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Autore: Kat Logan    30/04/2012    10 recensioni
“Qualcuno ha messo fine alla tua vita. Le linee parlano chiaro. Il tuo passato e il tuo presente sono interrotti. Come si fa ad avere un futuro senza questi due?”
“Non sono brava con gli indovinelli!” disse con una risatina nervosa.
L’altra si premurò di mostrarle un sorriso rassicurante, lasciandole la mano e porgendole il mazzo di tarocchi.
“Pesca una carta…”
La mano della bionda venne scossa da un leggero tremore per poi sfilarne una dal mazzo.
“La luna. Rappresenta il tuo presente, è un arcano maggiore”.
“In parole semplici?”
“Gli arcani maggiori sono tutti custodi di grandi segreti. Devi nascondere molte cose…la luna è il sogno, la magia…l’illusione. Alla luce della luna le cose non appaiono chiaramente, sono diverse che alla luce del giorno”.
*
Michiru Kaiō, lavora sotto copertura per un’agenzia sconosciuta dal governo. E’ la migliore nel suo campo, forse perché agisce sempre con il suo fidato e strampalato team, vendendo il proprio operato al migliore offerente.
Haruka si troverà a collaborare con lei apparentemente per la prima volta, ma non tutto è come sembra, infatti Michiru non sa di averla conosciuta già in passato.
Organizzazioni segrete, una fantomatica dea dell’amore, amicizie, amori e ricordi bruciati s’intrecceranno ad una missione che porterà alla luce i buchi neri del passato dei protagonisti.
[Usagi,Seiya,Rei,Ami,Mamoru,Haruka,Michiru,Setsuna,Minako]
Genere: Azione, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Un po' tutti | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Capitolo 13.
Insonnia

 

Tokyo, Giappone.
5.30 a.m.
 
 
Nel quartiere di Shibuya, con le sue strade sempre brulicanti e le luci che non si spengono mai, la città non è destinata a dormire ne a sonnecchiare per riposare un po’ i propri occhi, partecipi di frammenti delle vite di migliaia di persone, di storie che s’intrecciano tra loro, passati e presenti divisi che si ricongiungono sulla stessa via per il futuro grazie a qualche strano scherzo del fato.
Ma quella notte non era stata solo Tokyo ad essere insonne, perché anche le iridi di Mamoru Chiba sembravano decise a non volersi staccare dal soffitto.
Il respiro era appena affannato, irregolare, basso. Ma abbastanza tagliente da fendere il silenzio della stanza.
Una mano giaceva sul suo petto che in quel momento racchiudeva un muscolo in subbuglio deciso a fare un rumore assordante nelle sue orecchie, tanto che ebbe paura che quel battere furente potesse in qualche modo disturbare la compagna che giaceva accanto a lui nel letto.
La giornata di lavoro era stata piena e stancante al locale, ma nonostante quella faticosa routine dopo un breve riposare aveva dovuto aprire i suoi occhi cerulei, che aveva sentito andare a fuoco nell’osservare quelle immagini oniriche che si erano susseguite nel suo breve sogno.
Socchiuse le palpebre provando a farsi vincere da Morfeo, ed eccola di nuovo.
Non era Setsuna, ma un angelo dai lunghi capelli dorati e la pelle chiara, l’opposto della sua fidanzata.
Gli stava sorridendo. E poi sbarazzina, si cimentava in una smorfia buffa con le guance che si gonfiavano rendendo ancor più piccole quelle labbra rosate e lucide che apparivano come un bocciolo.
Il suo cuore compì una capriola. Aveva deciso di fare l’acrobata quella notte e non si sarebbe certo fermato alle prime luci dell’alba.
 
 

***  

 
 
 
Las Vegas, Nevada.
21.30 p.m
 
I fuochi d’artificio si alzarono scoppiettanti nel cielo notturno, il mondo non si era certo fermato come per Haruka.
I minuti non erano divenuti interminabili, ma scorrevano regolari, con il loro solito ritmo; e oltre alle lancette anche il resto delle persone andava avanti.
C’è poco tempo. Si ripeté ancora una volta, scendendo le scale che portavano al caveau.
Arrivata alla porta che conduceva al labirinto in cui si trovava intrappolata Michiru, Haruka estrasse il pass magnetico dal taschino di Steve che le permise di accedere al corridoio che portava alla stanza dell’enorme cassaforte.
“Com’è potuto succedere?” masticò tra i denti correndo in direzione senza capacitarsi dell’accaduto.
Le luci fredde del neon tremarono appena al suo passaggio e davanti a lei si parò una porta stagna semi chiusa.
Solo una fessura di mezzo metro la separava dal pavimento grazie allo zaino che Michiru era riuscita a lanciare nell’ultimo istante di lucidità.
Un tremore metallico della barriera seguito da un rumore sinistro la minacciò di chiudersi sotto ai suoi occhi.
Haruka si distese sul pavimento lanciando uno sguardo al di la della fessura, quando nel suo campo visivo entrarono i capelli di Michiru raccolti e le sue palpebre serrate.
A quella visione le si gelò il sangue, pareva morta.
“Ehi, occhi d’angelo! Ti sembra l’ora del sonnellino di bellezza?!”, le parlò come se nulla fosse, con il suo solito tono spigliato anche se una certa inquietudine le stava attanagliando le viscere.
Non ricevendo alcuna risposta continuò a parlarle mentre cercò di valutare la situazione.
Con se, oltre alla pistola della guardia non aveva nient’altro per bloccare la chiusura della porta; e frugare nello zaino incastrato era il peggiore degli sbagli da commettere, così senza pensare troppo strisciò dalla parte opposta all’uscita raggiungendo il corpo inerme della ragazza.
“Ma guarda te, altro che super agente…la pivella è venuta a salvarti il…”
“Ha-ruk…” le labbra di Michiru si mossero tremanti interrompendola. “Non dire…volga-rità!”, riuscì a dirle con uno sforzo che all’altra parve enorme.
“Allora tanto male non stai se hai la forza di sgridarmi!”
Abbozzò un sorriso prendendole il polso per ascoltarne i battiti.
Gli occhi si assottigliarono appena nel contare mentalmente quel rumore che aveva bisogno di attenzione per essere percepito nel modo corretto. Pareva aver la febbre.
“Ehi, riesci a muoverti?”
“mh…”
“Bella addormentata, si o no? Non vorrei marcire qui dentro!” il viso pallido di Michiru ciondolò appena, sembrava non aver nemmeno la forza di reagire alle sue parole.
La bionda si guardò attorno e solo in quel momento si accorse dell’assenza del bottino.
Decisamente le cose non quadrano.
Si alzò proseguendo in direzione del portellone della cassaforte distrutto notandone la desolazione.
Ivanov è arrivato prima di noi e da bravo gatto ha pensato a come catturare i topi. Maledetto russo!
Fremette dal nervoso, serrando appena i pugni lungo il suo corpo.
Tra le macerie create da Michiru con lo scoppio per aprire la cassaforte ne vide alcune abbastanza grandi da rallentare ulteriormente la corsa verso il suolo dell’apertura che avevano come unica via di fuga.
Scelse una lamina non troppo pesante e la incastrò dalla parte opposta allo zaino.
“Ami, devi trovare la password che ferma la corsa di questa dannata cosa, non so quanto resisterà con uno zainetto e un pezzo di metallo”, disse Haruka all’informatica che aveva risposto cominciando a battere freneticamente alcuni tasti dalla stanza in cui si trovava.
“Michiru, non è il momento di dormire…riesci a strisciare?” le domandò dandole due leggeri colpetti sulle guance.
Al quel tocco sembrò reagire. Le dita afferrarono il polso dell’altra e le iridi chiare si puntarono nelle sue cobalto.
“Credo di averla uccisa io…”
Haruka aggrottò la fronte senza capire.
Cosa sta blaterando?
“Sono stata anche un’assassina per essere perfetta”.
“Che cosa stai…”
“Sssht” Michiru la zittì con posandole un dito sulle labbra. “Tu sei l’errore…” le disse a bassa voce.
“L’anomalia nel sistema perfetto che hanno creato. Sei come un virus. Sei da distruggere”.
La mano di Haruka libera dalla presa dell’altra si mosse davanti ai suoi occhi.
Le pupille di Michiru sembrarono ignorare quel movimento rimanendo puntate nella stessa direzione.
Eppure le sembrava fissasse lei mentre diceva quelle frasi prive di senso logico.
Ha la temperatura così alta da delirare?
Haruka sospirò appena, “non abbiamo tempo”, le disse sciogliendo il nodo creato dalle dita affusolate dell’altra attorno al suo polso. Ignara che quelle parole svelavano parte dell’enigma nel quale erano annegate tempo prima senza trovarne la soluzione.
 
 

*** 

 
 
Tokyo, Giappone
6.20 a.m
 
Mamoru aveva da pochi minuti aperto il locale come ogni mattina, tirandosi appena sopra al gomito le maniche arrotolate della camicia candida, ricoperta da un elegante grembiule nero.
Si posizionò dietro al banco con fare indaffarato, strofinando energicamente con un panno la superficie che sembrava non poter brillare ulteriormente.
Dalla cucina dietro di lui alcuni dolci appena sfornati emanavano una fragranza invitante che sembrarono attirare i primi clienti della giornata.
Il tintinnare del campanellino appeso alla porta d’entrata segnalò infatti l’entrare di due impiegate, che comparirono nei loro elegante completini grigi ordinando due caffè e qualcosa d’integrale da mettere sotto ai denti.
Il ragazzo sorrise educatamente anche se le ombre scure sotto ai suoi occhi rivelavano la stanchezza dovuta alla notte passata in bianco.
Sistemò le due tazzine sul vassoio, quando prendendo in mano uno dei due piattini di ceramica si domandò dove fossero finite due delle sue clienti abituali.
Era un po’ di tempo che sembravano essere svanite nel nulla.
Una era la ragazza sempre allegra che ordinava le cose più glicemiche della terra ad ogni ora del giorno e l’altra era la biondina dall’aria trasognata a cui lui portava sempre i biscotti alla cannella, quando impacciata, non riusciva a fargli quell’ordinazione.
Chissà che fine avranno fatto…
Di certo il lavoro senza cioccolate con panna o torte colorate piene di glassa così dolce da risultare quasi stucchevole era un po’ noioso.
Ora le ordinazioni erano grigie come i tailleur indossati dalle due impiegate sedute al tavolino in fondo alla sala che aspettavano le loro paste integrali e tristi.
Scosse appena il capo, quasi sconsolato per poi portarsi una mano alla fronte e tirare un lungo sospiro.
Socchiuse gli occhi, inspirando l’odore della caffeina che le due tazze sprigionavano a qualche metro dalle sue narici e per un attimo sprofondò in una sensazione simile al sonno che gli era venuto a mancare poche ore prima.
Avvertì la carezza di una mano vellutata sulla propria guancia e nel momento in cui avvertì quel tepore, alzando lo sguardo vide nuovamente quel volto.
Questa volta però non ebbe dubbi. Lo riconobbe all’istante.
Si trattava di lei, della ragazzina che balbettava a cui aveva pensato un attimo prima di chiudere gli occhi.
La porta che si apriva nuovamente lo riportò alla realtà con un piccolo sussulto che interruppe quella sorta di sogno ad occhi aperti.
Istintivamente si voltò verso la soglia, ma con sua grande delusione non apparve chi sembrava volerlo tormentare rubandogli il sonno ed ora ogni spiraglio di lucidità.
“Buongiorno, sarò subito da lei!” disse al giovane che si avvicinò alla vetrina dei dolci.
Servì le due precedenti clienti per poi tornare alla sua postazione, mentre con un colpetto alla guancia ricordò a se stesso che non dormire la notte faceva viaggiare troppo la sua mente.
Se una persona entra di soppiatto nei tuoi sogni, vuol dire che ha già preso possesso dei tuoi giorni. O per lo meno, dei tuoi pensieri.
 
 

*** 

 
 
Setsuna avvertì i primi sintomi del cambiamento non appena abbandonò il suo giaciglio per vestirsi e aprire la sua piccola attività.
Mamoru non aveva ripiegato le coperte dal suo lato del lato come faceva ogni mattina prima di abbandonare la loro stanza e aveva indossato gli stessi abiti del giorno prima, ignorando quelli puliti e piegati sulla sedia, preparati appositamente la sera prima.
Impossibile che fosse stato in ritardo, la sveglia era suonata puntuale e lei aveva percepito chiaramente il suo alzarsi immediato.
Non si era addormentato dunque.
Era stato puntuale e aveva avuto a disposizione il tempo di ogni mattina.
Non trovando alcuna risposta razionale a quelle piccole stranezze, decise di affidarsi ai tarocchi.  Di certo loro non mentivano, potevano essere criptici se non si sapeva come interpretarli ma anche se con un linguaggio estraneo alla maggioranza delle persone loro sapevano comunicare ciò che gli esseri umani non potevano o non volevano dire.
Si sedette, accarezzando il mazzo di carte e percependone l’energia che nascondevano.
Le palpebre si serrarono, celando i suoi occhi dai riflessi purpurei che contribuivano a renderla una donna enigmatica e misteriosa, mettendosi in ascolto.
La carte parlavano, avevano mille voci diverse e le parole si accalcavano una sull’altra in un’intricata matassa da sciogliere con pazienza e dedizione.
Loro avevano le risposte. Conoscevano passato, presente e futuro.
Come colta da un’intuizione improvvisa pescò una carta nascosta nel mazzo per poi voltarla scoperta sul tavolo e cominciando da quella, ne seguirono altre tre che andarono a formare una piccola croce.
Le labbra s’incresparono notando la misteriosa combinazione.
“Gli amanti dovranno fare i conti con il passato…” ecco il significato dei primi due tarocchi.
“Quello che sembrava essere chiuso era solo una porta bloccata che sta per essere sfondata”.
La mano curata raccolse le prime tre carte che avevano rivelato quelle deduzioni alla donna che ora stava sondando con lo sguardo l’ultima carta con la figura capovolta che troneggiava sul tessuto scuro che ricopriva il tavolino.
“La carta dell’imprevisto…”
Ogni cosa può succedere anche ciò che si ritiene impossibile. Non è raro, che ogni certezza venga ribaltata.
 



Las Vegas, Nevada.
 
 
Ami batteva i tasti del portatile in maniera febbricitante.
Codici e algoritmi invadevano lo schermo del piccolo computer mentre la coda dell’occhio non smetteva mai di sondare gli altri schermi sui quali apparivano le immagini delle telecamere del Casinò.
Doveva trovare il codice che disattivava la porta stagna che non era segnata sulla pianta dell’edificio ma era comparsa compromettendo parte della missione.
“Accidenti…” sibilò, sudando freddo.
La testa aveva cominciato a pulsarle e quei simboli tanto familiari sembrarono voler complicarsi tutto ad un tratto per allontanarla dalla soluzione che Haruka stava aspettando.
Pregò silenziosamente di riuscire a venir a capo di quell’enigma numerico il più in fretta possibile e risultare utile ad Haruka e Michiru o Usagi avrebbe avuto ragione. La notte non avrebbe dormito per i sensi di colpa.
Sarebbe rimasta eternamente insonne per colpa del suo esitare.
 
 

***  

 
 
Usagi prese l’ascensore assieme ad una vistosa signora agghindata a festa che portava un paio di occhiali da sole sul naso nonostante fosse sera.
Che le luci di Las Vegas fossero troppo forti per i suoi occhi?
Si perse un momento in quell’ultima domanda, provando a staccare il cervello dal pensiero delle amiche intrappolate poco più lontano sotto il pavimento lucido, sul quale camminava ignara una folla di persone.
Devo raggiungere Akira, sono certa che mi aiuterà. Ed anche Minako…loro non si tireranno indietro per Haruka.
Si aggrappò a quella speranza, nonostante non conoscesse bene i due, le erano sembrati pronti a tutto per l’amica.
Le porte automatiche si aprirono seguite dal campanello che indicò l’arrivo al piano terra e davanti a lei si stagliò la figura di Seiya con le mani nelle tasche dei pantaloni diretto sicuramente da Ami.
“Oh! Testolina buffa!” esclamò con un sorriso, rimanendo in mezzo alle porte per evitare si chiudessero.
“Non ho ricevuto nessuna notizia da Michiru o Ami…non è da loro non avvertire. Ormai sono passati…”
Le orecchie della ragazza sembrarono chiudere l’audio.
Usagi sprofondò in un silenzio abitato solo da un leggero ronzio, era troppo occupata a pensare cosa dire per ascoltare le parole del ragazzo.
“Non sai nulla?” chiese tutto d’un fiato, sforzandosi di sorridere.
Seiya scosse il capo in segno negativo. Gli occhi dal taglio allungato sembrarono sondare ogni muscolo del suo viso, mentre la testa s’inclinava leggermente in ascolto.
“Tutto risolto! Come vedi, io sono qui! Viva e vegeta fuori dal Casinò! Tutto filato liscio!”
Uscì dall’elevatore accarezzando la moquette del pavimento con le scarpe.
“Perché nessuno ha detto niente?”
Nelle missioni erano precisi. Tutti comunicavano in tempo reale ciò che succedeva, se c’era silenzio c’era inevitabilmente un imprevisto.
“Oh…beh…”.
Seiya non poteva salire da Ami o avrebbe scoperto ogni cosa; e lei doveva fare in tempo e avvertire Akira e Minako.
“Solo un piccolo contrattempo…”
“Quale contrattempo?”
Seiya fece un passo indietro, lasciando che le porte si chiudessero, preso da uno strano presentimento.
“Con l’auricolare! Solo con quello!”
“Perciò, stai dicendo che è saltato il collegamento e per questo Ami ancora non mi ha detto nulla?”
“Esattamente!”
“Usagi…” il ragazzo abbassò lo sguardo sui polsini della propria giacca sistemandoseli con fare tranquillo e curato.
“Quanto mi credi idiota?”
Usagi si sentì venir meno. Voleva spalancare le labbra in cerca d’ aria perché il respiro parve bloccarsi all’istante, ma s’impose di rimanere calma e continuare quell’assurda commedia.
“Non penso tu sia un’idiota…” cercò di rimediare.
“Allora forse lo sei tu”.
“Come dici?”
“La gente forse ci casca sul serio. Ma non sei abbastanza brava a mentire con me. Ammettiamo che la tua non sia una scusa per coprire qualcosa…credi che Ami, non mi avvertirebbe della riuscita di un incarico solo perché va in tilt il collegamento? Esistono i cellulari”.
Arrampicarsi sugli specchi. Era l’ultima cosa che poteva tentare di fare.
Sempre meglio che sputare il rospo senza nemmeno provarci…
“Ma dai!” Usagi scoppiò a ridere. Lo fece rumorosamente per far tacere quella voce nella testa che ostinata le ripeteva: “E’ finita. Sei nei guai!”.
Si portò persino una mano al ventre, come se davvero stesse per crepare dalle risate per il divertente malinteso.
“Che motivo avrei per mentirti? Insomma…se Michiru fosse nei guai credi non te lo direi?! A quale scopo?”
Doveva trovare una motivazione convincente alla sua tesi in modo da rigirarselo.
“Ami è troppo presa a smontare tutto per svignarcela e non ha certo pensato al cellulare! Haruka e Michiru sono a caricare il bottino sul furgone di Akira! La gente ha fretta di tornare a Tokyo, a casa! Ecco, perché stavo venendo a cercarti…per avvertirti io stessa! Altro che cellulari! Al diavolo la tecnologia!”.
Lo prese a braccetto facendogli un occhiolino, come a sottolineare che non c’era nulla da temere.
“Un drink per festeggiare la riuscita della missione? Che dici?”.
Se accetta, aiutale tu Rei. Sei ancora dentro, non posso tenerlo occupato e cercare contemporaneamente Akira!
Pregò silenziosamente l’amica come se fosse un Dio, sperando che almeno lei potesse udire in qualche modo quella supplica che le stava rivolgendo.
“Ti hanno mai detto…” la voce di Seiya interruppe il filo dei suoi pensieri che si frantumarono sotto il tocco della sua mano, che arrivò un attimo dopo a carezzarle la guancia per poi scivolare più in basso lungo la linea del collo.
“C – cosa?” chiese lei mentre un brivido le correva lungo la spina dorsale nell’ascoltare quella voce che improvvisamente si era fatta più calda.
Il ragazzo si avvicinò al suo orecchio.
Usagi poté sentire il suo alito caldo e immaginò le sue labbra carnose muoversi piano nel pronunciare quelle parole.
“Ti hanno mai detto che…non me la bevo se si tratta di Michiru?”
La ragazza s’irrigidì. Era stata davvero scoperta.
Che Ami l’avesse davvero avvertito non appena lei aveva abbandonato la stanza? Cosa sapeva di preciso?
Seiya si allontanò dal suo viso e con una mano le indicò il piccolo auricolare che ancora aveva addosso.
“Hai dimenticato di toglierlo. Chissà come mai questa sera siete tutte così sbadate!”.
Il tono era piatto e gli occhi erano due lame che la stavano trapassando da parte a parte.
“Dimmi subito cosa sta succedendo Usagi, perché se lo vengo a sapere da solo sarà molto peggio”.
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
Ce l’abbiamo fatta! Quasi non ci credo! Ammetto che mi è tornata voglia di scrivere questa fic nonostante il capitolo come il precedente sia più corto di quelli prima.
Il tempo però rimane quello che è, perciò per farvelo avere il prima possibile l’unica soluzione era farlo “corto”.
Spero vi stia piacendo e che questa fic non vi stia annoiando. Sono intenzionata a finirla come si deve senza tagliare alcune parti come avevo pensato di fare qualche giorno fa.
Non so come andrà finire. Il tutto ha preso una strada sconosciuta anche per me, quello che so è che questo capitolo anche se meno “agitato” del precedente mi ha lasciato qualcosa perciò voglio continuarla a scrivere come si deve!
 
Come sempre aspetto i vostri commenti se ne avete voglia ^^
Un bacio grande.
 
Kat

   
 
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