra, e Lars non poté fare a meno di sorridere pensando che aveva preferito salvare la chitarra piuttosto che una dose. Era un coglione, ma gli piaceva.

Il ragazzo scattò per ritrarsi da lui, ferino come un animale in gabbia, tremante ed emaciato

“Chi cazzo sei tu?” Lars sollevò gli occhi al cielo. Ragazzini.

“La fatina dei denti” sibilò “Bello, non so se hai notato, ma ti ho appena salvato il culo” si tirò in piedi, scrollando le mani sulle ginocchia irrimediabilmente compromesse dei jeans slavati “come ti chiami? Chi diavolo devo chiamare per venire a prenderti?” indicò la Triumph con un gesto secco del capo “E' tua questa macchina o hai solo cercato di rubare la droga che c'era dentro?” sogghignò “Ti capirei se fosse stata di qualità, ma quella è merda di topo mischiata a borotalco” merda particolarmente invitante, se proprio doveva dirla tutta. Ma non era lì per essere sincero, non era al mondo per essere sincero, quindi si limitò ad avvicinarsi di un passo, nell'attesa che il cane randagio ancora accucciato davanti a lui smettesse di mostrare i denti e cominciasse a collaborare.

“Chri...chri” tentò di biascicare

“Ma cosa sei un grillo? Cri, cri che?”

“Christopher, mi chiamo Christopher” evviva! Gli passò un braccio dietro la schiena e riuscì a tirarlo su. Le costole premevano contro la felpa, e le ossa del bacino sporgevano sotto i jeans troppo grandi, ma che un tempo, probabilmente, gli erano stati bene nel suo quartiere irlandese, mentre pomiciava con la biondina del primo banco sotto le gradinate. Poi era successo che un'altra lei aveva fatto il botto nella sua vita, e c'era stata solo bianca nella sua testa.

Lo addossò al muro con una smorfia

“Puzzi da far schifo” si accorse di aver tralasciato il vomito nell'accurata descrizione delle cose incrostate nei suoi capelli. Gli occhi gialli lo fissavano inquieti e inquietanti.

“E allora levati dalle palle, non mi serve la baby sitter” protestò cercando inutilmente di spingerlo via. Anche se non fosse stato strafatto e fratturato in qualsiasi parte del corpo conosciuta, sarebbe stato comunque troppo magro per spingere via chicchessia dalla quarta elementare in su.

“No. Ti servono nell'ordine un ospedale, una doccia, e magari un cheeseburger con triplo bacon” Christopher, o come diavolo si chiamava, tentò di colpirlo. Sbuffando bloccò la sua goffa imitazione di destro a mezz'aria, facendo schioccare la lingua “Vacci piano tigre, non te l'ha mai detto nessuno che non si colpiscono i più grandi?” un sorriso vacuo distese la bocca screpolata dell'altro in un'imitazione di sorriso meno pallida di quello che avrebbe creduto

“Mi hanno detto di non accettare le caramelle dagli sconosciuti, ma non sono mai stato bravo ad accettare consigli” Lars sollevò un sopracciglio e lasciò la presa “quindi no, non andrò in nessun fottutissimo ospedale, ma una doccia e un cheeseburger me li farei volentieri” lo squadrò, senza mai donare a quel sorriso alcuna traccia di autentico divertimento “Hai anche una casa dentro quel giubbottino da fighetto?” suo malgrado, si ritrovò a sorridere. Sarcastico, menefreghista e strafottente, ma un sorriso un po' più vero del solito, un sorriso che lo sorprese nell'andare a incastrarsi alla perfezione nell'espressione dell'altro.

“Non ne hai idea bellezza...” il grigio bagliore dell'alba rubò a morsi silenziosi lo spazio all'oscurità e al gioco di ombre del neon intermittente.

Aveva strappato il tempo ad un'altra notte.

 

***

 

Avevamo detto che avremmo condiviso tutto, ti sei scordato anche questo?
Finché ti faceva comodo, la mia casa era la tua, i miei soldi erano i tuoi, la mia donna era la tua”

 

Il richiudersi della zip sembrò un rumore sordo.

La luce gli dava fastidio.

Il pavimento troppo liscio gli dava fastidio.

Anche il suo odore, così volgare, così penetrante, alcool mescolato a profumo scadente, gli dava la nausea.

Lei gli dava la nausea. E lui stesso.

“Hendrix non lo deve sapere” la voce di Iz, così preoccupata, così angosciata che il suo fidanzato amorevole s'ingelosisse, o peggio, rimanesse ferito da quella sterile scopata, lo fece sghignazzare

“A Hendrix non frega un cazzo. Se ne sbatte di chi ti porti a letto Izzie, a meno che tu non ti porti dietro anche qualche malattia venerea del cazzo” s'interruppe nel sistemarsi la gonna di pelle inguinale senza smagliare ancora di più le calze a rete bucherellate.

“Vattene a fanculo Lars” i suoi occhi erano grandi, troppo grandi anche sotto strati e strati di quel maledetto ombretto nero e le palate di rimmel che metteva sulle ciglia. Era vuota come uno specchio, Elizabeth Godbless, e si accontentava di riflettere gli altri, senza aggiungere niente.

Si strinse nelle spalle

“Così mi ferisci” lei lo colpì al petto, una volta, e un'altra sul viso, e un'altra sulla spalla, finché non le afferrò entrambe le mani e la addossò al muro

“Lasciami!” sibilò lei contro il suo viso, in un fiato di vodka e nicotina

Magari una volta o l'altra lo faccio, mh? Vediamo come te la cavi” rise piano, rabbiosamente, crudelmente, invaso da qualcosa che non gli apparteneva, qualcosa che pulsava e scorreva, e colmava un posto sconosciuto e inesplorato di sé, la declinazione di un modo di essere a cui non sapeva dare un nome. Quando l'avrebbe fatto, probabilmente lei non sarebbe stata più lì.

Lui non la voleva lì, e allo stesso tempo non voleva esserci.

Iz si sporse verso le sue labbra, patetica e disperata, spaventosa nella sua fragilità.

Si allontanò, passandosi le mani sui jeans, sudato, nervoso. Pensò che fosse la canna, o il rhum e cola, o magari tutti e due.

Di certo non era lei.

Perché lo fai?” i suoi occhi divennero vacui, lucidi.

Serrò la mandibola

Non ti azzardare a piangere cazzo” Iz si avvicinò a lui di un passo, sbattendogli in faccia un'umanità misera che lo terrorizzò

Perchè? Così potrai andartene dal tuo amichetto a dirgli quanto è divertente sbattersi la sua ragazza? Vi piace questo gioco vero? Condividere tutto” la voce tremava quasi quanto il corpo, sempre esile, emaciato, quasi, stretto in indumenti ugualmente striminziti “forse non voglio che nessuno mi condivida, forse voglio solo che qualcuno stia con me”

Se quel qualcuno sono io, forse è meglio se la smetti con la droga tesoro” si voltò, perché anche l'aria pesava in quel posto maledetto

Prima o poi la smetto con tutto, con tutti, con questa vita di merda. Così vediamo se riderete ancora” Lars s'immobilizzò nel compiere un passo. Il piede ciondolò nell'aria e si posò a terra

Uao, la pietà Elizabeth, che incredibile arma di seduzione” sollevò un sopracciglio nel vederla sgretolarsi sempre di più, cedere di un passo, ingoiare il pianto.

Ti odio, vi odio tutti. Odio te per primo, perché mi vuoi e nemmeno lo sai” si lasciò cadere su uno sgabello malfermo sulle tre gambe asimmetriche “Hendrix è un bastardo, ma a lui non frega di me, e si preoccupa di farmelo sapere ogni volta che può” serrò lo sguardo, i suoi enormi occhi sormontati di mascara, e per una volta riuscì ad averlo completamente, totalmente attento “Ma tu sei un subdolo bambino viziato, sei il peggior bastardo con cui sia stata” sorrise, amara come la nitroglicerina “tu non mi baci perché hai paura di quello che puoi sapere di te stesso” si alzò, con quella fierezza decadente e disperata di cui si mascherava talvolta, e lo oltrepassò, il rintocco dei suoi passi come una nenia sonnolenta.

Lars rimase lì, con un passo a metà da appoggiare al suolo.

 

***

 

Fischiò, carico di divertita ammirazione. Oz era davvero Dio.

E' perfetta” Hendrix aveva un vago colorito cinereo, ma la sua enorme fenice era completa, così nitida e scura contro la pelle da sembrare davvero sul punto di spiccare il volo. La sua gemella gli prudeva ancora lungo il collo, in risposta.

La sfiorò con un dito attraverso la pellicola trasparente che aveva usato per rivestirla. Quello scantinato era un coacervo di microbi, lo sapevano anche i bambini del vicinato. Nemmeno suonavano il campanello ad Halloween.

Ci siamo riusciti, sembra” mormorò l'amico con gli occhi gialli e inquieti da sotto il cappello di lana infeltrito.

Già” non si erano incontrati perché erano due gran chiacchieroni, e meno che mai continuavano ad essere amici perché aprivano il proprio cuore l'uno all'altro ogni sabato pomeriggio davanti ad una tazza di the.

C'erano giorni interi in cui a malapena si parlavano, chiusi nei loro roboanti silenzi ritrosi e carichi di elettricità statica.

Non avevano niente da dirsi, alle volte. Altre, nessuna voglia di farlo.

Altre ancora, come quella sera d'inverno ghiacciato in uno scantinato di New York, avevano condensato una vita insieme nel fiato fluido di una manciata di parole.

Note discordanti di una melodia imperfetta.

 

"Sono felice che siamo tornati a condividere tutto”

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Note stonate

Questa non è una ff come le altre. Non è una ff come le altre affatto^^
E' il mio modo di dire a Giuls tante cose che a parole non saprei dire, in un modo un po' biascicato alla Hendrix, un po' sghignazzato alla Lars, un po' alternativo, come il suono dell'ago da tatuaggi sulla pelle.
Queste sarebbero note lunghissime da scrivere per elencare gli innumerevoli motivi per cui merita il mio omaggio, questa modesta OS che lei tanto attendeva e che io ho aspettato tanto per scrivere.
Primo, questa OS esiste perchè Giuls ha messo il suo ingegno a favore del mondo scrivendo questa magnifica fanfiction che porta il nome di Woke up this morning and found myself dead e io posso solo trarre spunto da quei meravigliosi personaggi che la sua mente deliziosa e febbrile ha partorito^^ Qualunque cosa avete letto non esisterebbe se non fosse per la sua fantasia, la sua creatività e il suo incommensurabile talento, nonchè, non meno importante, il suo contagioso entusiasmo nell'amare e portare avanti i progetti e le idee che coltiva con amore e pazienza.
Danno i suoi frutti, mia cara, come vedi^^
Questi personaggi esistono nella dimensione in cui li ha saputi tratteggiare con maestria e amore incondizionato, passione e dedizione.
I loro sentimenti sono lì, perchè loro sono veri.

 

"La parola collega la traccia visibile alla cosa invisibile,alla cosa assente,
alla cosa desiderata o temuta,come un fragile ponte di fortuna gettato sul vuoto.
Per questo il giusto uso del linguaggio per me
è quello che permette di avvicinarsi alle cose (presenti o assenti)
con discrezione e attenzione e cautela,
col rispetto di ciò che le cose(presenti o assenti)
comunicano senza parole."

(I.Calvino)


Io sono qui, per tutto il tempo che occorrerà

   
 
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