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Autore: _Calliope_    19/04/2012    5 recensioni
Sono le otto e un quarto di mattina quando Molly si accorge di essere seguita.
Una Molly/Irene piuttosto lunga ed insensata perché mi piace farmi/vi del male e perché l'Irene scritta da Moffat mi sta un po' sulle scatole. (Ah, e anche per la logica "perché genderswappare John e Sherlock quando abbiamo già queste due fanciulle?)
{SPOILER abbastanza consistenti sulla seconda serie. Lettore avvisato...}
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash, Slash | Personaggi: Irene Adler, Molly Hooper
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Girl With One Eye

 

I.

She told me not to step on the cracks
I told her not to fuss and relax
Pretty little thing stopped me in my tracks
But now she sleeps with one eye open
That's the price she'll pay

I took a knife and cut out her eye
I took it home and watched it wither and die
Well, she's lucky that I didn't slip her a smile
That's why she sleeps with one eye open
That's the price she'll pay

I said, hey, girl with one eye
Get your filthy fingers out of my pie
I said, hey, girl with one eye
I'll cut your little heart out 'cause you made me cry

 

 

Sono le otto e un quarto di mattina quando Molly si accorge di essere seguita.

Oddio, aveva questa impressione da giorni; ma era un'impressione, appunto, una specie di solletico sul retro della nuca che le diceva qualcuno ti sta osservaaaando. Niente di concreto, e per circa una settimana si dà dell'imbecille paranoica finché un (bel) piovoso lunedì mattina non avverte di nuovo quel formicolio dietro la testa e si gira per l'ennesima volta e qualcuno svolta troppo in fretta in una stradina laterale.

Non coglie niente del suo misterioso inseguitore; non capisce neanche se sia un uomo o una donna, solo che è vestito/a di nero ed è scomparso/a troppo in fretta perché possa trattarsi di una coincidenza.

Molly se ne sta ferma in mezzo alla strada per qualche secondo, poi un tipo le va a sbattere contro e borbotta uno 'scusi e lei si rassegna a sospirare e ad andare al lavoro come al solito e que serà serà. Che cavolo, però, tutte a me devono capitare.

(Mi dispiace, Misterioso Inseguitore, dovrai aspettare finché non avrò almeno due caffè in corpo. Oggi non è giornata.)

 

Dopo una settimana, diventa una certezza: qualcuno la sta seguendo. Molly si è allenata a guardare dietro di sé senza voltare la testa , e percepisce costantemente la presenza dell'inseguitore, quel filo che li unisce, quell'elettricità esistente solo tra due persone che in mezzo a una folla sono interessate unicamente l'una all'altra. Spesso nota un movimento con la coda degli occhi, se sta attenta, un momento in cui l'inseguitore si avvicina pericolosamente ed è poi costretto a ritirarsi. Le ricorda certi racconti sulle fate, in cui l'ignaro essere umano riesce a scorgere un guizzo di ali o di orecchie a punta che appena gira la testa sono scomparse.

 

Molly si fa un serio esame di coscienza. Dovrei avere paura?

La ragione dice sì, assolutamente sì, vai alla polizia, chiedi aiuto, protezione, non sai per quanto tempo questa persona si limiterà a seguirti. Sembra la cosa più sensata; ma l'istinto le dice che non sarebbe una mossa saggia, e Molly è un medico, e sa che l'istinto ha le sue ragioni: lavora sempre in favore dell'autoconservazione.

Innanzitutto, è improbabile che qualcuno le creda, e in effetti non ha prove di quello che sostiene. In più, ha il sospetto che l'inseguitore sia furbo: la lascerebbe in pace per un certo periodo e poi ricomincerebbe.

Probabilmente Sherlock le crederebbe – potrebbe essere una scusa per parlargli – ma Molly possiede ancora un po' di orgoglio, grazietante, e in ogni caso probabilmente lui considererebbe la cosa indegna della sua attenzione, e Molly non ha proprio voglia di vederlo accantonare le sue paure con noncuranza.

Infine, c'è la parte più inspiegabile di tutte: le sembra che l'inseguitore non abbia cattive intenzioni. Non ha nessun motivo per supporlo, a parte un lampo di vaga intuizione e l'ombra di un sorriso percepita, più che vista, prima che la persona si infilasse in chissà quale ombra e scomparisse.

Però questa cosa va ormai avanti da due settimane, e Molly pensa che dovrebbe veramente prendere qualche provvedimento, e per un paio di giorni tentenna nell'incertezza finché l'inseguitore non fa la prima mossa ed esce allo scoperto.

 

È domenica, e Molly sta tornando da Hyde Park – che è bellissimo anche in inverno e in effetti le fa un po' dimenticare quanto sia inverno – e per una volta ha abbassato la guardia, canticchiando nel sole del tramonto, quando si accorge che la strada in cui sta camminando è deserta a parte per la persona all'altro capo del filo elettrico. L'inseguitore. Molly si ferma di botto col cuore in gola.

Buonasera”, dice una voce melodiosa, e l'inseguitore evidentemente non è un uomo. Questo non la rende affatto meno nervosa, ma andiamo incontro al nostro destino con la testa alta e tutte quelle cose là. Molly si gira e che bello, pugnalata allo stomaco.

La sconosciuta è bellissima, cosa che non sarebbe detestabile di per sé, ma è bellissima in un modo in cui Molly non è mai stata e non sarà mai. È composta ed elegante e invidiabilmente consapevole di questo: indossa un cappotto nero che le dona molto e delle scarpe rosse con un tacco impressionante e un ombretto azzurro che fa risaltare meravigliosamente i suoi occhi chiari e Molly prova nei suoi confronti un'antipatia istintiva di proporzioni considerevoli; ha passato metà della sua vita a farsi prendere in giro da persone come lei e questo basta a metterla sulla difensiva.

Chi sei?”, chiede quindi, tesa. La donna sorride e le fa una radiografia dalla testa ai piedi, avvicinandosi (nonindetreggiarenonindietreggiare). “Una persona curiosa; ho sentito parlare di te, Molly Hooper”.

Molly stringe i pugni nelle tasche e alza il mento. “Ah, sì? E a che proposito?”
“Non ha importanza. Ti basti sapere che molte persone ti considerano speciale” la parola reca una lieve traccia di ironia, un sorriso educatamente scettico “e questo mi ha incuriosita”.

E quindi mi hai pedinata per due settimane”.

Intanto la sconosciuta si è avvicinata, e adesso sembra molto interessata a una ciocca di capelli che le copre in parte l'occhio destro. Molly riesce a sentire il suo profumo: è dolce e assuefacente e urla pericolo!

Così, quando la donna avvicina la mano al suo viso e inizia ad arrotolarsi la ciocca intorno all'indice della mano destra, Molly esclama “No!” e fa un passo indietro. La sconosciuta sembra sorpresa.

No cosa?”

Non toccarmi, per favore”.

Ed eccolo, ecco l'espressione che si addice di più al suo viso, che sembra esprimere la sua vera natura, il sorriso furbo e predatore. La sconosciuta è pericolosa.

Non c'è motivo di avere paura”.

Sì, come no. Non mi fido di te”.

Finalmente la donna la guarda negli occhi, e adesso sembra genuinamente interessata; non ha mai smesso di sorridere.

Ooh, capisco”, dice lentamente, “fuoco”.

Molly invece non capisce e il nervosismo la sta uccidendo. “Senti, appurato che non vuoi farmi del male” speriamo “cosa... cosa vuoi? Ti serve, non so, un favore?”

Stranamente no, non desidero nulla da te. Solo incontrarti, e forse conoscerti, se sei abbastanza interessante”.

V... va bene, conoscermi, d'accordo. Sarebbe bello se, uhm, la conoscenza fosse reciproca. Puoi dirmi chi sei? Ci siamo già incontrate e io non me ne ricordo?”

La sconosciuta sembra divertita.

Beh, tu hai più o meno incontrato me, anche se in realtà non ero io, e sono abbastanza sicura che all'epoca la mia non-faccia fosse abbastanza irriconoscibile, il che è esattamente quello che desideravo”.

eh?

Molly si arrovella su questi mezzi indizi per quindici secondi buoni, corrugando la fronte, cercando di capire esattamente cosa le ricordino le frasi della sconosciuta – perché le ricordano qualcosa – e di associarle a un nome, un volto, ma niente. La donna la osserva, e sembra sempre più divertita, e poi a un certo punto spalanca gli occhi, e questo le conferisce un'espressione strana ma non spiacevole, e dice: “Pensa” e qualcosa si sblocca.

Aspetta! T-tu sei lei!”, esclama, colpita da un'illuminazione. “Irene Adler! Quella che pensavano fosse morta! Il motivo per cui Sherlock è stato intrattabile per settimane!”.

Risposta giusta. La sconosciuta – beh, ora non più - sembra soddisfatta, e la osserva in silenzio mentre Molly riflette per qualche secondo sulla situazione. In effetti sa pochissimo di lei. Lo stretto indispensabile.

Io sono sua amica, sai”, dice alla fine, o almeno, lui è amico mio, “dovrei... non so, sgridarti per avergli spezzato il cuore o prenderti a schiaffi o qualcosa del genere”. È la prassi.

Il sorriso della donna si trasforma in una maschera di ghiaccio nel giro di un istante; è un lampo, un guizzo di genuina delusione. Uh?

E a cosa servirebbe, esattamente?”, chiede, in tono annoiato. “Non farebbe sentire meglio né lui, né te, e sicuramente non me. Cosa pensi che dovrei fare, pentirmi? Sentirmi in colpa? Ma per favore. Ho corso un rischio, sai, un grande rischio, ed il tuo amico” (sarcaaaasmo. Pesante, anche) “non si è rivelato all'altezza delle aspettative. Fine. Dio, quanto potete essere stupidi. Buona serata”.

Detto questo, gira sui suoi indubbiamente molto costosi tacchi e inizia a camminare a passo spedito.

Molly sbatte le palpebre. Cos'è appena successo? Mi sfugge qualcosa.

La non-più-sconosciuta – Irene Adler – sta per scomparire nel crepuscolo, e Molly combatte per non cedere a uno stupido istinto insensato, e poi ricorda, autoconservazione, e perde. Quindi, prima che Irene possa scomparire nel crepuscolo, per qualche ignoto motivo (forse perché Molly ha questo cretinissimo istinto da crocerossina e le è sembrato di aver toccato un tasto sbagliato e sente il bisogno di riparare il danno o forse perché non ha mai sentito nessuno definire Sherlock “non all'altezza delle aspettative” o forse per pura curiosità o forse per tutte queste cose insieme o forse per nessuna in particolare), insomma, fatto sta che Molly dice “Aspetta!” a voce troppo alta e, quando la donna si gira aggiunge, in tono incerto, “Caffè?”.

 

La cosa bella di vivere in una grande città è che puoi trovare negozi e bar e ristoranti aperti a qualsiasi ora del giorno, se sai dove cercare. Molly pondera sulla questione mentre fissa la sua tazza di caffè e si chiede se questo silenzio sia veramente imbarazzante o se sembri solo a lei. Furtivamente, lancia un'occhiata veloce alla donna seduta di fronte a lei: la sta scrutando con un sorriso furbo (ma non smette mai di sorridere?) e sembra che non potrebbe essere a suo agio.

Non ti facevo una persona da caffè”, dice Irene alla fine.

Ho preso l'abitudine all'università, quando avevo bisogno di stare sveglia fino a tardi per studiare”, risponde Molly, nervosa.

Ancora silenzio. È risaputo che per essere a proprio agio in presenza di una persona senza parlare richiede un certo grado di intimità e di conoscenza reciproca. Il modo in cui Irene non cerca di fare conversazione e sembra comunque padrona della situazione è quasi innaturale.

Sai, se volevi conoscermi avresti potuto, non so, invitarmi a bere qualcosa”, dice Molly alla fine.

Davvero?”. Irene sembra genuinamente sorpresa. “Ma così è stato più divertente, e sono riuscita a capire che tipo di persona sei senza doverti parlare prima, il che è una grande comodità. Questo metodo è il migliore”.

Beh, è illegale seguire le persone”, sottolinea Molly. “Una persona meno comprensiva di me si sarebbe potuta arrabbiare”.

Irene sembra interdetta per un attimo. “Accidenti”, dice poi, “c'è sempre qualcosa che non va”.

Non... non ci hai pensato? Non ti è passato per la testa che le persone si spaventano quando si accorgono di essere inseguite?”
“Non si può pensare sempre a tutto”.

A Molly questo ricorda qualcosa. Delle parole di una definizione di un vocabolario medico. Diminuzione dell'integrazione sociale e della comunicazione...

Oh, ma allora è ammirabile. Molly osserva la donna sicura di sé che ha davanti e improvvisamente le proporzioni della sua antipatia non sono più così considerevoli.

Hai ragione”, dice quindi. “Tu invece mi sai proprio di persona da caffè”, aggiunge dopo un po', in una maldestra offerta di pace.

Irene sorride.

 

Com'è prevedibile, quella notte Molly è preda dell'insonnia. Si rigira nel letto per ore, prima di accendere la luce e alzarsi a sedere sbuffando.

Dovrei odiarla?

A rigor di logica, sì, e nessuno si sognerebbe mai di biasimarla. La gelosia e l'invidia sono sentimenti universalmente condivisi e comprensibili. Chiunque capirebbe che Molly venderebbe l'anima per essere come Irene, affascinante, misteriosa, sicura di sé, e abbastanza intelligente e interessante da attirare l'attenzione di Sherlock.

Davvero?

È un pensiero nuovo, nato dal buio e dalla pazienza. Davvero Molly vorrebbe disperatamente essere come Irene? Più ci riflette e più ne dubita. L'ha pensato per mesi, senza conoscerla, ma ora che l'ha incontrata pensa che non le piacerebbe per niente vivere nella sua pelle. Perché è così controllata. Nei gesti, nelle parole, nel vestire. Dev'essere una fatica immane, e Molly non è del tutto sicura che ne valga la pena. In più, se l'intuizione che ha avuto su di lei è giusta, il suo sforzo raggiungerebbe dimensioni enormi. E per cosa, poi? Hanno passato due ore a parlare di tutto e di niente, e non ha mai parlato di amore, amici, famiglia, cose che Molly vorrebbe e che Irene potrebbe ottenere senza sforzo; però non le desidera. A lei interessa il potere, il controllo. Molly sa che è una cosa comune, ma non riesce a capirla. Controllare le cose le rende prevedibili.

No, decide improvvisamente. No, non le piacerebbe essere come Irene. Neanche se significasse l'ammirazione di Sherlock, per quanto la cosa le faccia attorcigliare lo stomaco.

Questa donna non merita il suo odio. È profondamente diversa dagli altri, eppure è uguale: merita, come loro, comprensione e attenzione. Ammesso e non concesso che la riveda.

Finalmente, si addormenta.

 

Nei due mesi seguenti la incontra più di una volta, anche se “incontrare” non è proprio il termine giusto. Vedete, Irene possiede la capacità di comparire apparentemente dal nulla, facendo perdere a Molly almeno dieci anni di vita ogni volta.

Come fai?”, le chiede quindi la seconda volta che compare al suo fianco per strada, tutta tacchi e rossetto Chanel e nessun rumore, mentre lei sta tornando a casa dal lavoro (e glielo chiede perché sente di poterlo fare, perché intuisce che otterrà una risposta, perché stranamente Irene non la mette in soggezione, cioè, sì, ma non è timore reverenziale come succede con Sherlock, ma questa è un'altra storia). Irene alza le spalle, un gesto sorprendentemente poco elegante ma che su di lei non stona, per qualche motivo.

Anni e anni di danza classica. Caffè?”

E anche se sembra una cosa da niente, Molly capisce che queste informazioni non vengono condivise spesso, e le custodisce con cura, come fa con tutte le parole rare e spesso taciute. Anzi, le colleziona. “Odio la pioggia; incita i miei capelli alla ribellione”, dice, o “A volte mi sembra che questa città scoppi di persone; è un po' spaventoso”; solo per sentirsi rispondere “Io invece la adoro” o “A me sembra che di persone non ce ne siano mai abbastanza”, e per scorgere quel luccichio rivelatore negli occhi. Questa cosa è importante. Non dimenticarla.

(Molly non dimentica.)

In effetti non capisce bene quali siano le sue intenzioni; sa solo che nel giro di due mesi Irene le appare al fianco dal nulla per cinque volte, quando torna a casa o quando va al lavoro, o durante la pausa pranzo, e Molly si spaventa ogni volta ma non fa commenti e aspetta; non è nella sua natura respingere le persone. E poi la compagnia di Irene è piacevole: non è una stronza con manie di onnipotenza come ci si potrebbe aspettare, anzi, Molly è impressionata dal fatto che sia disposta ad ascoltare per un'ora le sue preoccupazioni sulla progressiva scomparsa delle lingue autoctone in Australia (ehi, è un problema serio). Sembra che non senta il bisogno di dimostrare niente, e sorride spesso, e l'ultima volta aveva persino i capelli sciolti (Molly trova che le donino di più così, ma non è lei l'esperta di queste cose quindi potrebbe non voler dire niente.)

Non parlano di Sherlock; non hanno più toccato l'argomento dal primo giorno. È strano come alcune delle persone che sono più importanti per noi risultino essere dei pessimi argomenti di conversazione, perché parlare di loro con qualcuno è doloroso, o perché pensare a loro è totalizzante e complicato e quindi inadatto a una conversazione rilassante e disimpegnata.

Quindi non ne parlano, e l'ombra di Sherlock si affievolisce sempre di più.

 

La prima volta che Molly si trova Irene in casa è a fine marzo e Londra si stiracchia sotto una pioggia primaverile, leggera e non invasiva, pronta a cedere il passo al sole; il solo tipo di pioggia che Molly sia disposta a tollerare. Sono le sette di sera e Molly apre con sollievo la porta di casa, pregustando una serata tranquilla e le ultime cento pagine di un libro iniziato due settimane prima; che strano, non mi sembrava di aver lasciato la luce accesa...

Infatti; Molly non si spaventa eccessivamente, ma è comunque con un certo shock che registra la presenza di una persona seduta di traverso sulla sua poltrona preferita in salotto, con le gambe e la schiena appoggiate ai braccioli, gli occhi chiusi e la testa abbandonata all'indietro.

È una scena strana, e a Molly ricorda delle foto di certe ragazze francesi che riescono a sembrare eleganti anche nella scompostezza, con le scarpe abbandonate sul pavimento e la gonna piena di pieghe. Dopo qualche secondo di stupore, riesce a emettere un: “Come hai fatto a entrare?”

Senza aprire gli occhi, Irene si porta una mano ai capelli e ne estrae una singola forcina; la sua intera pettinatura cade in ricci scomposti. E come fa a tenere su tutti i capelli con una sola forcina? Stregoneria.

Dovresti cambiare serratura, ci ho messo meno di un minuto ad aprire questa”.

Ok. Che dovrei fare adesso, esattamente?

Molly avrebbe mille ragioni per cacciare questa donna fuori da casa sua, ma sfortunatamente è perseguitata da questa maledizione, quella del non respingere le persone; Irene sicuramente non è innocua, anzi, tutto il contrario, ma non le ha ancora fatto niente di male – beh, a parte la violazione di domicilio, ma glissiamo – e Molly ritiene un dovere personale giudicare le persone in base alle loro azioni e non alla loro fama. E poi – eterna benedizione e disgrazia del genere umano – è curiosa. Cosa vuole da me? Perché io?

Quindi sospira, si volta e chiede “Hai fame?”, ricevendo un “No” distratto come risposta. Oh beh. La pazienza è la virtù dei forti.

Irene emerge quando Molly ha quasi finito di lavare i piatti, e vaga per la cucina con l'aria di cercare qualcosa e di essere determinata a trovarla.

Aspetta. Ma io avevo ancora delle bottiglie di vino qua dentro?

Si siede davanti al suo bicchiere senza parlare. Se ne stanno così, in silenzio, per quasi cinque minuti, finché Molly non ce la fa più e comincia a ridacchiare.

Irene le rivolge un sorriso distratto e torna a fissare il vuoto con aria assorta. Dopo un po' dice: “Sai, se lavorassi per me ti pagherei una fortuna. Non sai quanto siano rare le persone che non fanno domande stupide”.

Io faccio un sacco di domande stupide”.

No, fai un sacco di domande scontate; questo non vuol dire che siano stupide. Molti grandi uomini si rovinano perché si rifiutano di fare domande scontate. Hanno paura di sembrare stupidi”.

Oh. “Era un complimento?”

Irene alza lo sguardo su di lei e ridacchia, sorpresa. “Potrebbe”.

Dopo qualche secondo, Molly aggiunge: “Beh, anch'io pagherei una fortuna, se potessi, per farti lavorare per me. Mi servirebbe proprio qualcuno capace di trovare tutte le bottiglie di vino e i libri e le cose che perdo”.

Gli occhi di Irene brillano. “Beh, in effetti ho un certo talento per trovare le cose, anche se non è proprio quello il mio campo”.

Molly arrossisce e guarda altrove, ma non abbastanza in fretta da non vedere Irene avvicinarsi il bicchiere al viso e notare una cosa che prima le era sfuggita: dei lividi blu sui suoi polsi.

Che cosa... che cosa ti sei fatta?”

Oh, questi?”, chiede l'altra, lanciando un'occhiata distratta alle proprie braccia. “Beh, sai che mi diletto in giochi pericolosi”, e cambia argomento.

Però Molly non riesce a smettere di fissare il suo braccio; adesso che ci presta attenzione, si accorge che è disseminato di lividi, niente di grave, ovviamente, ma fa impressione.

Potresti smetterla di fissarmi così? È indisponente”, dice Irene alla fine, in tono seccato.
“Scusa”, mormora Molly. Non si era neanche accorta di aver smesso di rispondere. Irene la guarda per qualche secondo, poi sospira.

Senti, per chiarezza, devi sapere quello che faccio. Io manipolo le persone. Le uso per ottenere informazioni, denaro, potere. Uso i loro desideri contro di loro, e non mi dispiace, perché è questo che amo e che sono brava a fare. Questo gioco è mio e io sono nata per lui¹, e capisco che a volte ci sono conseguenze spiacevoli, a volte comporta dolore e fatica. Lo so e lo accetto. Lo faccio da sempre. Ne vale la pena”.

Molly lo sa. Prima lo sospettava, adesso ne è certa: Irene non è quella che si potrebbe convenzionalmente definire una “brava persona”. Molly non la condanna per questo: fa, come tutti, il meglio che può con quello che ha. Solo che, naturalmente, corre dei rischi e a volte non tutto va per il meglio. Ma, come ha detto, lo sa e lo accetta.

È una questione di empatia.

Ne esistono di due tipi. La prima è quella che proviamo nei confronti di tutti i nostri simili, che ci permette di identificarci con dei perfetti sconosciuti e condividere le loro emozioni e sensazioni.

Poi esiste un'empatia più personale, più particolare, che si applica solo ad alcune persone, quelle che sentiamo per qualche motivo vicine a noi, perché ci ricordano noi stessi, o perché teniamo a loro, o perché le conosciamo abbastanza bene da comprenderle. Questo tipo di empatia è rischiosa, perché ci fa identificare con un'altra persona fino a quando non diventa doloroso. È come sentire per due.

Molly non capisce perché la provi per Irene (è anche vero che quest'empatia è apparentemente irrazionale). Sa solo che probabilmente si sta preoccupando di quei lividi probabilmente più della persona che se li è procurati, e che dovrebbe veramente smetterla perché tra poco inizierà a diventare spiacevole. Quindi torna a guardarla in faccia e, dopo qualche secondo, dice:
“Stai attenta, però”.

Irene sorride e avvicina di nuovo il bicchiere alla bocca.

 

Molly si sveglia il giorno dopo con il mal di testa e la schiena dolorante. Ci mette un po' a ricordarsi dov'è: il sole entra dalla parte sbagliata, è in una posizione strana.

Salotto. Divano. … okay. Cosa è successo ieri sera?

Irene. C'era Irene in casa sua per nessun motivo apparente e aveva dei lividi sulle braccia e hanno passato la serata a parlare e ad un certo punto Molly ha proposto di andare a sedersi in salotto perché le sedie della cucina sono scomode ed è così che dev'essere approdata sul divano. Forse ho bevuto un bicchiere di troppo. Sì, dev'essere così, in condizioni normali non sarebbe crollata a quel modo.

Chiude gli occhi e nasconde il viso tra le mani. Cos'altro? Ricorda stralci di conversazione, Irene che maneggia i suoi vecchi CD, oh, vedo che qualcuno ha avuto un periodo ribelle, la propria risata un po' imbarazzata, sì, beh, ero una bambina solitaria. Pensavo che nessuno mi capisse.

E tu eri una bambina solitaria?

Si ricorda di aver fissato gli orecchini di Irene, piccoli diamanti che catturavano la luce della lampada, sì, ero una bambina solitaria, ma non sono mai stata sola.

Ancora con gli occhi chiusi, Molly tende le orecchie. Sì, il suo appartamento è decisamente vuoto. Si alza sospirando e sentendo tutte le ossa del suo corpo rimettersi a posto con fatica, ahiaaaa.

Qualcosa cade a terra. È un foglio.

Grazie per l'ospitalità, la conversazione e tutto il resto. Mi dispiace per la tua schiena ma svegliarti sarebbe stato un peccato. A presto.

Non c'è firma, a parte un xoxo scritto in caratteri svolazzanti in fondo a destra. Molly sorride e si mette il foglio in tasca.

 

I rapporti tra le persone, di qualsiasi tipo, sono basati su convenzioni e accordi, spesso non scritti né detti ad alta voce, ma sempre presenti. Una volta stabiliti, è tutta in discesa: le parti in causa hanno delle regole da rispettare e non sono costrette a procedere a tentoni. A volte ci vogliono anni per mettersi d'accordo su questi trattati di pace; a volte lo si fa d'istinto. A volte, come in questo caso, bisogna procedere per tentativi.

Molly capisce presto che per trattare al meglio con Irene non esiste un'unica linea di condotta: la coerenza delle sue azioni le sfugge. Quindi, tentativi. E andiamo.

 

Si parte dal presupposto che Molly non sappia ancora (e probabilmente non lo scoprirà mai) cosa Irene voglia da lei. Ha provato a chiederglielo una volta, cercando di essere il più sottile possibile (e non riuscendoci troppo bene, a dire la verità, ma questi sono dettagli).

Chi ti ha parlato di me?”, butta lì un giorno, mentre stanno costeggiando il Tamigi negli ultimi raggi del sole del giorno.

Oh, qualcuno parlava di affidarti qualcosa di molto prezioso”, risponde Irene. “Qualcosa che io ritenevo molto prezioso. Mi chiedevo chi fossi, visto che questa persona ti considerava così degna di fiducia²”.

Non mi darai mai una spiegazione seria, vero?”, chiede Molly, giusto per sicurezza, e poi, vedendo il sorriso dell'altra, “no, certo che no, danneggerebbe irrimediabilmente la tua immagine di donna affascinante e misteriosa, va bene, domanda stupida”.

Irene ride. “Hai fatto tutto da sola!”

Molly non può impedirsi di sorridere e di tirarle una gomitata, che viene prontamente ricambiata.

 

Ecco, riguardo a questo. Il contatto fisico. Un giorno che Molly si è presa l'ennesimo infarto trovando Irene seduta sul suo divano con l'Anatomia di Gray in mano, e dopo aver passato una serata a invidiare i capelli rossi di Horatio Caine (Molly) e a trovare prima di lui l'assassino (Irene), si sorprende un po' quando l'altra le passa un braccio intorno alla vita, le dà un bacio sulla guancia (senza sporcarla di rossetto. Come) e dice piano “Grazie”, con il suo sorriso furbo nascosto nella voce.

Molly è un po' sorpresa ma non del tutto socialmente impacciata, grazietante, e dopo un attimo di stupore risponde: “Non c'è di che” e ricambia.

Dopo un secondo di stasi, Irene chiude la porta con un luccichio negli occhi che Molly ha imparato ad associare a interesse e curiosità. Oddio. Dove ho sbagliato?

Molly sa che è una cosa che fanno un sacco di persone; si ricorda delle sue compagne di scuola, che si abbracciavano e poggiavano la testa l'una sulla spalla dell'altra. Ma lei non ne è mai stata capace! Non sa quali cose si possano fare e quali invece no! È tutto così complicato. E adesso Irene penserà che sia strana e che non sappia come comportarsi con le persone che dimostrano il proprio affetto. Ugh.

O forse... forse no. Forse, pensa Molly, in un attimo di follia sorprendentemente lucida, forse è lei che non sa come comportarsi. Forse è così abituata a dominare che non sa come trattare quelli che le stanno alla pari. Forse il fatto che io abbia ricambiato il suo gesto l'ha sorpresa, perché magari è abituata al fatto che i suoi gesti siano unilaterali.

O forse si sta facendo tanti problemi per niente. In ogni caso, decide, non ha intenzione di essere né remissiva né troppo cauta. La tratterò come qualsiasi altra persona, non come una rivale né come una stramba né come qualcuno di potenzialmente pericoloso. Rapporto alla pari. È questa la chiave.

 

Va bene, allora. Rapporto alla pari. Questo dovrebbe voler dire che si può essere sinceri, nei limiti dell'educazione. Si possono fare delle critiche, dare consigli. (Vero?)

Molly testa le acque. Esempio: come si è scoperto dopo non troppo tempo, Irene è totalmente incapace di cucinare alcunché. Ci prova (forse come pegno di scuse, ma non facciamo ipotesi troppo azzardate) una sera in cui Molly è stanca e stressata e vorrebbe solo strisciare sotto le coperte ed effettivamente lancia uno strillo abbastanza acuto quando si accorge di non essere sola in casa. Ad ogni modo Irene le impone con un luccichio folle negli occhi (più tardi archiviato come pericolo) di andare a farsi una doccia e quando riemerge dal bagno c'è un allarmante odore di bruciato che si diffonde dalla cucina e Molly passa la mezz'ora successiva a ridere e spalancare le finestre.

Sembra che Irene non sappia bene come reagire. All'inizio fa uno strano sorriso tirato, di convenienza, come se volesse ostentare noncuranza ma fosse segretamente seccata dal fatto che qualcuno stia ridendo di lei. Ma non è questo che sto facendo! Quindi Molly si affretta a raccontare (mentre prepara la cena da sola, moltegrazie) della prima volta che ha cercato di cucinare una torta e finiscono per ridere insieme. Rapporto alla pari. Bene.

Logicamente, la volta successiva che Irene tenta di avvicinarsi ai fornelli Molly esclama “Fermafermaferma non pensarci neanche fai tre passi indietro mani dove posso vederle” e lei alza le mani in segno di resa e da qualche parte là in mezzo hanno raggiunto un accordo, un equilibrio; questo è il mio campo. Accordo accettato da entrambe le parti: ogni tanto Molly non può impedirsi di fare un riferimento casuale all'Incidente della Cucina e Irene accetta di buon grado la presa in giro (salvo poi fare un commento un po' sarcastico sull'incapacità di Molly di mettersi l'eyeliner senza sbavarlo almeno una volta, ma ehi, com'è che si chiamava? Par condicio?)

 

Un'altra cosa riguardo al sarcasmo. Dovete sapere che Molly ha uno strano senso dell'umorismo. (Ogni tanto si sente un po' in colpa per la sua passione per il black humor, ma questa è un'altra storia.) Insomma. Un giorno Irene si presenta a casa sua con il rossetto un po' più rosso del solito e dei tacchi ancora più alti e un sorriso decisamente sornione e e e e e un frustino in mano. Per una volta ha la decenza di bussare e appena Molly le apre la porta, non c'è niente da fare, si mette un po' a ridere.

Cioè, non che sia una risata seria, più che altro uno sbuffo e una specie di sogghigno, ma il danno è fatto. Irene alza un sopracciglio con aria interrogativa e Molly indica prontamente l'oggetto della sua ilarità.

Frustino”, dice. “Molto, ehm, pittoresco. Se vuoi puoi lasciarlo dentro quel vaso, vedi, dove ci sono gli ombrelli e le mazze da cricket. Scusa se non sono altrettanto pittoreschi. Pfft”.

Lo lascerò in cucina, grazie, se non ti dispiace. Perché stai ridendo?”, chiede, osservandola attentamente.

Non ne ho idea, giuro. Forse è riso isterico causato da avvenimenti inaspettati. Cioè, devi ammettere che è un tantino assurdo. Ieri sera una tipa con un frustino ha suonato il campanello. Sembra un po' l'inizio di una barzelletta”.

No, non credo che sia questo”, afferma Irene, pensosa, avvicinandosi ancora di più e abbandonando momentaneamente sul tavolo l'oggetto del contendere.

Senti, lo so che ho uno strano senso dell'umorismo, ok? Forse è un oggetto un po'... incongruo. Con il resto dell'allestimento, intendo. Oh, guarda, una poltrona. Oh, ehi, uno scaffale. Toh, lì c'è un vaso. E un... frustino? Che diavolo... Ok, magari c'è una spiegazione perfettamente logica per questo. Magari la padrona di casa si diletta di equitazione. Oh, ho sentito che lavora in un obitorio, magari l'ha trovato nello stomaco di un cadavere. O forse lo usa come sturalavandini”.

E a questo punto anche Irene comincia a ridacchiare, e la cosa si fa sempre più inspiegabile. Insomma, si sa che le risate sono contagiose, e alla fine si stanno entrambe più o meno facendo i venire i crampi allo stomaco e “Quello che dici non ha senso”, dice Irene, “perché fa ridere?”

Il frustino non ricompare mai più (Molly ne è un po' dispiaciuta; era veramente pittoresco), ma ogni tanto Irene si presenta alla sua porta con delle manette di peluche o una statuetta a forma di elefante alta cinquanta centimetri e un'espressione perfettamente seria e Molly ride e non sa perché e ride lo stesso.

 

I rapporti di amicizia, invece, sono basati su codici.

Quando si è veramente amici di qualcuno, dopo un po', se si fa attenzione, ci si accorge di parlare in un'altra lingua, di usare certe parole dando loro un altro significato, di sottintendere dei riferimenti che si sa verranno compresi. A volte questi codici sopravvivono alle amicizie, come le parole di una canzone di cui non ricordi più il titolo ma che da anni ti gira in testa. È quasi impossibile farlo apposta: semplicemente, un giorno un film stupido ti ricorda una battuta cretina ripetuta almeno cinque volte al giorno da una certa persona e capisci di avere un amico.

 

Non passa molto tempo che Irene inizia con i messaggi.

Molly ha appena incontrato per caso un suo vecchio professore di università e sta chiacchierando amabilmente con lui quando sente il suo telefono squillare. Non gli dà peso fino a dieci minuti dopo.

Somiglia terribilmente a Robin Williams. Come hai fatto a resistere all'impulso di salire sul banco declamando O CAPITANO! MIO CAPITANO! quando avevi lezione con lui?

Molly alza la testa di scatto e si guarda intorno. Questo è inquietante. Ma seriamente. Chi cavolo è? Qualcuno che la segue. Che logicamente riesce a vedere cosa fa. Che quindi dev'essere nelle vicinanze. Occhei. Molly è in un negozio. È circondata da persone. Potrebbe essere chiunque.

o forse no. Questo è molto inquietante ma Molly è stranamente poco inquietata, perché ha un sospetto.

Chi sei?, si rassegna a chiedere al misterioso stalker.

Non ha neanche il tempo di rimettere il cellulare nella borsa che questo squilla di nuovo. Il messaggio consiste in una sola parola.

Pensa.

Come volevasi dimostrare. Molly sospira.

Beh, all'epoca aveva qualche chilo in più di ora e un taglio di capelli assurdo quindi non gli somigliava poi così tanto, e inoltre mi sono rifiutata di guardare quel film per un sacco di tempo perché avevo sentito che finiva male e odio i film che finiscono male. Dove sei?

(Comunque non è normale la velocità a cui riesce a scrivere quella donna.)

L'attimo fuggente” non finisce proprio male. E se te lo dicessi non sarebbe più divertente.

Oh, dèi del cielo.

Stiamo giocando a nascondino e nessuno mi ha avvisata?

Ti sto avvisando adesso.

Ah, beh, allora. Molly ci mette qualche secondo a fare ordine nel grumo di indignazione (da quanto mi stava seguendo?), indecisione (e ora che faccio?), divertimento (che c'è di sbagliato in me) e lusinga (qualcosa ci dev'essere per forza) che al momento sta un po' confondendo la razionalità, poi, mordendosi un labbro e pensando, d'accordo, allora con aria di sfida, scrive:
Se ti sposti non vale.

Cinque secondi dopo (un record) giunge la risposta.

Non mi muoverò da qui.

Beh, tutto sta nel capire dove esattamente sia qui.

Molly ci mette un'ora a trovarla, e prima che possiate dire qualsiasi cosa sappiate che a) fa ormai quasi buio, b) c'è un sacco di gente, c) Irene è dannatamente brava a nascondersi, d) è anche brava a confondere chi la sta cercando, alternando mezzi indizi a frasi incomprensibili che servono solo a far impazzire Molly ancora di più. Non osa pensare a che incubo debba essere cercarla quando non vuole effettivamente essere trovata. È anche vero che probabilmente chi la vuole trovare in questo caso non ha intenzioni pacifiche come me.

È un pensiero scomodo, e Molly lo abbandona appena si accorge di due familiari occhi azzurri che la osservano dalla vetrina di un caffè. Bingo.

Sei stata brava”, dice Irene, prima che l'altra possa aprire bocca, “Oggi offro io la cena”.

La prossima volta sarò ancora più brava”, borbotta Molly, “perché non leggerò i tuoi messaggi diabolicamente fuorvianti”.

Ecco di nuovo il pericoloso sorriso furbo. Ho davvero detto “la prossima volta”?

Invece lo farai”, afferma Irene tranquillamente. “Italiano o cinese?”

Thailandese”, risponde Molly, giusto per contraddirla. Ma sta già iniziando a sorridere. L'altro sorriso, quello furbo, scompare per lasciare il posto a uno più rilassato.

E thailandese sia”.

(La volta successiva, tanto per la cronaca, Molly legge i messaggi e risponde nel modo più ironico possibile, cercando di non lasciarsi sviare. Irene risponde sullo stesso tono, e viene trovata dopo cinquantasei minuti. La volta ancora successiva, dopo cinquantatrè).

 

Il diciassette marzo è una giornata bella e schifosa, perché Sherlock ha bisogno di sezionare un fegato o qualcosa del genere e ovviamente da chi si va quando si necessita di resti umani clandestini? e Molly cerca di essere carina, disponibile e sorridente ma si sente lo stomaco aggrovigliato in modo sospetto (non che sia una novità) e lo sguardo negli occhi di John somiglia troppo a compassionemistopietà e questa è la suoneria del cellulare?

A guardarvi sembra di assistere a una rappresentazione gratuita di Avenue Q³.

Molly emette uno strano suono di shock soffocato e maledice le allitterazioni involontarie. Sherlock alza un sopracciglio ma non fa commenti.

Irene? Qui? Adesso? Il pensiero è fuorviante; tuttavia Molly non ha troppo tempo per fuorviarsi visto che il suo cellulare sta squillando di nuovo.

You know I'm pretty, and pretty damn smart

I like romantic things like music and art

Hehehe. Però è divertente. Molly risponde senza pensarci.

And as you know I have a gigantic heart

So why don't I have a boyfriend? Fuck! It sucks to be me.

Quindi io sono Kate Monster?

Probabilmente Irene conosce in anticipo le sue risposte e può elaborare i suoi messaggi di conseguenza, quindi non perde tempo a comporli e li spedisce e basta. Non c'è altra spiegazione. Nessuno scrive così veloce.

Esatto. E penso che tu sappia chi sono i nostri Rod e Nicky.

Molly alza la testa. A quanto pare, Sherlock ha fatto qualcosa di strano con quel fegato, quindi John si è dato al turpiloquio, non curandosi dell'apparente indifferenza del suo coinquilino. Il cellulare di Molly squilla di nuovo.

You leave your clothes out, you put your feet on my chair!

ODDIO È VERO. Molly cerca di non ridacchiare troppo forte mentre risponde, proprio quando Sherlock apre la bocca per ribattere.

Oh yeah? You do such anal things like ironing your underwear!

Ci mette un po' ad accorgersi che i due hanno smesso di battibeccare per guardarla con aria perplessa. Cough. Ehm. Forse ha ridacchiato un po' troppo forte, effettivamente.

(Ma adesso il nodo allo stomaco si è un po' allentato, il che è sempre una buona cosa.)

La volta successiva, John arriva un po' prima di Sherlock e appena quest'ultimo attraversa la soglia, cinque minuti dopo, Molly riceve un messaggio che recita Hey Rod! e cerca di contenere la sua ilarità mentre risponde Hi, Nicky.

Dopodiché lei e Irene passano una mezz'ora molto divertente a recitare If you were gay in silenzio e Molly non si accorge quasi quando “Rod” e “Nicky” se ne vanno.

IT SUCKS TO BE MEEEEEE

IS THERE ANYBODY HERE

IT DOESN'T SUCK TO BE?

IT SUCKS TO BE ME!

 

Però. Però però però. Non è sempre così facile. Vedete, l'inghippo delle leggi e dei codici non scritti è che hai sempre il dubbio di aver interpretato male qualcosa, di non aver capito un'espressione, e disgraziatamente non esiste un dizionario o un opuscolo che si possa consultare. Scomodo. In questo caso non si può fare altro che andare a istinto e sperare in bene.

Succede quando entrambe hanno la guardia abbassata, quando Molly è appena tornata da una cena con le sue amiche e forse ha alzato un po' il gomito e Irene è stanca e ha le borse sotto gli occhi e sembra dolorante e si siedono sul divano finché non si addormentano, a parlare di tutto e di niente, inseguendo i rispettivi pensieri, senza badare tanto al filtro tra il cervello e la bocca.

Per esempio, una volta Molly sta parlando del suo lavoro, dicendo che è diventata un medico perché vuole aiutare le persone e la geometria dei corpi la affascina, e Irene guarda nel vuoto e dice lentamente “Io voglio essere ricordata”.

Molly tace, perché non ha la forza di fare altre domande, è già quasi addormentata e in ogni caso non avrebbe senso, queste cose non vanno forzate; non è così che funziona.

È orribile, non essere ricordati”, riprende Irene, e sembra che sia parlando solo a se stessa, “a vole alla gente fa impressione quanti rischi corro, quanto mi faccio male, ma almeno si ricordano di me. Sono come una scintilla, nelle loro memorie, mentre gli altri sono ombre. È come se non esistessero. Vivono e soffrono e amano, ma nessuno lo nota, e quelli che lo fanno prima o poi muoiono, o dimenticano. E loro scompaiono”.

Apocalittico. Molly gira un po' la testa verso di lei.

Mio padre brillava”, dice l'altra dopo un po', a voce ancora più bassa. “Era magnifico. Intelligente, oh, non ne hai idea. Geniale. Uno scrittore. Ma aveva questa sfortuna, questa gigantesca, immensa sfortuna: dieci acri di terreno di cui mio nonno pensava si dovesse prendere cura. Sai, vecchia nobiltà, onore della famiglia, quelle cazzate lì. Ed era una persona pacifica, all'esterno, non il tipo da ribellarsi. Ci ha messo una vita intera per ribellarsi, per fregarsene di suo padre, per iniziare a lavorare seriamente al suo eterno romanzo”.

Fuori sta iniziando a piovere; Molly sente le gocce sbattere sul vetro. Irene fa una risata sarcastica.

E poi è morto. Incidente d'auto, tanto per essere originali. E tutto il suo lavoro... perso. Ho letto i suoi quaderni, sai, i suoi appunti. Sarebbe stato un capolavoro, meglio di qualsiasi altro libro, ed erano solo bozze. Ma la parte migliore era dentro la sua testa, credo. Persa. Dimenticata. Nessuno lo saprà mai. La sua morte è stata un furto all'umanità”. Pausa.

Non c'è niente di peggio di essere dimenticati”.

Da qualche parte nel cervello di Molly (la parte sveglia), inizia a formarsi una domanda. Ma questo è nel contratto? Ho il permesso di sapere queste cose? Il diritto? E cosa ci si aspetta che faccia? Ho forse capito male qualcosa?

Ma tu te ne ricordi”, dice in un sussurro (che fatica parlare), “ti ricordi di lui. Ti ricordi di quanto brillasse. Forse è questo che gli importava. Non essere ricordato da tutti, solo da alcune persone, persone meritevoli. Non lo so, se io dovessi morire domani vorrei poter pensare che verrò ricordata da persone che stimo e a cui voglio bene. La mia famiglia, i miei amici. E...” (questo pensiero è quasi troppo complesso da esprimere, nel suo stato attuale) “... e se tu fossi mia figlia, sarei orgogliosa di sapere che ti ricorderai di me”.

Basta. Molly si chiede vagamente quand'è che ho chiuso gli occhi? e da quanto tempo ho una testa appoggiata sulla spalla? e ascolta il ticchettio della pioggia sul tetto, e poi più nulla.

(Questo non era nel contratto. Sicuro.)

 

Altre volte ci scivolano senza quasi accorgersene, naturalmente, e si guardano stupite e cambiano argomento, ma non dimenticano queste infrazioni delle regole, queste alterazioni nel linguaggio, questi momenti alieni.

Come quel giorno in cui Irene si mette a disporre in ordine alfabetico (per autore) tutti i libri di medicina in casa di Molly e quest'ultima fa un commento un po' ironico sulla sua mania per l'ordine e Irene guarda nel vuoto per qualche secondo e dice “Beh, suppongo che non mi sia mai passata”.

Molly prova una sensazione strana alla base della nuca. Questo significa che è uno di quei momenti. La strategia migliore è far finta di niente.

Ero una bambina strana”, prosegue l'altra, “pensavano che avessi dei... problemi. Voglio dire, mettevo in ordine qualsiasi cose vedessi, libri, vestiti, quando volevo qualcosa non mi arrendevo fin quando non l'avevo ottenuta, facevo qualsiasi cosa per averla. Sapevo istintivamente quali erano i punti deboli delle persone, ma non riuscivo a capirle. Non avevo amici, ero solitaria. Ad un certo punto qualcuno ha tirato fuori la parola “autismo” e non mi si è staccata di dosso fino alle scuole medie. Ancora oggi non so quanto questa definizione fosse accurata”.

È questo, il più delle volte, il soggetto dei momenti. Molly ha notato che Irene si presenta al mondo come una persona senza passato, con una personalità ben definita, chiara; un personaggio. In realtà, è segnata dalle sue esperienze come chiunque altro, anzi, forse, inizia a sospettare, anche di più.

Beh, credo che le definizioni siano importanti fino ad un certo punto”, dice Molly, “il che suona quasi come un'eresia detto da un medico, ma definire le cose dovrebbe essere un modo per conoscerle meglio e affrontare i problemi, non un modo per incasellare e limitare le persone”.

Irene sembra ricordarsi solo in quel momento di non essere da sola. Si guardano per un momento, poi Molly fa un sorriso imbarazzato e cambia argomento.

Ma il momento era lì, c'è stato, e non si può far finta che non sia importante.

 

Una cosa che Molly ha imparato è non fare domande; o almeno, un certo tipo di domande.

L'ha imparato più precisamente la prima volta in cui Irene è arrivata a casa sua con l'aria di non reggersi bene sulle gambe e un'espressione confusa.

Ciao”, ha borbottato, per poi caderle addosso di peso, facendola andare prontamente nel panico.

Oddio, che cos'hai? Stai bene? No, okay, domanda stupida, hai preso qualcosa? Ti hanno dato qualcosa? Cos'era?”

Probabilmente no; Irene non ha né le pupille dilatate, né il battito del cuore accelerato né nient'altro. Sembra solo immensamente...

Stanca”, mugugna, “non dormo da tre giorni. Inseguita. Più furbi del solito, ma mai abbastanza. Per me. Stanca”.

Questo è tutto ciò che Molly saprà mai sull'episodio. Irene si addormenta prima ancora di essere distesa su una superficie orizzontale e Molly si rassegna a dormire sul divano.

Il giorno dopo si sveglia con il mal di schiena ed il profumo di caffè nell'aria. Si alza stiracchiandosi e trascina i piedi fino in cucina.

Irene è seduta sul ripiano della cucina, ed è quasi irriconoscibile; a quanto pare ha trovato nell'armadio una vecchia maglia con sopra la copertina di Dark Side Of The Moon che le arriva fino alle ginocchia, e si è accorta di quanto sia comoda (Molly lo sa per esperienza). Ha i capelli scarmigliati, una striscia nera di trucco a metà della guancia, una tazza di caffè in mano e la schiena curva.

Molly si sente un po' stringere il cuore. Sembra così... giovane, e ha uno sguardo familiare: quello di chi sta digerendo una situazione difficile e non riuscirà a pensare ad altro finché non ci sarà riuscito.

Non c'è niente che lei possa fare, così si rassegna a versarsi una tazza di caffè e appoggiarsi sul ripiano della cucina, vicino a Irene. Sono qui.

Dopo un po', l'altra china la testa e si appoggia a lei. Lo so. Grazie.

Passano cinque minuti buoni prima che il caffè si raffreddi e Irene si decida ad aprire la bocca.

Mi dispiace di aver frugato nel tuo armadio”.

Figurati. Immaginavo che un vestito di Dior non fosse la cosa più comoda del mondo per dormire”.

Quindi non ti dà fastidio?”

Molly emette un sospiro drammatico. “No, sapevo che questo momento sarebbe arrivato e mi ci sono rassegnata da molto tempo ormai”.

Questo momento?”
“Il momento in cui tu, per un motivo o per l'altro, avresti aperto il mio armadio e ti saresti accorta di quanto terribilmente poco eleganti siano i miei vestiti e mi avresti guardato con pietà e commiserazione per poi andartene scandalizzata. Tragico, davvero”.

Mi piacciono i tuoi vestiti”.

Non ci posso credere”.

Lo so. La gente si fa questa idea, sai, che io sia una di quelle femmes fatales con il rossetto sempre al posto giusto e un tailleur diverso ogni giorno. Il che tecnicamente è vero, ma non è una cosa che mi viene naturale, un divertimento. È una maschera utile ai miei scopi; la gente pensa che tu sia affidabile e ben organizzato, se sei vestito bene. Ma mi piacciono i tuoi vestiti. Si vede che ti ci senti a tuo agio. Dovrei essere una stupida per non apprezzarlo. D'altra parte, io vivrei in tuta da ginnastica”. Risata senza allegria.

Solo da queste parole, Molly inizia a capire quanto esattamente sia il lavoro che Irene ha fatto. Quanto spessa sia la sua corazza, quanta fatica ci voglia per fare quello che fa. E anche se “quello che fa” il più delle volte consiste nel usare le persone per i propri scopi, Molly non può fare a meno di provare una scintilla di ammirazione nei suoi confronti.

Forse tutto quello di cui ha bisogno è qualcuno che riconosca e ammiri i suoi sforzi. Tutti gli artisti hanno bisogno di un pubblico.

 

Irene non arriva più a casa sua in condizioni così pietose, ma ogni tanto è più stanca del solito, o pensierosa, o dolorante, e cerca rifugio per poi scomparire per settimane. Ringrazia ogni volta per l'ospitalità, e ogni tanto Molly riceve per posta un vaso cinese o un manuale di anatomia dall'aria sospettosamente costosa, e un giorno Irene piomba nel suo letto alle due di notte e dorme otto ore filate e da quel giorno nessuno deve più dormire sul divano. Molly inizia a sospettare di essere quello che Irene ha di più vicino a una casa, e finché la cosa non crea troppi problemi, beh, perché no?

 

Non è una cosa a senso unico, però. Irene le ricorda dolorosamente Sherlock per la sua capacità di capire istintivamente le persone (ma c'è una bella differenza tra capire i loro punti deboli e capirle effettivamente), però Molly si accorge dopo qualche tempo che ha un modo un po' strano e discreto di prendersi cura di lei. Prima di tutto, la ascolta. Non è una cosa da poco, visto che Molly ha la tendenza a tormentasi per ore su problemi che ad altri non sembrano neanche tali, tipo l'uso improprio delle parole o la rovina di un personaggio che prometteva bene (ehi, all'inizio Rachel Berry era una persona figa) o lo scioglimento di una band semisconosciuta. Irene non parla ma ascolta, si vede, e in effetti tutto quello di cui Molly ha bisogno è fare dei monologhi infiniti per liberarsi di un peso e stare meglio. Irene non la fa sentire giudicata.

Inoltre, sembra apparire proprio quando Molly si sente giù, scrivendole Oggi mi sono nascosta bene e strappandole un sorriso ogni volta. È impossibile sapere come faccia, e Molly non vuole dare troppo credito alla vocina inquietante nel suo cervello che dice ti seguono ovuuunque, ma in ogni caso. Capisce che è uno dei modi strani e piùomeno discreti in cui Irene si prende cura di lei.

E infine, sembra l'unica a capire la sua inquietudine; Molly sospetta che sia perché lei la prova sempre.

 

Ci sono giorni in cui Irene passa ore intere a guardare fuori dalla finestra e Molly a volte le fa compagnia ma altre volte sa che è meglio lasciarla da sola, con la pioggia londinese riflessa nei suoi occhi chiari e un'espressione irrequieta che è spesso nascosta ma non sparisce mai del tutto. Molly ha imparato a lasciare che si crogioli in questa sensazione, perché è l'unica cosa che si può fare, ingoiarla e aspettare che passi. Lo sa per esperienza personale.

Però c'è una volta in cui sembra che l'inquietudine la assilli peggio del solito, e Irene si gira con un luccichio folle negli occhi e dice: “Perché non ce ne andiamo?”

Andiamo dove?”, chiede Molly, anche se sospetta di conoscere già la risposta.

Ovunque. Dove vuoi, basta che sia a lungo, e che sia un posto dove non ci conosce nessuno. Possibilmente un bel posto, adesso che ci penso, quelli squallidi mi deprimono. E un posto grande, magari un intero continente, da girare in macchina o a piedi o anche in bicicletta, se vuoi, solo noi due. Ti va?”

Come Thelma e Louise?”, chiede Molly, e Irene sorride. “In America, allora. Ci sono stata una volta, e solo per due settimane, ed ero giovane, quindi non mi ricordo granché”.

Si, perché adesso sei così vecchia, vero?”

Terribilmente. È tragico, sul serio”.

Silenzio. Irene torna a guardare fuori dalla finestra, guarda le gocce che si arrampicano sul vetro; i suoi occhi sono freddi come ghiaccio ma bruciano, bruciano.

Tanto”, dice, a voce più bassa, “cosa abbiamo, qui? Sarebbe davvero così devastante perderlo?”

Beh, tu fai quello che sei brava a fare. Hai costruito un impero, praticamente, fai quello che vuoi. Non stai mai troppo a lungo nello stesso posto. Non ne sei almeno un po' orgogliosa?”

Certo”, risponde Irene, ma c'è una nota amara nella sua voce, “però non vivo di solo orgoglio. Sai, alla fine mi annoio anche di questo, dei giochi di potere, di strategie e menzogne, perché sono sempre gli stessi. Una volta imparato lo schema, basta ripeterlo all'infinito con piccolissime variazioni, per vincere. Ed è sempre anche lo stesso tipo di persone, il che è ancora più tragico. Persone influenti e potenti all'apparenza che in realtà sono piene di insicurezze e vogliono sentirsi dire quanto siano speciali, quanto siano bravi, quanto siano i migliori”. Risata sprezzante. “Illusi. Nessuno è più bravo di me in questo gioco, e quelli che potrebbero rivelarsi dei degni avversari spesso non vogliono partecipare. Potrei essere riuscita ad abituarmi anche a questo. Detesto abituarmi alle cose”.

Molly non sa cosa dire, perché in realtà non c'è niente da dire. Si tende a cercare di minimizzare, quando qualcuno dice di essere in una brutta situazione, ma è una stupidaggine. Nessuno meglio del diretto interessato sa quanto esattamente sia brutta la situazione. Molly non può pretendere di sapere come si senta Irene, solo farsi un'idea; e non c'è un modo sicuro per farla stare meglio.

Sarebbe un grande sforzo, però”, dice alla fine, “ricostruire tutto. Se ti accorgi di aver disfatto quasi tutto quello che hai costruito nella tua vita, e di non esserne contenta, dopo è un casino”.

Irene alza le spalle. “L'ho già fatto una volta. È andato tutto in pezzi indipendentemente dalla mia volontà, e io l'ho rimesso in piedi; ci ho messo solo qualche mese. È come andare in bicicletta, non te lo dimentichi, una volta che l'hai imparato”, e qui emette uno sbuffo che potrebbe somigliare a una risata, e guarda per un altro po' fuori dalla finestra, in silenzio. Molly trattiene un po' il fiato.

A volte si costruisce per se stessi qualcosa di grande e meraviglioso”, riprende Irene, a voce più bassa e lentamente, “e dopo un po' ci si accorge di quanto sia inutile. La cosa più stupida che si possa fare, in questo caso, e avere paura di distruggerlo”.

Allora sono una stupida”, dice Molly, piano, e Irene si volta a guardarla con un sorriso che è quasi dolce e non ci si aspetterebbe di vederle addosso.

Non è vero; la tua paura è giustificata. Quello che hai costruito non è inutile, pensi che non me ne accorga? Sei la migliore versione possibile di te stessa. Lascia pensare agli altri che ti manca qualcosa, sono solo degli idioti. Io vedo quanto brilli”.

Molly si accorge improvvisamente di essere arrossita abbastanza cavolocavolocavolo. “Grazie”, dice, a bassa voce, “ma penso che tu abbia ragione fino a un certo punto. Sai, se un giorno tu decidessi di partire sul serio, di salire sul primo aereo e non guardarti indietro... penso che verrei con te. Penso che manderei all'aria tutto quello che ho costruito, per un po' di avventura e di libertà. Se mi prendi quando sono dell'umore giusto. Quindi...” e qui respira profondamente, al diavolo il contratto, non è giusto che io sia l'unica a preoccuparmi di rispettarlo, umpf, “quindi, se un giorno decidessi di andartene, ma seriamente, prendi in considerazione l'idea di avvertirmi”.

E a quel punto Irene sorride, di quel sorriso particolare che le fa venire le fossette sulle guance, e non smette per un bel po', per interi minuti, guarda Molly e sorride, e basta. È un po' imbarazzante e un po' qualcos'altro.

L'ho già fatto”, dice alla fine, e poi la spinge fuori casa perché hanno entrambe bisogno di pioggia e di vento e di furia degli elementi per non sentirsi intrappolate. Si capiscono.

 

A volte Molly si ferma a pensarci e le sembra tutto francamente assurdo. È amica di una donna che a) è teoricamente morta, b) dovrebbe odiare con tutta se stessa. Ma non si può fare un granché per evitare le affinità elettive, quindi meglio mettersi il cuore in pace e continuare nel pseudoequilibrio che si è creato, fatto di visite sporadiche e castelli di parole e frasi non dette e leggi e codici non sempre rispettati.

Molly non è l'unica ad accorgersene; Irene stessa lo sottolinea, una sera, con un sorriso divertito.

Non ti fermi mai a pensare a tutto questo? Al fatto che almeno tre volte al mese una criminale entra in casa tua con intenzioni poco chiare e per di più senza permesso? Sembri sempre così poco sorpresa”.

Niente è mai come sembra. Ahi. Sono così affascinanti le mie doppie punte?”

Non ne hai idea”, ridacchia Irene, rigirandosi una ciocca dei suoi capelli intorno all'indice.

Qualche minuto di silenzio, poi Molly alza la testa da blueeyedboy e si mette più comoda sul divano.

Beh, lo dici tu che non hai il permesso. In realtà te l'ho concesso, anche se non verbalmente. Se non ti volessi in giro per casa mia ti avrei cacciata la prima volta”.

Irene ridacchia. “E pensi che questo mi avrebbe impedito di tornare?”

Sì”, risponde Molly, senza esitazione. “Penso che tu non voglia stare in nessun posto dove non sei voluta. Soprattutto se non ti pagano”, aggiunge, con un sorriso lieve.

L'altra ci pensa su per un momento; Molly lo deduce dal fatto che la sua bistrattata ciocca di capelli non si muove più. Dopo un po' aggiunge:

E poi, ho imparato che è abbastanza inutile fare delle domande quando si sa che non si otterrà una risposta. Meglio cercare le spiegazioni da soli”. Poi la guarda di sottecchi. “Perché non avrei ottenuto delle risposte, vero? Se ti avessi chiesto come mai vieni qui e perché proprio io?”

No”, risponde Irene, lentamente, con lo sguardo fisso nel vuoto. “No, non credo”.

Come volevasi dimostrare”.

Non parlano più per un po'. Molly è quasi miracolosamente riuscita a finire di leggere una facciata intera quando sente:
“Quindi tu non ti fai mai domande?”

Sospiro. “Certo che sì. Non fare delle domande non esclude il farsi delle domande”.

Sottile”.

Sono sottigliezze importanti”.

E dimmi, funziona? Alle fine le si trovano, le risposte?”

Sì; l'inghippo è che bisogna aspettare, oppure cercare a fondo, o entrambe le cose. E anche allenarsi, ovviamente. Sai, spesso le risposte non sembrano risposte. Si travestono da gesti e parole poco importanti. A volte è difficile riconoscerle. Ma in generale sì, funziona”.

In generale”.

E quando non lo fa, ci si accorge che né le domande né le relative risposte erano poi così importanti. Ow”.

Su, su, non fare tante storie”.

Io odio quando mi tirano i capelli! Lo odio da quando andavo all'asilo. Una volta me li sono anche tagliati corti perché non la smettevano di rompermi le scatole. Che liberazione. Forse dovrei tagliarmeli di nuovo”.

Meglio di no”, sorride Irene, guardandola finalmente in faccia e tirando verso di sé la ciocca incriminata, insieme con la testa della sua proprietaria. Molly fa appena in tempo a mugugnare ahiahiahiahiahi prima che Irene chiuda gli occhi e appoggi le labbra sulle sue.

È un bacio serio. Non di quelli casuali e brevi e quasi scherzosi, ma una cosa lunga e impegnativa e seria, da far girare la testa. In effetti Molly si sente un po' strana, quando Irene la lascia andare, e per questo l'unica cosa che riesce ad emettere è un “Uh” abbastanza inutile; mentre l'unica cosa che riesce a ottenere in cambio è un sorriso furbo e una testa appoggiata alla sua spalla.

Ehm”, è il suo secondo, pregnante contributo.

Sto dormendo”, dice Irene, senza alzarsi.

okay. Credo.

(Cooooosaaaaa?)

 

 

 

 

 

 

 

 

1: Se Callie non cita Machiavelli non è contenta. (Vi ricordate? Il cibo che solum è mio e che io sono nato per lui...? No, ok, sono una secchiona.)

2: Ad un certo punto in A Scandal In Belgravia John propone di affidare/far portare il telefono di Irene a Molly. NBD.

3:Questa Cosa. È Figa.

4: Credo che tutti noi ci siamo sentiti così almeno una volta. (E poi, DAI, Rod e Nicky sono John e Sherlock. LO SONO.)

5: Come sopra. QUESTA COSA. È GENIALE. SRSLY. (O magari sono io che ho uno strano senso dell'umorismo. Yep. Sì, è possibile. OTL)

7: blueeyedboy. Joanne Harris mi fa sentile inutile come scrittrice. Non che mi lamenti :D

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Deliri Post Partum:

HAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHA. HA. HA. HAHAHA. HA. Ha.

non so che dire.

Sapete, è affascinante come lavora il mio cervello. Nel processo creativo, intendo. Insomma, un secondo prima sono tranquilla e beata, lallallà, poi sento questa canzone (TUTTA COLPA DI FLORENCE. TUTTA. SEMPRE. LI MORTACCI SUA) e KABOOM! IDEE! PSEUDOTRAMA! FRASI! Da matti. E quello che è veramente schizofrenico è il fatto che la parte razionale del mio cervello è là tutta “No, questa è un'idea davvero troppo stupida, lascia perdere, fidati”, mentre l'altra strilla “CHE NE DICI DI QUESTA IDEA? EH? E DI QUESTA? E DI QUEST'ALTRA? EH? EH EH EH EH EH?” come un cazzo di chihuahua esagitato. Poi la seconda parte vince sempre e io mi ritrovo un mese dopo con trenta pagine di una storia assurda e nessuna idea di cosa farne. ARGH. Adesso che sono fuori dal tunnel dell'enthusiasmòs creativo mi sembra sempre di più una cazzata BOH. FATE QUELLO CHE VOLETE. HATE IT, LOVE IT, IO VOGLIO SOLO FINIRLAAAA così il chihuahua magari mi lascerà in pace. Ha senso?

(Che poi il fandom di Sherlock mi terrorizza, giuro. Cioè, vabbè che io bazzico più che altro quello inglese, ma ODDIO HO PAURA CHE MI SBRANERETE. Non sbranatemi. Vi prego. Non è colpa mia. Sono le Muse che mi hanno ispirato questa cavolata per prendersi gioco di me. Declino ogni responsabilità. Volete un pasticcino?)

Ah, sidenote: non ho idea dell'arco temporale durante il quale si svolge questa cosa. Ho lasciato tutto abbastanza nel vago apposta HOHOHO FUCK DA SYSTEM CANON IS TOO MAINSTREAM etc.

Non so che dirvi, a parte che siete autorizzati a lanciarmi tutti i pomodori che volete. La seconda parte arriverà la settimana prossima e poi vi lascerò in pace GIURIN GIURELLO L'AMORE È BELLO(???). Shalom.

~ Callie

 


 

  
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