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Autore: Candidate    21/04/2012    5 recensioni
Sesshomaru-sama cammina con lo sguardo rivolto a sud, come un imperatore, stringendo in mano lo scettro del potere. Il Dominatore del Mondo ne possedeva tre e al suo erede è andato il più inaspettato. I pensieri di Sesshomaru a poco tempo dalla morte del padre, il giorno in cui brandì per la prima volta quello che solo dopo molto tempo avrebbe tollerato come un dono importante.
Partecipante al Contest InuYasha: Slice of Life indetto da Namine22 e Hiko sul forum di EFP, ancora in attesa di graduatoria.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sesshoumaru
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Carissimi lettori e ancor più carissimi recensori!

Ecco la storia che ho scritto per il Contest InuYasha: Slice of life indetto sul forum di EFP. Purtroppo il contest ha dei problemi: causa ritiro di vari partecipanti siamo rimaste solo io e Visbs88 come concorrenti. Tuttavia il termine per la pubblicazione dei risultati è arrivato e ancora non abbiamo né notizie delle giudici né una graduatoria (in realtà non è importante il posizionamento, dato che siamo solo in due, ma il parere delle giudici). Tuttavia ho pensato che è più giusto offrire a voi la storia, piuttosto che aspettare. Questo perché è sempre per voi che scrivo. Se arriveranno i commenti delle giudici modificherò tutto e li inserirò.

Questa storia mi ha fatto pensare a un progetto... non sarebbe male creare magari una raccolta di storie, anche one shot, che parlino della vita di Sesshomaru prima del manga, del suo passato, come io l'ho immaginato (avete dubbi che io conosca tutti i dettagli e tutti i suoi pensieri dall'inizio alla fine?). O magari un giorno potrei addirittura fare la biografia di Sesshomaru. Che ne dite?

Ora vi lascio alla storia che spero apprezzerete e commenterete.

E ricordate che voi lettori siete il sale che insaporisce la mia scrittura.

 

 

 

 

Autore: Candidate (sul forum candidate90)
Titolo: Lo scettro del potere
Personaggio: Sesshomaru
Genere: Introspettivo
Rating: Verde
Avvertimenti: Missing moments
Note:

 

Lo scettro del potere.

 

Camminare per le strade battute dagli esseri umani non era suo uso, non si spiegava perché quel giorno il suo peregrinare lo avesse condotto proprio su quella via larga in terra battuta da centinaia di carri. Un piede dopo l'altro, avanti, avanti, avanti. Dove lo portavano i suoi piedi? Verso il potere, percorrevano la via del dominio. L'aria frizzante di quella soleggiata giornata invernale gli faceva formicolare il viso, quella era una bella sensazione. Gli esseri umani lo infastidivano terribilmente. Quando, per caso, gli capitava di incontrarne uno, nel suo eterno peregrinare, preferiva sempre concentrare il suo sguardo dinanzi a sé, per non rischiare di sporcare il suo nobile pensiero cristallino di fronte a quegli esseri tanto osceni.

Il sole splendeva lontanissimo nell'immenso cielo terso. Decise che avrebbe anche potuto guardarlo per un istante, solo per ribadire l'insignificanza di quell'astro. Forse era per quel motivo che preferiva la stagione fredda: il sole sembrava così distante e disattento, i suoi raggi non scaldavano il mondo. Considerava un tributo alla sua grandezza il fatto che il Sole stesso si inchinasse a lui e gli permettesse di splendere come meritava, in tutta la sua micidiale tecnica di guerra. Potere, dominio.

Una larga curva deviava il cammino, ma Sesshomaru non permise a una strada umana di influenzare il suo andare sempre così retto: sapeva benissimo dove dirigersi. Il torrente comparve di fronte ai suoi occhi. Il flusso continuo e insolente aveva impedito alla superficie di gelare, tuttavia la primavera si faceva attendere perciò la mole d'acqua che scendeva dalle montagne non era importante. Sesshomaru non aveva fretta di veder comparire i primi fiori di ciliegio: la primavera scatenava il cinguettio petulante di tutti quei pennuti impazziti nella continua ricerca di un rametto adatto a costruire un futile nido. Da bambino aveva trascorso molte aurore primaverili seduto nel sottobosco a scatenare il bagliore della sua frusta nella penombra persistente sotto la volta arborea, si era dilettato nell'abbattere ogni fragile frenetico uccellino con un colpo secco e ben mirato. Era capitato che sua madre gli chiedesse cosa stesse facendo e lui aveva sempre risposto che allenare la mira per rendere le sue scudisciate più precise era una buona cosa. Sua madre aveva sempre chiuso la faccenda con un cenno di assenso, soddisfatta della diligenza di suo figlio, il suo orgoglio, il maschio primogenito. E Sesshomaru si era sempre ripromesso che un giorno avrebbe cessato di doverle delle spiegazioni. Quel giorno era arrivato, finalmente, perché Lui era morto. Per una causa così futile... ma quello che contava era la corona del dominio che ora gli pesava sul capo, la poteva sentire stringere le tempie e pesare sulle orecchie. Un altro emblema: lo scettro del potere.

Piegò le ginocchia e allungò entrambe le mani verso l'acqua. Un sorso, un altro. La sua sete di potere era inestinguibile. Un lungo respiro e la testa fu immersa nella corrente, i capelli trascinati verso valle fluttuavano in superficie. Era piacevole schiarirsi le idee nell'acqua gelida. Perché, durante quell'ultimo ciclo lunare, il suo cuore era stato inspiegabilmente turbato e la sua logica strategica ne era stata intaccata. Intollerabile.

La testa scattò di colpo all'indietro strascinando la lunga scia di crini candidi che ricaddero sulla schiena, pesanti, dopo aver piovuto tutt'attorno un diluvio di goccioline.

Sesshomaru si alzò scuotendo appena le spalle in un moto istintivo. Un piede in avanti, verso i flutti traditori. Accompagnando il suo passo con un gesto della mano sinistra il suo potere gli venne incontro, docile, e il demone guadò il fiume camminando a un pelo dalla superficie. Si diresse verso il monte di fronte a lui. Il versante che poteva vedere era esposto a nord: solo roccia spoglia e morta di fronte al suo sguardo tagliente. Ma sapeva che, sul costone opposto, la lava correva copiosa in discesa libera. Era lì che si dirigeva. Una visita di cortesia, niente di più, ma qualche domanda, in effetti, sussisteva. E avrebbe ottenuto le risposte che cercava.

La sua mano sinistra si sporse all'indietro, agevolata dal movimento fluido e snodato di una spina dorsale abituata a flettersi oltre l'impossibile. La punta del medio sfiorò l'estremità dello scettro del potere, ripercorrendo tutta la lunghezza sul ruvido fodero di corteccia di Magnolia, bloccandosi in corrispondenza della guardia, oltrepassandola per arrivare all'estremità opposta a quella dalla quale era partito. E infine ghermire quello scettro. Uno solo, su tre. Perché? Quella domanda non aveva risposta, per il momento.

Ricordò quella notte. Uno spesso manto di neve ghiacciata aveva fatto scricchiolare le sue scarpe mentre, sempre un passo dopo l'altro, i suoi piedi lo avevano condotto su quella collina. A incontrarlo per l'ultima volta. Qualche fiocco di neve ritardatario si affrettava a raggiungere i compagni già accoccolati al suolo, un suolo macchiato di sangue. Quella luna così fastidiosa aumentava i riflessi dei Suoi capelli. E l'odore di sangue impregnava l'aria. Ricordava il pizzicore in fondo alla gola per la secchezza dell'atmosfera: lo aveva infastidito per giorni diventando un nodo doloroso e insopportabile che si ribellava a tutti i suoi sforzi di ignorarlo ogni volta che la rabbia minacciava di farlo esplodere. Ma non era successo, ovviamente. Controllo.

Non si era voltato a guardarlo, mai. Solo aveva avuto per lui parole dure, ma era la norma. A lasciarlo interdetto erano stati altri discorsi senza senso, fandonie a proposito del possedere qualcuno da proteggere.

Quando era ancora un cucciolo aveva venerato quell'essere che allora gli sembrava irraggiungibile. Alto fino a coprire il sole di fronte ai suoi occhi, le spalle larghe sulle quali amava essere trasportato... ma già a quei tempi era stato invitato a camminare da solo, un passo dopo l'altro. Le braccia forti che sapevano brandire una spada in una mano e una spada nell'altra. Suo padre le sapeva usare in sincronia, scatenando due poteri magari opposti con la stessa inimmaginabile potenza, lacerando le carni con due colpi altrettanto precisi e armoniosi che pareva impossibile che potessero essere indipendenti l'uno dall'altro. Ma lo erano. Perché suo padre comandava la mano sinistra e la mano destra con due menti diverse. Se solo avesse posseduto una terza mano avrebbe sicuramente potuto ghermire tutti e tre gli scettri del potere allo stesso tempo. Il Dominatore del Mondo.

Sesshomaru era sempre stato cosciente di chi fosse suo padre. Glielo aveano manifestato molto presto, ad ogni modo. Aveva ugualmente sempre sentito la responsabilità sulle sue spalle, lui che era maschio ed era il primogenito, l'unico figlio per molto tempo. Ricordava lo sguardo orgoglioso di sua madre posarsi su di lui mentre gli diceva:

-Ricordati sempre che mi hai coperto di onore solo perché esisti.-

Ovviamente. Non era mistero che il Dominatore del Mondo avesse scelto di accoppiarsi con quella che sarebbe presto stata sua madre solo perché effettivamente necessitava di un erede. Altrimenti, molto probabilmente, il matrimonio sarebbe rimasto bianco per tutti i secoli dei secoli. Poco significava per lui la devozione della demone che si affannava perché la accettasse al Suo fianco. Il primo sguardo di approvazione che sua madre aveva ricevuto dal suo sposo aveva coinciso con il momento in cui il Dominatore aveva varcato la soglia di quella stanza e gli era stato detto che il primogenito era maschio. In effetti Sesshomaru dubitava... che dubitare? Scommetteva che, una volta generato l'erede, sua madre avesse passato notti molto solitarie. Ma non era rilevante. Ciò che veramente contava era ciò che Sesshomaru era: l'erede del Dominatore del Mondo. Lo aveva sempre saputo e si era sempre comportato conformemente al suo ruolo nel mondo e alle aspettative che su di lui erano riposte.

La soddisfazione di stringere una spada di legno, più alta di lui, fra le manine ancora così piccole ma già armi di tutto rispetto. Quel demone così imponente a mostrargli il primo maneggio della sua vita. Prima di rendersi conto che il suo addestramento era iniziato aveva imitato il gesto di suo padre. E aveva saputo di averlo compiuto in maniera corretta. Il “bravo” che si era aspettato non era giunto alle sue orecchie. Solo dopo molte lune sua madre aveva avuto una parola per lui:

-Il tuo talento è degno.-

Ma era tardi, Sesshomaru aveva già iniziato a comprendere cosa significasse allenarsi per diventare un guerriero adatto a succedere suo padre:

-Lo so.- Era stata l'unica risposta.

Aveva passato almeno mezzo secolo in quell'arena di polvere asfissiante, la voce di suo padre sempre presente a istruirlo su ogni mossa. Non era mai stato abbastanza, mai. Ancor meno sembravano valere i suoi sforzi per imparare a governare un potere demoniaco decisamente ribelle. E il giorno in cui, per la prima volta, dopo ore di meditazione e di concentrazione, si suoi piedi si erano staccati dal suolo, il suo Maestro lo aveva attaccato repentino per costringerlo a combattere in aria. Un colpo ed era rovinato a terra. Ci era voluta tutta la sua determinazione per riuscire a impedirsi di perdere il controllo e scatenare il potere che ancora non sapeva dominare. Non era mai abbastanza. Non faceva in tempo a raggiungere una tappa che suo padre pretendeva non la tappa successiva, ma forse la terza dopo. Lo aveva sempre trattato da nemico in una battaglia all'ultimo sangue, assolutamente impietoso quando soccombeva. Braccia e gambe spezzate da dover guarire in una notte per essere pronto a combattere ancora all'alba del giorno dopo. Se non fosse riuscito a convogliare adeguatamente il potere guaritore ugualmente non ci sarebbe stata pietà e avrebbe dovuto allenarsi con un arto ancora non completamente recuperato. Raramente aveva passato notti in completo riposo e l'alba era sempre giunta troppo presto. Combattere era allora sempre più difficile, la stanchezza e il dolore che incalzava. Giorni in cui gli sembrava di non aver mai smesso di lottare dal mattino precedente. La spada di suo padre allora trafiggeva senza esitazione lasciandolo disteso sul campo. Il suo Maestro si voltava e si allontanava, deluso di non aver più un allievo in piedi da rendere un grande guerriero. Probabilmente si convinceva del fatto che, se suo figlio aveva talento nel maneggiare la spada, non aveva ereditato il suo incommensurabile potere. Sesshomaru rimaneva immobile per ore a tentare di allontanare il dolore dalla mente per concentrarsi sul suo potere e fermare il sangue, guarire la ferita, il braccio rotto il giorno prima, la costola ancora incrinata dalla settimana precedente. Anche quello era un allenamento, ma di un altro tipo. Durante uno di quei momenti, probabilmente, l'umiliazione era stata troppo bruciante e il suo carattere troppo prorompente: aveva giurato che, un giorno, sarebbe diventato lui il demone più forte sulla faccia della Terra e, a quel punto, lui stesso avrebbe preso con le sue mani il potere che gli spettava per nascita, senza aspettare che gli venisse consegnato il giorno della gloriosa morte del Dominatore del Mondo. O forse i due momenti avrebbero potuto combaciare, dato che lui in prima persona avrebbe mandato all'altro mondo il Generale. Con questo obiettivo si era alzato, ignorando le proteste del suo corpo e il sangue che ribolliva minaccioso nelle vene. Aveva vissuto solo per questo, per poter combattere onorevolmente suo padre e distruggerlo con le sue mani. Avrebbe smentito tutti coloro che osavano asserire che il rampollo del Generale non aveva ereditato il suo sconfinato potere. Nessuno gli avrebbe dato dell'indegno dopo che avrebbe battuto lealmente e onorevolmente suo padre. Solo allora il potere sarebbe stato sufficiente, solo allora la strada del dominio gli si sarebbe spalancata davanti ai piedi. Da percorrere un passo dopo l'altro, non tre passi alla volta. Solo per questo anche lui, ora, sapeva controllare una spada per mano con movimenti indipendenti.

Ma tutto era andato perduto.

Capelli neri, occhi profondi, sorriso timido, vita flessuosa di un giunco, bellezza imperfetta... come tutte le femmine umane. Lei aveva rapito la ragione del Generale. Non vi aveva dato importanza, in principio: sapeva che suo padre aveva passatempi eccentrici e, inoltre, non era il caso di impegnare nemmeno un briciolo della sua attenzione per curarsi di una creatura indegna quale una donna umana. Ma quando il Dominatore del Mondo aveva sorriso in risposta a quel viso gentile si era accorto di quanto fosse irrimediabilmente perduto. Un demone sorride solo alla prospettiva della battaglia. All'alba, un giorno di primavera, suo padre non gli era venuto incontro brandendo la spada in mano. Non si era presentato. Sesshomaru era rimasto immobile a guardare il sole, imponendosi di mantenere contegno, di non esternare. Si era costretto a non provare nulla, ricacciando indietro la delusione. Tuttavia non si può impedire a un'intelligenza di fare i suoi calcoli: tutti i suoi sforzi per essere un erede degno erano stati ignorati di fronte al luccicare del rubino di un sentimento dal nome impronunciabile. Solo la rabbia aveva potuto ghermire la sua anima, la rabbia di colui che vede la propria persona ignorata.

A che pro sputare sangue se il più grande idolo esistente per i suoi occhi ferventi, e il più grande nemico per il suo animo di guerriero era diventato così, infinitamente, debole? Come avrebbe avuto la conferma di essere diventato lui, finalmente, il più forte?

Quell'unico istante di debolezza era riuscito a portare il Dominatore del Mondo alla tomba. Provare tanto affetto per qualcuno da desiderare di proteggerlo non può che essere un punto di debolezza. Il Generale, suo padre, sconfitto da un essere umano. Se non fosse stato così stolto da precipitarsi in soccorso di quella donna umana e di quella putrescente prole ignobile... Non l'aveva fermato. Non ci aveva nemmeno provato: la rabbia bruciava troppo. Ma, oramai, la sua gloria era stata portata via da un misero umano. Solo quest'ultimo aspetto lo aveva infastidito: poca importanza aveva ai suoi occhi la potenza tanto brillante quanto infima. Se il Generale aveva permesso di venir trascinato all'inferno per una tale sciocchezza, allora non era degno di venir considerato da colui che aveva raccolto la sua eredità. Anche se quel doloroso nodo alla gola si ripresentava, fastidioso, ogni volta che pensava a lui, al suo cipiglio severo e alla voce profonda che aveva guidato il suo allenamento.

Quella spada e un messaggio. Nient'altro. Delle tre spade del Dominatore del Mondo solo una era arrivata al legittimo erede, quella che mai aveva visto brandire. Probabilmente il suo potere era inimmaginabile e l'anima misericordiosa di suo padre non ardiva di spingersi a tanto. Un potere superiore a Tessaiga, superiore a Songa: Tenseiga.

Un lieve incresparsi delle labbra: perché non provare, prima di giungere a destinazione? Annusò l'aria e un demone di media potenza fu presto scovato dal suo nascondiglio. La mano destra sull'elsa e il cuore travolto dall'inno di battaglia, pronto a sentire l'inebriante sensazione del potere, potere, potere. E la vittoria. Il demone suo nemico rimase impietrito sotto il fendente. Sesshomaru rimase impietrito ugualmente quando si accorse che nessun potere demoniaco aveva fatto vibrare la sua mano e nessuna sensazione di dominio sulla vita aveva inondato il suo cuore pronto ad accoglierla. Vuoto. Una katana vuota e inanimata, nessuna personalità dentro quella spada. Non una ferita sul nemico esterrefatto. Nessuna appagante distruzione. Decise velocemente che non gli avrebbe lasciato tempo di comprendere che l'attacco era andato a vuoto, così la sua mano sinistra scattò in avanti conficcando due dita nel cervello di quella creatura sgraziata. Ritirò la mano, quasi schifato, e osservò dall'alto in basso la vittima che rovinava al suolo. In tre salti era di nuovo al torrente per sciacquarsi le mani.

I suoi pensieri erano torbidi. Non aveva certo bisogno di una seconda prova per confermare la sua intuizione, tuttavia avrebbe desiderato tentare ancora. In ogni caso la sua intelligenza non era da sottovalutare, il suo istinto demoniaco nemmeno, quindi si impose di non cedere all'incredulità. Invece, cosa che gli risultava assai semplice negli ultimi tempi, la rabbia fu accolta con tutti gli onori. Una spada che non uccide, era quello l'unico pensiero rivolto da un padre al suo primogenito. Nati per percorrere la strada del dominio, la spada serve a sgomberare questa strada. E a Sesshomaru veniva negato! Songa, capace di comandare cento cadaveri; Tessaiga, capace di uccidere cento demoni con un solo fendente; e Tenseiga capace... di cosa?

Ricordava il profumo intenso di supremazia che suo padre emanava quando brandiva Tessaiga: il vento vorticava attorno a loro, alleati nella battaglia, finché il Generale con un solo fendente decimava l'esercito nemico lasciando i superstiti increduli a tremare e invocare la sua pietà. Songa poteva anche essere più potente, se così davvero si poteva ritenere, ma l'alchimia di sensazioni che Sesshomaru aveva provato quando per la prima volta, mentre combatteva spalla contro spalla con suo padre, si era voltato in tempo per riuscire ad annusare, individuare e infine vedere il Taglio nel Vento era stata un'esperienza mistica. Due correnti ostili che si incontrano in uno squarcio di pura luce. Solo pensare di colpire quel punto e sentire nel corpo il fluire dell'energia demoniaca sapeva eccitarlo. Infine solo la desolazione di fronte a sé, solo per aver agitato apparentemente senza criterio una lama appariscente. Era la soddisfazione dello spirito. Mai aveva potuto toccare le tre spade del Dominatore del Mondo. Ma Tessaiga gli era rimasta nel cuore. Amore? No, solo la possibilità concreta di spianare la sua via al dominio. Solo Tessaiga sarebbe stata abbastanza nobile per poter essere brandita dalla sua mano, solo la sua mano sarebbe stata abbastanza nobile per poter rendere giustizia alla superiorità di quella spada.

Suo padre aveva deciso altrimenti... Tessaiga spettava a lui, il primogenito... l'erede! Invece stringeva fra le mani uno scettro vuoto di ogni pregio, una semplice lama nemmeno ben affilata. Si chiese quale utilità avrebbe mai ricavato suo padre da una spada come quella, eppure era chiaro che la preservasse da ogni pericolo e la custodisse forse ancora più gelosamente delle altre. E mai l'aveva brandita, almeno in sua presenza. Cosa significava? Che forse quell'essere che per secoli aveva beneficiato della sua infinita ammirazione fosse già a quel tempo un povero sentimentale affezionato a una spada senza valore per chissà quale oscuro motivo? Una spada senza valore era ciò che stringeva fra le mani. Per un figlio senza valore, era l'unico pensiero che la sua mente formulava. Alzò il mento, ma l'umiliazione bruciava nello stomaco. Si scoprì a irrigidire la mascella e si adoperò per rilassare il viso, non era il caso di turbarsi per le conseguenze delle azioni insensate di suo padre. Ma quel nodo fastidiosissimo in gola poteva essere delusione. Perché, aveva forse nutrito aspettative? Sì... si era adoperato per essere degno di suo padre. Aveva impegnato anima e corpo per compiacerlo, aveva sputato sangue e probabilmente non solo sangue per diventare un guerriero capace di reggere a testa alta l'eredità che gli sarebbe gravata sulle spalle. O, semplicemente, si era impegnato per diventare il più forte e percorrere la strada del dominio. Diventare il braccio destro del Dominatore del Mondo e assisterlo in ogni sua battaglia non gli era mai bastato, perché aveva giurato di sconfiggerlo. L'approvazione di suo padre era persa, oramai, da molto tempo. Non aveva mai capito cosa quella mente contorta ancora si aspettasse da lui... forse un animo compassionevole? Se era così non avrebbe certo avuto rimpianti. Il duello all'ultimo sangue... anche gli era stato sottratto, e da un umano. Infine... Ricevere in eredità Tessaiga significava per lui avere la conferma che il vero erede del Dominatore del Mondo era nessun altro se non Sesshomaru-sama. Perché oramai, sebbene fosse il primo in linea dinastica, non era più l'unico a poter reclamare il trono. Una sensazione di schifo gli percorse la pelle delle braccia al pensiero di dover ammettere di essere imparentato con uno sgorbio. Certo, uno sgorbio in fasce... avrebbe anche potuto ucciderlo sull'istante. Ma eliminare il suo rivale al dominio a tradimento, senza affrontarlo in un leale duello non era degno di Sesshomaru-sama. Sempre che si potesse addirittura considerare quel villano urlante e puzzolente di umanità un “rivale” al trono.

Una risata crebbe isterica dentro il suo stomaco, ma nessuno la poté udire dato che non le permise di liberarsi. Sesshomaru camminava a valle del monte, composto e imperturbabile, nessuno avrebbe mai potuto indovinare i suoi pensieri, ancor meno il suo turbamento.

I suoi erano tutti discorsi di onore e predominio, i valori con i quali era stato allevato proprio da colui che altro non aveva fatto se non umiliarlo, umiliarlo, umiliarlo ancora. Doveva proprio averlo considerato un figlio indegno. Inutile chiedersi perché. La frustrazione di una vita avrebbe desiderato un premio come balsamo per curare le ferite dell'anima. Solo un altro colpo era giunto per abbatterlo: Tenseiga pendeva inerte al suo fianco. Si chiese perché avesse atteso per un'intera luna prima di provare a utilizzare un suo presunto potere. La risposta era chiara nel suo cuore: perché aveva sospettato. Se, appesa al ramo di Magnolia, avesse trovato Tessaiga mai e poi mai avrebbe atteso tanto prima di sfoderarla. Invece trovarvi Tenseiga aveva messo in allarme il suo orgoglio. Suo padre si era burlato di lui.

Un passo avanti, ancora uno, verso la risposta alle sua domande. Le sue guance cominciavano ad avvertire un lieve tepore: si stava avvicinando alla fucina di Totosai. Perché suo padre gli aveva lasciato in eredità Tenseiga? Dove si trovava Tessaiga? La voleva, la desiderava, la bramava. Non avrebbe avuto pace finché non avrebbe stretto fra le mani l'elsa ruvida dell'unico vero scettro del potere. Totosai non sarebbe certo sfuggito alle sue domande, non glielo avrebbe permesso.

Si curò di non sfiorare nemmeno per sbaglio Tenseiga, quello scettro lo disgustava. Amaramente Sesshomaru si rese conto che, se era vero che anche la spietatezza è una qualità ereditabile dai genitori, sicuramente gli era stata trasmessa da suo padre: era stato terribilmente crudele con suo figlio. La via del dominio era ancora ripida e irta di ostacoli, il trono vacante e il potere evanescente nelle sue mani. Secoli di lavoro non avevano fruttato altro che uno scettro vuoto di ogni vita e significato.

Sesshomaru, ti sei meritato questa umiliazione?”

Un passo avanti, un altro, a percorrere la via del dominio, un passo una tappa. Prossima tappa: trovare Tessaiga.

   
 
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