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Autore: Fanny Jumping Sparrow    28/04/2012    8 recensioni
Il malvagio ed affascinante Capitan Vegeta ha un cuore nero come gli abissi, è vittima di una maledizione e con la sua nave Bloody Wench semina morte e terrore per i sette mari; la bella e intrepida Bulma Brief è una coraggiosa avventuriera con l'umore mutevole come la marea che nasconde un singolare segreto. Entrambi attraversano gli oceani alla caccia dello stesso tesoro: le magiche sfere del Drago. Il giovane tenente di vascello Son Goku, fresco di accademia ed amico d'infanzia della ragazza, riceve l'incarico di catturare i due fuorilegge, che nel frattempo hanno stretto una difficile alleanza, e consegnarli al capestro...
Personale rivisitazione in chiave piratesca del celebre anime su suggerimento della navigata axa 22 (alla quale questa storia è dedicata;) e della mia contorta immaginazione. Possibili numerose citazioni e riferimenti ad opere letterarie e cinematografiche esterne. Gli aggiornamenti saranno dettati dalle capricciose onde dell'ispirazione. BUONA LETTURA! Se osate...
Quella tonalità era insolita, appariscente, innaturale. Non umana.
Contenne uno spasmo di eccitazione. “Troppa grazia”, obiettò pessimisticamente.
Aveva dato la caccia ad un colore simile innumerevoli notti, sondando bramoso il blu profondo.
Troppo facile, troppo assurdo che l’avesse proprio lei.

*CAPITOLI FINALI IN LAVORAZIONE*
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Freezer, Goku, Vegeta | Coppie: 18/Crilin, Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve cari lettori! Aggiornamento lampo, dati i miei tempi standard, per questa nuova fanfiction!^^ Ammetto che mi sta prendendo molto e non vedo l'ora di farvi conoscere tutti le idee strampalate che mi sono frullate in testa per scriverla!XD
Comunque in questo primo capitolo entra in scena la grande protagonista della storia, Bulma! Spero di averla trattata bene, troverete dei toni un po' più introspettivi e una sottile vena di comicità dalla quale non riesco ad esimermi, mio malgrado. Molti dettagli che forse non capirete vi assicuro che saranno chiariti man mano che il racconto procede.
Intanto ringrazio un mondo chi ha commentato il precedente capitolo, chi ha inserito la storia tra le seguite o tra le preferite, oltre a tutti coloro che hanno semplicemente letto o lo faranno in futuro.
Ribadendo la mia totale apertura a commenti, consigli, critiche, vi lascio alla lettura!

A presto!)


II: PROUD AND LONELINESS

Lei era lì, ritta e fiera come una polena, con lo sguardo perso tra le onde imporporate dal tramonto.
Si reggeva saldamente alla ringhiera del castello di poppa, pensierosa e inaccessibile.
I suoi lunghi capelli castani, raccolti disordinatamente in una treccia, fluttuavano insieme ai lembi del nastro di seta rosa che li teneva attaccati. Gli occhi blu come zaffiri non lasciavano trasparire alcun sentimento, nonostante poco prima avesse esultato gioiosamente per il nuovo successo ottenuto, mentre le sue labbra rosse erano appena dischiuse in un sorriso lieve e indeciso.
Sapeva di trovarla lì, com’era solita fare quando tornavano dalla terraferma.
Lasciava alla chetichella i chiassosi festeggiamenti della ciurma sottocoperta e risaliva sul ponte deserto, come a voler ridimensionare l’euforia e la soddisfazione per l’ennesimo bottino conquistato grazie alle sue conoscenze, al suo ingegno e alla sua abilità a risolvere complicatissimi enigmi incrociando le informazioni di astruse carte nautiche, terrestri e astronomiche.
Erano delle doti che, oltre al suo fascino prorompente, lo avevano colpito sin dalla prima volta in cui l’aveva incontrata qualche anno prima, in una locanda, nel bel mezzo di una rissa.
Dopo un vivace scambio di vedute e qualche bicchiere di troppo si era ritrovato a fare a pugni contro tre o sei uomini (l’alcol di quella sera tuttora gli annebbiava i ricordi precisi).
Allora aveva sfoderato tutta la sua grinta, forza e irruenza, mettendo in pochi minuti al tappeto gli avversari. Lei lo aveva osservato a lungo e infine gli si era avvicinata per complimentarsi e chiedergli se voleva arruolarsi a bordo del suo brigantino, la Proudy Star.
In quel momento si era interposto collericamente il padrone della locanda che, non avendo gradito di ritrovarsi sedie e tavoli rotti, aveva preteso un risarcimento. Lei lo aveva squadrato con sufficienza e infine aveva tirato fuori qualche pezzo d’oro e una vecchia mappa, promettendogli che il covo là indicato lo avrebbe ripagato dei danni.
Non aveva probabilmente neppure una trentina d’anni, ma sembrava una donna esperta del mondo e soprattutto di diavolerie tecniche.
La sua nave ne era piena: vele che si orientavano al sole e facevano girare delle piccole eliche montate sotto la poppa, una ventina di remi che riuscivano a supplire efficacemente la mancanza di correnti in certe stagioni, trentacinque cannoni in grado di esplodere munizioni di svariati calibri. E poi la sala nautica abbondava di singolari sistemi di comparsa e scomparsa di tavoli, sedie, quadri e casseforti.
Era diventato il suo braccio destro, affiancandola in tante avventure, e se ne era invaghito ogni giorno di più. Inutilmente, almeno così lei gli aveva dato modo di pensare, senza tuttavia scoraggiarlo.
Le si avvicinò con incedere silenzioso, pur sapendo che probabilmente lo avrebbe avvertito: - Il cielo è limpido, il vento ci è a favore, non c’è alcuna vela sospetta all’orizzonte … E tu sei più bella del solito – le sussurrò caldamente, facendo scivolare le mani sulle sue spalle e poi sui fianchi.
La ragazza inaspettatamente trasalì e si voltò di scatto con un cipiglio risentito che raddolcì incrociando il suo sorriso speranzoso: - Grazie, Yamcha – annuì con accento vago e tranquillo, vedendolo incupirsi – State all’erta e alla via così – gli raccomandò schietta e beffarda rifilandogli una pacca, per poi congedarsi bruscamente nella sua cabina, senza più degnarlo di un’occhiata.
Il giovane brigante restò indispettito: - Sì, Capitano – bofonchiò dirigendosi verso le scalette del cassero, ma uno sprazzo di testardaggine lo indusse a tornare rapidamente indietro e ad urlare adirato contro la sua porta: - Non potrai continuare a scapparmi all’infinito, Bulma Brief!
Bulma, con amarezza e un pizzico di fastidio lo ignorò, inserendo freneticamente due giri di chiave. Attese di sentire i suoi passi che si distanziavano, poi iniziò a spogliarsi della giubba, delle cinture e degli stivali, sprofondando sulla sua poltrona preferita, di velluto viola con stampe di fiori tropicali, sollevando le gambe e adagiandole su una cassa.
Negli ultimi mesi Yamcha aveva preso a corteggiarla in modo più discreto rispetto ai primi tempi in cui l’aveva assoldato, quando non perdeva occasione per cercare di saltarle addosso senza ritegno o esternava in modo decisamente rozzo il suo apprezzamento nei suoi riguardi.
Aveva sempre notato di non passare inosservata, ne aveva anche approfittato talvolta per uscire fuori da qualche situazione scomoda, ma certi atteggiamenti da parte della ciurma, di chi le stava quotidianamente accanto, non poteva tollerarli.
Lo aveva messo in riga a forza di strigliate e duelli infuocati, lui le obbediva senza discutere troppo, ma tutta questa remissività era solamente di facciata: non lo aveva portato a desistere più di tanto dal suo intento.
Era carino, simpatico, abbastanza valoroso come bucaniere, ma forse un po’ troppo superficiale, incostante e talvolta pusillanime.
Dopotutto non aveva mai provato a lasciarsi andare completamente con lui, lo aveva confinato a quel ruolo di aiutante, subordinato. Magari conoscendolo meglio avrebbe scoperto qualche cosa di più sul suo conto, qualcosa che avrebbe potuto farla ricredere sulle sue convinzioni.
Si grattò furiosamente la testa, liberando la fluente e appariscente chioma smeraldina da quella grossolana parrucca con cui si era imposta di nasconderla, gettandola malamente in un angolo.
Ci stava ricascando ad abbandonarsi a quelle riflessioni senza senso! Eppure sapeva bene quanto fosse inutile e penoso. Nessun uomo sano di mente sarebbe stato disposto a restarle accanto, una volta scoperto il suo peculiare segreto.
Nemmeno lui che professava spudoratamente di amarla tanto. Ne era sicura.
E poi Yamcha aveva quel qualcosa … anzi a tutti gli effetti gli mancava proprio quel qualcosa! Quell’inspiegabile particolare potere in grado di farle girare la testa e soggiogarla, perché in fondo lei era sempre stata uno spirito libero e nessun uomo era mai riuscito nell’ardua impresa di legarla a sé o anche di farle considerare di volere trascorrere il resto della sua vita con lui.
In quella condizione, inoltre. No, era da escludere. Doveva riuscire ad esprimere quel desiderio per poter sperare di progettare una vita normale.
Il flusso convulso dei suoi pensieri fu interrotto nel momento in cui udì provenire dei violenti colpi di tosse dalla stanza accanto. Sospirò flebilmente, scacciando via quegli inafferrabili sogni e tutte quelle assurde considerazioni, rialzandosi e dirigendosi di corsa verso il suo capezzale, facendo scappare il gatto nero Scratch che se ne stava lì appollaiato.
- Scusami! Sono in ritardo! – si giustificò mortificata, cercando concitatamente l’ampolla con le erbe medicinali da sciogliere nell’acqua calda che già qualcuno aveva portato, poggiando una brocca fumante sul piccolo comodino.
L’anziano ometto si sforzò di sorriderle placidamente: - Non fa niente, cara – ma un nuovo attacco di tosse lo costrinse a piegarsi in due nel letto in cui era bloccato da mesi.
Bulma si passò una mano sulla fronte sbuffando per il dispiacere di vederlo così, quindi lo aiutò a drizzarsi e a bere l’infuso. Dopo qualche minuto l’uomo cominciò a respirare meglio, al che anche a lei tornò il buonumore.
La ragazza rientrò in un lampo nella sua parte di cabina e si ripresentò dal padre reggendo un piccolo scrigno di bronzo con dei semplici motivi acquatici rifiniti in argento. Gli si sedette accanto ridendo contenta e lo aprì: - E con questa siamo a tre! Adesso ne mancano solamente altre due! – affermò entusiasta, rimirando il luccicante tesoro.
Il genitore allungò appena il collo per sbirciarvi e scosse la testa, dispiaciuto: - Bulma, ti ricordo che le sfere sono sette, non cinque.
- Lo so padre – replicò lei facendogli l’occhiolino – Ma so anche che due di esse sono in possesso di Capitan Vegeta e che presto gliele ruberò – sogghignò altezzosa, allontanandosi e riponendo lo scrigno all’interno di un’intercapedine della parete della sua stanza, nascosta dalla spalliera del letto.
La voce di suo padre la accompagnò nell’ambiente confinante in cui si era ritirata, spiccando per il tono severo e angosciato: - Non essere troppo avventata, figliola. Quello è un delinquente spietato e imprevedibile. Meglio non averci niente a che fare, se si può evitarlo.
Bulma non voleva deludere suo padre, ma nemmeno era intenzionata a tirarsi indietro: aveva sentito storie svariate e terrificanti sul conto di quel pirata sanguinario, ma la consapevolezza di quanto fosse pericoloso, irragionevolmente, non faceva che pungolare la sua ambizione di sfidarlo.
Si risedette di fronte al vecchio Brief: - Non posso sottrarmi dall’incrociare la mia rotta con la sua, perché quell’antipatico sta intralciando i miei piani – gli rispose sprezzante, pettinandosi con le dita i lunghi capelli senza smettere di guardarlo negli occhi chiari che restavano titubanti e atterriti.
- È da quando ho coscienza che mi spendo in questa ricerca, ed ora sono finalmente vicina a portarla a termine! – insistette risoluta, alzandosi e girando in tondo, inorgoglita dalla fiducia nelle sue capacità e dall’impossibilità di soccombere.
Inoltre non le mancava un barlume di follia: - Ho già un piano per tendergli una trappola … certo, la vecchia Proudy ne pagherà lo scotto, ma ne varrà la pena!
Il signor Brief socchiuse le palpebre, stanco e rassegnato di fronte all’esuberanza di quella strana figlia che era proprio indomabile e irruenta come i flutti dell’oceano.
La ragazza gli si avvicinò imprimendogli un bacio leggero sulla fronte e bisbigliandogli dolcemente: - Stai tranquillo. Ti porterò in un posto sicuro.
Se ne andò prendendo la candela, attutendo il più possibile lo scalpiccio sulle assi del pavimento e socchiudendogli la porta.
Spostò la fiamma nella lampada agganciata ad una trave del tetto e la sua attenzione si volse per un attimo all’oblò che mostrava il cielo stellato in cui stava per affacciarsi una splendida mezza luna. Si inginocchiò a lato del baldacchino per trovare la leva che trasformava il suo letto in una vasca, vi versò dell’acqua che teneva in una piccola cisterna, aggiunse qualche sale profumato e togliendosi il resto dei vestiti vi si immerse.
Presto era certa che quel rito serale avrebbe potuto compierlo per il motivo più ovvio.
E che non avrebbe più dovuto portare quella scomoda e brutta parrucca.
E che suo padre sarebbe guarito.
La leggenda era semplice e chiara: il drago avrebbe esaudito solo tre desideri e lei doveva sceglierli bene. Non poteva pensare solo a se stessa e non poteva richiedere cose futili.
Dopotutto aveva una certa età. O meglio era abbastanza matura, in senso positivo.
Eppure quel Capitano Vegeta … Forse suo padre non parlava a vanvera. Doveva fare molta attenzione con lui. Studiarlo, capirlo, e solo allora poteva sperare di fregarlo.
Era pur sempre un uomo.
Un tipo che non temeva niente e nessuno, intelligente, astuto, crudele e assetato di potere.
Così lo descrivevano in giro.
L’alleato ideale per un’impresa tanto spericolata.


Bulmabath
   
 
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