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Autore: Ruta    24/04/2012    3 recensioni
È in momenti come quello – il mare davanti, il cielo annuvolato sopra le loro teste, il grigio che mette in risalto la macchia di luci, colori e vita che è Rose al suo fianco -, è in momenti come quello appunto, in cui è circondato dall’infinito, ce l’ha attorno la vastità dell’universo, non dentro, che John Smith si accorge di quanto sia difficile.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Doctor - Altro, Rose Tyler
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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infinito

primavera

 
È in momenti come quello – il mare davanti, il cielo annuvolato sopra le loro teste, il grigio che mette in risalto la macchia di luci, colori e vita che è Rose al suo fianco -, è in momenti come quello appunto, in cui è circondato dall’infinito, ce l’ha attorno la vastità dell’universo, non dentro, che John Smith si accorge di quanto sia difficile.
È una parola complicata e profonda e tanto triste.(1)
Vita. Lui è vivo. Ed è con Rose. Dovrebbe essere perfetto, invece è solo difficile.
D’altronde la perfezione non esiste.
Com’è che gli ha detto, Rose? È stato un pomeriggio di poco tempo fa, poco, ma sembra già così lontano. Sembrano trascorsi anni e non poche settimane. Serve a ricordargli che sì, sia poco tempo, il profilo di Rose che è senza rughe, quasi trasparente nell’azzurro pulito della mattina, e appare pensieroso mentre fissa le onde col mento appoggiato sul palmo della mano.
“Sarebbe monotona e inutile, finiremmo con l’annoiarcene senza rendercene conto.”
Vorrebbe tornare a quel giorno. Era un sabato ed era il loro giorno libero. Si erano dati appuntamento lì, sul molo, per prendersi un gelato e andare alle giostre insieme. Non ci sono andati sulle giostre, non lui almeno, non perché non volesse, ma perché l’addetto alla sicurezza non ha voluto farlo passare. Pensava fosse un matto, gli ha detto che avrebbe spaventato i bambini. Lui ha annuito, stizzito e sorpreso, ma ammutolito da quell’insolita sgarberia. Rose è riuscita a salirci però. Rose, paladina della Terra, l’eroina che tutti conoscono come appartenente a Torchwood, ente di difesa e protezione del pianeta, (ha incontrato la Regina e la Matriarca l’ha fatta dama di un qualche ordine di fior non ricorda cosa).
Sovrappone le due immagini di Rose: una in cui è sulla sella bardata di un cavalluccio bianco, che ride e gli fa cenni con la mano; un’altra, quella di oggi, in cui la vede osservare con occhi gonfi di rimpianto l’immensità che li circonda. Non è a lui che pensa adesso. Forse non lo era neanche allora(2). È ai margini di quel che vede e prova. Lui spinge per entrare, per non stare sul ciglio della strada a farsi buttare addosso acqua sporca e fango dalle macchine che passano.
Ci vuole tempo, si dice. Ma il tempo è così poco e non si sa quanto sia quanto duri quanto ne abbiano. È stata una cosa nuovissima questa, ma l’ha imparata subito. Quelle un po’ brutte sono sempre le prime a cui ci si abitua.    
Per questo John Smith si scrolla di dosso il dubbio, si appiattisce i capelli sulla fronte che l’umidità gli ha reso bizzosi e si curva sul volto di Rose per darle un bacio. Sulla guancia, vicino alla bocca imbronciata, ma è comunque abbastanza. La guarda voltarsi di scatto, le sopracciglia inarcate e la sorpresa negli occhi, un sussulto che lui non le ha visto fare, ma che sente ugualmente, percepisce allargarsi dentro di lei come in lui, una specie di saltello o tornado o vortice di gioia e confusione e calore. – Perché? – Rose gli soffia in faccia e lui fa spallucce.
Vorrebbe dirle che è perché è bellissima con la fronte accigliata e la dolcezza del suo sorriso rivolto al vuoto, che è geloso di se stesso, quel se stesso che odia e invidia ed è tutto ciò che non è più, non sarà mai più, e quello rappresenta un modo come un altro per trattenerla là dov’è lui, che il tempo non è infinito e non lo sono neppure loro, ma la verità è solo una.
- Perché mi andava – risponde con un sorriso impertinente. Rose scuote la testa, le guance un po’ arrossate ed è deliziosa a vedersi. Vien voglia di mangiarla come zucchero filato che la pioggia scioglie facendolo rimanere sulle dita in strisce appiccicose. La verità è solo una, sì.
Ed è che la ama. Come un bambino, un uomo, un Signore del Tempo.
Anche i bambini sono capaci di grandi amori. Lui più di tutti, ma dopotutto è perché bambino lo è da una vita. O vite, nove per la precisione.         

 

 

 

 

Infinito

 

 

 

 

 

estate

 

Sono passati tre mesi da allora. Assieme hanno sventato due attacchi alla Terra, più uno d’invasione contro l’intero sistema solare. Rose è diventata ambasciatrice di pace con una razza aliena che perfino a lui risultava difficile pronunciare dapprincipio e di cui ha impiegato un po’ a ricordarsi (i buoni vecchi omini grigio cenere! Gli Asgard(3), ma certo!); è diventato dottore altre quattro volte, ad honorem. Quando li incrociano per strada non riconoscono solo lei ormai. Indicano anche lui e bisbigliano cose carine sul fatto che sia una specie di secchione geniale, uno di quegli intelligentoni che nascono una volta ogni cento anni. Ad Oxford e Cambridge lo hanno ribattezzato Einstein e il Governo lo ha già pregato di costruire una specie di raggio ultrasonico di particelle, “a scopo e utilizzo puramente difensivi” dicono loro. Questo Rose non lo sa e comunque lui ha rifiutato.
Sono passati due mesi e loro sono di nuovo lì, sulla panchina del molo. In un giorno coperto e livido che promette lampi e tuoni in lontananza. Rose non guarda l’orizzonte però. Ha gli occhi chiusi e la testa reclinata su un lato, a pochissima distanza dalla sua spalla. Sembra dormire e ha l’aspetto stanco che ci si aspetterebbe che uno abbia dopo dieci ore di turno. E quella versione non si discosta poi molto dalla realtà a conti fatti. Non si vedono da due settimane, dalla sua ultima seduta di laurea e anche allora non si sono scambiati molte parole. Rose è rimasta in disparte tutto il tempo, nelle trafile e lui, al centro di ogni attenzione e nel cono di luce dell’aula magna, in mezzo a mille sconosciuti, pacche e strette di mano, congratulazioni e sciocche ovazioni di lode, lui non riusciva a pensare ad altro che a quella donna in penombra, vestita di nero e con l’oro negli occhi e nel cuore, a sorridergli a mezze labbra da lontano. Si è voltato un attimo, i secondi necessari per salutare il Rettore, che lei era già scomparsa lasciandosi dietro il rumore dei suoi passi e una porta sbattuta, l’eco bruciante della sua assenza. 
Il tempo non gli è mai stato amico. Era un gioco, ma anche i giochi presto o tardi finiscono e si ritorcono contro. Ora gli sembra che sia diventata la sua maledizione. Il tempo rallenta, accelera, sfuma e si dilata in attimi eterni prima di procedere in una discesa senza freni. Rose è un fiore, ne ha il nome oltre che l’essenza, ma non sembra impaurita né intimorita da quell’avanzare che non conosce fermi. Il tempo non la spaventa. Vive giorno per giorno, temporale dopo temporale. Tutto con l’aria decisa e il cipiglio sicuro.
Per lui è diverso. Ogni novità sembra un ricordo e ogni ricordo è un cambiamento, una messa a fuoco della rivoluzione che è avvenuta nella sua vita.          
Sospira e Rose riapre gli occhi come per magia, come una bambola o una principessa delle favole dopo un sonno durato cento anni, incrociandoli ai suoi.
Ha un’espressione interrogativa e incuriosita.
Lui sa già, ancora prima che succeda, che cederà a quella sua voglia di sapere perché è piacevole, più che piacevole, che si interessi a lui, lo fa sentire importante e vivo. E perché francamente non riesce a dirle di no o a rifiutarle niente.
- Non credevo potesse rivelarsi tanto problematico – rivela, buttandole quasi per caso un braccio dietro le spalle, ma poggiandolo sulla panchina.  
- Cosa? – chiede Rose mettendosi a sedere più composta, seria come davanti a un’imminente catastrofe.
Lui si ritrova a scrollare le spalle, con noncuranza, cercando di minimizzare quanto ha detto e sta per dire. - Vivere così. Normalmente. È più difficile di quanto avessi previsto. -
- Più difficile che sconfiggere un esercito di Dalek o Cybermen? – Rose sorride senza darsi pena di nasconderlo e lui sbuffa cominciando a gesticolare, come fa sempre quando è innervosito o si accalora. - Cerca di capire, Rose – si difende. - Non ero mai stato un essere umano. Tutte queste emozioni, questa vulnerabilità… non la sento mia. Non ancora almeno. Devo abituarmici. -
- Ma lo faccio, riesco a capire – Rose smette di sorridere improvvisando un’aria competente. - È un po’ quello che deve aver provato Superman perdendo i suoi superpoteri, no? - tenta. - Sarà stato preso dalla paranoia e si sarà posto un sacco di domande del tipo: chi sono davvero? Cosa posso diventare ora? Credo che tu debba solo scoprire chi sei, specie ora che non sai più cosa essere per gli altri – consiglia con un sorriso che è mite e scaltro e di incitamento, questo e molto altro.       
- Sei saggia, Rose. -
- Non dirlo con quell’aria e quel tono sorpresi. Lo sono sempre stata, sai? - lo riprende dandogli un colpetto sul braccio. Per un momento vorrebbe prenderle la mano e stringerla come ricorda di aver fatto spesso in passato. Ma era un’altra vita quella, un altro se stesso. Ora tutto è complesso e difficile e ingigantito al limite.
- Mi piace questo pontile – le svela indicando la banchina che è vuota eccettuati loro due. Un puntino blu e uno rosso su un orizzonte che ha tutte e due assieme, tramonto e pioggia. - Il mare. Ho scoperto che mi piace l’odore salmastro e il rumore delle onde, la risacca. In compenso odio la sabbia. È fastidiosa, si infila dappertutto. E anche le spiagge – rabbrividisce ostentando un disgusto esagerato. -  Bleah. -
- Già – Rose sorride distrattamente, prima di annuire con la fronte increspata e lo sguardo nostalgico. - Anche a me non piacciono molto. -

Può immaginare il perché.

 

 

autunno

 

Rose avanza a passo di carica nel lungo corridoio, i pugni contratti con le braccia che fendono l’aria come il soldatino di piombo che lui ha ammirato nella vetrina di un negozio di giocattoli pochi giorni prima, lo sguardo serrato. Al suo passaggio ogni porta pare misteriosamente chiudersi, ma lui può intravedere da dietro le veneziane delle finestre interne occhi che spiano di soppiatto il passaggio di quell’uragano in gonnella. Capisce che sì, è lui ad essere nei guai e focolaio della furia di Rose perché non appena lo scorge, in piedi e immobile nell’angolo, topo in trappola, il suo sguardo ha un brillio minaccioso. Deglutisce e mette giù il borsone. È appena tornato da un convegno a Praga ed è stanco morto, ma ha pensato di passare agli uffici di Torchwood per farle un saluto. Basta uno sguardo per comprendere che non sia stata una buona idea, tutt’altro. Pessima, pessima idea, decide. Non deve essere giornata, non è del suo umore migliore e lui è già distrutto, dopo tre ore di volo in economica in cui ha dovuto sorbirsi le chiacchiere sfacciate di una robusta signora francese che ci ha tenuto a fargli sapere in tutti i modi di come adorasse i tipi allampanati e magri come un chiodo, perché possiedono “doti nascoste”, affermazione ribadita più di una volta questa, che lo ha fatto arrossire di vergogna e imbarazzo.        
Scaccia il ricordo molesto come un insetto ronzante e si concentra su Rose che gli si è fermata di fronte, con le braccia incrociate in petto e le sopracciglia aggrottate.
- Sei un idiota – lo saluta con enfasi. Il tono convinto, irremovibile basta perché ogni spiraglio delle tapparelle e ogni porta socchiusa, ogni occhio o orecchio sospetto decida di mettersi ai ripari e a distanza di sicurezza da quella conversazione in pieno svolgimento.
Lui è solo sconvolto e decisamente confuso invece e sì, anche un po’ intimidito forse, lo ammette. La rabbia di Rose d’altronde è leggenda, un mistero che preferirebbe che rimanesse tale anche per lui.  
- Cosa? – chiede per pura formalità.
Rose non pare colpita da quel suo sfoggio di educazione. Al contrario, il fatto che lui non comprenda sembra seccarla ancora di più.
- Ho detto che sei un idiota – scandisce in modo chiaro e distinto, - e non mi importa di quel che pensa la gente. –  Solleva il mento con determinazione gettando uno sguardo fermo tutt'attorno. - Puoi essere un genio in scienze e fisica comparata, quantistica e quant’altro o nel costruire congegni di tecnologia avanzata, ma, Professore, rimani un idiota quando si tratta di comportamenti da adottare e del giusto modo di agire. -
- Come mi hai chiamato? – domanda sempre più perplesso, con la mente in subbuglio alla ricerca frenetica dell’origine del problema che, ora finalmente lciè arrivato, deve essere per forza qualcosa che lui ha fatto. O più probabilmente che non ha fatto, dimenticandosene. 
- Professore – ripete Rose con gli occhi socchiusi e l’aria di chi sembra stare sulle spine. - Perché, non ti piace? -
- No, è… carino, credo, - la rassicura esitando appena, - ma a cosa è dovuto? -
Lo sguardo di Rose ridiventa tagliente. - Preferisci essere chiamato come il belloccio di Pocahontas?
- Non ci avevo fatto caso. -
- Non fai caso a molte cose tu – ribatte Rose e qualcosa nel suo tono gli risulta spiacevole, gli fa male. - Come al fatto che siano trascorsi dieci giorni dall’ultima volta che ci siamo visti. -
- Non è la prima volta che succede, mi pare – si sente in dovere di farle notare. - Qual è il problema? –
- Il problema è che non è normale, d’accordo? – risponde lei senza guardarlo direttamente. - Dieci giorni, dieci, dieci per l'amor di Dio! senza tue notizie, senza sapere dov’eri, se eri vivo o morto. Tutto questo non è normale e non mi importa se non era la prima volta che accadeva. È stata comunque l’ultima, intesi? -
- Oh. Oh – esclama, prendendo ad ammonirla con l'indice, la bocca spalancata.   
- Cosa? -
- Sta succedendo. Ti stai affezionando. –
Nel dirlo non può fare a meno di sorridere ampiamente e Rose abbassa di scatto la testa arrossendo un poco. 
- Non è vero – la sente borbottare. - Cioè sì, lo è… ma perché sto qui a giustificarmi? Non è neanche da prendere sul serio quel che hai detto. È una cosa talmente ovvia, no? –
- Non per me – obietta lui con un ché di solenne. - Non quando si tratta di me, inteso come me me e non come doppio umano del... E comunque, io sono sempre serio quando ci sei in ballo tu, Rose. Dovresti saperlo. –
Rose lo guarda in viso altrettanto intensamente e gli si scioglie qualcosa dentro accorgendosi che sta guardando lui e non qualcun altro, che pensa solo a lui e a nessun altro.
Lei alza una mano e gli sfiora il mento, in una carezza affettuosa.
- Ti sei fatto crescere la barba – osserva, già rabbonita.  
- Oh, questa – dice, scrollando le spalle e fingendo indifferenza, mentre tutto ciò a cui riesce a pensare è la mano di Rose che ora gli si è spostata sulla guancia. - Sì. Ho avuto altre cose per la testa. -
- Del tipo? -

Te.
Non risponde, ma forse lei ha sentito lo stesso perché subito dopo abbassa la mano, gli dà la schiena e corre via, lasciandolo con la pelle del volto che sfrigola e il cuore, quell’unico cuore, in preda al tumulto.   

 

 

 

- Professore, era da tanto che volevo chiedertelo. Tu dovresti saperlo. Potresti rispondermi. -  
- Cercherò di farlo se mi spiegherai cosa vuoi sapere. -
- Si tratta del Dottore. Lui… lui non si è trovato da solo dopo, giusto? Donna è rimasta con lui. -
- No. -
- No?-
- No. -
- Cosa significa no? -
- Sta per no, Rose. -
- Sì, questo l’ho capito, ma perché no? È successo qualcosa a Donna o al Dottore? Lui, lui sta bene, giusto? -
- Donna aveva la conoscenza di un Signore del Tempo nella mente. Troppe esperienze non sue, troppi ricordi estranei. Tutte quelle informazioni rischiavano di bruciarle le sinapsi, riducendo il suo cervello in un oggetto inanimato e lei in un vegetale. -   
- Quindi è solo. È di nuovo solo. -
- Non per molto. Non per sempre. È il Dottore. Sai quel che viene dopo. L’uomo con la cabina blu che viaggia nel tempo e nello spazio. Chi non vorrebbe fargli compagnia? –
Quella è stata la prima volta in cui gli ha preso la mano. Gliel’ha stretta forte e lui allora ha finto di non accorgersi del sussulto che gliela faceva tremare. 
 

- Stava per darmi un pezzo del Tardis, sai, ma poi non l’ha fatto. Ci ha ripensato. Puoi immaginare il perché(4)? -
- Sì. –

 
- Lo rimpiangi? -
- Cosa? -
- Il bacio che mi desti allora, alla Baia. Ricordi? -
Rose annuisce.
- Te ne sei pentita? -
- No. -
- Bene. -
- Bene? Come sarebbe a dire
bene? -
- Sarebbe a dire bene. Bene che sta per “ne sono contento”. Temevo che ti sentissi in colpa. -
- Sensi di colpa e amore – sbuffa. - In fondo le due parole si assomigliano. È un po’ come dire la stessa cosa, no? –

 

 

inverno

 

Non sa quanto tempo sia trascorso e in verità neppure gli importa. Basti sapere che sono seguiti molti altri di quei pomeriggi spesi a camminare sulla banchina, il mare nelle orecchie e il volo dei gabbiani a riempirli di meraviglia e invidia.     
Quell’oggi il cielo è buio e spira un vento gelido che ha spinto Rose a sollevare il bavero del giubbotto dietro la nuca poco prima. L’inverno e il freddo sono alle porte – questo gli fa considerare con rammarico che probabilmente sarà l’ultima passeggiata fino alla prossima stagione e al ritorno del bel tempo - e sulla linea frastagliata del tramonto si riesce a intravedere una caligine di foschia e bruma, mentre in alto, più su, si possono già indovinare le stelle, piccoli puntini e fari accecanti.
Si alita sulle mani che sente fredde e intirizzite, tanto per fare qualcosa. Rose le sue le ha sotto alle braccia; si ferma appoggiandosi al corrimano di metallo del parapetto e lui fa lo stesso, addossandosi con la schiena, però, e dando le spalle al panorama che comunque conosce a memoria.       
- Era un bugia – pronuncia Rose d’improvviso e John le lancia uno sguardo cauto, prudente, giudicandone il tono e l’espressione. - Allora, che io potessi cambiarti, renderti uguale a lui… era una bugia. Mentiva. -
Non nega, non smentisce. - Quando l’hai capito? – è tutto ciò che dice.
Rose annuisce tra sé, ma non pare sorpresa. È come se l’avesse sempre saputo in fondo. - Tu sei umano, proprio come noi e gli umani, si sa, sbagliano. Fa parte di quel che siamo perché è commettendo errori che cresciamo e impariamo a renderci migliori. L’errore, no – scuote il capo sorridendo appena, senza intenzione, - il problema in te sta nei sentimenti, nel tuo cuore. Cedi alla rabbia perché sei umano e io questo non posso cambiarlo. Non penso neppure di volerlo. -
John chiude gli occhi per un attimo e serra le labbra, l’impressione di averle cucite per quanto le sente incollate tra loro. Quando li riapre ha gli occhi di Rose fissi nei suoi e non sono tristi né inquieti né malinconici né infelici né i mille altri incubi che aveva il terrore di avvistare, accumulati dentro a riflettersi come spettri e ombre. - Sei un egoista e sei capriccioso e antipatico, un vero orso a volte, per di più sgarbato. – Rose scoppia a ridere e lui non capisce se stia ridendo per quel che ha detto o semplicemente di lui. Nemmeno gli interessa. - Litighi con mia madre e sei scortese con chi non ti piace, non tenti neppure di essere gentile – prende un respiro profondo e davvero il suo sorriso e il suo sguardo è quanto di più luminoso gli sembri di aver mai visto. – Se dovessi scegliere tra l’universo e me, sono sicura che non esiteresti a scegliere me. -
Tanto è divertito e felice il sorriso di Rose quanto il suo deve sembrare turbato e incerto. 
- E a te sta bene? – le chiede, solo perché vuole essere sicuro e che almeno su quello non ci siano malintesi di alcun tipo.
Rose si alza in punta di piedi e gli getta le braccia al collo.
- Sì – bisbiglia ad un soffio dalle sue labbra prima che lui la baci.
Tra le sue braccia John Smith ritrova posto, la sua dimensione. Infinito, riflette.
L’abbraccio di Rose è infinito.

 


 

Spazio dell’autrice:
Ok, sinceramente non so che dire, tranne che mi sono fissata.
Ormai ce l’ho in testa il Dottore, nel sangue e nel cuore, ovunque mi trovi e con chiunque, sempre, ad ogni ora del giorno e della notte e davvero, non è possibile alzarsi alle due di notte dopo essersi rigirati inquieti nel letto per ore e solo perché si immaginava una certa scena, un certo dialogo, un certo incontro strappalacrime tra due o tre personaggi a caso.
Sono diventata una DW dipendente e quel che è peggio: me ne compiaccio, anche xD!
Bando alle ciance, che sono sempre troppe nel mio caso, questa storia è nata domenica mattina e ho finito di scriverla ieri mattina all’Università invece di prendere appunti, giustamente.
Non mi convince molto, ma a modo mio mi ci sono affezionata perché è tenera e dolce e per quanto lo stile (tempi verbali al presente °-°, troppi pensieri – mamma, ci sto ricadendo xD – e i personaggi che sono di un OOC spaventoso forse) non sia dei miei gusti, mi piace e rappresenta il mio regalo di compleanno per me, anche se in ritardo. Mi sento tanto Kuzco, ma va beneee :D

John Smith… la battuta sul nome (preciso che personalmente io apprezzi il personaggio nel film di Pocahontas malgrado nella storia a Rose non piaccia) è vecchia come il cucco. Nel senso che la feci io stessa mesi e mesi fa vedendo per la prima volta la terza stagione, l’episodio “Natura Umana” mi pare.
Era da tanto che volevo scrivere qualcosa su Rose e il Dottore umano e ora finalmente l’ho fatto.
Che lui si faccia mille paranoie mi sembrava probabile, ma ora non so, non ne sono più tanto sicura. Che non si innamorino istantaneamente o comunque non stiano insieme da subito, insieme nel senso comune di coppia, per me è un dato di fatto, assodato. C’è l’imbarazzo, un po’ di riserbo e reticenza, quel non so ché a dividerli, l’ombra del Dottore tra loro da spazzar via senza cancellarla, ma piuttosto imparando ad accettarla. E John che, povero secondo me, è probabilmente quello che si fa più problemi. Lui ama Rose quanto il Dottore, ma sa che ci sarà sempre lui a dividerli in qualche modo, che Rose guardandolo vedrà sempre lui o penserà a lui in rpima o seconda battuta. Me lo immagino che la vede fissare il vuoto e si fa mille trip mentali.
Sì, insomma, sono un caso disperato xD
Ultime precisazioni e noticine di servizio e poi mi defilo, giuro:

(1)È una frase ripresa dall’episodio “La moglie del Dottore” 6x04.
(2)Si riferisce al bacio scambiato alla Baia del Lupo Cattivo.
(3)Un riferimento lampante alla serie Stargate Sg-1. Lì c’è davvero una razza aliena con questo nome. Per chi volesse saperne di più http://it.wikipedia.org/wiki/Asgard_(Stargate)
(4)Ho letto da qualche parte, non ricordo bene dove, che nella sceneggiatura originale fosse stata presa in considerazione l’idea che il Dottore lasciasse al suo doppio umano un pezzetto di Tardis, questo partendo dal presupposto che i Tardis possano crescere ed essere “allevati”. Non mi chiedete delucidazioni in merito perché più di tanto non ci ho capito molto nemmeno io. L’idea non fu portata avanti, naturalmente, ma a me è piaciuto pensare di sì invece. John chiede a Rose di capire perché il Dottore abbia deciso di non farlo alla fine e Rose lo fa. Insomma, sono dell’opninione che fosse già fin troppo difficile per lui lasciare Rose con qualcun altro, figurarsi immaginarla in un altro Tardis con un altro sé poi.
È tutto, credo. Spero di non avervi tediato troppo e che sia stata una lettura piacevole dopotutto, perché l’intento era appunto quello ;) Un saluto caloroso a tutti!

    

  
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