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Autore: cup of tea    19/04/2012    1 recensioni
E' una song-fic piuttosto breve, ispirata, come avrete notato dal titolo, a Cubicles.
Un Gerard sconsolato racconta a un Frank novello barista cosa c'è che ultimamente non va.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: questa OS è frutto della mia fantasia, spero di non aver inconsapevolmente “rubato” lo spunto a qualcuno. Nel caso fatemi sapere.
Le parti in corsivo sono una libera traduzione della canzone “Cubicles” dei My Chemical Romance; non potevo farne una traduzione letterale perché dovevo adattare i versi ai dialoghi.
Mi piacerebbe sapere che ne pensate, quindi, se vi va, lasciatemi una recensioncina…
 
Ah, ovviamente non vengo pagata.

 

CUBICLES

 
I’d photocopy all the things that we could be
If you took the time to notice me
But you can’t now, I don’t blame you
And it’s not your fault if no one ever does.

 
Gerard era seduto al bancone del bar e  guardava il bicchiere ormai quasi vuoto.
Non si ricordava cosa avesse ordinato, né tanto meno a quale numero fosse arrivato, ma non gli importava. Certamente non era ancora così ubriaco da sentirsi in obbligo morale di fermarsi, e poi non doveva guidare.

“Lavoro in quell’ufficio da sette anni.” Disse a Frank, il nuovo ragazzino che Phil, il proprietario, aveva assunto all’inizio della settimana.
“Postazione 23, quella accanto alla finestra.
Il mio mestiere mi piace. Ti ho detto che creo illustrazioni per i biglietti d’auguri?
Certo è un’occupazione modesta, per uno che ha passato la sua adolescenza in una scuola d’arte, ma è anche dignitosa, e mi permette di tirare avanti.”
Si passava il bicchiere da una mano all’altra, strusciandolo sul legno scuro e ruvido del bancone.
Frank guardò lo strano ragazzotto che aveva di fronte e lasciò perdere i bicchieri che stava sciacquando.
Era quasi l’orario di chiusura, il bar ormai vuoto. Phil non gli avrebbe fatto storie, e in ogni caso sentiva che quel poverino meritava che qualcuno gli desse retta.
Perciò si sedette e, appoggiati i gomiti sul bancone, si mise ad ascoltare.
 
“In tutto questo tempo ho sempre lavorato sodo, a volte fino a spezzarmi la schiena.
Sai, no? Fai una bozza seduto alla scrivania qui in ufficio, poi decidi che non ti piace e la cancelli, per poi rifarla e realizzare che il nuovo schizzo è più brutto di quello precedente. Quindi in un attimo si fa sera, e ti accorgi di non aver portato a termine il lavoro che ti avevano affidato. Spesso mi ritrovo a dover finire i miei disegni a casa – Dio, non sai quante cartacce ci sono sparse sul pavimento di casa mia.” Ridacchiò tra sé Gerard.   
“Le postazioni sono divise tra loro da separé alti abbastanza da non farci avere facilmente contatti con i colleghi, sai, per non distrarci. È un modo per isolarci dai rumori e concentrarci meglio sui nostri lavori.
A me va bene così, non sono mai stato un compagnone e inoltre mi salvo da conversazioni che, conoscendomi, farei cadere in silenzi imbarazzanti.
Ora che ci penso, mi meraviglio che con te non stia succedendo.” Continuò, parlando più a sé stesso che al suo ascoltatore.
 
“Comunque, un giorno pioveva. La finestra era appannata e io non riuscivo a guardare fuori.
Spesso il paesaggio sterile all’esterno dell’edificio mi aiuta a trovare l’ispirazione, strano vero?
Beh, quella mattina dovevo disegnare qualcosa per un biglietto di S. Valentino … festa patetica, lo so, ma che vuoi farci? E mi arrovellavo il cervello per non buttare giù il solito Cupido armato di arco e stupide frecce con la punta a forma di cuore. Alla fine mi sono rassegnato alla banalità e in dieci minuti ho finito quello che dovevo fare.
Per una volta, sarei tornato a casa ad un orario decente - non che sia importante, non c’è nessuno ad aspettarmi.
Beh,  mi sono alzato e diretto verso l’uscita.”
 
Gerard fece una pausa prima di continuare.
Ora teneva gli occhi socchiusi, come se la sua mente fosse da tutt’altra parte, ipotizzò Frank.
 
“Per raggiungere la porta devo attraversare praticamente tutto l’ufficio, passando davanti alle postazioni dei miei colleghi.
E fu in quell’occasione che la vidi.
Solo due postazioni più in là della mia.
Che stupido a non averla notata prima!
Così bella, così straordinariamente elegante nell’impugnare la matita, così fottutamente perfetta.”
 
Si fermò di nuovo per buttare giù l’ultimo sorso del suo drink, facendo cenno a Frank di dargliene ancora.
Il ragazzino si chiese se fosse o meno il caso di accontentarlo, ma infine acconsentì.
 
“Non le ho mai parlato.
Ho passato i giorni seguenti disegnando il suo volto ovunque. La mia postazione era…  è piena di scarabocchi che la ritraggono. 
So cosa stai pensando: “Non bastava che ti presentassi?” beh, una persona normale l’avrebbe già fatto, sono d’accordo con te. Ma io non sono affatto normale e, come ti ho già detto, non sono mai stato un compagnone.
 
A lungo andare mi sono innamorato di lei. Segretamente.
Dio, non conoscevo nemmeno il suo nome.
Andare  in ufficio era diventato un po’ come fare lo stalker in modo legale.
Sì, insomma, non dovevo seguirla fino a casa o telefonarle a notte fonda. Dovevo solo alzarmi e fingere di andare a fumare una sigaretta o a prendere un caffè alle macchinette. Mi bastava passarle davanti e darle un’occhiata mentre disegnava. Ero contento così.
…E guardami ora.” Disse amaramente, mentre ingoiava tutto d’un fiato quel che aveva nel bicchiere.
 
Frank non sapeva cosa pensare, era solo stato catturato dalla storia di quel ragazzo che probabilmente aveva più anni di quanti ne dimostrasse.
 
 “Poi, un giorno come gli altri, arrivo in ufficio e trovo una baraonda. Striscioni, palloncini… una festa.
Di cui, ovviamente, non ero al corrente.
Ho sentito il pavimento crollarmi sotto i piedi quando ho capito per chi – e per che cosa – fosse stata organizzata.
Melanie, così si chiamava, lasciava il lavoro per seguire il suo futuro marito in un’altra città.
Sta per sposarsi, capisci?!
Mentre io mi facevo film mentali su tutto ciò che avremmo potuto essere se si fosse presa la briga di accorgersi della mia presenza, lei organizzava allegramente il suo matrimonio. Ovviamente non la biasimo. Non è colpa sua. Nessuno mi ha mai notato.
Se è per questo non c’è nemmeno stato qualcuno dei miei colleghi che mi abbia chiesto se avessi voluto prendere parte ai festeggiamenti…”
 
Frank questa volta si oppose all’ennesima ordinazione di Gerard.
Invece, gli offri una sigaretta, incurante del minaccioso cartello “Vietato Fumare”, appeso al muro sopra le loro teste.
Era un’emergenza e comunque Phil era già andato a casa.
 
Era lacerante il suono di tutti quei messaggi d’amore e congratulazioni appesi alle finestre sporche di grigio.
Non l’ho sopportato e sono andato a nascondermi in bagno.
Piangevo come una femminuccia.
Sono rimasto lì dentro tutto il giorno; sono uscito solo quando ero sicuro che tutti fossero tornati a casa.”
 
Frank voleva dire qualcosa, ma fu bloccato prima ancora che potesse aprire bocca.
 
“So cosa stai per dirmi: ‘Forse è il caso che tu faccia qualcosa!’
Beh, ora è troppo tardi per fare qualsiasi cosa.
Se anche mi sforzassi di presentarmi, lei non può più notarmi.
Non lavora più lì, il suo posto vuoto potrebbe essere riempito con una sagoma di cartone con il suo viso.
Non posso fare altro che pensare che morirò da solo, passerò il mio tempo con degli sconosciuti.
Vivrò, respirerò e poi morirò da solo.
E’ la giusta fine per questa storia d’amore fredda come l’acqua ghiacciata.”
 
Si fermò a riflettere, e poi disse: “Sì, penso che mi piacerebbe morire da solo.”
 
Frank a quel punto non ce la fece più a trattenersi. Il ragazzo aveva passato il limite.
 
“Stronzate.” Sbottò.
Per la prima volta, udendo la voce del ragazzino che aveva di fronte, Gerard lo guardò. Fu come se si fosse appena accorto della sua presenza e si sentiva quasi intimorito dalla grinta con cui lo aveva aggredito.
Rimase in silenzio.
 
“Pensi di sapere tutto, tu – vero? Beh non sai un bel niente!
Stai qui a commiserarti, a dire che nessuno ti vuole e che morirai da solo.
Ti do una notizia bomba: ci stai riuscendo!
Invece di prendere in mano la tua vita, stai qui a piangerti addosso.
Domani io e te usciremo, andremo al parco a ballare sotto un albero, prendendo a calci tutte le lame che vediamo. O se preferisci andremo alla spiaggia e staremo lì fino a notte fonda e il buio ci avvolgerà, come il velluto accoglie gli spilli.
Metteremo fine alla tua pena. Hai la mia parola.
 
Gerard era esterrefatto e senza parole. “Non so come si fa.”
 
“Io sì.” Rispose Frank. “Cominceremo con l’accompagnarti a casa.”
   
 
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