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Autore: Volpotto    20/04/2012    3 recensioni
Padre perché vi comportate così con me?
Ho forse sbagliato qualcosa?
Perchè mio fratello l'ho accetti? E Aiacos?
Cos'hanno loro che io non ho?
Voglio solo risposte, nient'altro
Genere: Introspettivo, Mistero, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Garuda Aiacos, Grifon Minos, Wyvern Rhadamanthys
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Viverna no Rhadamantis
Capitolo uno
La nascita della Viverna

Pioveva, quella sera, pioveva forte. Il regale celo dell'Inghilterra era ricoperto di nubi scure, mentre forti lampi lo dilaniavano accompagnanti dai grandi rimbombi dei tuoni. A Minos, la pioggia, non era mai piaciuta. Non sapeva darsi una risposta al perché, ma c’era qualcosa in lei che detestava. Forse perchè gli appariva sempre così triste, così sola. I lampi e i tuoni laceravano di tanto in tanto il nero celo, facendo spaventare i cavalli nella stalla. Minos continuava ad osservare la scena, coricato nel grande letto. La finestra dai cristallini vetri era rimasta scoperta, si erano dimenticati di tirare le tende. Minos, benché non gli piacesse la pioggia, ne era stato grato. Almeno aveva qualcosa da osservare. Perché, in momenti come quelli, il tempo non passava mai. In mano teneva un filo rosso, che stringeva forte.  Aveva solo tre anni e quella stanza gli appariva molto più grande di quanto non fosse. Ed era solo. La sua mamma, che fino a pochi momenti prima stava giocando con lui, se n’era andata via. Già, la sua mamma…era sempre stata molto bella, o almeno così la riteneva lui. Stavano giocando nel loro grande salone con quel filo rosso. Si era sentita male, tutto ad un tratto, ed aveva gridato. Minos aveva visto i suoi splendidi occhi color nocciola riempirsi di dolore, e lei si era piegata su se stessa. Si era spaventato, ed si era allontanato fino ad rannicchiarsi in un angolino. Non aveva gridato ne pianto, tuttavia il cuore gli batteva come se stesse per uscire dal corpo. Era arrivata la servitù e due uomini avevano trasportato la sua mamma in un’altra stanza, più calda. Una donna l’aveva preso in braccio cullandolo, cercando di tranquillizzarlo. Non aveva saputo dire chi, per lui loro erano tutte uguali. Tutte vestite nello stesso modo, con lo stesso sguardo e la stessa voce.  
<< Non preoccupatevi, signorino, la signora torna presto >> gli aveva detto
E Minos non aveva replicato. Era stato in silenzio, mentre la donna l’aveva fatto coricare nel grande letto della mamma. Gli aveva detto di dormire, di non pensare a niente. E il giorno dopo avrebbe avuto un fratellino. Già, un fratellino. Minos sapeva che la sua mamma ne aspettava uno, ed era felice che finalmente il momento fosse arrivato. Finalmente avrebbe avuto qualcuno con cui giocare, ed non sarebbe stato più solo. Non che i suoi genitori fossero cattivi con lui o non lo calcolassero. Semplicemente, non sempre riuscivano ad ritagliare un po’ di tempo per lui. Eppure, sebbene questa prospettiva lo allettasse, avrebbe preferito che tutto questo avvenisse un altro giorno. Proprio come non sapeva dirsi il perché odiasse la pioggia, anche questa preferenza rimaneva senza spiegazione. Forse era perché il suo papà non c’era in quel momento, e non era con la mamma. Già, dov’era il suo papà? Se nera andato prima, quando lui stava mangiando la torta al cioccolato che la mamma gli aveva dato. Si rannicchiò su se stesso, sentendosi come abbandonato. Avrebbe voluto che qualcuno fosse lì, con lui. A consolarlo, o semplicemente stare lì con lui. A Minos piaceva osservare le persone, scorgere qualcosa in loro di nascosto. Il suo papà lo sapeva fare, quando qualcuno parlava. Gli sarebbe andato bene chiunque, anche solo un animaletto. Ma non v’era nessuno. Sentì un tuono provenire da fuori, accompagnato subito dopo da un fulmine, il quale illuminò la sua stanza. Minos non poté far altro che chiudere gli occhi, continuando a sperare che qualcuno varcasse quella soglia. Mentre ciò accadeva, quel piccolo bambino dai capelli bianchi mormorò parole fugaci, convinto che esse fossero la sola e vera verità.
“La mamma torna presto”
Eppure, nonostante quelle parole fossero venute da un adulto, qualcosa in lui non era d’accordo.

R.A.M.

Dastan era partito nel tardo pomeriggio, presso quello che era il maniero chiamato Heinshtein , sebbene non fosse molto entusiasta di quella scelta. Si sistemò meglio il grande cappotto nero in cui era avvolto, guardando preoccupato il finestrino. Pioveva, pioveva forte. Scosse la testa, non era un bel presagio. Dastan era un ragazzo di vent’anni compiuti da oltre due mesi, cresciuto troppo in fretta. Entrambi i suoi genitori erano morti quando lui aveva appena sei anni, ed era vissuto con  un grande peso sulle spalle. Tuttavia ormai il momento di liberarsene era quanto mai più vicino. I suoi capelli erano di un biondo acceso, quasi fossero d’oro, e i suoi occhi erano color miele. Con la mano destra coprì uno sbadiglio, per poi stropicciarsi gli occhi. Guardò l’orologio, le undici e mezza. Doveva essere lì prima di mezzanotte.
<< Sebastian, quanto manca? >>
<< Poco signore, già si intravede il castello Heinshtein >> rispose l’autista << Dovremmo essere lì fra mezzora  >>
<< Ho un appuntamento alle undici e quaranta cinque, gradirei arrivare lì con almeno cinque minuti di anticipo  >>
L’autista sembrò contrariato. Dastan sorrise, comprendendo le sue ragioni. Sebastian era l’autista della nobile famiglia Toked, il quale lui ne era il legittimo erede. Era sempre stato un uomo molto prudente e, sebbene avesse cinquantadue anni, ne dimostrava poco più di trentacinque.
Per lui, con un tempo del genere, era oltremodo imprudente accelerare.
<< Signore, con questo tempo… >>
<< Sebastian, tu fa come ti ho ordinato>> ripeté Dastan << Non accetto contraddizioni >>
<< Signore, io temo per la vostra incolumità >> specificò l’uomo dai capelli neri << La mia vita è ben mera cosa, tuttavia voi oltre ad essere il mio signore, avete anche una moglie e un figlio >>
<< Non temere Sebastian, non mi accadrà nulla. Tu non esitare e accelera >>
<< Come desiderate >>
“Già, non mi accadrà nulla. Quelli come me, non possono morire. Sebastian, farai meglio a preoccuparti di più per te e a lasciarmi perdere”
Sebastian, seppure contro la sua volontà, si decise ad accelerare. Infondo, anche volendo, non avrebbe potuto andare contro il suo padrone. Quello era un ordine, non un consiglio. Dastan batté impaziente i polpastrelli l’uno contro l’altro. Niente l’avrebbe fermato, adesso che la fine era così vicina. Il massimo che lui e Sarkem avevano stimato era di dieci anni, non di più. Il minimo, tuttavia, era di cinque anni. Scosse la testa, in confronto al resto, dieci anni non erano niente. Sebastian starnutì, distraendo Dastan dai suoi pensieri. Il servitore domandò scusa, e continuò a tenere lo sguardo fisso sulla strada. Tra non molto sarebbero giunti a destinazione. E allora, avrebbero deciso sul da farsi. Non avrebbero mai più fallito, come i loro predecessori. Almeno di questo, Dastan ne era certo.
<< Signore >> lo chiamò Sebastian << Intravedo il castello Heinshtein >>
“Perfetto!”
<< Allora sbrighiamoci, non sta bene fare aspettare la gente >>
Come aveva sentito vociferare a villa Toked, il maniero Heinshtein era veramente di dimensioni smisurate. Nonostante la pioggia cadesse intensamente, non riusciva a impedire di vedere il grande castello. Esso era stato costruito, notò Dastan, con un tipo di pietra insolito, di origine molto antico. Scosse la testa, se quello che Sarkem aveva detto era vero, allora quel maniero era stato costruito molti secoli avvenire. La fortezza sembra essere stata progettata per essere inespugnabile e per incutere timore a chiunque avesse tentato di conquistarla. Un ampio fossato circondava la roccaforte, circondato a sua volta da un bellissimo prato, privo di erbacce. Al giovane biondo sembrò di scorgere una fontana e un tempio all’interno, ma non ne ebbe la certezza. Il viaggio l’aveva stancato e l’impetuosa pioggia gli impediva di vedere bene. Sebastian portò  l’auto fino all’enorme cancello nero, dove era stata costruita un’enorme “H”, placcata oro. Esso si aprì automaticamente, dopo appena un minuto di sosta davanti ad esso. Il messaggio era chiaro, lo stavano aspettando con impazienza. Dunque, anche loro aveva voglia di terminare il tutto il più presto possibile? Era sicuro di trovare Hugo e Ettore al grande castello. D’altronde, erano stati loro a indurre il proprietario del maniero a tenere una riunione. Il cancello si stava aprendo, benché lentamente, e Sebastian sembrava ansioso di sottrarsi dal compito di guidare. Infondo, il viaggio era stato pesante anche per egli, e l’unica cosa che desiderava era riposare. Dastan fu colto da un improvviso impulso di prendere la lettera speditegliela il due giorni prima da Hugo. La cercò nelle tasche del nero paltò, come paura di aver saltato qualche riga fondamentale. La trovò, leggermente stropicciata, ma tuttora leggibile. La calligrafia del francese era inconfondibile. Precisa in ogni dettaglio, senza mai mancare di un puntino sulla “i”, o di una ripetizione. Quella precisione, o meglio pignoleria, benché fosse irritante e troppo dimostrata, era indispensabile per la questione. Unico motivo per cui Hugo aveva ancora il naso intatto, dato che essa non si limitava solo nelle lettere, ma anche nella vita quotidiana. Se il piano voleva andare in porto, un tipo come il francese sarebbe stato indispensabile.  Anche se, più di una volta, Sarkem ne avrebbe volutamente fatto a meno…e con lui  anche Dastan.
 “Caro Dastan,
 sono lieto di porgerti felici notizie, le quali ti rallegreranno non poco. Come sospettavamo il castello del nostro signore non era situato ne in Grecia, ne in America e nemmeno nella Russia.
Giammai la tua mente potrebbe indovinare che, il famoso maniero da noi tanto cercato, si trovasse invece nel tuo paese d’origine a poche ora dalla tua dimora.
Il nostro stimato compagno e sostenitore Ettore ha avuto l’illuminazione di cercare in quella nobile terra, la quale tu abiti.
Grazie alla mie influenze e alla abilità di Ettore siamo riusciti ad indurre i signori proprietari a tenere un incontro d’affari non solo con noi, ma anche con la tua presenza.

Aspettiamo di vederti il 20 novembre al maniero Heinshtein
Cordiali saluti
Hugo
P.S.
Ti porgo i miei auguri in anticipo, insieme a quelli di Ettore, per l’arrivo di un nuovo membro nella tua famiglia. Sono certo che ne sarai entusiasta.”

Dastan incarnò il sopracciglio, poi con fare disinvolto, ripiegò la lettera mettendosela in tasca. Adesso, dopo due anni, avrebbe rivisto in faccia i suoi compagni di azione. Gli scampò un sorrisino, che tuttavia non represse. Giustamente, poteva anche permetterselo.
<< Sebastian…  >>
<< Ditemi signore >> rispose l’autista
<< Tu hai una famiglia? >> domandò Dastan, all’improvviso << Una moglie, un figlio… >>
<< No signore, non mi sono mai sposato >> il tono con cui l’ho disse sembrò assente << Avevo una fidanzata, un tempo, ma essa se ne andata troppo lontano perché io potessi raggiungerla >>
<< Troppo lontano? >> ci fu interesse nella sua voce << Dove, esattamente? >>
<< È morta, signore >>
Silenzio. Non si aspettava una simile risposta, e la cosa lo stupì assai. Poi, dandosi dello stupido, non si era accorto del tono di voce del suo servitore. Proprio lui, che era maestro nel leggere l’emozioni. Scosse la testa, nonostante avesse sviluppato molto questa abilità, era ancora inesperto. In momenti come quelli non c’era molto da dire. Solo una frase, la quale tutti recitavano a memoria.
<< Ah, mi dispiace Sebastian >>
<< E perché mai signore? È successo trentadue anni fa, voi non eravate ancora nato >> sospirò << Signore, siamo arrivati >>
<< Perfetto… >>
Parcheggiò di traverso l’auto, davanti all’entrata del grande maniero. La pioggia non aveva smesso per un solo istante di cadere, aumentando sempre di più la rapidità della sua caduta. Dastan vide che dei servitori si stavano affrettando a prestare aiuto, giungendo con ombrelli e con un candelabro.
<< Signore, io conduco la macchina altrove, vi è sconveniente scendere qui? >>
<< No, dato che quei giovanotti si stanno affettando a venirmi in contro ben preparati >>
<< Bene, allora io la lascio qui… >>
<< A più tardi Sebastian, riposati pure in mia assenza >>
Dastan fece per aprire la porta e scendere, ma la voce del servitore lo blocco. Il giovane Toked si voltò verso di lui, concedendoli la parola
<< Signore, posso porvi una domanda? >>
<< Dimmi pure, ma alla svelta >>
<< Perché mai mi avete domandato se avessi una moglie o un figlio? Insomma, non mi pare che sia di vostro interesse >>
<< Vedi Sebastian…>> rispose Dastan mentre stava per scendere << …nonostante tutti questi anni di servizio prestati al mio seguito, di te conosco solo due cose >>
<< Sarebbero? >>
<< Il tuo nome e la tua professione. Nient’altro >>
<< Allora vi sbagliate signore >> lo corresse l’autista
<< Prego? >>
<< Ora ne conoscete tre >> precisò Sebastian << Statemi bene signore >>
Dastan non rispose e scese dalla macchina, mentre un servitore del castello si affrettava a porgergli un ombrello. Era un ragazzo poco più grande di Dastan, forse di due anni, ma coi lineamenti più spigolosi e i capelli neri. Chinò leggermente la testa in segno di saluto e invitò Dastan a entrare nel maniero. Dal canto suo il biondo erede di villa Toked non se lo fece ripetere. Sebastian portò la macchina dove un altro cameriere gli aveva detto e non fece più la sua comparsa. L’aveva lasciato perplesso l’ultima affermazione.
Dastan, per la seconda volta, si concesse un sorriso.
Hai ragione Sebastian, ora ne conosco tre..” si incamminò verso l’ingresso “ Tre come i Giudici degli Inferi

R.A.M

<< CHIAMATE AIUTO! >>

Saphire sentì il comando di Hanne, la governante di villa Toked, la villa di suo marito. Era sempre stata dura e fredda, tuttavia di lei nessuno si era mai lamentato. Quando era andata a vivere con il suo compagno, i servitori si erano presentati tutti. Un passo avanti agli altri c’era stata un donna poco più bassa di lei, anziana, con un’espressione grave. Una volta Jaime, il portavoce di Hanne, gli aveva svelato un fatto. Da giovane la governante era stata una bellissima donna, sposata e con due figli. Conduceva una vita tranquilla, ma un giorno il mare se gli era portati via tutti e tre. Non conosceva i dettagli, solo che dall’ora lei aveva imparato ad impartire gli ordini con decisione. Ma adesso non v’era traccia della sua fermezza, e Saphire lo sentiva. Sentì una forte fitta attraversargli il bacino, seguito da un dolore acuto. Fu uno solo. Fu solo uno il suo pensiero.
“Il bambino”
Un mese, stava nascendo con un mese d'anticipo. Doveva nascere il 26 dicembre, non quel giorno. Gli tornarono in mente le parole del dottor Hoolen, e tremò. Era preparata a tutto ciò, lo sapeva dalla prima ecografia, ma credeva di avere ancora tempo. Che sciocca che era ad non aver previsto una simile eventualità, ma nessuno l'aveva predetto. Nessuno l'aveva avvis...no, cosa stava pensando? La colpa era sua, non degli altri. Però perchè proprio adesso? Dastan era lontano, e Minos...il suo piccolo Minos era da solo. L'aveva spaventato, di questo ne era certa. Aveva visto la paura nei suoi occhi dorati, così simili a quelli di Dastan, eppure così diversi nell'esprimersi. Amava suo figlio, lo amava da sempre. E avrebbe amato anche il nuovo arrivato, se solo... Gemette, il dolore si faceva sempre più forte. Voleva nascere, voleva nascere a tutti i costi. Saphire vedeva tutto bianco, mentre anche le voci di Hanne e degli altri stavano scomparendo. Nella sua mente riaffiorarono momenti importanti della sua vita, dei quali si sarebbe per sempre ricordata. Vedeva l’immagine di suo padre, di quando l’aveva accompagnata sul ponte della “Kristal” a vedere le onde. Lei aveva sei anni e si sporgeva irresponsabilmente, rischiando di scivolare. Ma lui non lo permise mai, tenendola per i fianchi. Poi sua madre, quando aveva ventisei anni, che sfoggiava il suo lungo abito color ebano e la folla esultava. Cantava, cantava in quel grande teatro Italiano. Le apparve suo fratello, nel precedente giorno della sua scomparsa, vestito di bianco che la salutava a cavallo di Raiden. Quel suo sorriso, così caldo, gli sarebbe mancato molto. Lui non sarebbe mai più tornato. Apparve  Dastan, mentre le accarezzava la pancia, dove il suo bambino scalciava impaziente. Infine Minos, con gli occhi lucidi, dopo la morte del suo cagnolino. Non aveva pianto, ne lì, ne mai. Tutto stava svanendo, e lei sentiva le forze abbandonarla. Anche se in maniera diversa, e meno forte, l'aveva già vissuta quella situazione e sapeva. Da lì ad un momento all'altro sarebbe nato suo figlio.
Sarebbe nato Rhadamantis

<< STA USCENDO! PRESTO! >>

Nella tana della Volpe.
Salve a tutti!
Allora, innanzitutto un grande grazie a tutti coloro che la leggeranno, e a chi la commenterà. Rhadamantis è un grande personaggio della serie originale, quindi non so se questa storia sarà alla sua altezza.
Sono solo un novizio, quindi siate clementi!!  
  
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