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Autore: country dreamer    30/04/2012    3 recensioni
Elinor vende i sogni in un negozio di libri in una Londra che cambia sotto ai suoi occhi, ma lei se ne rende conto appena. Non ascolta musica, sfoglia appena le riviste sull'argomento.
Poi una sera di novembre in casa capita lui, con la sua frangia bionda e gli occhioni carichi di sentimenti diversi.
è il chitarrista dei Rolling Stones, sì. Ma per lei è solo un ragazzo ubriaco come tanti.
Cosa potrebbe succedere fra 'sti due esseri?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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. A me stessa, perché quando cercavo qualcuno a cui dedicare questa storia non ho trovato nessuno, e magari autodedicarsi una storia può essere divertente.  Al fatto che mi sono divertita a scrivere questa piccola storia e mi si sono illuminati gli occhi tante volte, ed al fatto che pensavo non l’avrei pubblicata né finita mai.

 

Hello little girl

Prima parte

 

 

"There's no time to lose", I heard her say
Catch your dreams before they slip away
Dying all the time
Lose your dreams and you will lose your mind
Ain't life unkind?

 

Non c’è tempo da perdere, l’ho sentita dire

Raccogli i tuoi sogni prima che dormano altrove

Morendo

Perdi i tuoi sogni e perderai la testa.

Ingiusta la vita vero?

(Ruby Tuesday, the rolling stones.

 

13 novembre 1964

 

Elinor vendeva parole ed aveva ventun’anni.  Era giovane per gestire una libreria da sola, ma suo padre si era trasferito nella campagna inglese  e le aveva lasciato quel piccolo negozio odoroso di carta e di storie.
Erano gli anni ’60, quelli. Quegli anni ’60 che sarebbero diventati gli anni dei diritti e dei doveri, della rivoluzione verso i padroni e dei movimenti studenteschi.

Gli anni dell’esplosione musicale, della Swinging London, dei movimenti pacifisti e di quelle canzoni in cui chiunque poteva riconoscersi.
Ma ad Elinor importava di quel suo piccolo negozio in una strada secondaria di Londra,dei suoi romanzi e delle lunghe chiacchierate coi clienti. A lei la musica ed i primi fermenti dei giovani arrivavano da lontano, persa com’era fra le righe di un libro.

Forse era l’unica persona in tutta l’Inghilterra a non saper distinguere i Beatles dai Rolling Stones o Bob Dylan da Roy Orbison. Era riuscita a riconoscere il viso di Elvis per miracolo, quando aveva visto un suo rotocalco.

A lei la musica non piaceva. Leggeva, scriveva, sognava un po’. Ma gli accordi di una chitarra non le comunicavano molto.

Era il tredici novembre 1964 e faceva freddo. Una di quelle sere col cielo di peltro e le nuvole a velarlo, dandogli un’aria di spettrale malinconia.

La ragazza la saracinesca del negozio l’aveva abbassata già da tempo e se ne stava lì, china sul registratore di cassa a contare i soldi guadagnati quel giorno.

Poi era arrivato lui. Dei passi veloci prima, un bussare frenetico alla porta poi.
Era sostenuto da una ragazza molto bella, ma ubriaca se non quanto lui, almeno un po’.
Lei aveva aperto terrorizzata, respirando con la bocca per non cogliere l’odore di alcol impregnatosi sui vestiti dei due ragazzi.

La giovane donna se n’era andata quasi subito, lasciando il ragazzo tremante e con gli occhi dilatati, a mugugnare incoerenze.

Ed Elinor era restata lì, tormentandosi il labbro incerta su cosa fare.

Poi l’aveva guardato davvero. Non l’aveva riconosciuto subito e non lo riconobbe mentre lo trascinava su  per le scale, aiutandolo a vomitare convulsamente nel lavandino, sfilandogli la giacca macchiata e guardandolo svestirsi in maniera incerta, mentre si rintanava nel suo letto. Non le aveva chiesto né chi fosse, né da dove venisse.

Lei l’aveva osservato chiudere gli occhi ed addormentarsi lì con un misto di stizza e compassione.
Era bello, pensò distrattamente mentre lo scrutava. Poteva essere tranquillamente un personaggio di un qualche romanzo che lei amava tanto divorare, con quei capelli biondi che gli ricadevano sugli occhi e quell’aria quasi fragile, che nel sonno era tanto lampante.

Dormiva inquieto, quasi come se neanche in quel momento riuscisse a ritrovare la pace.

Stette così tutta la notte, alternando sguardi inteneriti ad altri più irritati perché l’aveva privata del letto.

Lo riconobbe così, fra un’occhiata e l’altra. Fu quella frangia che gli copriva gli occhi a darle un primo indizio.

Probabilmente era già comparso su una qualche rivista patinata che vendeva in libreria senza nemmeno leggerle davvero. Forse era un attore del cinema, avrebbe tranquillamente potuto esserlo.

Però il suo viso chissà perché le riportava alla mente la musica. Quelle mani abbandonate distrattamente sul piumone se le figurava benissimo mentre strappavano lamenti alle corde di una chitarra, con le dita veloci ed il fuoco negli occhi. Quel fuoco che solo la musica e l’arte in generale sapevano dare.

I Rolling Stones, certo. Quei cinque ragazzi londinesi che facevano impazzire milioni di ragazze con la loro musica e quell’aria da cattivi ragazzi.

Lei rifletté con un mezzo sorriso che quel giovane biondo che le aveva quasi vomitato addosso senza nemmeno presentarsi e che ora dormiva in un letto ignoto le sembrava tutt’altro che cattivo. Le pareva solo fragile, con un grande bisogno d’affetto e di sorrisi.

Se ne innamorò già quella notte, forse. S’innamorò di lui senz’averlo mai sentito parlare e senza conoscerlo neppure.

“Perché?”, si  sarebbe chiesta mille volte.

Perché sognava nella stessa maniera sfrontata ed innocente in cui sognava lei, forse.

Perché dietro a quel “cattivo ragazzo” lei intuiva un qualcosa di più delicato ed incerto, una sensibilità acuta che lo angosciava giorno dopo giorno.

Si addormentò con una mano al mento fissando la figura che si rigirava inquieta nel suo letto.

 

**

 

la testa era pesante e muovere gli occhi gli doleva incredibilmente.

Intravide in maniera indistinta una camera. Forse la ragazza della sera prima, quella con cui aveva bevuto qualche birra, l’aveva portato a casa sua ed avevano fatto sesso. Lui nemmeno se ne era reso conto.

Poi piano piano la mise a fuoco. Sulle prime pensò fosse una bimba, da tanto era esile.

Aveva morbidi boccoli castani sparsi sulle spalle magre ed indossava ancora un vestito da giorno. Dormiva accartocciata sulla sedia, i capelli davanti al volto.

Doveva stare molto scomoda, rifletté lui.

No, decisamente non era la ragazza con cui aveva trascorso la serata.

Quella l’avrebbe messo alla porta o quantomeno avrebbe dormito con lui.

Quella ragazzina era… Buffa e bella. Bella senza che ci fosse un perché vero, bella perché era il contrario di tutto ciò che lui reputava bello, con quei suoi capelli castani aggrovigliati ed il visino poggiato alla mano.

Poteva essere sua coetanea, rifletté vedendola dormire così.

Si alzò con cautela dal letto, la testa gli doleva ancora e la bocca era riarsa.

Scrutò la stanza che gli stava intorno. Libri, tanti libri. Libri poggiati in buon ordine sugli scaffali, altri sparsi per terra e sul comodino

Gli stessi libri che lui amava tanto leggere prima che anche quel suo amore per la lettura fosse morto, il tutto per seguire la musica.

Un piccolo bagno disordinato, pieno di flaconcini e di bottigliette di profumo.

C’era un buon odore di lavanda. Ogni piccola cosa di quella casa gli parlava di quella ragazza di cui non conosceva il nome.

Si sciacquò il viso e le mani, sperando di alleviare con l’acqua fredda il mal di testa.

Era sempre così quando beveva troppo e dire che avrebbe dovuto saperlo, lui, che l’alcol lo aveva sempre retto malissimo.

Poi la vide. Incorniciata dalla soglia del minuscolo bagno c’era lei. Era, se possibilebile, più buffa da sveglia che da addormentata.

 I capelli erano scarmigliati ed in mano reggeva una tazza di caffè e lo osservava stupita con due occhi azzurro scuro.

“Ehm… Fai come se fossi a casa tua, eh.”, mormorò lei incerta se ridere o sgranare gli occhi.

Brian la scrutò di nuovo. Dio, se lo faceva ridere.

“No… Scusa… ma come mi sono ritrovato qui?”, domandò curioso squadrandola.

Lei alzò le spalle:

“Non lo so. Eri con una ragazza che temo avesse bevuto poco meno di te e… Sembra assurdo, ma ti ha lasciato nella mia libreria. Ti ho portato a dormire e ti ho aiutato a vomitare.”, spiegò lei con calma, anche se la sua voce tradiva un velo d’incertezza.

“Oh… Um… Beh…”, iniziò lui.

“Chiaro.”, osservò lei con le mani sui fianchi.

Si guardarono e scoppiarono a ridere simultaneamente. Lui, appoggiato ad un lavandino di porcellana di una ragazza che non conosceva. Lei, in piedi sulla porta del proprio bagno ad osservare uno sconosciuto.

Prima di riprovare a parlare, Brian si sfiorò distrattamente la frangia scostandola dagli occhi con fare stizzito. C’erano certe occasioni in cui adorava nascondere i propri occhi e pensieri dietro a quella frangia, altre in cui gli sembrava solo poco pratica ed inutile.

“Io sono Elinor, comunque.”, gli sorrise lei porgendogli la mano.

A quel punto a lui venne spontanea una domanda che formulò prima di trattenerla:

“Ma tu non mi conosci?”, chiese. La sua faccia era, anche se da non moltissimo tempo, su tutti i giornali ed era assurdo che quella ragazzina non gli fosse svenuta davanti. Ma perché continuava a chiamarla ragazzina, poi? Poteva anche essere sua coetanea…

“Aehm, effettivamente il tuo volto non mi è nuovo. Sei uno dei Rolling Stones, vero?”, chiese un po’ timidamente, e prima che lui annuisse aggiunse:

“Oh, lo sapevo. Sei John Lennon e ti ho scambiato per un membro della band di cui tu e gli altri Beatles siete “rivali”. Sono una capra in fatto di musica, ma la rivalità fra voi mi è nota.”, farfugliò lei.

A quel punto Brian rise davvero. Di quella sua risata roca, che riempì immediatamente il bagno e fece arrossire furiosamente la libraia.

“No, sono una pietra rotolante, io. E comunque, se fossi Lennon non credi che avrei quella pettinatura da deficiente?”, chiese con finto tono indispettito.

“Oh, già…”, fu tutto quel che disse lei. “Ti preparo del caffè, comunque. Ne hai bisogno.”, costatò ed uscì dal bagno.

**

 

note:

Piccola storia destinata ad esaurirsi in pochissimo tempo (anche se potrei aggiornare ad ottobre, perché sono di un’imprevedibilità che….).

Il capitolo non ha un finale vero  e proprio.

Ma mi serviva solo questo per presentarli, i miei due protagonisti.

Una è questa libraia mezza svampita, l’altro è… Beh, è Brian.

Elinor è un nome che non so se correttissimo. L’ho trovato su un libro e mi piace di più rispetto ad Eleanor, e perciò l’ho usato.

Il titolo della storia, hello little girl, si riferisc ad una canzone dei Beatles pubblicata nell’anthology.

Io l’adoro, tral’altro, perciò l’ho citata così.

Ed adoro John Lennon e la sua pettinatura da deficiente. Che poi ho voluto che Brian ne parlasse così perché, pur considerando idiota la presunta rivalità fra Beatles e Stones, ce lo vedo ad ironizzare bonariamente su una caratteristica dell’altro.

A presto, e per grazia vostra non continuate a leggerla

Cami

 

  
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