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Autore: Il_Genio_del_Male    28/04/2012    12 recensioni
Mai dare ad un sociopatico ad alta funzionalità del tempo libero... [Prequel/spin-off di 'Imprevisti']
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie ''We're not a couple'. 'Yes you are'.'
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RATING: Giallo.

GENERE: Commedia, Romantico (?).

PAIRING: Sherlock/John.

AVVERTIMENTI: Fluff (giusto un pizzico), Slash, What if?, allusioni sessuali (velate).

DISCLAIMER: I personaggi non mi appartengono, né i diritti della serie (ahimè) che vanno tutti alla BBC. Non guadagno niente dalla mia attività di fangirlamento compulsivo.

DEDICA: A Moffat e Gatiss, perché sono degli slashers in incognito e ci hanno regalato un telefilm meravigliosamente brillante e ambiguo; a Martin Freeman, che è un John Watson perfetto; a Benedict Cumberbatch, perché è un attore straordinario -nonché figo da paura.

NOTE: Questa one-shot deve la sua elaborazione a Taila, che tempo fa mi aveva chiesto di scriverle una fiction su Sherlock alle prese con uno dei videogiochi del Professor Layton. L’idea mi intrigava, ma non possedendo un Nintendo (sono rimasta ferma al Game Boy, capitemi) non sapevo da dove cominciare. Fortunatamente BeaLovesOscarinobello è giunta in mio soccorso, dandomi informazioni preziose al riguardo e permettendomi di giocare a Lo scrigno di Pandora. Da questa esperienza è nata la storiella che vado proponendovi… La quale, peraltro, è una sorta di spin-off, nonché prequel, della mia long Imprevisti (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=937909&i=1).

Buona lettura (mi auguro) e a ribeccarci a fine pagina!

 

 

 

 

 

“John, mi annoio”.

Era una di quelle domeniche pomeriggio novembrine, uggiose e fredde, che non si potevano trascorrere in altro modo se non accucciati in poltrona con una tazza di tè fumante in mano e un plaid sulle ginocchia, in compagnia di un pessimo polizesco.

Il dottor Watson era per l’appunto in tali faccende affaccendato, ma da circa mezzora i suoi occhi non riuscivano ad andare oltre alla quinta riga di pagina 69 del tascabile che si era prefisso di leggere. Con un tempo tanto deprimente non c’era letteratura di quarta categoria che tenesse.
Lui per primo non vedeva l’ora che venisse lunedì per tornare in ambulatorio e lavorare -distrarsi, combattere quello stato d’inedia che lo affliggeva- sicché la lamentela di Sherlock Holmes, detective geniale e suo amico, nonché coinquilino, non gli giunse del tutto inaspettata. Fu quindi con accondiscendenza che si voltò nella sua direzione.

“Siamo in due, Sherlock. Hai qualche idea per ammazzare il tempo?”

“Niente di interessante, purtroppo” scosse la testa l’altro. Si alzò di scatto dal vecchio divano su cui era languidamente steso fino ad un attimo prima e prese a camminare avanti e indietro sul tappeto persiano del salotto, che come il resto della stanza necessitava di una passata d’aspirapolvere, prese nota John sentendosi un filino in colpa.

“Ormai nemmeno sparare contro il muro mi da più soddisfazione” mugugnò il detective, frustrato.

“La carta da parati di Mrs. Hudson ti ringrazia” osservò quietamente John, pur non credendo nemmeno per un istante alle parole dell’amico.

“E chi se ne frega, dottore! Io mi annoio” Sherlock arricciò le labbra, rivolgendogli uno sguardo penetrante. Un po’ troppo, effettivamente.

Il compagno colse l’allusione e sobbalzò, arrossendo vistosamente. “Ho capito dove vuoi andare a parare”, stentò a replicare, “e la mia risposta è sempre la stessa: neanche per sogno”.

“John, questa mentalità da piccolo borghese si addice così poco al medico militare impavido e scavezzacollo che conosco”.

“Piccolo borghese?” si infiammò ancora di più. “Sherlock, gli amici non vanno a letto insieme per sconfiggere la noia, soprattutto se sono due uomini. E poi, se permetti, io non sono gay!”

“Oh cielo, ancora insisti nel difendere la tua presunta eterosessualità?” l’altro alzò gli occhi al cielo. “Guarda che non inganni nessuno, tanto meno me. Da quando Irene Adler è uscita dalle nostre vite non hai più avuto una fidanzata, fulmini con lo sguardo il primo malcapitato essere umano che tenti di approcciarmi e mi guardi il culo quando pensi che non me ne accorga” snocciolò, implacabile. “Peccato che io mi accorga di tutto, John caro”.

“E’ proprio questo il tuo problema, Sherlock: tu noti ogni singolo e minuscolo particolare, ma è l’insieme che ti sfugge. Non capisci. Non capisci che non voglio mandare a puttane la nostra amicizia per colpa di una scopata –a quale scopo, poi? Farti divertire per qualche ora?” si alzò anche lui, le mani chiuse a pugno e il libro in bilico sul bracciolo della poltrona. “Perdonami, ma mi sembra una ben misera motivazione. Se è di un passatempo che hai bisogno, puoi stare certo che te lo procurerò”.

Detto questo si tastò le tasche dei jeans per verificare di avere con sé il portafoglio. Scese i diciassette gradini che separavano il loro appartamento dall’ingresso e tirò giù dall’attaccapanni sciarpa e cappotto. Sherlock, in piedi in cima alle scale, ne osservava i movimenti con un’espressione turbata in volto.

“Dove stai andando?”

John impugnò l’ombrello, una mano posata sul pomello della porta. “Te l’ho detto: alla ricerca di un passatempo con cui trastullarti. Aspettami per cena” lo salutò.

“Cretino. Chi è tra i due quello che non capisce?” borbottò lui al vuoto.

 

 

John tornò a Baker Street poco prima delle sette. Non appena mise piede nel salotto gli venne incontro uno Sherlock Holmes stranamente alterato.

“Eccoti, finalmente! Dove sei stato tutte queste ore? Non hai ricevuto i miei messaggi?” quasi lo aggredì, afferrandolo per gli avambracci come ad assicurarsi che non fosse ferito.

“Tutti e quarantaquattro. Seriamente, Sherlock, dovresti smetterla di usare quei cerotti alla nicotina. Ti rendono inutilmente ansioso” sorrise sbarazzino.

“Ridi, ridi pure. Un altro minuto e avrei chiamato Lestrade per denunciare la tua scomparsa” il detective mollò la presa, sollevato ma ancora un po’ risentito per essere stato ignorato.

John gli porse una busta di plastica con il logo del centro commerciale The Glades, a Bromley. “Sono gli unici aperti anche la domenica” disse. “Tieni, è per te”.

“Cos’è?” domandò Sherlock, tirando fuori un pacchetto avvolto da carta argentata.

“Aprilo e lo scoprirai”.

Eseguì, e qualche secondo dopo si ritrovò in mano l’ultimo modello di Nintendo DS. Lo fissò, circospetto; sollevò lo schermo, estrasse il pennino.

“C’è un videogioco, all’interno” spiegò l’altro. “Il Professor Layton e lo scrigno di Pandora. Me l’ha consigliato il commesso del negozio, è perfetto per tutti coloro che vogliono mettere alla prova il loro acume investigativo”.

“Grazie”, mormorò il detective, “ma non credo di essere un tipo da videogiochi”.

“Nemmeno io credevo che avrei finito per assisterti nelle indagini, eppure…” lasciò volutamente la frase in sospeso.

Sherlock fece scorrere un dito sulla superficie liscia e blu scuro del Nintendo, sovrappensiero.

“Fai un tentativo” lo spronò John. “Se non dovesse piacerti ci giocherò io”.

 

 

L’eventualità prospettata da John non si verificò, con sua grande soddisfazione. La diffidenza iniziale con cui il coinquilino aveva accolto l’aggeggio tecnologico mutò in un entusiasmo quasi fanciullesco, lo stesso che riservava ai casi di omicidio particolarmente complicati e cervellotici.
Niente più proposte sconce, attentati alla tappezzeria o crisi isteriche dovute all’inattività forzata; il tempo libero di Sherlock, ormai, era interamente dedicato alla risoluzione degli indovinelli propostigli dal Professor Layton e dal suo giovane aiutante Luke.

Una sera, di ritorno dall’ambulatorio, John lo trovò accomodato in poltrona, a gambe incrociate, intento a picchiettare sullo schermo con il pennino. “Sono a casa” annunciò la sua presenza.

“Ciao” fu la laconica risposta.

“Ti piace proprio quel videogioco, eh?” chiese, ringraziando mentalmente il gentile commesso.

“E’ interessante, sì” ammise Sherlock.

“A che capitolo sei arrivato?”

“Al quarto. Sto cercando di risolvere un enigma: tre edifici apparentemente simili, ma solo uno di questi è un hotel. Trenta picarati se indovino al primo colpo”.

“Sono sicuro che lo risolverai in batter d’occhio. Io sono in cucina, nel caso ti servisse aiuto”.

 

 

“John, John, guarda quanto è carino questo gioco bonus”.

“Sherlock -yaawn- sono le cinque di mattina. Perché diavolo mi hai svegliato?”

“Per renderti partecipe della mia scoperta, è ovvio. Però se vuoi ne riparliamo a colazione”.

“Vabbè, tanto ormai non ho più sonno. Sentiamo, che ha di così straordinario questo gioco?”

“Si tratta di disporre una serie di ostacoli -una mela, una lampadina, un muro e una casetta- in modo tale che il tuo criceto compia un certo numero di passi”.

“Il mio criceto?”

“Il tuo criceto virtuale, sì”.

“E per quale motivo deve camminare, scusa?”

“Che domande: per dimagrire!”

Risvegli di ordinaria follia.

 

 

Tuttavia, come sempre succede con i piani che sembrano geniali e soprattutto infallibili, ben presto John cominciò a pentirsi di aver regalato all’amico quel videogioco. La verità (per quanto mai pura e raramente semplice) era che si sentiva messo da parte. Sherlock non lo consultava più riguardo a uno dei suoi casi, non lo invitava ad ascoltare le sue elucubrazioni mentali. Non lo coinvolgeva più in pedinamenti o sparatorie mozzafiato, né lo incaricava di sezionare cadaveri in sua vece. Semplicemente, Sherlock non usciva più di casa.

L’ultima volta che Lestrade gli aveva telefonato per chiedergli consiglio su un’indagine in corso era stato liquidato in modo molto più brutale del solito.

“Ascoltami bene, Gregory, la prossima volta che cerchi di sottrarmi tempo prezioso perché il tuo piccolo cervellino non riesce a capire che l’omicida non è altri che la badante della zia materna del cugino della prima moglie della vittima, giuro che non rispondo della mia reazione. Adesso scusami se ti attacco il telefono in faccia, ma sono alle prese con l’Enigma delle Foto Mischiate e John mi sta guardando malissimo. A non risentirci per un bel pezzo –senza rancore, ovviamente” e aveva impostato la modalità silenziosa sul cellulare.

“Non ti sto guardando malissimo” aveva obiettato John.

“Sì, invece. Ti irrita il fatto che io ti stia trascurando” aveva insinuato l’altro.

“Non è vero” aveva ribattuto, piccato.

“Sì che è vero”.

“No, ti dico”.

“Sì”.

“No!”

“Sì!”

“NO”.

 

 

“E va bene, forse hai ragione tu. Forse mi da fastidio vederti così interessato ad un noioso, pidocchiosissimo videogioco” capitolò John alcuni giorni dopo.

“Me l’hai regalato tu, perché smettessi di attentare alla tua verginità durante i miei attacchi di noia” replicò Sherlock con il Nintendo in mano.

“Ho sbagliato. Capita a tutti, no? Persino a te. E’ perfettamente umano e accettabile” si difese.

“E altrettanto umana e accettabile è l’attrazione che nutro per te, però tu non la pensi allo stesso modo” abbassò lo sguardo, dispiaciuto.

“Potrei cambiare idea. Ne varrebbe la pena, per te. Per noi” balbettò il dottore, tremando appena (ma non di paura, proprio no).

“Ti rendi conto di quello che stai dicendo? Delle conseguenze?” Sherlock alzò la testa, un sopracciglio inarcato. “Sei disposto ad affrontarle?” lo scrutò.

“Spegni il Nintendo e raggiungimi in camera da letto. Ti dimostrerò di che pasta è fatto John Hamish Watson” ordinò con piglio militaresco, dandogli le spalle e dirigendosi verso la zona notte.

Gli angoli della bocca del detective s’incurvarono verso l’alto. “Signorsì, signore”.

Il professor Layton aveva i minuti contati.

 

 

 

 

Ed eccoci arrivati alla fine. Grazie in anticipo a chi commenterà, preferirà (?!), ricorderà (??) e semplicemente leggerà.

Questa, se v’interessa, è la mia pagina autore su Facebook, per seguire in diretta i miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).

Un bacio e grazie ancora!

   
 
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