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Autore: Rota    01/05/2012    1 recensioni
Heine andò a cercarlo, dopo pranzo: Giovanni era abbastanza solito a sparire, di tanto in tanto, quando non era obbligato con la forza a restare assieme agli altri, in camerate grandissime e totalmente inespressive, bianche come quello che loro avevano da sempre definito “Morte”.
Aveva provato nella sua stanza ma non aveva trovato tracce dell'amico. Aveva provato in bagno, nei pressi delle sale d'addestramento, eppure nulla era riuscito a scovare, neppure guardando bene.
Entrando in cucina, dove lunghi tavoli piatti come quelli della mensa si allungavano da tutte le parti e niente, neppure una piccola briciola, intaccava un ordine quasi disumano, sentì subito dei leggeri lamenti provenire da un punto imprecisato.
Si chinò a terra e lo vide, raggomitolato in un angolo, che si teneva le gambe avvolte in un abbraccio serrato. Heine sospirò, non troppo forte, e a quattro zampe arrivò da lui.

[HeineGiovanni - childhood]
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Giovanni Rammsteiner, Heine Rammsteiner
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autore: margherota
Titolo: Amore insano
Capitolo: Dentro il recinto – Chi rimane
Fandom: Dogs - Pallottole e Sangue
Personaggi: Heine Rammsteiner (citato)/Giovanni Rammsteiner
Generi: Introspettivo, Angst
Avvertimenti: One shot, Missing Moment
Rating: Giallo
Set: 1
Parole: 1060
Prompt Syllables of Time: Indossa il tuo amore come se fosse odio
Note: Per bilanciare il precedente, ecco un capitolo totalmente dedicato a Giovanni e al momento in cui si “concede” alla pazzia. Come per Heine, analizzo anche l'inizio di una nuova vita per Giovanni, dove lui è “l'unico sopravvissuto” ma non per merito proprio.




Cadde per terra, senza riuscire a tenersi ritto con la mano sulla parete fredda.
Aveva fatto tutto il tragitto fino al confine ultimo della stanza zoppicando, inciampando nei propri stessi piedi, rotolando quasi sul pavimento – cercando, in un qualche modo, di non calpestare corpi e viscere e umori che occupavano quasi tutta la superficie piana della grande sala. Nelle cavità oculari, ancora gli occhi non si erano formati e il senso dell'orientamento, non spiccato di suo, non lo aveva aiutato per nulla.
Il dolore che provava era paragonabile a quello dato da due chiodi che gli penetravano la testa, partendo proprio da davanti, e la sensazione di avere ancora le unghie di Lily dentro la faccia non lo abbandonava, per quanti passi avesse compiuto.
Si rannicchiò a terra, abbracciando le proprie gambe e chiudendosi in un fagotto piccolo e un poco tremante, cercando in un qualche modo di riordinare il pensiero. Perché, anche in quel frangente, non c'era niente più forte in lui che non la coscienza – che urlava per l'orrore, il terrore, il dolore, la miseria umana che era costretta a sopportare ogni secondo di più.
Non sentiva più niente, neppure lamenti lontani di voci sconosciute: c'era solo la puzza di sangue e di morte, in quella stanza, e il fetore che la carne marcita emetteva. Strizzò le palpebre, d'istinto, e ritrovò nel fondo un poco d'occhio che gli permise di dare uno sguardo alla scena e prenderne più consapevolezza.
Azzardò di guardare oltre la frangia e vide un cumulo di cadaveri rigidi dalle espressioni terrificanti. Per quanto fosse abituato a uccidere e a sguardi carichi di disperazione, Giovanni non aveva mai sviluppato l'abitudine, la sola cosa capace di donargli l'indifferenza giusta, la qualità del killer che sarebbe dovuto essere. Scorse nel mucchio il corpo possente di Loto, lo riconobbe più per la stazza che per vera vista. Era girato di fianco e sembrava quasi stesse proteggendo qualcosa con tutte le proprie forze – Arthur, Giovanni lo pensò immediatamente, perché il primo pensiero di Loto sarebbe andato naturalmente a lui e tutti quanti lo sapevano. Pietà e passione, odio e amore erano la stessa cosa, quando si trattava di mettere alla prova la capacità di sopravvivenza di creature come loro. Eppure, per quanta forza il ragazzo avesse sempre posseduto, nelle mani e lungo le braccia, in quel momento a Giovanni non parve altro che uno dei tanti, cadavere in un cimitero senza terra e senza lenzuolo bianco. Fu così terribile che chinò il capo in basso, chiudendo le palpebre di scatto.
Serrò contro le ginocchia le dita e le unghie sporche di carne non più viva, cercando in un nuovo dolore una ragione per vincere il male che lo stava divorando dentro, pian piano. Dubbi e incertezze, mille domande alle quali non sapeva dare alcuna risposta, si affollarono quindi nella sua mente eccitata e lo resero più stupido del solito.
Azzardò di guardare oltre la frangia e vide Lily divisa in due parti, entro una pozzanghera di sangue che non andava via, non evaporava in aria. Heine, dopo averla fatta a brandelli, l'aveva abbandonata lì ed era andato altrove – l'aveva sentito correre come un ossesso, veloce come mai era stato. Non vedeva tutti i particolari, ma Giovanni poteva intuire benissimo lo sguardo della sorella ormai rivolto al vuoto. Rilassato, tranquillo, calmo, surreale, perché solo nella conclusione lei era riuscita a salvarsi, solo nella fine lei era riuscita a trovare la pace a lungo agognata. E il volto della Morte aveva proprio quei suoi stessi contorni, Giovanni ne fu sicuro a quel punto per la prima volta: rideva della misera condizione ormai superata, li prendeva in giro e si innalzava ad un livello non raggiungibile. Così come aveva amato Lily, si ritrovò a odiarne il cadavere orrendamente mutilato.
Ma no, il pensiero stava vagando troppo e gli donava sentimenti e sensazioni che lui non poteva, non doveva condividere. Si fissò le gambe e vide, in un lampo, le ultime ferite scomparirgli dalla pelle, nell'occhio ormai perfettamente formato e capace. Restò immobile a fissare quel particolare, la sua persona composta di contro a tutto quello, gli venne quasi da pensare che fosse paradossale che proprio lui – proprio Giovanni il Piagnucolone – dovesse avere ancora un cervello funzionante tanto da formulare il pensiero. Tra tutti, il meno adatto era sopravvissuto.
Scostò la frangia da davanti agli occhi quando sentì un rumore non troppo lontano e notò un movimento ai margini della stanza. C'era qualcuno che avanzava tra i cadaveri e puntava dritto a lui. Si ritrovò a pensare che magari non fosse l'ultimo rimasto e se per qualche secondo la speranza gli aveva gonfiato il petto alla vista effettiva di chi gli stava arrivando vicino tremò ancora, di inquietudine.
La signora Madre aveva in viso uno sguardo spiritato, terribile, da folle, e non guardava altro che lui in mezzo a tutto quello scempio. Era chiaro che stesse maledicendo la cattiva sorte o qualsiasi altra cosa che le aveva donato, come esperimento ultimo, proprio un campione tanto scadente – proprio Giovanni il Piagnucolone. E Giovanni comprese bene, quella volta più che mai, quanta delusione e quanto disprezzo potessero esserci nello sguardo di Angelika, perché erano le stesse constatazione che lui medesimo faceva verso sé stesso.
Heine avrebbe dovuto occupare il suo posto: Heine era il più adatto, il più forte, il migliore, il “padrone”. Heine era sempre stato tutto e non doveva a niente e nessuno il proprio essere speciale, neppure alla fortuna e al caso. Heine, per tutte queste ragioni, avrebbe dovuto salvarlo.
-Ci salveremo tutti.-
-Non dovete preoccuparvi di nulla.-
-Andremo fuori di qui assieme.-
Come i passi della donna, l'eco delle promesse del ragazzo gli rimbombavano nelle orecchie e lo facevano diventare ancora più pazzo. Non c'erano “tutti” se non loro due, reduci della follia omicida che dal collo prendeva ogni corpo vivente – ma Heine non era lì e lui ancora rimaneva rinchiuso dentro quella gabbia bianca.
Gli suonò alla mente falsa ogni promessa, vanesia ogni speranza. D'improvviso sentì pesante il collare che aveva al collo e ogni goccia di sangue versato.
Per lui non ci sarebbe mai stata alcuna salvezza, neppure in quell'amore indossato come odio che rendeva Heine unico, splendido e dannato – salvatore e diavolo al medesimo tempo, fautore di un destino completamente egoista.

Dentro il recinto, chi rimane maledice la propria sorte.
   
 
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