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Autore: Kim NaNa    30/04/2012    8 recensioni
{Storia partecipante al contest "Spargilacrime" indetto sul forum di Efp}
Il destino è sempre un gioco misterioso, le sue mosse imprevedibili lasciano spazio a colpi di scena che mai nessuno avrebbe immaginato, ma talvolta il vero amore si rafforza anche attraverso le prove dolorose che il destino impone, soprattutto quando sono i ricordi del cuore che ti spingono a farlo.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Chibiusa, Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Questa One-shot ha partecipato al contest "Spargilacrime" indetto sul forum di Efp, classificandosi sesta.

Valutazione finale: 7,20.



La forza dell’amore.

 
“Usagi… non avrai avvelenato la crostata di lamponi, vero?”
Dalla cucina si sporse una donna dai lunghi capelli dorati raccolti in due morbidi odango, che le incorniciavano il viso candido e luminoso.
“Chibi-chan… non ti piace proprio chiamarmi mamma?
La bambina abbassò gli occhi, triste.
“Scusa mamma… Mi piace tanto chiamarti Usagi, mi fa sentire uguale a te.”
Un sorriso amorevole comparve sulle labbra della madre, mentre Mamoru regalava una tenera carezza alla schietta quanto dolce Chibi-Usa.
Usagi si avvicinò a lei piano, accovacciandosi all’altezza del paffuto visino.
“Per quanto sia un disastro in cucina, non potrei mai avvelenare il dolce preferito della mia bambina.”
Le schioccò un sonoro bacio sulla fronte, accarezzandole i morbidi capelli  e due piccole braccia le cinsero la vita.
“Se vado a letto senza protestare, stasera inventereste una fiaba solo per me?”
Mamoru e Usagi si scambiarono uno sguardo d’intesa.
“D’accordo, piccola birbante. Ma non dimenticare di lavare i denti prima di raggiungere la tua camera.”
“Grazie mammina!” esclamò Chibi-Usa, portando le braccia al cielo.
Canticchiando insieme al suo papà, mangiò golosamente il suo pezzo di torta sotto l’occhio vigile e inquieto di Usagi che, seduta su uno sgabello, osservava i gesti ingenui e delicati della bambina.
È così piccola… Così indifesa. Pensò.
Una lacrima silente le rigò una guancia.
Il rumore metallico di una posata la distrasse dai suoi pensieri, facendola sobbalzare.
“Mamma… perché piangi?”
 Chibi-Usa le stringeva affettuosamente una gamba, rivolgendole uno sguardo pieno di apprensione.
Usagi cancellò quella lacrima con la manica del suo maglione e prese la piccola in braccio.
“Non stavo piangendo. Mi era solo entrata un po’ di polvere negli occhi.”
Le sfiorò i capelli con un bacio e si inebriò di quel profumo di fragola che tanto amava.
“Forza, adesso va’ a lavarti i denti e ricordati di spazzolarli almeno per tre minuti. La tua Usagi verrà subito a metterti il pigiamino e a raccontarti, con papà, un bella fiaba.”
Sorrise Chibi-Usa, un sorriso ingenuo e pulito, un sorriso che spinse Usagi a stringerla tra le braccia più forte che poté.
“Mamma… Mi soffochi!” sghignazzò la bambina.
La ragazza sciolse l’abbraccio e Mamoru prese la bambina per mano.  I due si fissarono per qualche minuto, poi Chibi-Usa esordì: “Ehi, voi due… potreste scambiarvi i vostri sguardi sdolcinati solo dopo che avrò lavato i denti? C’è una fiaba che mi aspetta, sapete?!”
Usagi e Mamoru risero, quella piccola donna era da sempre la gioia più grande della loro vita.
Mi rifiuto di crederci. Pensò ancora Usagi mentre si dirigeva nella camera di sua figlia.
Pochi minuti dopo, con indosso un caldo pigiama verde e i capelli sparsi sulle spalle, Chibi-Usa si adagiò sul suo letto lasciando che la sua mamma le rimboccasse le coperte.
Mamoru spense la luce centrale e accese l’abat-jour a forma di pony posto sul comodino.
La stanza fu inondata da una penombra dorata e, alzando un dito, annunciò: “C’era una volta…”
“Un piccolo sorriso…” propose Chibi-Usa.
“Un piccolo sorriso e la sua amica Ridarella…” proseguì Usagi.
Fu un’ora di riso e divertimento che accompagnò piacevolmente la piccola nel sonno.
Usagi e Mamoru la guardavano in silenzio, catturati dal viso pallido e dai lenti suoi respiri.
Chibi-Usa gemette tra le coperte, si mosse un po’; i due genitori balzarono subito in piedi, preoccupati, ma la bambina si era già tranquillizzata.
“Mamma…” mormorò.
Usagi scoppiò in un pianto silenzioso e Mamoru sentì una lacrima bruciante che scendeva giù per la guancia. Si affrettò,  furtivo, a nasconderla alzando le spalle e asciugandola col dorso della mano.
Usagi gli fece scivolare un braccio dietro la schiena senza parlare.
Trascorsero la notte bevendo caffè e ponendosi numerose domande: quante fiabe avrebbero ancora potuto raccontarle? Quanti baci le avrebbero potuto regalare?
L’alba infine si levò, tingendo il cielo di un rosa tenue.
Mamoru si preparò per andare nel suo studio medico. Diede un bacio sulla fronte tiepida della bambina e sfiorò le labbra fredde di Usagi.
“Chiamami se ne hai bisogno… in qualunque momento.”
Usagi si strinse a lui inspirando il profumo del suo dopobarba.
“Non preoccuparti per me. Ora va’ o farai tardi.”
Il tonfo lontano di una porta le provocò un lungo sospiro e una strana sensazione di solitudine.
Un raggio di sole accarezzò leggiadro il viso di Chibi-Usa e la svegliò.
Sorrise alla sua mamma e si mise seduta sul letto senza mai smettere di guardarla.
Usagi la lasciò fare. La prese in braccio, le diede il consueto bacio del buongiorno e la portò in cucina per prepararle la colazione.
Chibi-Usa non disse una parola.
Stupita, Usagi le mise la tazza di latte e orzo fumante sotto il naso e chiese:
“Qualcosa non va, piccola?”
La bambina incrociò le braccia sul petto e si accigliò.
“Hai una faccia orribile Usagi! Ti sembra questo il modo di dare il buongiorno a tua figlia?”
Che autorevolezza nella sua voce! Pensò. A Usagi scappava da ridere per quell’espressione seria, ma presto lei tornò ad essere la bambina indifesa di sempre.
“Perché sei così tanto triste, mammina…?”
La delicatezza con cui pronunciò la parola mammina le strinse il cuore in una morsa d’acciaio.
Le parole le morirono in gola e riuscì solo a balbettare: “Io… Non è vero… è solo che…”
La bimba sembrava sconvolta e con voce strozzata gridò: “È perché io sto morendo?”
Il mondo di Usagi parve disfarsi in tanti piccoli frammenti di vetro. Dapprima lentamente, poi sempre più velocemente e con un fragore che le faceva scoppiare la testa.
Cosa ne sa della morte la mia bambina?
Le lacrime pungevano le sue iridi azzurre, ma riuscì a trattenersi riuscendo a sorriderle e a nascondere la vera natura dei suoi sentimenti.
Sulla fronte corrucciata della bambina si potevano leggere tutti i pensieri angoscianti che la tormentavano. Si strinse al grembo della madre e disse: “So che ti lascerò sola… ma tu avrai sempre papà…”
Calde e copiose le lacrime cominciarono a correrle giù per le guance. Incapace di rassicurarla, presa dall’assurdità di quella scena, Usagi rinunciò all’impresa di nascondere il suo stato d’animo e la strinse con più forza.
Con dolcezza Chibi-Usa riprese a parlare, ascoltando i battiti del cuore di quella donna che profumava d’amore come diceva il suo papà.
“Tu sei la mia mamma e la moglie di papà… tu sei la mia Usagi e io ti voglio tanto bene… anche se sei pasticciona e sbadata…”
Tra le lacrime, sulle labbra di Usagi comparve un sorriso: “Hai ragione, piccola peste, sono proprio un disastro!”
La bambina sciolse l’abbracciò e la guardò con gli occhi vispi e grandi ereditati dalla madre.
“No, tu sei mia madre e questo mi basta. Prometti di non piangere e di non fare i capricci con papà?”
Quegli occhi grandi e tristi la fissarono speranzosi, attendendo la risposta che si augurava di sentire.
“Sì. Sì, bambina mia. Te lo prometto. Non c’è nulla che la tua Usagi non farebbe per te, ma tu promettimi di non lasciarmi mai sola. Mai!”
Chibi-Usa le accarezzò una guancia e Usagi godette del tepore di quella piccola e paffuta manina.
“Io non ti lascerò mai, mamma. Sarò sempre con te.” Rispose, sorridendole dolcemente.
Usagi la strinse di nuovo. La sua bambina era sempre stata troppo matura ed intelligente per la sua età, si chiedeva solo, tormentandosi, cosa la piccola sapesse riguardo la sua malattia…
La giornata trascorse serena e senza inconvenienti.
Mamoru era rincasato alle 18 e dopo aver rincorso, con Usagi, la sua bambina per tutta casa, si prepararono per andare al tempio a festeggiare il compleanno di Rei.
“Mamma, credi che a zia Rei piacerà il regalo che le ho scelto?”
“Certo piccola… quel gruppo rock è il preferito di quell’antipatica di Rei…”
“Ma non è antipatica!” si lamentò Chibi-Usa.
“Lo so… ma tu non dirglielo, altrimenti capirà davvero quanto bene le voglio.” Fece una linguaccia e prese la piccola per mano, sentendola ridacchiare.
La serata aveva avuto pieno successo. Rei era raggiante, ad un mese dal suo matrimonio con Yuichiro era davvero felice come Usagi sperava che fosse.
Chibi-Usa era stata benissimo: niente emorragie dal naso, niente capogiri o nausee.
Aveva mangiato una porzione gigante di torta al cioccolato, preparata dalla zia Makoto, e al rientro a casa era andata a letto senza protestare come era solita fare.
La guardarono dormire profondamente per qualche istante. L’espressione serena, le labbra piegate in un piccolo sorriso perso chissà in quale allegro sogno.
Quella notte andarono a dormire più sereni Usagi e Mamoru. Lei si strinse a lui sotto le coperte, facendosi piccola fra le sue braccia.
Lui le baciò la fronte, il naso, gli occhi e poi scese sulle labbra dove le sussurrò: “Dormi Usako, vedrai che andrà tutto bene”
Chiuse gli occhi Usagi, implorando al suo cuore di levarle via quella sensazione opprimente che non la lasciava respirare.
Il mattino seguente, qualcosa di angosciante aleggiava nel silenzio della casa addormentata.
Usagi svegliò Mamoru poiché uno strano presagio le pesava sul cuore.
Si precipitarono da Chibi-Usa, spalancarono la porta e raggiunsero il suo lettino.
Chibi-Usa li aveva lasciati. Un sorriso angelico gli spuntava dalle labbra ormai non più animate dal soffio della vita.
Fu come un fulmine a ciel sereno, un tuono che sconvolge il chiarore di una tranquilla serata estiva: agghiacciati  dalla repentinità dell’accaduto, non si davano pace.
Piangendo disperata e stringendo convulsamente  tra le braccia il piccolo corpo abbandonato, Usagi capì che una parte di lei, forse la migliore, se ne era andata con lei. Andata via, per sempre.
Il dolore l’aveva straziata e cieca e sorda si allontanò da Mamoru quasi senza volerlo.
Lasciò la propria casa, quella casa che l’aveva vista felice al fianco di suo marito, quella casa che risuonava ancora troppo prepotentemente delle risa ingenue e contagiose dalla sua piccola Chibi-Usa.
Qualche mese più tardi, Mamoru, Chibi-Usa sembravano solo essere parte di un lungo sogno… un lunghissimo incubo.
Si era chiusa in un silenzio di dolore, portando nel suo cuore un racconto di momenti magici  e altri tragici, ma tuttavia irreali.
La mia bambina… la mia bambina…
Ripetendo freneticamente, tra le lacrime, quella cantilena Usagi raggiunse il viottolo che conduceva alla tomba di Chibi-Usa.
Le tornarono alla mente i tragici momenti del funerale della sua piccola, ricordò gli abbracci delle sue amiche, rivide le lacrime del suo Mamoru… Come in quel triste giorno, il marmo bianco la accecava sotto il caldo sole. Fu per questo che all’improvviso, come una visione, lei vide una figura alta di un uomo.
Mamoru stava in piedi, a testa bassa, davanti alla tomba della bambina che avevano perso. Sembrava profondamente immerso nei suoi pensieri. Usagi rallentò, poi si fermò del tutto, incerta.
Non voleva vederlo, non era ancora pronta per affrontare anche il suo dolore.
Si sentì un’egoista, ma sapeva di non riuscire a far di meglio.
Mamoru si voltò improvvisamente, troppo rapido perché lei avesse il tempo di nascondersi.
Le rivolse un gesto d’invito e lei, seppur titubante, accettò muovendo i suoi passi lenti e pesanti.
Non la sorprese il sorriso con cui egli l’accolse. Il suo Mamoru era sempre stato la sua spalla, il suo punto di riferimento, la sua ancora di salvezza.
Gli ultimi metri che li separarono furono sufficiente a far risplendere quell’amore oscurato temporaneamente dallo sciagurato accaduto.
Si guardarono tremanti, Mamoru le tese la mano, nella quale lei depositò la sua, piccola e smagrita.
“Mi aspettavi?”domandò lei.
“In qualche modo sì… “
Usagi si morse le labbra e cercò di trattenere le lacrime che spingevano prepotentemente i suoi occhi stanchi e tristi.
“Come stai?” riprese infine lui.
“Non lo so… si direbbe che il calvario della piccola Chibi-Usa sfumi lentamente nella mia memoria… ricordo solo i giorni felici, i suoi gridolini di gioia, i suoi capricci... il suo profumo…”
“È la vita che riprende il suo ciclico percorso, Usako…”
Usako.
Lacrime represse le rigarono le guance.
“Ma io lo vivo come un tradimento! Non capisci, Mamo-chan? La mia bambina, lanostra bambina… non c’è più. Non c’è più! Non potremo mai più abbracciarla, non udiremo più la sua voce, non vedremo più il suo sorriso… Mai più, mai più!”
La sua voce era ormai divenuta un grido inconsolabile di dolore.
Mamoru percorse i pochi metri che li separavano, stringendola forte a sé e la sentì fremere, scossa dai singhiozzi.
La portò piano davanti alla tomba della piccola Chibi-Usa e pensò: Lei resterà per sempre la nostra bambina.
Si inginocchiarono davanti al lucente marmo bianco, ornato di profumati boccioli di rose rosse.
“Ricordi? Hai fatto una promessa alla nostra bambina…”
Usagi lo guardò con gli occhi pieni di lacrime.
“Quale promessa?”
“Tu saresti stata per sempre la mamma di Chibi-Usa e la moglie del suo papà…”
Il ricordo di quella mattina quasi dimenticata fu riportato alla sua memoria violentemente.
Rivide la sua bambina, rivide il suo sorriso e rammentò le sue tenere parole: Tu sei la mia mamma e la moglie di papà… tu sei la mia Usagi e io ti voglio tanto bene… anche se sei pasticciona e sbadata… tu sei mia madre e questo mi basta.
“Come fai a sapere di quella promessa…?” le tremava la voce, le tremavano le mani, le tremava il cuore.
Lui rivolse i suoi occhi verso la lapide e abbozzò un sorriso.
“La sera del compleanno di Rei… mentre ballava sulle punte dei miei piedi, mi disse che tu eri triste e che lei sapeva di essere la causa della tua tristezza, così mi raccontò quanto vi siete dette quella mattina e strappò anche a me una promessa…”
Le lacrime, sul volto di Usagi, cadevano calde e copiose.
“Quale promessa, Mamo-chan? Cosa hai promesso alla nostra Chibi-Usa?”
Mamoru la guardò con la dolcezza di sempre e sorrise.
Promettimi di non lasciare mai la mamma, papà. Sarà tanto triste quando io non sarò più con voi e avrà tanto bisogno di te. Io non voglio che lei pianga, io non voglio che sia triste... nemmeno tu devi esserlo papà. Devi essere forte e darle anche tutto l’amore che hai sempre dato a me. Sii paziente con lei e abbracciala quando sentirà la mia mancanza. Lo sai, Usagi è più bambina di quanto lo sia io, ma io vi amo perché siete la mia famiglia... La mamma e il papà migliori del mondo! Questo mi disse la nostra piccola peste e non ho potuto negargli nulla in quel momento, nonostante il cuore mi fosse esploso nel petto…”
Usagi si gettò fra le sue braccia singhiozzando, mentre le lacrime rigavano anche il viso provato di Mamoru che le accarezzava i capelli.
Si tennero l’uno stretto all’altro, quasi sorreggendosi ed ebbero entrambi la sensazione di assistere ad una rinascita, la rinascita del loro amore.
“Che sia questo un ultimo regalo della nostra bambina?” chiese Mamoru.
“Lo sarà sicuramente…” disse Usagi, cercando di frenare le lacrime.
“La nostra adorabile birba ha sempre trovato il modo di cancellare le nostre incomprensioni…”
Posò un bacio sulla punta delle sue dita e sfiorò la foto della piccola Chibi-Usa, sostenuta dalle braccia di Mamoru.
Forse si trattava solo di una strana impressione, forse era l’atmosfera che respiravano in quel momento, ma ad Usagi e Mamoru parve di vedere il sorriso di quella fotografia più smagliante che mai, perché il sorriso di chi ti ha sorriso col cuore brucerà per sempre nei meandri della vita di ciascuno.




Giudizio finale del giudice Superkiki92

Anzitutto, inizio col dire che questa lettura è stata molto piacevole: non leggevo fan fiction nel fandom di "Sailor Moon" da parecchio tempo, per cui la tua storia si è rivelata una interessante lettura.
Devo fare qualche appunto grammaticale, però: più che altro si tratta della punteggiatura, in alcuni casi è proprio necessaria. Normalmente non discuto molto sulle virgole ma, in alcuni casi, sono necessarie ai fini della comprensione e della lettura.
Un esempio pratico: “Usagi... non avrai avvelenato la crostata di lamponi, vero?”.
E come questo esempio ce ne sarebbero molti altri, il più delle volte si tratta di virgole “mancate”. Inoltre, ho notato che tendi a inserire i puntini di sospensione il più delle volte; sebbene non li abbia trovati sbagliati o non li abbia considerati errori, a mio avviso in alcuni casi sarebbe meglio inserire una virgola.
I puntini di sospensione lasciano, ovviamente, in “sospeso” il contesto e mi è parsa una soluzione poco adatta leggendo alcuni passaggi, anche per via del fatto che lo stile della tua storia è coinciso e immediato.
Stilisticamente, alcuni passaggi mi sono sembrati forzati; il che stona con il linguaggio, come dicevo poc'anzi, coinciso che hai adottato nella maggior parte della fan fiction. Così, sono presenti alcune strutture “sovvertite”, per essere più precisi: “... catturati dal viso pallido e dai lenti suoi respiri”.
Un'altra cosa: dopo le virgolette (“”) andrebbe messo un punto fermo, il più delle volte manca nella tua storia.
Ci sarebbero, poi, altre quisquilie: il fatto che “dopobarba” si scriva attaccato, per esempio, o che espressioni gergali come “scappava da ridere” potrebbero essere riformulate in altra maniera.
Ho trovato molto brusco il passaggio dall'allegra atmosfera familiare e, in maniera particolare, il rapporto tra Usagi e Chibi-Usa e la morte di quest'ultima, avvenuta improvvisamente, qualche riga dopo. Ammetto che, da lettrice, è stato piuttosto destabilizzante ma, d'altro canto, ho potuto apprezzare la seconda parte della storia: mi riferisco, in particolare, alle promesse dei genitori fatte alla propria bambina.
La maturità di Chibi-Usa in realtà mi ha sempre affascinata, pur essendo questa storia collocata in un universo alternativo, sembra quasi che Usagi sia la bambina. E, pur tuttavia, Usagi mostra sentimenti che solo una madre potrebbe capire; a mio parere hai fatto un buon lavoro a farli rivivere nella storia, con tenerezza e con drammaticità al tempo stesso.
In ultimo, l'attinenza al tema proposto mi è sembrata discretamente soddisfatta: questa storia lascia qualcosa dentro, non è solo il sentimento che lega Usagi e Mamoru ma altresì il rapporto che legga questi ultimi alla piccola Chibi-Usa nonché la maturità e l'accettazione stessa della bambina nei confronti di qualcosa di incomprensibile come la morte.
Un buon lavoro, quindi, nel complesso
.


Il genere è particolarmente triste, ma spero possa piacervi comunque. Se volete lasciatemi pure le vostre impressioni, mi farebbe piacere leggere i vostri pareri.
Un bacio.


Kim Na Na.

   
 
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