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Autore: Spike WilliamTheBloody    20/04/2012    1 recensioni
La storia qui presente rispecchia i due personaggi, Buffy e Spike, in pensieri che li avvolgono quasi con destrezza. Inizialmente si vedrà la titubanza da parte di entrambi e ci sarà una sorpresa iniziale, ma null'altro. Spero che vi piaccia e che sia di vostro gradimento, anche perchè è esattamente la prima volta che pubblico qualcosa qui dentro. Buona lettura :)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Buffy Anne Summers, William Spike
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: E' la prima volta che pubblico qui una storia. Ho sempre scritto, ma in forums o su facebook come 'Roleplayer' del personaggio appunto di Spike. Spero vivamente che vi possa piacere e che, qualche commentino, possiate lasciarlo. ;) Un bacio, sweeties.


La mia anima alberga in un aspro riposo..

Sorrisi nel leggere ancora quei versi che, decenni prima, facevano parte della mia routine quotidiana. Sorrisi nel ripensare a quanto buffo sarebbe stato recitarle, davanti a una contea di genti che, sorridenti, avrebbero appreso o deriso di queste parole. Così lontane e fulgide nella mia perversa mente, ancora riuscivo a scorgere la desolazione e la malinconia nell’impugnare quella piuma di penna e intriderne la punta d’inchiostro nero. Una specie di liberazione, ecco cos’era. Una piccola pecca nel bel mezzo dell’ignaro, ignoto. Perché un uomo voleva rincorrere Il piacere, e se non avesse avuto quello cosa ne sarebbe stato? Era impossibile da decifrare, senz’altro. Seppur lontano era questo piacere, albergava in tutti noi la voglia di prenderlo, di possederlo, di farlo nostro. Una volta ottenuto, però, tendiamo a non calcolarlo più di tanto. L’importante era arrivare alla meta e farlo nostro e poi? E poi sarebbe stato l’Inferno.
Mi guardavo intorno come se fossi alla ricerca di qualcosa, di quel qualcosa che mi avrebbe riempito la giornata. Che non fosse lei. Che non fosse quella sua faccia che ormai invadeva la mia mente e mi prostrava allo stato brado. No, non potevo farmi schiavizzare così tanto, ma a lei piaceva. A lei piaceva sapermi così devoto alla sua persona. A lei piaceva vedermi impazzire. Perché io ero il suo più acerrimo nemico, colui che avrebbe osato profanare il suo corpo e ridurlo in poltiglia. Io ero colui che le sapeva donare un piacere convulso e idilliaco, senza prostrare alcuna rassegna. Dannato Inferno, non potevo ancora credere di essere ossessionato da lei in tal punto e con tal fervore. Strinsi i pugni lungo ai flessuosi e perfetti fianchi nudi, portando la nuca ossigenata contro al muro roccioso e scaltro della cripta. La osservavo di sottecchi, ma con uno sguardo lontano e non captabile. Ogni pensiero che mi correva nella mente e mi prostrava alla follia erano rivolti a lei. Non riuscivo a dormire né di giorno e né di notte, anche perché sovrastava il mio sogno il suo corpo congiunto al mio. Membra affusolate che si contraevano tra di loro, arricciandosi in una frenetica danza passionale. Un valzer ignoto e ben congiunto che, dissimilato dalla pazzia, poteva condurci al piacere eterno. E volevo donarle proprio quel piacere. In modo che lei capisse cosa mi attanagliava il cuore nero e putrefatto, in modo che lei congiungesse i puntini e arrivasse alla fottuta risposta. Io ero quello giusto per lei. Io avrei sempre accettato ogni suo cambiamento, nessun’altro.

-Ah, dannatissimo inferno e dannatissime donne!-

La bionda sobbalzò sulla poltrona, girandosi a guardarmi con quel suo sguardo vitreo e incosciente che, ovviamente, non arrivava al cervello. Sbatté un poco le palpebre, rivelando quegli occhi blu senza nessunissima paura o rassegnazione. Lei semplicemente non capiva e non avrebbe mai capito. Le sue mani affusolate e piccole portarono il giornale sulle gambe bronzee e lisce e rovesciò la testa bionda di lato, in un sinuoso movimento di matassa setosa e dorata. Si riavviò i capelli ed esordì con un civettuolo e leggero:

-Orsetto biondo, c’è qualche problema che ti disturba? Potrei fartelo pas..-

Non finì la frase che le bloccai il flusso di parole con un movimento netto di avambraccio nudo. Non ancora una parola. Non avrei sopportato ancora quella sua boccaccia da oca giuliva. Non quella notte. Non in quello stato di confusione. Non avrei digerito un attimo in più quella suo timbro così schifosamente suadente e troppo sessuale. Non avrei digerito altro più. Non sapevo nemmeno per quale motivo avesse abbandonato temporaneamente quel suo lavoro nella lussuosa impresa Wolfram&Hart del ragazzone. Una sorta di nostalgia confusionaria? Non mi sarei fatto altre domande in merito. Mi accigliai e mi diressi fluido e felpato verso il frigorifero contro parete, appoggiandomi con le natiche sul tavolo non troppo grande vicino ad esso. Socchiusi gli occhi color cobalto, rivolgendomi a lei per un fulgido istante, scivolando poi con le mani ingioiellate verso il manico dell’anta, aprendo quel piccolo deposito di sacche di sangue. Mi dipinsi una leggera smorfia infastidita, ripensando a quel mio status che mi opprimeva il cervello. Merda, se solo avessi fatto più attenzione.. No, quell’organizzazione di sfigati mi avrebbero comunque preso in un modo o nell’altro. E poi, non era così male massacrare quelli del mio mondo. Erano così dannatamente ignari della violenza, che a momenti era fin troppo facile farli fuori. Portai il beccuccio alle mie carnose labbra, percependo dei movimenti sfibrati di seta che, fruscianti, si facevano sempre più vicini. Mi accigliai ancora, sobbalzando internamente appena sentii quelle mani che, con maestria, mi accarezzavano tutta la spina dorsale, ampliandosi verso le possenti spalle, scivolando sempre più giù verso ai reni. Delle parole placide e troppo morbide mi accarezzarono l’orecchio destro, pari ad un:

-Forza, orsetto biondo, dov’è il tuo essere macho? Non mi vuoi più far tua, per caso?-

A volte Harmony sbagliava di grosso a prendermi così alla sprovvista. Ancora non aveva capito che il mio autocontrollo andava ben altro? Avrebbe continuato così per l’eternità, se fosse servito. Stando a questi patti, non aveva ancora imparato da quando l’avevo scacciata via con quella rudezza che, forse, l’aveva solamente spronata a far di più? Storsi ancora le labbra in un ghigno sadico e sinistro, sussurrando poi un tombale e gutturale:

-Non hai ancora imparato, Harmony? La tua trasgressione insieme a quella banda di sfigati, sono falliti? Andiamo, non hai nemmeno un po’ di orgoglio?-

Scrollai le spalle e la spinsi via, smussando quelle sue mani dal mio corpo. Non avrei sopportato un attimo di più la sua presenza. La sua voce non era quella di lei. Quel suo modo di fare troppo diverso e.. Non era esattamente il mio canone di donna. Andava bene per sfogo sessuale, ma poi? Non avevo imparato ad amarla, non aveva nemmeno cercato di apparire meno stupida e più consueta alla mia vicinanza. Che diavolo voleva ora? Ruotai gli occhi in senso orario, riavviandomi i capelli impomatati all’indietro, lasciando così scemare quei lembi della camicia nera. Mi avvicinai a lei, tanto da incomberle davanti. Socchiusi gli occhi e sussurrai un:

-Ripeto le stesse parole, oca giuliva: E’ stato bello finché è durato. Ora fine dei giochi.-

La presi di peso dalla sontuosa camicetta che mi sarei divertito a sfilare, in altri momenti, sballottandola violentemente contro alla porta aperta della cripta, fino a farla urtare contro una lapide appena costruita. Le crepe si evidenziarono maggiormente su quella vivida roccia e, forse, aveva disturbato il vampiro che ben presto sarebbe spuntato da quel terriccio umido. Abbozzai un mezzo sorrisetto beffardo, canzonandola con un:

-Magari nel territorio zombies sei meglio servita, Harmony.-

E, con uno squittio e qualche riferimento poco carino alla mia persona, la bionda se ne andò via sculettando e ondeggiando su quei perfetti fianchi. Se fosse stata meno stridula e più donna, magari, sarebbe stata la scelta migliore che mi avrebbe accompagnato in tutta la mia eternità. Appena chiusi la porta, mi lasciai abbandonare con la schiena contro il legno di essa, chiudendo impercettibilmente le palpebre pesanti. Ingoiai un poco di saliva, mordendomi il labbro inferiore con incertezza. Avevo appena captato il suo profumo e mi stava opprimendo le narici e l’intera mente. Sarebbe passata da queste parti, la cacciatrice, o avrebbe preferito dar ascolto al suo orgoglio evidente e spropositato?


 
Mi ero riavviata i capelli in una treccia composta, ma non bastava a occupare tutte le ciocche. Alcuni ciuffi scampavano da quell’aggrovigliamento, e mi annebbiavano un poco la smeraldina visuale. Avevo ridotto in polvere due vampiri e l’aria nel cimitero sembrava intrisa di tombale aspettativa. Avvolta nel mio fidato e stretto cappotto di pelle, mi guardavo intorno con decisione, non scomponendo mai quella mia espressione fredda e calcolatrice. Stavo facendo di tutto per non far prevalere quel demone che, scalpitante, voleva uscire fuori. Voleva divorarmi, spingendomi nell’andare verso quella cripta che, ultimamente, frequentavo troppo abitualmente. La figura di quel vampiro biondo che fino a qualche anno prima mi disgustava e mi dava il voltastomaco. La figura compatta di quel corpo che, nudo, sembrava scolpito in pietra da qualche antico greco sculture. No, Buffy non sarebbe stata più la perfetta cacciatrice con qualche accidentale trascorso con un altro vampiro che, impetuosamente, aveva occupato il mio cuore e la mia vita da scalpitante sedicenne. Impugnai saldamente il paletto, portandolo ancora a mezz’aria dinanzi al mio petto che saliva e scendeva con velocità. La mia tentazione diveniva sempre più decisiva. La mia voglia di lui quasi assordante. Mi morsi il labbro pieno e lucido inferiore e mi voltai immediatamente, appena percepii un movimento azzardato da parte di un vampiro. Questo si avventò su di me, quasi in un grugnito affamato. Capovolsi la situazione, inchiodandolo per terra dalla nuca, per poi penetrare con la punta affilata del paletto in mezzo alle scapole, spingendolo fino al cuore. Questo si ridusse in polvere e, stancamente, mi pulii dai granelli superflui.

-Ah, un’altra doccia appena torno a casa. Maledizione, questi vampiri. Oltre a puzzare mi riducono in poltiglia il nuovo cappotto..-

Storsi le labbra con fastidio ed esasperazione, sollevando ancora lo sguardo verso la porta della lontana cripta. Scossi appena la testa, dandomi mentalmente della stupida. No. Una cacciatrice e un vampiro. Ma quale assurda favola Disney sarebbe mai stata?

Eravamo troppo diversi.
Eravamo nemici acerrimi di natura.
Ero solamente impaurita.
Impaurita che avesse potuto scalfire ancora quel mio cuore che avevo messo un attimo in stand-by.
Impaurita che potessi prendere troppo sul serio la nostra relazione basata solo sul gratificante sesso.
Impaurita che, per qualche strano motivo, avessi potuto affezionarmi davvero a lui e, perché no, amarlo seriamente.


Ma non potevo amare un mostro in letargo. Non potevo nemmeno considerare l’idea di farlo presente ai nostri amici, anche se segretamente ne sono a conoscenza.
Non potevo amarlo semplicemente perché non sapevo se fidarmi di lui.
L’incoerenza di Buffy? Forse si, forse ero davvero incoerente con i miei pensieri e le mie azioni. Ma dove sarei potuta arrivare con quella mia parte che voleva subentrare alla razionalità? No, semplicemente dovevo farmi odiare da lui. Sarebbe stato impossibile, ne ero a conoscenza. Lui era convinto che l’odio e l’amore andassero a nozze. Ma quale parte del ‘Non possiamo’ non riusciva a comprendere.
Dovevo staccarmi da lui, e questa volta in modo decisivo.
Odiami, Spike.
Odiami.

-Non sarà mai possibile.-

Mi guardai intorno, per poi fare dietrofront e recarmi fuori dal cimitero con un tacchettio risonante degli stivaletti, sui cocci del sentiero. Mi sistemai il cappellino nero e voltai verso destra, diretta verso casa, con un unico pensiero:

Dawn.
 
Se n’era andata. Ero convinto che avesse guardato dalla mia parte. Ero convinto che quello sguardo avesse perforato ogni scheggia di legno di quella porta, ma appena la aprii ed uscii fuori dalla cripta, mi guardai intorno senza scorgerla. La sua figura mingherlina e sinuosa aveva deciso di scomparire dalla mia bramosa e avida visuale. Sgomento, mi guardai ancora intorno, deciso nel poterla guardare almeno andar via per poterla fermare, ma non c’era null’altro che quel suo pungente odore di cacciatrice.

L’odore che mi avrebbe portato alla frustrazione e avrebbe danzato con le campane dell’Inferno.
  
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