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Autore: Scaramouch_e    29/04/2012    3 recensioni
[aggiornamento del 23.07.2019: questa storia rimarrà incompiuta. Mi sto dedicando ad altro, ma non la voglio cancellare, e o eliminare. Quindi rimarrà qui, senza conclusione. Scusatemi.]
Prendete John Watson come insegnate di medicina legale e Sherlock Holmes come alunno, in più metteteci che Sherlock e John condividono un appartamento a Beker Street, e aggiungeteci un Jim Moriarty come professore di psicologia criminale…
…e avrete la mia ‘ancora di salvezza’, prima long su Sherlock della BBC.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Incompiuta
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cap I
Disclaimer: io non scrivo a scopo di lucro. Tutti i personaggi sono rispettivamente della BBC.
Ringraziamenti: ringrazio, la mia beta Charme per i preziosi consigli!
Buona lettura ;)!



A Baker Street l’aria era calma. Era una tipica domenica di fine autunno in cui Londra era coperta da un cielo grigio e fumoso.

Le persone, quindi, preferivano stare a casa davanti al caminetto o a mangiare o a dormire.
Non c’era quasi nessuno in mezzo alla strada, a parte un signore.
Il signore in questione si chiamava John Watson e camminava normalmente in mezzo alle poche macchine per dirigersi al 221b, la sua nuova casa, e conoscere così il suo nuovo coinquilino.
Dopo il primo giorno di lavoro aveva ricevuto un messaggio  che recitava:
-signor Watson, mi dispiace, ma ho un impegno. Possiamo rimandare la nostra conoscenza a domenica a pranzo?
S.H.-
Eh sì, perché John Watson non conosceva ancora il nuovo coinquilino, eppure si fidava ciecamente di chi l’aveva proposto, quindi quella domenica era andato tranquillamente a presentarsi al suo nuovo coinquilino.
Arrivò, dopo aver fatto pochi passi dalla metropolitana, davanti al cancello del 221b.
Bussò. Nessuno rispose. Controllò l’ora, ma notò che era in perfetto orario. Ribussò e, finalmente, in quel momento qualcuno aprì la porta di casa.
Watson si trovò davanti il volto di una vecchia signora, truccata e un po’ affannata.
“Oh, eccola qua. Lei deve essere il nuovo coinquilino. Sherlock mi ha parlato di lei. Entri prego.”  
Ma John Watson era rimasto sulla soglia, gli occhi castani spalancati e il volto aperto in un’espressione di pura sorpresa.
Sherlock.
Aveva già sentito quel nome.
Ma, non poteva essere lo stesso ragazzo che si era trovato davanti a lezione. Eppure quanti ragazzi si chiamavano Sherlock?
In quel momento al piano di sopra si udì un colpo di pistola.
John raggelò lì sul posto, e gli sembrò di tornare al servizio militare, quando, di colpi di pistola, ne aveva sentiti abbastanza.
L’attimo di terrore passò; consegnò alla vecchina, giustamente stupita, i dolciumi che aveva portato in dono e corse di sopra.
I colpi continuarono assordanti, erano proprio spari di pistola. L’uomo aprì la porta di una stanza a caso e fortunatamente era la camera giusta.
Dentro, voltato di spalle rispetto alla porta c’era il giovane cecchino: Watson notò un completo piuttosto formale, i capelli ordinati e in mano una pistola vecchio calibro… eppure notò che non c’era nessun corpo ai piedi dell’uomo, e che quest’ultimo sparava contro un muro.

“Oh no!, Mr.Holmes, l’ha fatto di nuovo?”
John Watson si voltò verso la signora che gli aveva aperto la porta, che corse dentro la stanza e afferrò a volo la pistola posando il dolciumi sul piccolo tavolino basso.
“Mi annoiavo.” fu la semplice risposta del uomo, che ancora dava le spalle a John.
“Mi scusi… lei deve essere il proprietario… io sono…” balbettò John.
“John Watson. So chi è lei.” disse l’uomo, in tono perfettamente calmo, voltandosi verso il professore, che finalmente lo vide in faccia.
Era proprio il suo alunno; quello che aveva tenuto ferma la classe quando lui voleva scappare, e quello che non gli aveva tolto gli occhi di dosso per tutta la lezione.
“È un vero piacere rivederla qui, professore.” parlò Holmes, gli occhi verdi, di quel verde particolare, che sembravano un lago ghiacciato nel quale annegarci dentro, di nuovo su di lui.
Il professore deglutì, cercando di reggere lo sguardo del suo alunno.
“È con lei che dovrò condividere l’appartamento.” disse guardandosi intorno.
In quella stanza regnava un caos non comune, e in più i fori di proiettile che erano impressi sui muri facevano venire i brividi al professore. Non sapeva se ci sarebbe riuscito o meno a condividere una casa con un tipo simile.
“Esattamente, signor Watson. fu la risposta del ragazzo che lo stava ancora guardando.
 “E ora, se non le dispiace, preferirei che io e lei ci dessimo del tu, o questo ti dà imbarazzo?” domandò Sherlock Holmes, con un sorriso felino sul volto.
John Watson ci pensò su. No, non gli dava fastidio che lui e l’altro ragazzo si dessero del ‘tu’, gli dava fastidio che lui fosse un suo studente, che lo analizzasse così bene, e che fosse una persona un tantino… psicolabile. E soprattutto gli davano fastidio i fori delle pallottole alle pareti, ma che si dessero del ‘tu’, era l‘ultimo dei suoi problemi.
“Non mi dà fastidio.” dovette ammettere alla fine.

“Signora Hudson, allora, che ne dice di preparare un buon pranzetto a me e al signor Watson?” chiese alla fine Sherlock, fissando la signora e non più il suo professore.

“Non.Sono.La.Sua.Governante, Sherlock” sibilò la signora, puntandogli il dito contro.
“Sì, ma sa cucinare talmente bene… che dovrebbe diventare uno chef.”
La signora Hundson arrossì al complimento del ragazzo, e balbettò: “Oh… beh… non so che dire.”
“Non dica niente, signora. E, per favore, vada a preparare i suoi manicaretti a noi, poveri scapoli.”
La donna borbottò qualcosa ma poi si eclissò lasciando soli i due uomini.
“Perché ha detto che sono uno scapolo?” domandò John.
Sherlock fissò, di nuovo, i suoi strani occhi sul uomo e sorrise.
“È quello che è. Dopotutto nessuno andrebbe a vivere a quarant’anni con un ventenne in piena crisi ormonale o peggio: a casa di ventenne con disturbi comportamentali. È questo quello che pensavi. Non negarlo, John: ti leggo negli occhi.” disse Sherlock, visto che John aveva aperto la bocca per ribattere. La richiuse a quella costatazione. Sherlock aveva dannatamente ragione, ma non l’avrebbe mai detto.
Il suo studente si limitò a fargli un sorrisino, prima che una voce allegra venisse loro incontro: “Signori, il piatto è in tavola.”


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Eccomi tornata con il primo, vero capitolo della mia fanfic.
Si entra subito nel vivo, come vedete.
Spero vi piaccia.
Ringrazio le 3 persone che hanno commentato, le 10 che l'hanno messa nelle segiute e le 2 che l'hanno già messa nei preferiti. Mi commuovete così.
   
 
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