RATING: Giallo.
GENERE: Commedia,
Romantico (?).
PAIRING:
Sherlock/John.
AVVERTIMENTI:
Fluff (giusto un
pizzico), Slash, What if?, allusioni sessuali
(velate).
DISCLAIMER:
I personaggi non
mi
appartengono, né i diritti della serie (ahimè)
che vanno tutti alla BBC. Non
guadagno niente dalla mia attività di fangirlamento
compulsivo.
DEDICA:
A Moffat e
Gatiss, perché sono degli slashers in incognito e ci hanno
regalato un telefilm
meravigliosamente brillante e ambiguo; a Martin Freeman, che
è un John Watson perfetto;
a Benedict Cumberbatch, perché è un attore
straordinario -nonché figo da paura.
NOTE: Questa
one-shot deve la sua elaborazione a Taila,
che tempo fa mi aveva chiesto di scriverle una fiction su Sherlock alle
prese
con uno dei videogiochi del Professor Layton. L’idea mi
intrigava, ma non
possedendo un Nintendo (sono rimasta ferma al Game Boy, capitemi) non
sapevo da
dove cominciare. Fortunatamente BeaLovesOscarinobello
è giunta in mio soccorso, dandomi informazioni preziose al
riguardo e
permettendomi di giocare a Lo scrigno di
Pandora. Da questa esperienza è nata la storiella
che vado proponendovi… La
quale, peraltro, è una sorta di spin-off, nonché
prequel, della mia long Imprevisti (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=937909&i=1).
Buona lettura
(mi auguro) e a ribeccarci a fine pagina!
“John,
mi
annoio”.
Era una di
quelle domeniche pomeriggio novembrine, uggiose e fredde, che non si
potevano
trascorrere in altro modo se non accucciati in poltrona con una tazza
di tè
fumante in mano e un plaid sulle ginocchia, in compagnia di un pessimo
polizesco.
Il dottor
Watson era per l’appunto in tali faccende affaccendato, ma da
circa mezzora i
suoi occhi non riuscivano ad andare oltre alla quinta riga di pagina 69
del
tascabile che si era prefisso di leggere. Con un tempo tanto deprimente
non
c’era letteratura di quarta categoria che tenesse.
Lui per primo non vedeva l’ora che venisse lunedì
per tornare in ambulatorio e
lavorare -distrarsi, combattere quello stato d’inedia che lo
affliggeva- sicché
la lamentela di Sherlock Holmes, detective geniale e suo amico,
nonché
coinquilino, non gli giunse del tutto inaspettata. Fu quindi con
accondiscendenza che si voltò nella sua direzione.
“Siamo
in
due, Sherlock. Hai qualche idea per ammazzare il tempo?”
“Niente
di interessante,
purtroppo” scosse la testa l’altro. Si
alzò di scatto dal vecchio divano su cui
era languidamente steso fino ad un attimo prima e prese a camminare
avanti e
indietro sul tappeto persiano del salotto, che come il resto della
stanza
necessitava di una passata d’aspirapolvere, prese nota John
sentendosi un
filino in colpa.
“Ormai
nemmeno sparare contro il muro mi da più
soddisfazione” mugugnò il detective,
frustrato.
“La
carta da
parati di Mrs. Hudson ti ringrazia” osservò
quietamente John, pur non credendo
nemmeno per un istante alle parole dell’amico.
“E chi
se ne
frega, dottore! Io mi annoio” Sherlock arricciò le
labbra, rivolgendogli uno
sguardo penetrante. Un po’ troppo, effettivamente.
Il compagno
colse l’allusione e sobbalzò, arrossendo
vistosamente. “Ho capito dove vuoi
andare a parare”, stentò a replicare, “e
la mia risposta è sempre la stessa: neanche
per sogno”.
“John,
questa mentalità da piccolo borghese si addice
così poco al medico militare
impavido e scavezzacollo che conosco”.
“Piccolo
borghese?” si infiammò ancora di più.
“Sherlock, gli amici non vanno a letto insieme
per sconfiggere la noia, soprattutto se sono due uomini. E poi, se
permetti, io
non sono gay!”
“Oh
cielo,
ancora insisti nel difendere la tua presunta
eterosessualità?” l’altro
alzò gli
occhi al cielo. “Guarda che non inganni nessuno, tanto meno
me. Da quando Irene
Adler è uscita dalle nostre vite non hai più
avuto una fidanzata, fulmini con
lo sguardo il primo malcapitato essere umano che tenti di approcciarmi
e mi
guardi il culo quando pensi che non me ne accorga”
snocciolò, implacabile.
“Peccato che io mi accorga di tutto, John caro”.
“E’
proprio
questo il tuo problema, Sherlock: tu noti ogni singolo e minuscolo
particolare,
ma è l’insieme che ti sfugge. Non capisci. Non
capisci che non voglio mandare a
puttane la nostra amicizia per colpa di una scopata –a quale
scopo, poi? Farti
divertire per qualche ora?” si alzò anche lui, le
mani chiuse a pugno e il
libro in bilico sul bracciolo della poltrona. “Perdonami, ma
mi sembra una ben
misera motivazione. Se è di un passatempo che hai bisogno,
puoi stare certo che
te lo procurerò”.
Detto questo
si tastò le tasche dei jeans per verificare di avere con
sé il portafoglio.
Scese i diciassette gradini che separavano il loro appartamento
dall’ingresso e
tirò giù dall’attaccapanni sciarpa e
cappotto. Sherlock, in piedi in cima alle
scale, ne osservava i movimenti con un’espressione turbata in
volto.
“Dove
stai
andando?”
John
impugnò
l’ombrello, una mano posata sul pomello della porta.
“Te l’ho detto: alla
ricerca di un passatempo con cui trastullarti. Aspettami per
cena” lo salutò.
“Cretino.
Chi è tra i due quello che non capisce?”
borbottò lui al vuoto.
John
tornò a
Baker Street poco prima delle sette. Non appena mise piede nel salotto
gli
venne incontro uno Sherlock Holmes stranamente alterato.
“Eccoti,
finalmente! Dove sei stato tutte queste ore? Non hai ricevuto i miei
messaggi?”
quasi lo aggredì, afferrandolo per gli avambracci come ad
assicurarsi che non
fosse ferito.
“Tutti
e
quarantaquattro. Seriamente, Sherlock, dovresti smetterla di usare quei
cerotti
alla nicotina. Ti rendono inutilmente ansioso” sorrise
sbarazzino.
“Ridi,
ridi
pure. Un altro minuto e avrei chiamato Lestrade per denunciare la tua
scomparsa” il detective mollò la presa, sollevato
ma ancora un po’ risentito
per essere stato ignorato.
John gli
porse una busta di plastica con il logo del centro commerciale The
Glades, a
Bromley. “Sono gli unici aperti anche la domenica”
disse. “Tieni, è per te”.
“Cos’è?”
domandò Sherlock, tirando fuori un pacchetto avvolto da
carta argentata.
“Aprilo
e lo
scoprirai”.
Eseguì,
e
qualche secondo dopo si ritrovò in mano l’ultimo
modello di Nintendo DS. Lo
fissò, circospetto; sollevò lo schermo, estrasse
il pennino.
“C’è
un
videogioco, all’interno” spiegò
l’altro. “Il
Professor Layton e lo scrigno di Pandora. Me l’ha
consigliato il commesso
del negozio, è perfetto per tutti coloro che vogliono
mettere alla prova il
loro acume investigativo”.
“Grazie”,
mormorò il detective, “ma non credo di essere un
tipo da videogiochi”.
“Nemmeno
io
credevo che avrei finito per assisterti nelle indagini,
eppure…” lasciò
volutamente la frase in sospeso.
Sherlock fece
scorrere un dito sulla superficie liscia e blu scuro del Nintendo,
sovrappensiero.
“Fai
un
tentativo” lo spronò John. “Se non
dovesse piacerti ci giocherò io”.
L’eventualità
prospettata da John non si verificò, con sua grande
soddisfazione. La
diffidenza iniziale con cui il coinquilino aveva accolto
l’aggeggio tecnologico
mutò in un entusiasmo quasi fanciullesco, lo stesso che
riservava ai casi di
omicidio particolarmente complicati e cervellotici.
Niente più proposte sconce, attentati alla tappezzeria o
crisi isteriche dovute
all’inattività forzata; il tempo libero di
Sherlock, ormai, era interamente
dedicato alla risoluzione degli indovinelli propostigli dal Professor
Layton e
dal suo giovane aiutante Luke.
Una sera, di
ritorno dall’ambulatorio, John lo trovò accomodato
in poltrona, a gambe
incrociate, intento a picchiettare sullo schermo con il pennino.
“Sono a casa”
annunciò la sua presenza.
“Ciao”
fu la
laconica risposta.
“Ti
piace
proprio quel videogioco, eh?” chiese, ringraziando
mentalmente il gentile
commesso.
“E’
interessante,
sì” ammise Sherlock.
“A che
capitolo sei arrivato?”
“Al
quarto.
Sto cercando di risolvere un enigma: tre edifici apparentemente simili,
ma solo
uno di questi è un hotel. Trenta picarati se indovino al
primo colpo”.
“Sono
sicuro
che lo risolverai in batter d’occhio. Io sono in cucina, nel
caso ti servisse
aiuto”.
“John,
John,
guarda quanto è carino questo gioco bonus”.
“Sherlock
-yaawn- sono le cinque di mattina. Perché diavolo mi hai
svegliato?”
“Per
renderti partecipe della mia scoperta, è ovvio.
Però se vuoi ne riparliamo a
colazione”.
“Vabbè,
tanto ormai non ho più sonno. Sentiamo, che ha di
così straordinario questo
gioco?”
“Si
tratta
di disporre una serie di ostacoli -una mela, una lampadina, un muro e
una
casetta- in modo tale che il tuo criceto compia un certo numero di
passi”.
“Il
mio
criceto?”
“Il
tuo
criceto virtuale, sì”.
“E per
quale
motivo deve camminare, scusa?”
“Che
domande: per dimagrire!”
Risvegli di
ordinaria follia.
Tuttavia,
come sempre succede con i piani che sembrano geniali e soprattutto
infallibili,
ben presto John cominciò a pentirsi di aver regalato
all’amico quel videogioco.
La verità (per quanto mai pura e raramente semplice) era che
si sentiva messo
da parte. Sherlock non lo consultava più riguardo a uno dei
suoi casi, non lo
invitava ad ascoltare le sue elucubrazioni mentali. Non lo coinvolgeva
più in
pedinamenti o sparatorie mozzafiato, né lo incaricava di
sezionare cadaveri in
sua vece. Semplicemente, Sherlock non usciva più di casa.
L’ultima
volta che Lestrade gli aveva telefonato per chiedergli consiglio su
un’indagine
in corso era stato liquidato in modo molto più brutale del
solito.
“Ascoltami
bene, Gregory, la prossima volta che cerchi di sottrarmi tempo prezioso
perché
il tuo piccolo cervellino non riesce a capire che l’omicida
non è altri che la
badante della zia materna del cugino della prima moglie della vittima,
giuro
che non rispondo della mia reazione. Adesso scusami se ti attacco il
telefono
in faccia, ma sono alle prese con l’Enigma delle Foto
Mischiate e John mi sta
guardando malissimo. A non risentirci per un bel pezzo –senza
rancore,
ovviamente” e aveva impostato la modalità
silenziosa sul cellulare.
“Non
ti sto
guardando malissimo” aveva obiettato John.
“Sì,
invece.
Ti irrita il fatto che io ti stia trascurando” aveva
insinuato l’altro.
“Non
è vero”
aveva ribattuto, piccato.
“Sì
che è
vero”.
“No,
ti
dico”.
“Sì”.
“No!”
“Sì!”
“NO”.
“E va
bene,
forse hai ragione tu. Forse mi da fastidio vederti così
interessato ad un
noioso, pidocchiosissimo videogioco” capitolò John
alcuni giorni dopo.
“Me
l’hai
regalato tu, perché smettessi di attentare alla tua
verginità durante i miei
attacchi di noia” replicò Sherlock con il Nintendo
in mano.
“Ho
sbagliato. Capita a tutti, no? Persino a te. E’ perfettamente
umano e
accettabile” si difese.
“E
altrettanto umana e accettabile è l’attrazione che
nutro per te, però tu non la
pensi allo stesso modo” abbassò lo sguardo,
dispiaciuto.
“Potrei
cambiare idea. Ne varrebbe la pena, per te. Per noi”
balbettò il dottore, tremando
appena (ma non di paura, proprio
no).
“Ti
rendi
conto di quello che stai dicendo? Delle conseguenze?”
Sherlock alzò la testa,
un sopracciglio inarcato. “Sei disposto ad
affrontarle?” lo scrutò.
“Spegni
il
Nintendo e raggiungimi in camera da letto. Ti dimostrerò di
che pasta è fatto
John Hamish Watson” ordinò con piglio militaresco,
dandogli le spalle e
dirigendosi verso la zona notte.
Gli angoli
della bocca del detective s’incurvarono verso
l’alto. “Signorsì, signore”.
Il professor
Layton aveva i minuti contati.
Ed eccoci
arrivati alla fine. Grazie in anticipo a chi commenterà,
preferirà (?!), ricorderà (??) e semplicemente
leggerà.
Questa, se
v’interessa, è la mia pagina autore su Facebook,
per
seguire in diretta i miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).
Un bacio e
grazie ancora!