My scary savior
Verità
Per
quanto Sayu tentasse di dimenticare le sue
disavventure, proprio non riusciva a scacciare dalla mente l’immagine del suo
giovane rapitore. Il rosario che pendeva del suo collo era stato completamente
sostituito dal viso sfregiato del ragazzo.
Il seme del dubbio era germogliato in lei fino a
sbocciare in un fiore carnivoro che le dilaniava l’animo e il cuore. Se lui era
la stessa persona meschina che aveva tentato di abusare di lei la prima volta,
perché in quel loro secondo incontro non l’aveva sfiorata neanche con un dito?
Anzi, l’aveva persino salvata da un tragico incidente automobilistico.
Nel buio della notte, rannicchiata in posizione
fetale sotto le lenzuola, le pareva di scorgere i suoi occhi azzurri brillare
nel buio come due zaffiri lucenti: lo sguardo di un felino predatore.
Si girò dall’altro lato nella vana convinzione di
dare le spalle a quel miraggio, il quale prontamente si materializzò ancora una
volta davanti a lei.
Si alzò: decise di prepararsi una camomilla che le
conciliasse il sonno. Si diresse in cucina in punta di piedi per non svegliare
sua madre. Tante volte l’aveva destata dal suo sonno per colpa degli incubi che
l’avevano assillata nei mesi precedenti e non voleva certo recarle disturbo
quando non era strettamente necessario.
Mise l’acqua a bollire e si concentrò sull’ipnotico
sibilo del gas che bruciava sotto il pentolino. In fondo la notte era davvero
bella per certi versi. La quiete che infondeva con il suo silenzio era un
balsamo per la mente di Sayu: per troppo tempo, invece,
era stata sua nemica. Osservò sovrappensiero la fiamma del fornello accesso:
celeste, proprio come gli occhi di lui.
Distolse lo sguardo repentinamente come se si fosse
bruciata le pupille. Perché continuava a pensarlo così? Perché ogni cosa che la
circondava sembrava cospirare per farglielo ricordare? Stranamente non veniva
più assalita da quel cieco terrore che aveva provato il giorno prima, quando
aveva visto il rosario al collo del motociclista.
L’acqua iniziò a bollire e Sayu
se ne accorse solo quando vide traboccare la schiuma che bagnò il piano cottura di acciaio. Girò la manopola del fornellino per spegnere il fuoco. Le bolle si
rassettarono. Versò il liquido fumante nella tazza e vi mise la bustina in
infusione.
E poi c’era quella frase che aveva detto poco prima
di lasciarla andare via: “Se la cosa può
consolarti, da dopodomani puoi stare certa che io non sarò più una minaccia per
te.” Cosa aveva voluto comunicarle?
C’era qualcosa che non quadrava in quella storia.
Lui non poteva essere l’uomo che cercò di violentarla tre mesi prima.
Pensandoci, in effetti, come era riuscita a salvarsi? La sua verginità non era
stata violata: che l’uomo avesse desistito per pietà? Ne dubitava. Allora cosa
era accaduto?
Forse sarebbe diventata davvero pazza se non avesse
trovato la soluzione a quel rompicapo.
Di certo il ragazzo dai capelli biondi sapeva le
risposte, ma la frase che le aveva riferito sembrava preannunciare la sua
imminente morte. Ma no, forse stava solo facendo delle tragedie per niente.
Tuttavia, era certa che non l’avrebbe mai più rivisto.
Dopodomani…
Aveva solo un giorno di tempo, dunque. Un’idea
malsana affiorò alla sua mente con una spontaneità tale da farle credere di
essere veramente impazzita. Se avesse ritrovato il suo appartamento, avrebbe
potuto parlargli e chiedergli di raccontarle quella verità che per troppo tempo
le era stata negata.
Il dottor Myabe lo diceva
sempre: ‘Per sconfiggere la propria paura
bisogna affrontarla’. Quel ragazzo era la
personificazione della sua fobia. Se fosse andata da lui di sua spontanea
volontà, sarebbe guarita e avrebbe esorcizzato le proprie paure per sempre.
Inoltre, voleva sapere cosa le era capitato. Voleva riempire quel vuoto di
memoria che a lungo era stato occupato dalla sola immagine di uno scintillante
e inquietante rosario dorato.
Soffiò sulla camomilla ormai pronta e bevve a
piccoli sorsi il soporifero decotto, cullando dentro di sé ogni buon proposito
per il giorno dopo. Era rischioso, ma era l’unica occasione che aveva per
scoprire la verità e se non ci fosse riuscita, avrebbe vissuto il resto della
sua vita a tormentarsi per la sua vigliaccheria e a macerare nei propri dubbi e
domande senza risposta.
Non
era stato difficile trovarlo. Si era ricordata del negozio abbandonato, ‘Fashion
‘n rock’, proprio al piano terra del palazzo in cui viveva il suo rapitore. Era
bastato fare una ricerca su internet per scoprire il vecchio indirizzo in cui
era ubicato l’esercizio.
Aveva detto a sua madre che sarebbe uscita con
un’amica per fare una passeggiata. In effetti, Minako
le aveva mandato uno dei suoi soliti sms sgrammaticati per rimproverarla del
bidone che le aveva fatto il giorno prima. Lo spavento provato alla vista del rosario
al collo del motociclista misterioso, le aveva fatto
dimenticare ogni cosa, compreso l’appuntamento con Minako. Si era scusata in modo sbrigativo, dicendo che
aveva avuto un contrattempo che le aveva impedito di avvisarla. L’amica aveva
scherzato maliziosamente supponendo che ci fosse di mezzo un ragazzo: nella
burla non avrebbe potuto immaginare quanto vicina alla realtà fosse andata.
Sayu
non aveva più risposto e Minako aveva tradotto il suo
silenzio come una conferma dei propri sospetti, tanto che le aveva tempestato
il cellulare di messaggi per sapere chi era, come si chiamava, se era carino o
meno. Frivolezze di poca importanza per lo più.
Dopo essersi allontanata abbastanza da casa (Sayu aveva il netto sospetto che qualche volta sua madre la
seguisse per timore che venisse colta da un nuovo attacco di panico), fermò un
taxi e gli disse dove voleva essere portata.
L’uomo la guardò attraverso il riflesso dello
specchietto retrovisore con un cipiglio perplesso. “È sicura di voler andare lì?
È una zona parecchio pericolosa per una ragazza!” le aveva detto.
Sayu
avrebbe voluto dirgli di farsi gli affari propri, ma la sua buona educazione
ebbe il sopravvento come sempre. Gli rispose in modo cordiale: “Grazie per
l’interessamento, ma non si preoccupi. Mi devo vedere con una persona appena
arrivo lì: non mi accadrà nulla.” Lo disse in un modo abbastanza convincente da
rassicurare l’uomo che subito partì. Avrebbe tanto voluto credere anche lei
alle proprie parole, ma le risultò alquanto difficile.
Le strade piene di negozi, pedoni, mamme con le
carrozzelle e coppiette che passeggiavano mano nella mano furono sostituite da
marciapiedi desolati, degrado e facce losche che sbucavano dalle finestre
dei palazzi.
Cosa
sto facendo?
Si pentì amaramente della propria decisione, ma la
lingua le si era incollata al palato e non trovò la forza di dire al tassista
di fare inversione di marcia e riportarla indietro.
Quando la macchina si fermò, il cuore parve frenarsi
assieme ad essa. Sentiva che non appena avesse messo piede fuori, un’orda di
male intenzionati l’avrebbe assaltata come un branco di lupi su una cerbiatta.
L’uomo al volante notò il suo turbamento. Quella
ragazza era tanto giovane: poteva avere su per giù l’età di sua figlia, per cui
provava un senso di protezione paterna. “Vuole che la porti da qualche altra
parte?”
“No!” esclamò Sayu prima
che potesse ripensarci e accettare l’allettante proposta. Pagò e scese dalla
macchina. Persino il venticello che le scompigliò i capelli pareva ostile.
Il taxi alle sue spalle partì solo dopo una buona
manciata di minuti. Quando il rombo del motore fu fuori dalla portata del suo
orecchio, la giovane realizzò di essere completamente sola e indifesa.
Si avvicinò al portone, ma non c’era nessun nome sul
citofono, solo otto targhette bianche accanto ad altrettanti pulsanti. Che sciocca! si disse: non sapeva
nemmeno come si chiamava il ragazzo biondo.
Forse era un segno del destino quello: magari le
stava lanciando un esplicito segnale per scappare finché era in tempo.
Le gambe erano cementate al suolo. Si guardò attorno
furtiva, temendo di essere notata da qualche sguardo molesto.
“Che ci fai qui?” La voce metallica le trapanò
l’orecchio e per lo spavento la ragazza lanciò persino un gridolino facendo un
passo indietro. Non c’era nessuno.
“Io… i… io… voglio…” Le parole stentavano ad uscire.
Dal citofono fuoriuscì un suono molto simile ad uno
sbruffo. “Aspetta” disse la voce robotica.
Un minuto dopo, Mello aprì
il portone, palesandosi agli occhi della ragazza. La sua vista,
inspiegabilmente per Sayu, le diede un senso di
sollievo, come se adesso fosse al sicuro.
Era un pensiero paradossale, ma la sua mente lo
aveva formulato con una naturalezza sconvolgente. Notò che non portava al collo
il rosario che tanto l’aveva terrorizzata. Si illuse che lui lo avesse tolto
per rendere la propria immagine meno minacciosa e paurosa agli occhi di lei:
non avrebbe mai saputo se fosse stato così o meno.
“Allora, che sei venuta a fare?” la incalzò a
parlare il ragazzo, evidentemente infastidito. Sembrava che lo avesse
disturbato in un momento poco opportuno.
“Sono venuta per conoscere la verità.” Sayu si sorprese di se stessa e di come, adesso che il
ragazzo era davanti a lei, fosse riuscita a parlare fluidamente e senza
balbettare in modo imbarazzante.
“La verità” le fece eco Mello.
“Immagino quello che vuoi sapere e devi essere davvero molto motivata o molto
pazza per essere venuta qui da sola. Credevo avessi paura di me.”
“Ne avevo, ma se avessi voluto farmi del male
avresti potuto farlo ieri.”
L’ombra di un sorriso appena visibile guizzò sul
volto di Mello. “Osservazione acuta.” Si fece da
parte per farla passare. “Se vuoi sapere la verità devi entrare.”
Era chiaramente una sfida e ormai Sayu pareva guidata da una volontà estranea alla sua.
Avanzò fino a superare la soglia del portone. Mello
lo richiuse alle sue spalle sbattendolo con forza: la vibrazione del tonfo
rischiò di far rovinare la ragazza per terra tanto aveva le gambe molli.
Mello
salì per le scale e lei lo seguì, in silenzio. Giunti al secondo piano
entrarono nell’appartamento che era stato il teatro del loro incontro del
giorno prima. Non era mutato nulla, tranne che per dei fogli poggiati su un
tavolino davanti ad un divano. Da quel po’ che Sayu
riuscì a scorgere, sembravano delle mappe di Tokyo su cui erano state tracciate
due linee: una rossa e una blu. Che fossero dei percorsi? Vide anche una
tavoletta di cioccolata sbocconcellata a metà. Mello
si apprestò a girare le carte e ad ammassarle per nasconderle alla vista della sua
ospite inattesa, poi prese il dolciume e vi tirò un morso. Infine si sedette
sulla poltrona che Sayu riconobbe essere la stessa
della volta precedente.
La ragazza fece guizzare lo sguardo attorno per
trovare una seduta per lei. Dietro il tavolino c’era un divano polveroso,
squarciato in più punti da cui fuoriuscivano pezzi dell’imbottitura spugnosa.
Vi si adagiò con garbo, rimanendo un po’ in tensione per evitare di poggiarsi
troppo e sporcarsi tutta. Era l’unica sistemazione che le permettesse di rimanere
un po’ distante dal giovane straniero: il timore per lui non l’aveva
abbandonata del tutto. Non osò parlare per prima.
“Ho fretta” disse Mello,
addentando il cioccolato staccandone un pezzo consistente. Il suono che ne
scaturì era simile a quello di un osso che si rompa in seguito ad una forte
pressione.
Sayu
rabbrividì a quell’associazione mentale involontaria. “Cosa successe di preciso
quando venni imprigionata?” chiese titubante. Aveva paura che la sua curiosità
la portasse a scoprire una realtà che era meglio ignorare. Si domandò se non
sarebbe stato più saggio rimanere all’oscuro di tutto.
Mello
diede un ulteriore morso alla barretta, quindi iniziò a raccontare.
Sono
stato io ad ordinare ai miei uomini di rapirti. Come figlia di Soichiro Yagami eri la merce di
scambio ideale per ottenere quello che volevo. Ti facemmo rinchiudere in una
stanza sotterranea, dove delle telecamere di sorveglianza ti riprendevano 24
ore su 24: motivi precauzionali in realtà, anche se per come eri spaventata
dubitavamo fortemente che avresti trovato il coraggio di ribellarti e scappare.
Non
vi era alcun interesse nel farti del male. Come detto, eri solo merce di
scambio, ma sicuramente era meglio restituirti a tuo padre sana e salva per
evitare inutili lamentele.
Erano
proprio quelle telecamere a tenerti al sicuro. Finché saresti rimasta alla
portata del loro occhio, nessuno ti avrebbe toccata. Avevo messo un veto
assoluto al riguardo e in quegli ambienti tutti sanno cosa succede ai
trasgressori. – Mello tracciò
una linea immaginaria con il pollice da un lato all’altro del collo: l’antifona
era molto chiara alla sua ascoltatrice. –
Accadde
però che un giorno, il tizio che veniva a portarti regolarmente i pasti
ricevette una chiamata mentre era all’interno della tua stanza. Si distrasse e
quando uscì dimenticò di chiudere la porta a chiave.
La
tua fame di libertà ti fece notare subito quella distrazione e altrettanto
presto pensasti di approfittarne.
Che
ingenua sei stata!
Uscendo
dalla tua cella ti sei esposta al pericolo. Nessuno poteva più vederti,
sorvegliarti e questo ti rese vulnerabile.
Camminasti
per i corridoi in penombra del bunker alla ricerca della via d’uscita, ma non
la trovasti. Più precisamente ti perdesti, ma qualcuno ti trovò.
L’uomo
che ti si parò di fronte sapeva che non dovevi essere toccata con un dito, ma
sapeva anche che senza nessuna telecamera a registrare il misfatto, nessuno lo
avrebbe mai scoperto. Iniziò a… – “Ti prego” lo
interruppe Sayu con un fil di voce, “tralascia questi
dettagli.” – Per tua fortuna riuscii ad arrivare in tempo.
Avevo visto la tua stanza vuota dai monitor di sorveglianza e sono andato
personalmente a controllare.
In
pratica avevi girato in tondo, sicché ti eri ritrovata a pochi metri dalla
porta della tua cella. Udii le tue urla e i grugniti del mio sottoposto che
voleva violentarti. “Jhon, per caso i miei ordini non
sono stati abbastanza chiari?” gli dissi alle spalle e lui, terrorizzato, si
voltò verso di me. Un energumeno grande e grosso che in quel momento aveva gli
occhi spauriti di un bambino colto con le mani nella marmellata. Mi viene da
ridere al ricordarmelo.
Fisicamente
avrebbe potuto sopraffarmi in qualsiasi momento, ma c’era una gerarchia da
rispettare e se solo mi avesse torto un capello, il boss, di cui ero il braccio
destro, gliela avrebbe fatta pagare cara.
Mi
disse che voleva solo riportati in cella e che tu stavi opponendo resistenza.
“Dovresti vergognarti: farti mettere in difficoltà da una ragazzina così
minuta” lo beffai e lui, consapevole di essere stato beccato mentre disobbediva
agli ordini, mi chiese scusa, pregandomi persino di non dirlo al boss. Gli dissi
che gli avrei dato una possibilità per riscattarsi e farsi perdonare. Alla
fine, dopo questa patetica scena, andò via.
Mi
avvicinai a te. Dire che eri terrorizzata era solo un eufemismo. Tremavi come
se ti trovassi nuda al Polo Nord. In ginocchio per terra, con le mani premute
contro il petto, la testa chinata e il viso bagnato di lacrime. No, non provai
pietà se è quello che stai pensando. Ti avevo salvata, ma a quanto pare tu hai
completamente dimenticato tutto questo. Il tuo cervello non ha memorizzato
nulla di ciò che avvenne: spirito di autoconservazione, suppongo. Probabilmente
un simile ricordo ti avrebbe annichilita del tutto, portandoti al suicidio, chi
lo sa.
“Alzati”
ti dissi.
Ma
tu non ti muovesti. Con un filo di voce, però, mi rispondesti: “Non ci riesco.”
Non
potevo certo lasciarti lì. Così mi chinai per prenderti in braccio. È stato in
quel momento che avrai di certo visto il mio rosario scintillare alla debole
luce della lampadina. Questo è tutto ciò che la tua mente ha memorizzato di
quell’evento, portandoti quindi a credere che questa croce apparteneva all’uomo
che voleva abusare di te.
Ti
adagiai sul letto. La cosa curiosa era che tu sembrasti quasi dispiaciuta nel
vedermi andare via. Dentro di te sapevi che io ero il tuo salvatore, l’unico
che anche senza le telecamere o il divieto di toccarti non ti avrebbe fatto del
male comunque.
Ma
hai dimenticato anche questo.
Al termine del racconto, molte cose divennero chiare
per Sayu. Per esempio, quando Mello
l’aveva salvata dall’incidente per strada, lei aveva percepito il suo profumo
dolce, il suo aroma al cioccolato, e lo aveva subito associato a qualcosa di
rassicurante, anche se non riusciva a capirne il motivo. Adesso lo capiva.
Forse era solo una sua impressione, ma le parve di
scorgere sul viso del ragazzo un velo di amarezza, come se lui fosse
dispiaciuto del fatto che Sayu non abbia riconosciuto
da subito il suo salvatore, identificandolo invece come una minaccia.
“Dunque è andata così. Questo è tutto.” Cosa avrebbe
dovuto fare, ringraziarlo forse per averle salvato la vita in ben due
occasioni? No, in fondo, se lei si era ritrovata in pericolo era stato per
colpa sua, quindi non gli doveva nessun ringraziamento. “Perché mi hai
detto che da domani non sarai più una minaccia per me? Cosa accadrà domani?”
Mello
parve titubare. Non immaginava che la curiosità della ragazza potesse
raggiungere simili livelli. “Domani il regno di Kira
inizierà a sgretolarsi.”
“Kira? Sgretolarsi?” gli
fece eco Sayu. “Tu… tu lavori per catturare Kira?” Quel nome era diventato portatore di disgrazia in
casa sua. Suo padre era morto per contrastare quel pericoloso criminale e suo
fratello rischiava la vita ogni giorno come il loro genitore. “Ma perché allora
mi hai fatto rapire? Mio padre anche voleva catturarlo. Se tu eri dalla
sua stessa parte perché…”
“Basta con le domande” la rimproverò il ragazzo.
“Volevi delle informazioni e te le ho date. Il resto non sono affari che ti
riguardano.” I suoi occhi si incupirono. Il cobalto delle sue iridi si scurì
fino a sembrare blu.
“Morirai, non è vero?” domandò Sayu.
Ormai non vedeva più una minaccia nel giovane che aveva davanti. Vedeva solo un
ragazzo solo, triste, trascinato dalla corrente degli eventi come un fantoccio
senza volontà.
“Sembra che la cosa ti dispiaccia” rispose Mello con un lieve sorriso ironico. Anche se non lo aveva
confermato direttamente, le sue parole lasciarono chiaramente intendere che la
sua morte era vicina.
Un'altra vittima di Kira,
pensò Sayu. “Mio padre è morto per colpa sua. Quel
criminale ci ha rovinato la vita.” Strinse i pugni in grembo e la tensione
muscolare li faceva vibrare come sassi scossi da un terremoto.
Mello
ricordava cheSoichiro Yagami
era un brav’uomo: gli era dispiaciuto enormemente che fosse morto. Fino
all’ultimo aveva sperato che potesse sopravvivere, ma ormai era giunta la sua
ora. Non si era mai sentito realmente colpevole della sua dipartita, perché era
Kira il vero boia, lui, Mello,
era stato solo l’ascia.
Tuttavia, davanti lo sguardo triste di Sayu non poté evitare di sentire un senso di colpa
affiorargli al cuore. Adesso lei lo vedeva come un ragazzo giusto, buono: se le
avesse rivelato di essere l’assassino di suo padre, quello sguardo si sarebbe
dissolto… lo stesso sguardo colmo di riconoscenza e ammirazione che gli aveva
rivolto il giorno in cui l’aveva salvata dalle grinfie del suo stupratore.
Erano belli gli occhi di Sayu
quando lo guardavano così. Lo facevano sentire bene, una panacea per il suo
animo pieno di affanni e delusioni.
“Adesso devi andare” le disse. Avrebbe voluto
riaccompagnarla a casa sua, ma sentiva che non era saggio, che sarebbe stata
una distrazione che in quel momento non poteva assolutamente permettersi.
“Sì” rispose la ragazza, quindi si alzò. Mello non la imitò. Come detto, lei era una distrazione ed
era meglio tenerla a distanza.
Sayu
si diresse verso la porta, ma prima di uscire si voltò e disse: “Non morire,
per favore.”
Che
ingenua! pensò Mello. Come se la Morte si fermasse davanti ad un
semplice ‘per favore’.
Quando
si vive in un quartiere molto tranquillo e con dei vicini educati, ogni suono
che esuli dalla normalità, perché troppo forte o perché poco frequente, viene
udito anche a qualche chilometro di distanza. Così, Sayu,
mentre era intenta a navigare tra le pagine di internet per distrarsi un po’,
sentì l’arrivo di Mello a cavallo della sua moto
prima ancora di vederlo fermarsi sotto casa sua.
Si affacciò per verificare che la sua deduzione
fosse esatta e qualche secondo dopo lui inchiodò proprio di fronte al cancello,
il rombo del motore che inquinava l’aria con il suo ronzio e il casco integrale
in testa.
Era chiaro che tutto quel trambusto serviva solo a
richiamarla, ma non era solo l’attenzione della ragazza che Mello
era riuscito ad attrarre.
“Sayu?” La voce di sua
madre non si fece attendere dal piano di sotto. Il tono con cui l’aveva
chiamata era chiaramente di rimprovero, come se avesse detto anziché il suo
nome ‘Spero per te che questo non sia il tuo ragazzo!’. Sayu
dovette ammettere che se fosse stata nei panni della madre, avrebbe pensato la
medesima cosa.
Si affrettò a scendere. Il cuore le galoppava nel
petto, ma non era paura, affatto. Era una sensazione strana, piacevole e
disagevole al contempo. Avrebbe persino osato dire che era felice di vedere
quel ragazzo un’altra volta ancora.
“Sayu!” ripeté la madre e
la giovane le rivolse un sorriso tirato ma rassicurante.
“È solo un… amico” aveva esitato, ma in effetti non
poteva dire a sua madre la verità sull’identità del motociclista e al contempo
nemmeno lei sapeva di preciso come definirlo.
Sachiko
non sembrò molto convinta della risposta: in fondo era stata giovane pure lei e
sapeva bene quale potere ammaliante aveva una bella e pericolosa moto sulle
ragazzine. Si fidava di sua figlia e non le aveva mai dato alcuna delusione in
nessun campo, ma stava crescendo ed era come se solo in quel momento la mamma
si fosse accorta che davanti a sé non aveva più una bambina, ma una ragazza in
procinto di sbocciare nella donna che sarebbe diventata in futuro.
Sayu
uscì di casa e si premurò di chiudere la porta, anche se sapeva che sua madre
avrebbe potuto vedere tutta la scena dalla finestra del soggiorno. Si avvicinò
a Mello e questi nel frattempo spense il motore della
moto e si tolse il casco, rivelando così quella chioma color grano che tanto
affascinava Sayu. Abbassò persino gli occhi, come se
temesse che da essi potesse trasparire qualche sentimento inopportuno: non
poteva negare che fosse davvero un bel ragazzo, nonostante tutto.
“Ciao” esordì lei. Se avesse potuto si sarebbe
schiaffeggiata da sola: sembrava una scolaretta alle prese con la sua prima
cotta.
“Ieri non ti ho detto una cosa molto importante, una
cosa che è giusto tu sappia.”
Sayu
sollevò di scatto la testa a quelle parole che non presagivano nulla di buono.
Il ragazzo le porse una lettera e lei con mani tremanti l’afferrò. Prima che
potesse aprirla, Mello la fermò posando la mano
sinistra sulle sue. Avrebbe voluto togliersi i guanti per godere a pieno di
quel contatto fugace. “Dopo che me ne sarò andato.”
“O-ok.”
“Ieri mi hai chiesto di non morire: perché?”
La domanda colse la ragazza talmente alla
sprovvista che lei sussultò come se fosse stata attraversata da una piccola
scossa elettrica. “La mia risposta cambierebbe qualcosa?”
“No, ormai ho deciso e non ho intenzione di tirarmi
indietro. Consideralo l’ultimo desiderio di un condannato.” Ogni sillaba
suonava tetra come il rintocco di una campana che suoni ad un funerale. Sayu avrebbe voluto piangere, ma le lacrime avrebbero
trasformato quell’addio in qualcosa di più orribile di quanto già non fosse.
Se era il suo ultimo desiderio, allora non aveva
nulla di cui vergognarsi o temere. “Perché mi hai salvato la vita due volte e
perché sei disposto a sacrificarti per catturare Kira
e così mio padre verrà vendicato e questo vuol dire che sei un ragazzo buono
e…” frenò la fiumana di parole, titubante se aprirsi completamente a lui o
meno, infine decise di lasciare liberi i suoi pensieri senza più arrestarli, “…
e perché mi piaci, un po’, e io non voglio vederti morire per colpa di Kira, l’assassino che ha ucciso anche mio padre: non potrei
sopportarlo.”
Mantenne gli occhi fissi sulla punta delle proprie
scarpe marroni in attesa di un qualsiasi responso da parte del ragazzo.
Per la prima volta in vita sua, Mello
si sentì bene.
Avrebbe voluto dirle grazie, ma lei non avrebbe
compreso. Le afferrò il mento tra l’indice e il pollice, le sollevò il viso
fino ad incrociare i loro sguardi. Le si avvicinò e Sayu,
benché stupita e un po’ timorosa, non si scansò. Il profumo del cioccolato
l’aveva stregata e il sapore che percepì sulle labbra di lui era sublime.
Non era il suo primo bacio, ma non aveva mai provato
una sensazione così intima e avvolgente in vita sua. Un formicolio le saettò
lungo la spina dorsale.
E poi il giovane straniero si allontanò, si infilò il
casco, riaccese il motore e ripartì.
Anche se era rimasta preda del languore, Sayu era riuscita scorgere un sorriso felice sul viso di Mello. Osservò il tratto di strada che aveva percorso prima di svoltare
l’angolo e svanire dalla sua vista. Si ricordò della busta che ancora stringeva
in mano. L’aprì e le poche righe che vi lesse le fecero così male da liberare
finalmente quelle lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento.
Avrei
dovuto dirti questo già ieri, ma non avrei sopportato di vedere nei tuoi occhi
il disprezzo e l’odio che di certo questa verità susciterà in te.
Tuo
padre è morto per colpa di Kira, ma sono stato io a
ucciderlo.
Penserai
che sono un vigliacco a dirtelo ora e in questo modo così brutale, ma tuo padre
non è morto invano e se sono sopravvissuto è solo per assicurare Kira alla giustizia con il mio sacrificio.
Odiami
pure e non avere più paura da oggi in poi.
Addio.
Fine
Note dell’autrice
Ultimamente
non riesco più a scriverli i finali XD Di fatti speravo di concludere un’altra
long ma ahimè mi sono accorta che mi occorre ancora un capitolo per farlo e
anche questa ha rischiato di allungarsi troppo ma alla fine ho trovato il modo
di rispettare i tre capitoli, anche se questo è venuto leggermente più lungo
dei precedenti.
Alla
fine forse sono andata un po’ in OOC con Mello, ma ci
tenevo troppo a concludere così la storia, quindi perdonatemi se ho stravolto
il suo carattere coriaceo >.<
Francamente
non mi aspettavo un tale successo per questa minilong, insomma la coppia non è
certo tra le più gettonate del fandom, anzi, ma le
vostre recensioni sono state meravigliose, dico sul serio *.* Avete fatto la
gioia di questa autrice :3
Ringrazio
immensamente le 2 persone che l’hanno inserita nelle preferite, le 9 nelle
seguite e l’1 delle ricordate e non dimenticate di lasciarmi il vostro parere
per quest’ultimo capitolo! Grazie a tutti! Alla prossima fanfic
spero ;D
Questa fic partecipa alla challenge indetta da starhunter Vitii et Virtutis, i vizi e le virtù.