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Autore: M e g a m i    27/04/2012    7 recensioni
« Cosa diavolo stai facendo?! »
Grimmjow si voltò di scatto, allentando appena la presa sulla camicia del ragazzo, senza però abbassare la mano che era pronta a sferrargli un pugno in piena faccia.
Ecco, ci risiamo...
« Lascialo andare. », la udì scandire lentamente, guardandolo con aria minacciosa.
Lui ricambiò il suo sguardo, con orgoglio.
« ... E se non lo facessi? », sibilò a denti stretti.
« Provaci. Ti prego, provaci. Ho solo bisogno di una scusa per prenderti a calci nel sedere. »
Andava sempre a finire così. In un secondo, si era trasformata in una lotta di sguardi. Il povero ragazzo che non si sa neanche cosa avesse fatto per scatenare le ire di Grimmjow, aveva approfittato della sua distrazione per scappare.
Sì, perché ormai la sua attenzione era totalmente catturata.
Tatsuki Arisawa, diciassette anni.
Capelli: neri.
Occhi: castani.
Abilità speciali... incredibilmente brava a rompere i cosiddetti al re Grimmjow Jaegerjaques, attualmente costretto nei panni dello... studente delle superiori.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Arisawa Tatsuki, Jaggerjack Grimmjow
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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NDA: ... Alla fine sta diventando una long. Checcazzo, oh. [perdono per la scurrilità!]
Non prometto niente, quindi. Forse finirà nel dimenticatoio come le altre, forse... forse no. In fondo si tratta del GrimmTatsu, mica pizze e fichi. E io li amo, li amo troppo. ;W; /fangirl mode on/
Comuuunque, questo capitolo è stato davvero un parto, soprattutto la seconda parte. Tanto che mi sono vista costretta a tagliarlo “a metà”, diciamo, e pure sul più bello [TROLLOL]. Quindi il prossimo capitolo riprenderà esattamente dallo stesso punto.
E niente, spero di aver reso bene il POV di Grimmjow, senza sviare – più che nell’OOC – nell’assurdo più totale. Boh. Ditemi voi se sono riuscita a spiegare bene quel che volevo spiegare. x°D
Ah! Qui ho dato anche un po’ più di spazio a Orihime, con un vaghissimo e sottilissimo accenno a... un cuore. Piango. Però non penso che approfondirò più di tanto questo punto in particolare. Anche perché di FF UlquiHime ne ho scritte abbastanza. x°D
Poooi, nel prossimo capitolo, penso che darò un po’ più di spazio anche al nostro fragolino preferito.
Beh, buona lettura. E grazie a tutti quelli che mi seguono e recensiscono, mi riempite di gioia.
 
-
 
Non se lo sapeva spiegare.
In fin dei conti, tra loro non era cambiato niente. Litigavano come prima, si provocavano e minacciavano a vicenda come prima. Ogni volta che si incontravano, anche per caso, partivano le scintille.
Kurosaki-kun aveva chiesto a lei di chiudere un occhio, così come aveva tirato uno scappellotto a lui – ricevendo in risposta una ringhiata degna del re dei felini –, intimandogli di darci un taglio.
Ma a dispetto delle buone intenzioni del ragazzo, tra loro non era cambiato proprio niente.
O almeno, questo era quello che passava a prima vista.
Inoue Orihime li osservava ogni tanto, tenendosi a distanza, un po’ preoccupata. Conosceva Tatsuki meglio di chiunque altro, forse anche meglio di Ichigo, col quale, nonostante anni e anni di amicizia, faceva ancora fatica a mostrare i lati più deboli del suo carattere.
Ma con Orihime era diverso. Il loro rapporto ormai era qualcosa di tanto lontano dall’amicizia quanto era vicino a un amore tra sorelle. Condividevano tutto. E anche quelle volte che Tatsuki cercava di nascondere le sue preoccupazioni, o Orihime la paura che a volte la prendeva al pensiero di quanto più grande di lei fosse quella situazione in cui si era cacciata, anche in quei momenti che ostentavano un sorriso pur di non far preoccupare l’altra, entrambe si conoscevano così bene da capire se quel sorriso fosse falso oppure no.
Per questo Orihime non riusciva a capire.
  « Ah, già, Tatsuki-chan! Ho notato che hai fatto, uhm... amicizia con Grimmjow. Sono contenta. Ha proprio bisogno di qualcuno che lo aiuti ad ambientarsi... », aveva provato a buttare lì, sgranocchiando una patatina, durante uno dei tanti pomeriggi passati a casa dell’amica studiare, o almeno, a tentare, perché lo studio si trasforma presto in pettegolezzi, quando due ragazze adolescenti si trovano nella stessa stanza.
Si era sforzata di farla passare per una domanda casuale.
Tatsuki l’aveva fissata per qualche secondo, sbattendo le palpebre. Sembrava sinceramente perplessa, quasi come non sapesse neanche chi fosse quel “Grimmjow” che aveva nominato.
  « ... Orihime, scherzi, vero? »
  « Eh? No. », era stato il suo turno, di essere confusa.
  « Spiegami come diavolo farei ad essere amica di quell’idiota arrogante! Ci vado d’accordo come un odiosissimo quarto posto a una competizione di karate! Che adesso non danno neanche più le medaglie a quelli sotto al podio, accidenti a loro... », aveva borbottato tra sé e sé, frustrata, tormentando con i denti l’innocente tappo della penna che teneva in mano.
Orihime si era stesa sul basso tavolino in legno e aveva appoggiato il mento sulle mani, osservandola con attenzione.
Le era sembrata sincera.
Eppure... il giorno dopo aveva visto una cosa che non si sarebbe mai aspettata.
Stava uscendo dalla classe per il cambio dell’ora. Ad un certo punto, uno dei libri che teneva in bilico in braccio, le era scivolato, cadendo per terra, così con un sospiro sconsolato si era fermata per raccoglierlo, rimanendo indietro rispetto al resto dei suoi compagni.
E in quel momento, li aveva visti.
Istintivamente si era tirata indietro, nascondendosi dietro lo stipite della porta. Non dovresti spiare, Orihime, non è giusto... Non ti fidi più di Tatsuki-chan?
  « Fila in classe, oppure lo segnalo in presidenza. », l’aveva sentita dire a un Grimmjow appoggiato tranquillamente al muro, con le mani in tasca e cosa... una cannuccia?, tra le labbra, mentre anche  lei si fermava e rimaneva indietro rispetto al resto della classe. Orihime si chiese perché Grimmjow avesse deciso di saltare le lezioni proprio appoggiato al muro fuori della classe in cui si trovava Tatsuki.
  « Ma sentitela, la studentessa modello. Quella che l’altra volta ha bigiato con me tutto il pomeriggio. », le aveva risposto lui, aprendosi in un sorriso canzonatorio. Per poco Orihime non fece cadere nuovamente i libri terra. Tatsuki non bigiava mai le lezioni, e probabilmente era quella che aveva fatto il minor numero di assenze in tutta la scuola. La chiamava “etica da membro del Comitato Disciplinare”.
  « Dieci minuti. Ho saltato dieci minuti, non tutto il pomeriggio. Non ti avrei retto per due ore di seguito, saresti finito in terapia intensiva. »
  « La studentessa modello che picchia poveri studenti indifesi senza motivo? Questo sì che sarebbe da segnalare in presidenza... », sorrideva, continuava a sorriderle, con noncuranza. Orihime lo aveva visto tante volte sorridere. E non poteva negare che a volte aveva avuto paura di quel sorriso, così sadico, così disinibito. Da un paio di mesi a quella parte, aveva imparato, o almeno, tentato di farci l’abitudine. In ogni caso cercava di tenersi a distanza da Grimmjow, anche per altri motivi oltre alla soggezione che le incuteva. Quel sorriso sadico le ricordava cose che avrebbe voluto con tutta se stessa dimenticare. Cose che però continuavano a stringerle... il cuore.
Di lui non aveva avuto paura neanche un solo istante.
Scosse la testa, imponendosi di smetterla di pensarci. Per qualche motivo che non capiva, farlo le faceva male.
Stringendosi la leggera camicia tra le dita, proprio dove sentiva quella fitta, si sporse di qualche centimetro, facendo capolino dalla porta. Stava cominciando a farsi tardi. L’insegnante probabilmente si stava chiedendo dove fossero finite.
Ma a Tatsuki non sembrava importare. Guardava Grimmjow, con le braccia incrociate e un sopracciglio inclinato. Quando si erano avvicinati così tanto? Orihime non se n’era neanche resa conto.
  « Sarebbe la mia parola contro la tua. E poi potrei sempre dire che è stata legittima difesa, che avevi provato ad allungare le mani. Chi sarebbe la povera studentessa indifesa, adesso, eh? »
   « Questo si chiama abuso di potere. »
Ed erano rimasti a fissarsi per qualche secondo, come divertiti da qualcosa che potevano vedere solo loro negli occhi dell’altro.
  « Muoviti, vai in classe. », aveva ripetuto alla fine Tatsuki, tirandogli un leggero pugno sulla spalla.
Grimmjow le aveva lanciato un ultima occhiata, un ultimo sorriso, e poi era sparito dietro all’angolo del corridoio, anche se probabilmente in classe non ci era andato lo stesso.
Non era niente.
Non sapeva neanche lei che cosa avesse visto che tanto l’aveva turbata.
Eppure Orihime si sentiva come se li avesse sorpresi a baciarsi. C’era qualcosa, nei loro sguardi, nel modo in cui si erano sorrisi, che non si sapeva spiegare.
Il sorriso di Grimmjow non era spaventoso come era abituata a vederlo.
Quello di Tatsuki non era seccato come sarebbe dovuto essere per un quarto posto senza medaglia.
 
 
   « Ma scusa... il re non è mica il leone? »
Tatsuki non sapeva neanche come fossero finiti a parlare di quell’argomento.
Era tutto cominciato da una battuta stupida, quando l’aveva visto bere da quel famoso cartone di latte con la cannuccia, che vendevano ai distributori automatici e che quasi nessuno comprava. L’altra volta allora, era serio.
Non aveva resistito, le era venuto da ridere. Scherzando, gli aveva dato del gatto, e in tutta risposta Grimmjow aveva mostrato i denti, come se stesse soffiando. Lui era una pantera, non un misero gatto. Non insultare il re, femmina.
   « In che senso una pantera? »
A differenza della volta precedente, quel giorno c’era il sole. E visto che c’era il sole, l’insegnante di educazione fisica di Tatsuki aveva pensato bene di portarli fuori a giocare a calcio, e trovando fuori un’altra classe, avevano improvvisato un torneo. In quel momento la squadra di Tatsuki era in pausa, aspettando il proprio turno di giocare, così lei era andata a bere e a rinfrescarsi un po’ alle fontanelle d’acqua potabile che si trovavano in fondo al campetto da calcio. L’estate si stava avvicinando, e si faceva sentire in tutto il suo calore.
Dopo aver bevuto letteralmente come un cammello, si era appoggiata al bordo del lavabo asciugandosi la bocca col dorso della mano e strizzando gli occhi per l’intensa luce. Gli altri suoi compagni di classe e anche quelli della classe avversaria, che come lei stavano aspettando di giocare, erano sparsi per il cortile, facendosi i fatti loro. Il bello dei tornei improvvisati era proprio il tempo libero che si guadagnava durante le pause. A dirla tutta, lei avrebbe giocato volentieri anche tutte le partite, facendo la spola tra le squadre, piuttosto che aspettare come stava facendo. Le piaceva giocare a calcio. Mooolto femminile, pensò con un sorriso ironico.
Indecisa su come ingannare il tempo, aveva optato per fare un po’ di stretching per scaldarsi sullo spiazzo erboso davanti al campetto. C’erano anche delle zone d’ombra create dagli alberi, sarebbe stato perfetto.
Sì, sarebbe stato perfetto se non fosse stato che spaparanzato a prendere il sole come se fosse al mare, c’era Grimmjow. Ditemi che è uno scherzo..., si lamentò mentalmente, chiedendosi se la diabolica mente che scriveva il suo destino si divertisse a farglielo incontrare nei momenti più impensabili.
Rimase a guardarlo da lontano, esitante. Era sdraiato per terra, con le braccia incrociate dietro la testa. In equilibrio sul petto teneva il famoso cartoncino di latte, verso il quale ogni tanto faceva l’immenso sforzo di allungarsi per prendere un sorso dalla cannuccia. Tatsuki inarcò un sopracciglio, tra l’allibito e il divertito. Allora il latte lo beveva davvero.
Non voleva avvicinarglisi e fargli credere di essersi messa lì apposta perché c’era lui. Eppure non voleva neanche lasciarsi condizionare dalla sua presenza. In fondo, aveva deciso di andare lì prima di rendersi conto di lui. Perché doveva cambiare i suoi piani solo per non dargli l’impressione sbagliata? L’avrebbe semplicemente ignorato, ecco.
Così si decise a raggiungere lo spiazzo erboso quasi perfetto, sedendosi a distanza di qualche metro da lui.
Grimmjow teneva gli occhi chiusi, non sembrava aver notato la sua presenza. Eppure le pareva impossibile. Forse la stava ignorando di proposito. E quel pensiero, per qualche motivo, la irritava.
Tornò anche lei al suo proposito di ignorarlo, piegandosi sulle gambe e tendendo le braccia, tenendo lo sguardo fisso sui lacci delle sue scarpe. Ma durò un attimo, e con la coda dell’occhio tornò a guardarlo.
Non l’avesse mai fatto.
Grimmjow si era perfettamente accorto della sua presenza. In fondo aveva imparato a distinguere la sua reiatsu da quella degli altri umani in quella scuola. Non forte come quella di Kurosaki, figuriamoci, neanche come quella di Inoue Orihime. Eppure abbastanza grande da distinguersi dalle altre. E in ogni caso, avrebbe riconosciuto il suono dei suoi passi decisi tra altri mille. Li trovava inconfondibili.
Per un attimo si era chiesto se fosse venuta a parlargli. Così si era dato un aria rilassata, aspettando che fosse lei a farsi avanti. Ma non l’aveva fatto. E allora, senza farsi notare, aveva voltato appena la testa nella sua direzione, aprendo un occhio per guardarla. Si stava stirando i muscoli con noncuranza, dedicandogli attenzioni quanto a una formica.
Ah sì...?
Tatsuki indossava una maglietta bianca con un simbolo a sinistra, sul petto, e dei corti pantaloncini blu, con delle strisce bianche sui lati. Anche Grimmjow portava la stessa tenuta, con l’unica differenza che i suoi erano bermuda lunghi fino al ginocchio. Era la tuta estiva della scuola, che Kurosaki gli aveva lanciato qualche giorno prima, avendo scoperto che non l’aveva ancora ordinata presso la segreteria.
   « Fai ginnastica. E piantala di saltare le lezioni, che poi rompono a me perché i miei familiari, che stranamente si iscrivono tutti a questa scuola, fanno casino. », gli aveva semplicemente detto, puntandogli un dito contro il petto. Grimmjow era stato sul punto di replicare che non gliene fregava niente, ma Kurosaki era sparito tanto velocemente quanto si era fatto vivo nella sua classe, mollandogli quel pacchetto con dentro la tuta.
Non aveva la minima intenzione di metterla, come non ne aveva di seguire le lezioni o di fare ginnastica.
Però proprio quando stava per svignarsela fuori dalla scuola, il vecchio bastardo che si era ritrovato come insegnante di educazione fisica l’aveva beccato, e l’aveva costretto a seguire il resto della classe verso il campo da calcio. Aveva dovuto chiamare a raccolta tutta la pazienza che non possedeva per non arrostirlo a suon di cero. Se no poi rompono al povero Kurosaki, eh.
Ma quando quel vecchio gli aveva messo in mano il pallone di cuoio, chiedendogli se fosse capace di giocare, non aveva resistito. Grimmjow l’aveva stretto tra le dita, fino a farlo scoppiare con un sonoro botto. Così il prof aveva capito che era meglio lasciarlo cazzeggiare in pace, se non voleva finire nello stesso modo.
Quella stupida tuta, però, aveva dovuto mettersela. Beh, quel giorno faceva caldo. Tanto valeva.
Già. Faceva caldo.
E Grimmjow non avrebbe certo permesso a lei, alla sua preda, di ignorarlo.
Si sfilò una mano da dietro la testa, stiracchiandosi e sbadigliando. Sapeva che Tatsuki lo stava guardando. Si sentiva i suoi occhi addosso, anche se probabilmente lei cercava di nasconderlo. Così, come niente fosse, si portò la mano alla pancia, infilandola sotto la maglietta e tirandosela su per grattarsi, lasciando scoperto il torace muscoloso. Poi, come se già non fosse stato abbastanza, aveva fatto scendere la mano verso il bordo dei pantaloni, abbassandoli leggermente... E all’improvviso un colpo e una fitta al fianco.
Una scarpa. Ahia.
   « Datti un contegno, dannazione! », gli urlò dietro Tatsuki, indignata, con le guance rosse per l’imbarazzo.
Era sicura al mille per cento che se non gli avesse lanciato dietro la scarpa, quel pallone gonfiato avrebbe finito per infilarsi una mano nelle mutande, pur di farla reagire in qualche modo. E infatti era scoppiato a ridere, come se si fosse aspettato quella reazione. La mandava in bestia.
   « Non puoi andare in giro con pantaloncini così corti e pretendere che mi dia un contegno... », le rispose, rivolgendole un sorriso malizioso e porgendole la scarpa, che teneva per la stringa. Tatsuki se la riprese, limitandosi a fulminarlo con lo sguardo per quel commento, ancora più imbarazzata.
Ed ecco che i suoi buoni propositi di ignorarlo erano andati a farsi friggere, mentre quelli di Grimmjow di non farsi ignorare erano andati decisamente in porto.
Avevano continuato a beccarsi per un tempo indefinito, tanto che Tatsuki non si era neanche accorta di essersi persa il suo turno per giocare. Grimmjow assorbiva letteralmente tutta la sua rabbia, la sua indignazione, e sì, anche il suo divertimento. Insomma, tutta la sua attenzione.
E poi, chissà come, erano finiti a discutere di gatti, pantere, e re.
   « In che senso una pantera? »
Lentamente, il sorriso gli si era spento sulle labbra, mentre una nuvola passeggera oscurava il sole.
Dopo un attimo di esitazione, in cui aveva pensato di sviare la domanda, Grimmjow aveva alzato gli occhi al cielo, schermandoseli con una mano, e aveva iniziato a parlare.
Di quando era un Adjuchas, di quando era diventato Arrancar e poi Espada. Della prima volta che aveva incontrato le sue ormai cineree fracciòn, di Aizen, dello stesso Kurosaki. Di se stesso, del... re. Le parole uscirono senza freni. Avrebbe voluto controllarle, avrebbe dovuto, forse. Un umano non poteva ascoltare quelle parole senza rimanerne... disgustato. E Tatsuki, nonostante tutte le volte in cui ai suoi occhi si era dimostrata più di una semplice umana, lo rimaneva in ogni caso. Quanto le aveva raccontato Kurosaki? Quanto aveva capito di lui quella volta che l’aveva visto combattere?
Distruggere, distruggere, distruggere.
Quanto le aveva fatto paura, quanto le aveva fatto... schifo?
In effetti, lui era un mostro. Un mostro che aveva mangiato anime di umani, anime di suoi simili pur di sopravvivere. Il fatto che adesso, per il patto che aveva fatto con la Soul Society, non lo facesse più, non cancellava niente del suo passato.
Per la prima volta in vita sua, avvertì il peso di tutte le vittime a cui aveva strappato la vita e la carne coi suoi denti e artigli affilati. E inaspettatamente sentì come... un senso di vergogna. Come se stesse confessando dei peccati, e avesse... paura di essere giudicato. Da lei, in un certo senso così... umana e innocente.
Ma Tatsuki lo ascoltava, senza battere ciglio e dire una parola, e lui non poteva capire che cosa le stesse passando per la testa in quel momento. Anche perché non riusciva a guardarla negli occhi, che tenne fissi verso il cielo fino alla fine di quel macabro “c’era una volta un gatto con gli stivali...”.
Avrebbe dovuto fermarsi. Anzi, non avrebbe neanche dovuto iniziare a parlare. Grimmjow cominciò a pensare di aver commesso un errore nello stesso istante in cui serrò i denti, a favola finita.
Ecco... l’aveva spaventata.
Ma forse non era stato un errore. Lui non era il tipo da raccontare balle. Per cosa, poi? Apparire migliore ai suoi occhi? No, quella era la verità nuda e cruda, ed era giusto che lei la sapesse.
E adesso... adesso trema, umana, di fronte al re. Non riusciva più a pensarlo con lo stesso orgoglio della prima volta.
Si coprì gli occhi con il dorso della mano.
Silenzio. Silenzio interminabile, silenzio assordante.
   « Ma scusa... il re non è mica il leone? »
 
Un pugno nello stomaco, probabilmente, lo avrebbe colto meno alla sprovvista. Piuttosto, avrebbe capito se gli avesse tirato un’altra scarpa, se si fosse messa a sbraitare “mostro!”, se fosse scappata via, pure se fosse scoppiata in lacrime, anche se non era esattamente un’immagine di lei che riusciva a conciliare con quella che ormai si era formata nella sua testa, e che, nonostante non lo volesse ammettere, aveva preso ad occupare un bel po’ di spazio.
Senza neanche rendersene conto, si era trovato a voltarsi e a guardarla. Decisamente, un pugno sarebbe stato più comprensibile.
E invece no.
Sorrideva.
Come l’altra volta, come la prima volta che l’aveva vista farlo. In quel modo sottile, quasi furbo, come se lei vedesse qualcosa di cui lui non poteva rendersi conto. Sorrideva, con un sopracciglio alzato. Nei suoi occhi, però, poteva leggere la consapevolezza delle sue parole. Erano seri, in contrasto con la sua espressione.
Eppure continuava a guardarlo, senza tremare.
Perché?
 
Fino a quel momento, forse, Tatsuki non se ne era mai resa completamente conto. Certo, lei lo sapeva, Ichigo gliel’aveva spiegato.
Ma non aveva capito niente.
Semplicemente guardandolo, aveva avvertito fin da subito che non era umano. Ormai aveva imparato a percepire le forze spirituali delle persone, degli Shinigami, degli Hollow; Kuchiki le aveva detto che si chiamavano reiatsu.
Quella di Grimmjow era schiacciante. Anche se la tratteneva, non riusciva a reprimerla del tutto. Ma anche se non fosse stata in grado di percepire quel particolare che lo distingueva tanto dagli altri, ogni cosa di lui, nonostante indossasse la divisa scolastica, nonostante si mischiasse agli altri studenti, era diversa dal concetto di umanità.
L’entità di quella differenza, però, non l’aveva mai capita.
E neanche... la somiglianza.
Non l’aveva guardata neanche per un secondo. Aveva tenuto lo sguardo fisso verso il cielo, un po’ perso nel vuoto, un po’ perso nei ricordi. Poi si era coperto gli occhi, quasi con stanchezza, quasi con rassegnazione. Come un gatto insonnolito. Pardon, pantera.
Guardami.
Non si potevano trovare scusanti per nessuna delle cose che le aveva detto. Semplicemente, non ce n’erano.
Era la sua natura.
Non era quello però che le aveva fatto finalmente aprire gli occhi su di lui. Non i brividi che per un attimo le erano corsi lungo la schiena, non la stretta allo stomaco quando le aveva parlato di quello che poteva benissimo essere definito cannibalismo.
Ma il suo tono, la sua voce. Il suo sguardo perso nel vuoto. Le sue parole intrise di... consapevolezza delle sue azioni, e forse anche di qualcosa di simile alla vergogna.
Grimmjow era più umano di quanto lei credesse. E pian piano, lo stava diventando sempre di più, senza che neanche lui stesso se ne rendesse conto.
Le era sembrato solo, quella volta, sul tetto. Adesso le sembrava incredibilmente stanco. Di cosa? Di se stesso? Della vita che aveva condotto fino a quel momento? Avrebbe voluto chiederglielo, ma con tutta probabilità lui non avrebbe risposto. Le cose più difficili da confessare sono quelle che non si riesce neanche ad ammettere con se stessi. E Grimmjow era talmente orgoglioso che forse non avrebbe mai ammesso una cosa del genere.
   « Ma scusa... il re non è mica il leone? »
Voleva semplicemente che la guardasse. Voleva leggere la risposta nei suoi occhi, capire se... poteva davvero iniziare a considerarlo ancora più umano di quanto fino a quel momento avesse fatto.
Le bastò un attimo, un battito di ciglia.
La risposta era indubbiamente .
  
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