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Autore: MsStyles0622    19/04/2012    1 recensioni
Caro Diario,
Viviamo in una società, dove l’apparenza è quella che conta, gli abiti firmati, tanti soldi, un bel viso e anche, perché no, un bel corpo. Una società dove il cervello è considerato come un elemento superfluo nei problemi di geometria che insegnano alle elementari, e dove per alcuni, anzi per molti, il vero intelletto è situato nelle parti basse. Sono fermamente convinta che gli uomini, ma essendo obiettive anche le donne, debbano imparare a entrare nella mente altrui perché solo così potranno vedere la vera persona che si cela dietro all’aspetto esteriore.
In segreto,
Tua piccola Violet.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Caro Diario,
Viviamo in una società, dove l’apparenza è quella che conta, gli abiti firmati, tanti soldi, un bel viso e anche, perché no, un bel corpo.
Una società dove il cervello è considerato come un elemento superfluo nei problemi di geometria che insegnano alle elementari, e dove per alcuni, anzi per molti, il vero intelletto è situato nelle parti basse.
Sono fermamente convinta che gli uomini, ma essendo obiettive anche le donne, debbano imparare a entrare nella mente altrui perché solo così potranno vedere la vera persona che si cela dietro all’aspetto esteriore.

In segreto,
Tua piccola Violet.

- Signorina Owen, come suo direttore è doveroso riferirle che il suo attuale comportamento all’interno di quest’azienda non è consono. Le ricordo che lei è solamente in prova e il suo stage potrebbe finire in qualsiasi momento, nel caso in cui la sua presenza qui non sarà più necessaria, quindi la smetta di scrivere fesserie e torni a lavoro. –
Jason Dixon. Signor Dixon, anche conosciuto come direttore di uno dei giornali più celebri nel Regno Unito, nonché il mio direttore, il quale per puro caso, a sua detta, mi ha consentito di farne parte. “The Times” ha molto successo, come pochi, per la sua annuale rinnovazione, i giornalisti al suo interno, i più ricercati nello Stato Britannico, la grafica e tanto altre piccole cose che aiutano lo sviluppo di qualcosa di grande, e tra le tante ci sono io, Violet Owen.
Vincendo un concorso all’università, mi sono ritagliata un piccolo riquadro all’interno della rivista interamente ed esclusivamente mio, certo, non si può passare dalle stalle alle stelle, anche perché per una ragazza di vent’anni in cerca di lavoro per mantenersi gli studi sarebbe quasi surreale, tuttavia non mi lamento. Ogni settimana lavoro sodo per portare qualche idea nuova in stampa, forse, alcuni o quasi nessuno legge quella piccola rubrica all’angolo della pagina sei, ma da qualcosa bisogna pure iniziare. Lo stage durerà un’altra settimana, ancora ricordo il periodo in cui stavo scrivendo, quello che poi è diventato, l’articolo vincente. Probabilmente, se una qualsiasi persona avrebbe letto il mio articolo, senza conoscere la mia identità ad eccezione fatta per il nome, darebbe per certo la mia morbosa voglia di trattare argomenti come, ad esempio, l’anoressia e le modelle taglia 0, che sono un pessimo esempio per le generazioni future. Certo, io la considero dedizione per alcuni, quasi tutti quelli che mi conosco, mi confiderebbero quanto in realtà io sia ossessionata e forse, solo nel momento in cui quella persona avrà la possibilità di conoscermi come autrice allora ne capirà il motivo.
Non sono la classica ragazza magra, con tanti sogni, possibilmente tutti realizzabili, che ha avuto esperienze con i ragazzi, che non ha peli sulla lingua e dice ciò che pensa senza vergognarsene, anzi, sono esattamente l’opposto.
Sono formosa, se tale mi posso considerare, non ho mai avuto grande autostima il che mi porta al motivo per il quale scrivere mi rassicura: poter essere chi decido di essere. Mi ridestai dai miei pensieri con lo squillare insistente del telefono, probabilmente, anzi sicuramente, era il mio capo che per qualche ragione, in questo istante, aveva urgente bisogno di disturbarmi.
– Redazione “The Times”, Buonasera. –
Mi accorsi solo in quel momento che il mio turno sarebbe terminato di lì a poco, così mi preparai psicologicamente all’idea di prendere la metro. Non ero mai stata un amante dei mezzi pubblici, ma a Londra o, per meglio dire, in tutta l’Inghilterra era molto più conveniente prenderli anche per il semplice fatto che si risparmia del tempo e non dover affrontare il traffico di una grande metropoli, quale era. Certo, non che io preferisca la macchina, non avendo neanche la patente, ma essendo nata in una piccola cittadina, mi ero abituata alla tranquillità, le strade decisamente poco affollate, i negozietti dove i proprietari sapevano tutto di tutti, e, adesso, la mia vita era un’altra.
– Signorina mi porti nel mio ufficio le sue bozze per il prossimo numero, le correggerò nel pomeriggio. Lei, invece, può iniziare ad avviarsi. A domani. –
Come avevo, d’altronde, immaginato era il mio direttore che conoscendo le mie difficoltà per quanto riguarda i mezzi, mi concedeva di timbrare cinque minuti prima. Ero molto agevolata, l’edificio del giornale era una delle strutture più importanti della zona, fonte di guadagno e di turismo, era situato in una delle piazze principali che aveva un’entrata, o anche di più, della metro. Un mio difetto, o almeno io lo considero tale, è quello di isolarmi dagli altri, non sono mai stata una pettegola, essendo stata vittima di bullismo, quando ero piccola, ho sempre cercato di “sparire” per non recare danni a nessuno. Adesso mi crea tanti problemi, come dice sempre la mia migliore amica Harmony, sono molto timida, non ho avuto grandi esperienze fra serate in discoteca, che passavo per lo più al bancone ubriacandomi, e semplici uscite con gli amici; ciò mi rende molto insicura, anche di più se si tratta proprio di un ragazzo, diciamo che è un argomento tabù.
Posso, e uso il verbo potere per il semplice fatto che chiunque potrebbe smontare questa tesi, sembrare una ragazza indipendente che nel complesso si sa orientare, sicura di sé e quant’altro, ma in realtà ho lavorato sodo solo per quello stage, unica entrata per pagare l’alloggio dell’università, poiché non so gestirmi e, forse, solo quando ne va dei miei studi cerco di sistemare e migliorare il possibile; da piccola forse lo immaginavo diversamente, ma questa soluzione di divedere l’appartamento ha fatto si che conoscessi una delle persone più importanti della mia vita, Harmony Davis.
– Harmony sei a casa? –
Se i miei difetti erano tanti, secondo il mio parere, quelli di Harmony erano anche il doppio. Nel nostro caso, il detto “Gli opposti si attraggono” è quello che ci caratterizza meglio, siamo molto diverse quasi incompatibili, i primi giorni di convivenza sono stati i più duri. Mi viene da ridere al solo ricordo di tutte le discussioni avute per un tubetto di dentifricio lasciato aperto o per delle tazze della colazione abbandonate nel lavandino tutto il giorno. Arrivato il giorno di far cadere tutte le nostre barriere e finalmente conoscerci meglio, quello che era il suo fidanzato la lasciò scegliendo la banale scusa del “Mi dispiace, non ti amo più” quando poi lo scoprimmo il giorno dopo attaccato come una cozza a baciarsi un’altra ragazza, nonché sua cugina, che a questo punto è considerata come una sgualdrina e non più parte della famiglia. Ovviamente non la prese bene, avrebbe preferito di buon grado non averlo mai visto, una relazione come la loro, che ammiravo da lontano, si è sgretolata, lasciandomi l’amaro in bocca. Da quel giorno mi promisi di non farla più soffrire.
– Sì, ma sto per uscire. –
Fece la sua comparsa nel soggiorno, dove io mi ero comodamente seduta per alleviare, anche se di poco il dolore che quei tacchi atroci mi avevano causato durante il giorno.
– E dove vai di bello? –
Le chiesi a occhi chiusi, cercando di dimenticare tutto lo stress che il lavoro in quel giornale mi creava, facendo poco caso in realtà alla sua risposta. Quello che sentii, avendo il cuscino che attutiva ogni rumore, furono due parole: lezione e Adam. Adam Brown, ragazzo di ventitre anni, aspirante DJ alle feste dell’università, lo avevamo conosciuto in caffetteria, dove prendiamo il nostro solito tè pomeridiano da tipiche inglese, quali siamo, era un ragazzo con la testa sulle spalle frequento qualche corso con lui e la sua compagnia non mi dispiace.
– Adam? Avete deciso di continuare le conversazioni anche al di fuori della caffetteria? –
Ero solita lanciargli qualche frecciatina, per ricordarle che ci sono, ma anche che deve essere sicura di sé e di ciò che fa.
– Divertente. Comunque sì, ho intenzione di provarci seriamente questa volta. Ci si vede a lezione. –
Borbottai qualcosa d’indecifrato, andare a lezione era l’ultima cosa che volevo fare, ma mi toccava poiché per assentarti, dovevi come minimo avvertire due giorni prima. La stanchezza ormai era troppa che non riuscivo più a gestire un solo muscolo del corpo e fu così che mi addormentai a solo mezz’ora dall’inizio della lezione.


La suoneria del cellulare era la cosa più fastidiosa sulla faccia della terra, soprattutto se ti svegliava da un sonno ristoratore, come nel mio caso. Tastando il suolo alla ricerca della mia borsa, caddi sul pavimento a causa del mio scarso equilibrio, forse, era quello il motivo per cui Harmony non osava mai svegliarmi.
– Pronto? –
Riuscii a recuperare il telefonino, anche se feci una fatica immane, pregai il cielo e tutti i santi che non fosse nulla d’importante, anche perché non avevo le forze per muovermi e correre a destra e a manca.
– Violet … Violet … Sei ancora a casa? La lezione sta per iniziare! –
Sgranai gli occhi.
Oh Cazzo!
Mi alzai di corsa sbattendo contro il tavolino del salone, sempre odiato, fiondandomi come un razzo, o forse come una lumaca dipende dai punti di vista, nella mia stanza e cercai di prendere almeno i libri e il quaderno degli appunti. Afferrai le chiavi di casa, infilandomele nella tasca del giubbotto, e aprii la porta d’ingresso, ma dopo nemmeno due passi realizzai quanto fosse freddo il pavimento, abbassai lo sguardo.
Cazzo le scarpe!
Ogni volta mi ripromettevo che non sarebbe più successo, ma mi sbagliavo, ritornavo sempre più stanca e avere lezioni il pomeriggio non agevolava di certo! Presi il primo paio di ballerine che trovai sparse nella stanza, sperai che fossero, come minimo, lo stesso paio. Questa volta mi fiondai fuori dalla porta avevo già perso parecchio tempo, scesi le scale di corsa, fortunatamente eravamo solo al secondo piano, perché sfortunatamente l’ascensore era rotto, da ormai un paio di mesi, e ovviamente, anche se hai chiesto spiegazioni e hai fatto nota la questione, nessuno verrà mai ha ripararlo.
Guadagnai tempo con l’apertura del cancelletto, non essendo mai chiuso a chiave, e non feci neanche lo sforzo di aprirlo poiché erano arrivate nuove matricole e i vari traslochi erano in corso, forse, qualche spintone lo avevo avvertito, ma troppa era l’ansia di arrivare tardi che non feci neanche caso a eventuali risposte sgarbate. Corsi per quasi tutto il tragitto, ero consapevole di non essere un bello spettacolo quando correvo anche perché arrancavo, non essendo mai stata un’atleta devota, anzi devota si, ma alla panchina. Intravidi l’inizio del vialetto che portava all’interno della galleria con le aule principale, e riuscii a scorgere Harmony che muoveva insistentemente le braccia, credo che chi le stava intorno credesse che fosse pazza.
– Tu e la tua relazione con il letto deve assolutamente finire, perché non impieghi il tempo in qualche altro modo? –
Al solito, se io ero al quanto spinosa con le mie frecciatine, lei era quanto di più ironico c’era al mondo.
– Dispiace, ma ero con il divano. –
Mi guardò allibita, mentre io scoppiai a ridere. Era sempre così tra di noi, anche per una battuta stupida, anzi anche quando non era una battuta, c’era sempre qualcosa da ridere.
– Non mi guardare così Harmony. Sì ho un amante. –
Anche Adam scoppiò a ridere, essendo contagiato da noi due, mentre cercai di riprendere fiato e, soprattutto aria, mi staccai un po’ dal gruppo guardandomi intorno, ero, comunque, riuscita ad arrivare in tempo, ma qualcosa mi colpì, in senso letterario.

 

  
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