Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: rosie__posie    30/04/2012    5 recensioni
Erano passati anni, ma l’Afghanistan era ancora lì presente nella sua testa. Come se fosse la sua ombra. O un nero uccellaccio appollaiato sulla sua spalla.
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Non ne era sicuro, ma pensava di aver gridato. Un grido sommesso, forse, oppure un urlo a squarciagola. E doveva anche aver fatto un incubo. Non se lo ricordava, ma di questo ne era certo. Si sentiva ancora il cuore in gola, il battito accelerato, come quando si concedeva un’ora di salutare jogging mattutino, e il pigiama madido di sudore.

Sbatté le palpebre un paio di volte per abituarsi alla penombra. Solo un timido raggio di luna filtrava dalla finestra. Si puntellò il gomito sul cuscino, scoprendosi in parte mentre si tirava a sedere, le lenzuola che scorrevano giù dal torace. Poggiò il mento sul palmo della mano e lanciò uno sguardo alla radiosveglia. Erano le 00:52. Era a letto solo da poco più di un’ora. Sbuffò, chiuse gli occhi e si accasciò nuovamente sul cuscino.

Erano passati anni, ma l’Afghanistan era ancora lì presente nella sua testa. Come se fosse la sua ombra. O un nero uccellaccio appollaiato sulla sua spalla. Strinse ancora di più gli occhi, come a voler ricacciare tutto il dolore e l’orrore dentro quell’inferno da cui erano stati rigettati. Non aveva memoria dell’incubo, nemmeno il più piccolo fotogramma, ma la spiacevole sensazione data dal sangue di cui era sicuramente impregnato era palpabile e reale. Intorno a lui e dentro il suo corpo. Si girò sul fianco opposto e si raggomitolò su se stesso, in cerca di calore.

E il calore arrivò, all’improvviso, iniziando dalla schiena e andando pian piano a irradiarsi verso il resto del corpo. Prima sotto forma di una ciocca di capelli, poi di quattro lettere pronunciate in poco più di un sussurro.

-John?

Non lo aveva sentito entrare. Non aveva sentito il cigolio della porta mentre si apriva, né Sherlock che si intrufolava sotto le lenzuola, prendendo posto accanto a lui.

John amava come Sherlock pronunciava il suo nome, il suono melodioso di quelle quattro semplici lettere che uscivano da quelle labbra perfette. Come note che fluivano gioiose da uno strumento musicale, suonato da un bambino il primo anno di scuola. Quattro semplici lettere che avevano il potere di farlo stare subito meglio.

La ciocca di capelli di Sherlock gli solleticava ancora una tempia, circondandolo con il fresco profumo dello shampoo.

-Un altro incubo?

Il dottore annuì.

Sherlock sistemò il cuscino libero in verticale, appoggiandolo contro la spalliera del letto. Piegò le gambe, appoggiò le braccia sopra le ginocchia e reclinò la schiena. Non aggiunse altro. Rimase in silenzio per lasciare a John il tempo di decidere se e quando aggiungere altro.

-È ancora tutto… troppo vivido.

John aveva parlato ancora sdraiato sul fianco. Non voleva voltarsi verso Sherlock. Non voleva incrociare i suoi occhi, perché sapeva che non avrebbe resistito. Sapeva che sarebbe scoppiato in un pianto a dirotto. E i soldati non piangono.

I corpi dilaniati di commilitoni o gente che non aveva mai visto prima in vita sua. L’odore di fango e sudore. La deflagrazione delle bombe e gli spari senza sosta. E il sangue appiccicoso e amaro che si sentiva ancora addosso, sulle mani e nei capelli. Ogni cosa era ancora ben nitida davanti ai suoi occhi.

Sherlock lo sentì tremare, nonostante quei poco meno di dieci centimetri di materasso che li separavano. Distese di nuovo le gambe, si girò anche lui su un lato e appoggiò con fare incerto una mano sul fianco di John. Attese. Non era ancora molto esperto di baci, coccole e altre manifestazioni fisiche d’affetto. Tra i due, era lui solitamente quello passivo: si metteva sempre nelle mani di John e gli lasciava completamente il comando della nave. Ma era desideroso di sperimentare e di imparare. Di fare bene.

Abbandonò il fianco e allungò il braccio, cercando a tentoni le mani del dottore, che trovò infilate sotto il cuscino, strette l’una all’altra. Prese ad accarezzare con i polpastrelli il dorso di quella più vicina a lui, in quello che assomigliava di più a un leggero massaggio che a carezze vere e proprie. John trattenne a stento un sorriso, pensando a quanto fosse buffo e tenero Sherlock quando si sforzava di fare l’innamorato premuroso.

-Forse sei tu che vuoi che lo sia.

-Cosa intendi dire?

John piegò leggermente la testa all’indietro, riuscendo tuttavia a scorgere solamente un occhio, il naso e mezza bocca di Sherlock, che per altro trovava non meno attraente di quando la ammirava tutta intera.

-Che hai paura di provare a buttarti tutto alle spalle. Sei così ligio al dovere che lo considereresti un tradimento.

-Sciocchezze.

Il dottore tornò a guardare la parete opposta.

-Il passato non va rinnegato-, borbottò.

-Il passato è fatto per imparare dagli errori commessi e per provare a costruire un futuro migliore. Non per continuare a viverlo all’infinito come se fosse esso stesso il presente, John.

Ecco che Sherlock iniziava a esibirsi in ciò che gli riusciva meglio: sputare sentenze. Il dottore si lasciò andare a un altro sorriso, questa volta meno trattenuto, perché, per assurdo che fosse, adorava Sherlock quando saliva in cattedra. Probabilmente, era uno dei pochi esseri viventi al mondo a pensarla così e la cosa lo rendeva ancora più felice, più speciale.

-OK, geniaccio, allora cosa dovrei fare, secondo te?

Aveva usato quel termine, geniaccio, apposta per irritarlo, sorprendendosi quando si rese conto di non essere riuscito nell’intento. Sherlock era terribilmente serio.

-Beh, innanzi tutto suggerirei di liberarti di queste…

Sherlock abbandonò le mani di John e scivolò con la sua verso il petto, intrufolandola sotto la casacca del pigiama. John provò un leggero brivido al contatto della mano di Sherlock, fresca e delicata, contro il suo petto nudo, ancora accaldato e sudato per via dell'incubo. La mano risalì morbida ma sicura, fino a scontrarsi con qualcosa di inanimato e freddo come l'acciaio.

Le piastrine di John. Due semplici pezzi di metallo indicanti nome, cognome, data di nascita e reggimento. Praticamente, tutta la vita di una persona, per alcuni. Sherlock se le rigirò un attimo tra le dita, sotto la casacca, poi le lasciò andare, schiacciandole con decisione con il palmo aperto sul petto di John. Il dottore provò un altro brivido, questa volta più intenso del primo. Freddo pungente misto a crescente eccitazione.

-Non mi starai mica suggerendo di buttarle nel cestino, voglio sperare.

Era la prima volta in tanto tempo che Sherlock accennava alle piastrine militari. Certo, gliele aveva sempre viste al collo e, probabilmente, le giudicava anche una sciocca e alquanto infantile manifestazione di affetto o di totale vanità degna di una donna. Ma le aveva sempre ignorate. Almeno sino a quel momento.

John si voltò, sdraiandosi completamente sulla schiena, in modo da poter vedere bene in volto Sherlock, la cui mano non si azzardava a spostarsi nemmeno di un sol millimetro da dove si trovava.

-Ovvio che no. Nel cestino no di certo. Pensavo a qualcosa di più appropriato.

-Tipo?

-Tipo una bella scatola da conservare con fierezza dentro il cassetto o in fondo a un baule. In modo da essere facilmente raggiungibili quando desideri ritirarle fuori per ammirarle e non dimenticare, ma sufficientemente distanti da permetterti di andare avanti con la tua vita, John.

Sherlock aveva parlato tenendo per tutto il tempo i suoi occhi di ghiaccio fissi in quelli del dottore, il quale aveva sostenuto il suo sguardo a fatica, cercando di trovare qualcosa con cui poter ribattere a quell'arringa.

-Quelle piastrine mi ricordano a cosa appartengo-, disse John, indicandole con un dito.

-Sbagliato. Queste monete ti ricordano a che cosa appartenevi-, replicò il detective, tamburellando l'indice sulle piastrine e, di conseguenza, sul cuore del dottore, più sotto.

John lo fissò intensamente per un attimo, prima di chiudere gli occhi e lasciarsi andare a un sospiro.

-Ho bisogno di sentire che appartengo ancora a qualcosa, Sherlock-, mormorò, coprendosi le palpebre chiuse con entrambe le mani.

A quelle parole, Sherlock abbandonò la presa sulle piastrine e sul petto di John, tirando fuori la mano da sotto la casacca del pigiama. Il dottore si mordicchiò il labbro inferiore, in segno di disappunto per aver perso il contatto assai piacevole con quella mano.

-Ne ho bisogno, capisci?-, ripeté.

Sherlock aggrottò le sopraciglia e, in pochi secondi, lo studiò da capo a piedi, cercando di carpire dal suo corpo ogni più piccola informazione sul suo stato d'animo.

Poi, in un gesto ancora un po’ impacciato da scolaretto alle prime armi, lo circondò con entrambe le braccia, attirandolo a sé e voltandolo verso il suo petto. John si trovò in un attimo con la testa schiacciata per metà contro la spalla di Sherlock e per metà contro il suo cuscino.

-Capisco che sei stupido e che dovrei ritenermi offeso. Tu appartieni a me e io appartengono a te. Non serve nient’altro. Punto.

In quella posizione, a John mancava leggermente il respiro, ma non avrebbe protestato, né si sarebbe spostato per tutto l’oro di questo mondo. Sentì il mento di Sherlock appoggiarsi tra i suoi capelli, dove depositò un bacio leggero. Sorrise, i fantasmi afghani iniziavano ad allontanarsi.

A fatica, il dottore liberò le braccia bloccate dal petto dell’altro e ricambiò l’abbraccio, stringendo Sherlock a sé con tutta la forza che aveva. Poi, sentì le labbra umide del compagno partire alla ricerca della sua pelle, iniziando dall’orecchio e passando per la guancia, arrivando a morire sulle sue labbra, fermandosi per assaporarne il gusto.

-Veramente, potrebbe esserci qualcos’altro che servirebbe…-, sussurrò John, labbra contro labbra. John poteva sentire il respiro di Sherlock così vicino e così vivo contro la sua pelle, bollente per la crescente eccitazione.

-Mhm, del tipo?-, chiese Sherlock di rimando, chiudendo gli occhi e appoggiando la fronte contro quella di John, rimanendo in attesa. Poteva sentire che il dottore stava sorridendo.

-Del tipo cerchietto d’oro da portare al dito.

-Cerchietto d’o…

Sherlock riaprì gli occhi di colpo.

-Tu sei pazzo!

John lo guardava teneramente, ridendo piano. Adorava stuzzicarlo così.

-Andrebbe bene anche d’argento-, aggiunse, rincarando la dose. Punzecchiare un po' Sherlock era davvero ciò di cui aveva bisogno, per scacciare ancora più in là i fantasmi.

-Non se ne parla proprio!-, ribatté Sherlock, sommessamente ma con decisione. Poi, sbuffò, trattenendo a stento un sorriso. Alzò la mano e la posò sul capo di John, scompigliandogli leggermene i capelli, in una goffa carezza.

-Al massimo, potrei arrivare a regalarti un braccialetto. O un orologio-, azzardò.

-Con incisa una bella dedica?-, incalzò l’altro.

John si strinse di più a lui, con forza, affondando il capo nell'incavo tra spalla e collo, quasi come avesse paura che da un momento all'altro Sherlock potesse alzarsi dal letto, lasciandolo lì, pronto a rimandarlo di nuovo nella disperazione. Sentì sul capo un'altra goffa carezza.

Era in momenti come questi che a John saltavano alla mente le parole di quel piacevole motivetto di Sinatra.

And then I go and spoil it all
By saying something stupid
Like I love you

No, loro due assomigliavano di più a Robbie Williams e Nicole Kidman, decisamente.
Sherlock sbuffò ancora, questa volta con un sorriso più deciso.

-Vediamo cosa posso fare...



Nota dell'autrice: scritta per quella fantastica iniziativa che è lo Sherlothon, prompt #3 Dog tag del team Fanon. Ero partita con l'idea di scrivere un'angst al 100%, ma non ce l'ho fatta a far soffrire così tanto il nostro povero Jawn... *__*
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: rosie__posie