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Autore: Niki_S    29/04/2012    0 recensioni
Significava solo che Coop non era ancora rientrato da lavoro, mentre mio padre sì, ed era dentro. Avrei dovuto affrontarlo da solo, senza il mio unico sostegno. Guardai verso la casa, che a volte non sapevo nemmeno definire mia, e notai una delle tende scostarsi e il volto di mia madre fare capolino. Beccato.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson, Sebastian Smythe
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I found home



Parcheggiai la macchina nel vialetto, ma non scesi. C’erano solo due automobili davanti alla mia, e questa era una pessima pessima notizia. Significava solo che Coop non era ancora rientrato da lavoro, mentre mio padre sì, ed era dentro. Avrei dovuto affrontarlo da solo, senza il mio unico sostegno. Guardai verso la casa, che a volte non sapevo nemmeno definire mia, e notai una delle tende scostarsi e il volto di mia madre fare capolino. Beccato. Non potevo più starmene lì a perdere tempo. Presi la borsa e sospirando scesi dalla macchina. Quando entrai sentii la voce di mio padre provenire dal salotto che raccontava delle sue giornate al lavoro, anche se in realtà erano solo critiche e giudizi sui suoi collaboratori, perché nessuno era abile e capace come lui. Presi un respiro profondo prima di entrare nella stanza per salutare i miei genitori. Quella era la tortura del Venerdì. Mentre tutti attendevano il fine settimana con trepidazione, io odiavo quel giorno in cui mio padre faceva ritorno a casa, mia madre diventava la schiavetta dallo sguardo basso e Coop non riusciva mai a tornare presto. Ma come ogni settimana sarei arrivato a fine giornata e avrei potuto finalmente chiamarlo e… mi scossi velocemente da quei pensieri. Non era decisamente il momento adatto. Mi stampai in viso il più sincero sorriso che riuscii a tirar fuori e aprii le porte del soggiorno. Mio padre stravaccato sulla poltrona con il giornale in una mano e la sigaretta nell’altra si voltò di scatto verso di me.
“Oh, Blaine, finalmente ci onori della tua presenza! Ti sembra il caso di farci aspettare?” mi rimproverò con quel suo tono saccente che tanto mi irritava. Abbassai la testa e mi scusai a bassa voce. La sottomissione era la mia unica difesa in quelle situazioni, anche se me ne pentivo ogni volta.
“E non ci saluti? Tua madre era in pensiero e tu nemmeno la saluti?” Sbuffò e prese un tiro dalla sigaretta. Evitai il suo sguardo e mi avvicinai a mia madre. Era appollaiata sul poggiolo del divano in uno stato di tensione, come se si aspettasse una sfuriata da un momento all’altro. Mi avvicinai a lei e le posai un bacio su una guancia.
“Ciao mamma, scusa per averti fatta preoccupare.” Non riuscii a togliere la freddezza e la formalità dalla mia voce, ma lei appoggiò una mano sopra la mia e mi sorrise lievemente. Abbassai ancora una volta la testa e mi allontanai. Volevo andare in camera mia, chiudere la porta a chiave e prendere il telefono , ma sapevo che non era possibile. Mi fermai accanto al divano incrociando le braccia al petto e guardai mio padre ad alcuni metri di distanza da me. Spazio di sicurezza, me lo aveva insegnato Coop, mi permetteva un certo spazio di manovra per ogni eventuale situazione.
“Allora, figliolo…” la sua voce trasudava sarcasmo, e non annunciava nulla di buono. Sentii un brivido salirmi per la schiena, consapevole di cosa stava per accadere. Mi avrebbe fatto delle domande, avrebbe preteso delle risposte e non le avrebbe gradite. Mi mantenni impassibile in attesa.
“Come va a scuola? Il McKinley è all’altezza della Dalton?”
Rimasi in silenzio cercando una risposta garbata.
“I miei voti sono sempre eccellenti.” Non riuscii a celare una nota di arroganza e l’espressione di mio padre si indurì. Il bisogno di andarmene si faceva più forte ma, come con gli animali, sapevo che se mi fossi mosso mi avrebbe aggredito.  Un sorriso ironico comparve sulle sue labbra.
“Certo, quando ripeti un anno è facile essere bravi.”
Abbassai gli occhi. Aveva toccato un tasto ancora troppo sensibile per me, così cercai di lasciar cadere il discorso. E ci riuscii, anche se non in meglio.
“E come va con quel…” mosse la mano con la sigaretta, che lentamente si era consumata, cercando di ricordare il nome. “Kart?”
“Kurt.” Lo corressi prima di riuscire a trattenermi. Ma lui non replicò aspettando una risposta e questa ero certo non gli sarebbe piaciuta.
“Non esco più con lui. Da un mese, ormai.” Non aggiunsi altro, anche se sapevo già come avrebbe replicato. Riuscivo a sentire in testa le sue parole acide e saccenti.
“Finalmente il nostro Blaine ha deciso di tornare dalla parte dei sani!” disse più rivolto a mia madre che a me. Mi voltai verso di lei e la vidi sorridere al marito, per poi riportare lo sguardo su di me. Dalla sua espressione capii che non ero riuscito a celare le mie emozioni. Quella frase che non sentivo da mesi mi aveva colpito con forza. I suoi discorsi di sani e malati, di come aveva cercato di curarmi in tutti i modi. Ci ero abituato, ma facevano sempre male. Ogni volta era un colpo al petto che mi spingeva a fuggire. Le mie gambe volevano portarmi fuori da quella stanza, da quella casa, lontano da lui, ma la mia bocca fu più veloce.
“No, papà. Ora sto con Sebastian.” Riuscii a leggere ogni espressione del suo volto: sorpresa, irritazione, disgusto, rabbia. Non riuscii ad arretrare abbastanza in fretta e mi prese per un braccio attirandomi a sé con forza. Mia madre soffocò a stento un urlo coprendosi la bocca con le mani, ma nessuno di noi due ci fece caso. Fissai gli occhi in quelli di mio padre, così simili ai miei eppure così diversi.
“Come osi…”  Soffiò.
Sapevo che non si riferiva a Sebastian, ormai aveva capito che non sarei cambiato e non sarebbe riuscito mai a guarirmi. Ma alludeva al mio tono, all’arroganza con cui gli avevo risposto. A lui bastava questo, una semplice risposta data con un’inflessione sbagliata poteva scatenare la sua ira. E in quel momento ero pronto a tutto. Sapevo che non mi avrebbe picchiato, non lo faceva mai davanti a mia madre, ma le sue armi non erano solo le mani.
“Vattene in camera tua.” Sibilò il suo ordine a pochi centimetri dalla mia faccia. Mi liberai dalla sua presa e arretrai di un paio di passi. Raccolsi la borsa di scuola che non mi ricordavo di aver lasciato cadere e mi allontanai ancora. Guardai mia madre, ma fissava il pavimento con sempre una mano davanti alla bocca. Mio padre era in piedi, accanto a lei che stringeva il giornale nel pugno. Non dissi nulla e mi girai per uscire dal salotto. Ma invece di salire le scale alla mia destra, voltai a sinistra, presi le chiavi della macchina e uscii di casa. Raggiunsi l’auto a passo spedito ed accesi il motore. Solo quando fui in strada mi voltai verso quella casa che ormai non chiamavo più mia. Mio padre sull’uscio mi fissava con odio e sapevo che se mai fossi tornato avrei pagato caro per quella mia azione. Un movimento alla finestra mi fece capire che mia madre mi guardava da lì. Mi voltai verso la strada e accelerai.
Non feci caso a dove stessi andando, guidando automaticamente, ma dopo pochi minuti mi fermai davanti ad un’altra casa così simile eppure così diversa dalla mia. Lasciai la macchina sul marciapiede senza pormi altri problemi e scesi. Ero solo a metà vialetto quando la porta si aprì e lo vidi, nella stessa posizione in cui avevo lasciato mio padre, ora stava lui, ma non era rabbia quella che gli segnava il volto, era felicità. Quel sorriso che ogni volta mi faceva perdere un battito al cuore. Lo raggiunsi in pochi passi e mi lasciai stringere. Perché solo tra le braccia di Sebastian potevo dire di sentirmi a casa mia.

   
 
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