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Autore: None to Blame    01/05/2012    7 recensioni
Lestrade, scoperto il tradimento della moglie, ha convinto i suoi amici di Baker Street a farsi una bella bevuta in un pub.
John si ritroverà ad avere a che fare con uno Sherlock ubriaco.
*
Le dita di Sherlock, guidate dalla frenesia dell’ubriachezza, segnavano il contorno delle guance dell’amico, disegnando le linee della nuca e scendendo, con più coinvolgimento, con più passione, lungo la schiena.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Lestrade , Sherlock Holmes
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Sherlock e John scesero dal taxi, senza preoccuparsi di aprire l’ombrello. La vettura li aveva lasciati proprio di fronte al luogo dell’appuntamento con Lestrade, il Dropkick Pub. Un’ora prima, l’ispettore aveva telefonato a John, implorandolo di raggiungerlo. Aveva bisogno di aiuto, di sostegno. E forse anche di un posto dove dormire. Convincere Sherlock a unirsi a loro era stato difficile, ma aveva avuto successo.

E così, alle undici di un piovoso mercoledì sera, i due entravano nel pub, guardandosi intorno alla ricerca di Lestrade. Lo individuarono – cappotto bagnato ancora indosso – appollaiato su uno degli sgabelli accanto al bancone, con un boccale di birra già a metà.

L’ispettore si girò, come se avesse avvertito il loro arrivo, e li accolse con un sorriso mesto.

«  Sherlock, John, grazie di essere venuti. Accomodatevi. Offro io.  »

Sherlock si sedette subito, ma John osservava perplesso l’ispettore, che ordinava due birre per i suoi ospiti e un’altra per lui.

«  Greg, cosa è successo?  »

Intervenne prontamente – e sfacciatamente – il suo coinquilino.

«  Ha scoperto la moglie a letto con un altro.  »

Sherlock ricevette un’occhiata accusatoria dal suo amico, alla quale rispose alzando le sopracciglia.

«  Hai ragione, Sherlock. Mi tradiva con un ventisettenne. Vi rendete conto? Ventisette anni..  »

«  Tua moglie ha reagito in modo naturale. Le dedichi poco tempo, sei sempre occupato per lavoro e lei ha dovuto cercare consolazione..  »

«  Per l’amor di Dio, Sherlock, piantala! Greg è già abbastanza abbattuto, senza che tu gli riassuma quello che ha passato.  »

Il dottore portò alle labbra il boccale, dando all’ispettore una fraterna pacca sulla spalla. Lestrade, che evidentemente aveva in corpo già parecchio alcool, si lasciò sfuggire un singhiozzo.

John lanciò un’occhiata a Sherlock. Entrambi avevano capito che sarebbe stata una lunga serata.
 
 
 


Due ore e mezza dopo, avevano perso il conto dei boccali vuoti che si accumulavano davanti a loro. Lestrade non aveva fatto altro che parlare della moglie, del loro primo incontro, della prima sveltina nella macchina di suo padre, del matrimonio..
Sherlock, dal canto suo, si era distaccato e parlottava in maniera del tutto sconclusionata a tratti col barista, a volte con qualche altro cliente.

John prestava un orecchio all’ispettore e uno al suo amico, consapevole di essere il più sobrio tra i tre – reggeva abbastanza bene l’alcool.

«  E così BUM! Cademmo nel lago. Non è stata una buona idea fare l’amore sulla barchetta a remi..  »

John annuì, preso dalla più preoccupante conversazione del suo coinquilino con una donna piuttosto disinibita.

«  E così lei è una prostituta, di quelle che girano a Tottenham. Mestiere tutt’altro che lodevole.. Ma suppongo che possedere un border collie costi tanto. Lo sa che è incinta? Di un mese e mezzo. Le auguro..  »

Nel momento in cui la donna gli tirò un ceffone, il dottore decise che la serata doveva concludersi lì.

«  Greg, meglio andarcene.  »

Lestrade annuì e riacquistò per qualche istante un po’ di lucidità. Chiese al barista di chiamare un taxi e pagò il conto. Fece per alzarsi, ma si accorse che non riusciva a reggersi bene in posizione eretta. Fu prontamente aiutato da John, che già sorreggeva malamente Sherlock.

Uscirono barcollando e il più lucido fra i tre ringraziò ogni entità metafisica per il taxi che li aspettava con la portiera già aperta. John buttò senza grazia alcuna – dopotutto, anche lui si ritrovava in circolo una non trascurabile quantità di birra – i due ubriachi sui sedili.

Riferì l’indirizzo al tassista, il quale proruppe con una risatina.

«  Avete fatto baldoria, eh?  »

John farfugliò una risposta, concentrandosi sul proprio giramento di testa.
 

 


Quando arrivarono a Baker Street, l’autista si mostrò gentilmente disponibile ad aiutare John. Così, il dottore salì portandosi dietro l’ispettore lungo le scale, mentre il tassista scortò Sherlock, che mormorava frasi sconnesse. Dietro le direttive di John, Sherlock fu collocato sul divano, mentre il dottore infilava Lestrade nel suo letto. Poi, accompagnò il tassista all’uscita.

«  Non so come ringraziarla. Eccole i soldi. Tenga il resto.  »

L’altro salutò e salì sul taxi, mettendo in moto mentre il dottore saliva in casa.

Trovò Sherlock in cucina, imbambolato, con la mano sull’anta del frigorifero.

«  Shelock  »

«  Mmmh?  »

«  Che stai facendo?  »

«  Vado in bagno.  »

«  Quello non è il bagno. Quello è il frigorifero.  »

L’altro si girò e lo guardò con espressione interrogativa.

«  Non vedo la differenza.  »

Il dottore sospirò.

«  D’accordo. Sei fuori come un balcone. Vai sul divano.  »

Lo prese per le spalle e lo portò quasi di peso sul sofà. Si diresse, quindi, in cucina con l’intenzione di placare l’incendio che stava avendo luogo nella sua gola.

«  John  »

Sherlock lo chiamava.

«  John, sei qui?  »

«  Sì, sono qui.  »

«  John, non te ne andare.  »

«  Non vado da nessuna parte.  »

«  John! Dove sei?  »

Si chinò sulla figura accucciata sul divano, appoggiandogli la mano sul braccio.

«  Sono qui, Sherlock.  »

Quello chiuse gli occhi, come se si fosse addormentato. John decise di approfittarne per rinfrescarsi l’ugola. Fece per allontanarsi, ma la mano dell’amico lo trattenne. Le palpebre socchiuse, la bocca semiaperta, le guance arrossate.
Praticamente, un’altra persona.

«  Resta qui.  »

Aveva la voce roca di chi è visibilmente disidratato.

«  Ho bisogno d’acqua. E anche tu.  »

Indifferente alle sue parole, l’altro lo tirò a sé.

John, trattandolo al pari di un bambino capriccioso, lo accontentò. Si accomodò sul divano, al suo fianco.

«  Sherlock, dovresti dormire.  »

L’amico si girò di scatto, fissandolo con gli occhi sbarrati e appannati, lo sguardo di un folle pieno di curiosità – e strapieno di alcool.

Senza alcun preavviso ed apparente motivazione, Sherlock avvicinò le labbra a quelle del coinquilino.

Un attimo prima che si sfiorassero, John si ritrasse di scatto.

«  Sherlock! Ma che.. Tu sei completamente andato!  »

Tono acuto, quasi stridulo, decibel troppo elevato, affanno improvviso, battito accelerato. Sherlock reclinò la testa sulla sinistra.

«  Non ti piace?  »

John tentennò. La testa continuava a girare e sentiva il sangue pulsare intensamente in tutto il suo corpo.

“ Maledetta birra ” pensò quando rilasciò i freni inibitori ed iniziò ad assaggiare le labbra del suo migliore amico.

L’odore di birra non fece che stimolare i loro istinti. Respiravano uno sulla bocca dell’altro, addentandosi le labbra a vicenda, rendendo infinita quell’unione che sapeva di bramosia disperata. La mano di John andò ad esplorare i capelli dell’altro, stringendoli, accarezzandoli. Le dita di Sherlock, guidate dalla frenesia dell’ubriachezza, segnavano il contorno delle guance dell’amico, disegnando le linee della nuca e scendendo, con più coinvolgimento, con più passione, lungo la schiena. Un brivido accompagnava quelle mani, lunghe, sottili e assolutamente afrodisiache.

Sherlock si staccò dal coinquilino con un sorrisino che gli spezzava il volto. Gli occhi offuscati per l’eccitazione e l’alcool.

John sentì una morsa allo stomaco.
Quello non era Sherlock. Non era in sé, non sapeva quel che faceva. Non era cosciente.

La testa dell’amico gli scivolò sul petto. Dal respiro diventato ormai regolare, John comprese che si era addormentato.
Si mosse delicatamente, per non svegliarlo – pur sapendo che quella notte niente avrebbe potuto interrompergli il sonno. Si alzò, barcollando verso la cucina.

Mille domande gli artigliavano il cervello, ma le mandò giù con parecchie sorsate d’acqua gelida. Qualunque problema, per quanto legato ad un’imbarazzante verità, sarebbe stato affrontato al mattino.

Al momento, desiderava solo dormire.

Tuttavia, il ricordo di Lestrade nel suo letto lo colpì. Pur prendendo in considerazione l’idea di occupare la stanza del suo coinquilino, optò per la poltrona.
Si sarebbe svegliato col torcicollo, magari col mal di schiena, ma una eco lontana nella sua testa gli suggeriva che trascorrere la notte tra le lenzuola che avvolgevano il corpo di Sherlock – piuttosto raramente, a dir la verità – non gli avrebbe giovato.
Scacciando via quei pensieri fastidiosamente reali – non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura – si lasciò andare ad una dormita ristoratrice.
 
 
 
 
 


Innanzitutto, percepì un piacevole aroma di caffè.

Poi, un pugnale gli trapassò le tempie.

Aprì gli occhi, sinceramente pregando di non trovare fonti di luci nella stanza. Pregò invano. Il sole gli sputò in faccia tutti i suoi raggi.
A Londra la percentuale di giorni assolati è minima. E, proprio quel giorno, le nuvole avevano deciso di ritirarsi.
Ironia della sorte.

A proposito di sorte, alcune rimembranze di quanto accaduto il giorno prima giunsero alla sua coscienza. La seconda preghiera della giornata fu quella di sprofondare in un buco del pavimento. Preferibilmente in compagnia della poltrona.

Ignorava con decisione un incessante vorticare di sensazioni, rivolgendo tutta la tua attenzione al timore di quello che sarebbe accaduto dopo.

Si sarebbe spiegato, magari scusato - ma per cosa? E poi avrebbero continuato a fare quello che avevano sempre fatto, come se non fosse accaduto niente.

Perché non era accaduto niente.

Era solo un bacio.

Nient’altro.

«  Buongiorno, John  »

Fu sorpreso nel sentire la voce di Lestrade alle sue spalle. Riuscì a bofonchiare qualcosa.

«  Stai preparando il caffè?  »

«  E’ quello che ci vuole dopo una bevuta.  »

Gli porse una tazzina ricolma di liquido nero. John osservò l’ispettore, domandandosi da dove avesse preso quell’energia, ma senza sufficienti forze per chiederglielo.

«  Sta’ attento. È bollente.  »

«  Ahia  »

Il lamento veniva da una figura stravaccata sul divano.

«  Ah, Sherlock! Finalmente sveglio anche tu!  »

«  Sta’ zitto.  »

Sherlock si mise a sedere, compiendo quello che pareva essere lo sforzo più doloroso della sua vita. Si prese la testa fra le mani, con le palpebre ancora serrate.

John lo fissava, con apprensione. E continuando ad ignorare le pulsioni che sbattevano contro le pareti del suo stomaco.

Lestrade si avvicinò all’investigatore, porgendogli il caffè.

«  Questo ti rimetterà in piedi.  »

Sherlock strizzò gli occhi e gli sfilò la tazzina dalle mani. Soffiò sul liquido bollente. Poi guardò Lestrade come se si fosse accorto solo in quel momento della sua presenza.

«  E tu che ci fai qui?  »

L’ispettore lo fissò.

«  Ci siamo fatti una bevuta, ieri sera. Ho dormito qui. Mi sa che non sei molto abituato a bere. Ricordi niente?  »

Sherlock aveva un’espressione confusa. Non ricordava. Per lui era frustrante.
Scosse la testa.

«  Vuoto completo.  »

Fu in quel momento che John sbatté la tazzina sul tavolo.
Mormorando qualcosa come “ Doccia ”, schizzò fuori dalla stanza.

I due rimasti si guardarono perplessi. Lestrade alzò le spalle.

«  Bah, post-sbornia.  »

Sherlock annuì, poco convinto.

Chiuse gli occhi, chiedendosi a cosa appartenesse quel buon sapore che aleggiava sulle sue labbra.













   
 
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