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Autore: Bethan Flynn    02/05/2012    0 recensioni
Non era possibile. Non poteva essere lui.
Non adesso che finalmente, dopo dieci anni, era riuscita se non a scrollarsi di dosso il peso di quella colpa che l’aveva sempre schiacciata, perlomeno a conviverci.
Howard Link. Il cognome c’era, i due nei pure, gli occhi grigi anche.
Non li aveva mai dimenticati, e non li avrebbe dimenticati mai.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Link, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Spoiler!
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-Rie, aspetta! Non correre così!- il ragazzino biondo corre dietro alla compagna, molto più veloce di lui.
-Forza, Howard! Se non ti muovi lo perdiamo!- grida lei, senza smettere di avanzare nell’erba alta, noncurante della terra che le sporca il vestito.
Sono passati due anni, ormai, da quando è arrivata lì.
I due bambini corrono a perdifiato in mezzo al campo, verso il limitare di un’altissima scogliera che si getta a precipizio nel mare tinto di rosso dalle ultime luci del tramonto.
Arrivano in cima, sfiniti, ma il sole non è ancora andato giù del tutto. Lei sorride, contenta, e si mette a sedere. Fa cenno all’amico di fare lo stesso.
-Ehi, Rie- ansima lui, obbediendole.
-Mh?- Rie lo ascolta, ma non lo guarda. I suoi occhi azzurri sono concentratissimi sull’orizzonte.
-Ti trovi bene a vivere qui?- quella domanda, però, cade così inaspettata che lei deve girarsi per forza. Howard vede la sorpresa sul suo viso.
-Certo che sto bene. Mi avete salvata- risponde semplicemente, ma lui sente che è sulla difensiva. Lo è sempre, quando parlano di come è arrivata lì.
Non si è mai lamentata, non ha mai neppure detto che le manca casa, in un anno, o che le manca la sua famiglia.
Eppure devono mancarle, queste cose, pensa Howard, e glielo chiede.
Non l’ha mai fatto da quando è lì, ma quella sera, non sa perché, sente come se non potesse più rimanere senza saperlo.
Rie abbassa gli occhi e inizia a giocherellare con l’erba, come sempre quando è nervosa.
-Mi mancano- sussurra –ma ora è questa casa mia, e la mia famiglia siete voi- però non dice quelle parole che ha sempre tenuto custodite nei suoi ricordi, non esprime quella paura che ha sempre avuto da quando gli akuma hanno ucciso la sua vecchia famiglia.
“E poi, è colpa mia se sono morti”.
Tutte le volte che ci pensa, non riesce a frenare il terrore che la storia si ripeta.
Che succeda di nuovo.
-Non torneranno. James ha detto che non glielo permetterà- dice Howard, come se avesse capito quello che sta pensando.
Rie lo guarda, le lacrime agli occhi –come fa a saperlo?- sussurra. Lui le prende una mano, è piccola, anche più piccola della sua.
Sono due bambini, hanno undici anni.
-Non lo so- confessa –ma io mi fido di lui- dice poi, orgoglioso. Rie non ribatte, vorrebbe fidarsi, vorrebbe credere che quell’incubo sia finito, ma l’istinto dei bambini raramente sbaglia, e lei sente che se quei mostri la volevano c’era un motivo, che nessuno le ha ancora detto.
Guardano entrambi l’orizzonte, in attesa.
Il confine del sole, rosso come il sangue, è quasi al limitare dell’orizzonte. E’ diventato un rito, ormai, per loro due, quando c’è bel tempo.
Poi, all’improvviso, eccolo: un lampo verde, una striscia continua appena al di sopra del mare ed appena al di sotto del cielo, che sembra proseguire all’infinito, li lascia a bocca aperta.
-Rie- Howard spezza quel silenzio incantato, lei, come al solito, ascolta.

-----

Il sole stava ormai tramontando, e Allen non si vedeva tornare.
-Sono un po’ preoccupata- disse Rie, spezzando quel silenzio pesante come il piombo –vado a cercarlo. Aspettatemi qui, Ispettore- ma Link si aggiustò gli occhiali sul naso con fare professionale e raccolse le sue cose.
-Controllare Walker è l’obiettivo della mia missione. Verrò anch’io- disse secco. Rie gli andò dietro sospirando, tesa.
Si sarebbe tagliata la lingua piuttosto che ammetterlo, ma quella situazione le faceva un male cane. Un dolore sordo, una tristezza infinita che per dieci anni aveva rinnegato.
“E’ il dolore dei ricordi, Rie. Adesso sai com’è” pensò sarcastica, sbuffando. Quella era una frase da Marian.
Camminarono in un silenzio di tomba, avvicinandosi al villaggio, e mano a mano che i profili delle case si facevano sempre più definiti diventava sempre più chiaro che qualcosa non andava.
Sembrava tutto deserto, non una voce, non un bambino a giocare, non il rumore di un animale.
E, ovviamente, nessuna traccia di Allen e del cocchiere.
-Qui si mette male- sussurrò Rie, tirando fuori il pugnale da un fodero nascosto.
Era un’arma singolare, notò Link, con elaborati fregi ed intarsi di un materiale all'apparenza bianco, ma che variava tonalità ad ogni mutamento di luce, un motivo floreale che si estendeva sia sul manico, sia sulla lama completamente nera.
Avanzarono per qualche decina di metri, poi un’esplosione fece completamente polverizzare una vecchia casa di pietra poco più avanti.
Un akuma gigantesco uscì dal polverone, il sorriso distorto a spaccarne il volto in due. Rie scattò in avanti, velocissima.
-Trova Allen!- gridò a Link, poi evocò l’innocence.

“Elementi. Attivazione. Aria”

Spiccò un balzo che la catapultò su un tetto, esattamente di fronte all’akuma.
-Eeeesorcista! Sei la seconda, oggi!- ghignò quello –vuoi morireeeee?-
-Oh, sta’ zitto!- ringhiò. Non sopportava niente degli akuma.
Non erano anime da salvare, per lei.
Odiava la loro forma.
Odiava i loro sguardi biechi e vuoti.
Odiava le loro voci e le loro risa meccaniche.

“Attivazione. Terra”

I fregi sul pugnale si tinsero di un color verde smeraldo, e grosse radici spuntarono fulminee dal terreno, ancorando l’akuma in modo che non potesse scappare.

Link seguiva la battaglia dalle vie del paese, correndo a perdifiato.
-Walker! Dove diamine sei finito?- gridò, scansando l’ennesimo crollo di un edificio diroccato. Le braccia dell’akuma si stavano allungando a dismisura, distruggendo qualsiasi cosa gli sbarrasse il cammino.
Con la coda dell’occhio vide Rie su un tetto, in piedi, guardava l’akuma con un’espressione per niente indecifrabile.
Odio. Nient’altro.
-L-Link- una voce soffocata alla sua destra lo fece sobbalzare.
L’albino era sepolto da un intrico di fili neri come il carbone, simili ad una ragnatela, eppure duri come l’acciaio.
Cercò invano di colpirli, ma tutto ciò che ne ricavò furono ustioni alle mani.
Dark Matter. Evidentemente aveva percepito la presenza di esorcisti.
-Vado a chiamare il Generale- ansimò, schizzando fuori dall’abitazione.
La ragazza schivava i colpi dell’akuma con un’agilità fuori dal comune, ma non riusciva ad avvicinarsi. Link non aveva altra scelta, doveva metterle fretta, o la Dark Matter avrebbe ucciso Walker.

-Rie!- la voce concitata la fece girare di scatto. Link si stava sbracciando, urlando come un pazzo.
-Walker è sepolto dalla dark matter! Devi far fuori quell’akuma!- gridò. La ragazza annuì e tornò a concentrarsi sul suo nemico.
In fretta, doveva fare in fretta.
Ma quel mostro aveva moltiplicato le proprie braccia, e se si fosse avvicinata troppo l’avrebbe sicuramente colpita in pieno.
Ad un tratto, tutto il suo corpo fu colpito da una scarica di dolore allucinante, che la fece crollare di schianto.
Quel tormento era inconfondibile.
“Un impianto? Adesso?!” pensò, la mente sconvolta che cercava di resistere.
Fra le lacrime vide l’akuma ridere, beffardo, ma il suono della risata era superato dalle sue stesse grida.

Link la vide accasciarsi, e temette il peggio.
-Rie!- urlò, ma tutto ciò che gli rispose fu un grido terrificante, mille volte peggio, per lui, di un animale ferito a morte, di un condannato sotto tortura.
Si catapultò dentro il palazzo e salì le scale quattro a quattro, preparando i sigilli.
Non avrebbero fatto granchè, ma perlomeno avrebbero fermato l’akuma.
La trovò in cima al tetto che si contorceva, gridando.
Eresse una barriera più in fretta possibile e si fiondò accanto a lei.
Non sapeva che cosa fare, il panico lo stava attanagliando, esattamente come dieci anni prima.
Quando aveva visto tutto il suo tormento senza poter muovere un muscolo.
Si sentì afferrare una mano.
-E’… l’impianto- la sentì sussurrare, due parole mozzate dal dolore.
-Che devo fare?- la fissò negli occhi, quegli occhi che si erano riconosciuti nell’esatto istante in cui Link aveva messo piede nella sala.
-Trovala- mugolò lei –trova… l’innocence- altre grida, la stretta convulsa sulla sua mano che si intensificava ritmicamente, mano a mano che il dolore si faceva più forte.
Link annuì, scattando in piedi e sottraendosi a quella morsa. L’idea di lasciarla lì faceva ribellare ogni fibra del suo essere, ma doveva trovare quella dannata cosa e portarla lì per farla sincronizzare. Non poteva essere lontana.
-Howard- un sussurro strozzato. Il suo nome.
Si chinò nuovamente –è… sotto un… albero- parlava dell’innocence. Evidentemente aveva visto qualcosa, e il ragazzo non si domandò neppure per un secondo se quelle parole avessero un fondamento oggettivo.
Si preparò a sradicare tutti gli alberi nel raggio di dieci chilometri.
-Va tutto bene, Rie. La troverò- le sussurrò, poggiandole una mano sulla testa. La sentì annuire, poi partì senza voltarsi indietro.

-----

Le mani di James l’afferrano all’improvviso.
Le torce le braccia dietro la schiena, le tappa la bocca. Rie ha paura, cerca di ribellarsi, ma non può muoversi. Sente il cuore batterle furiosamente nel petto e nelle orecchie, vorrebbe urlare, ma la mano dell’uomo le copre quasi tutta la faccia.
-Se stai zitta ti farò il favore di non ucciderti- sussurra, poi le dita allentano la presa sulla sua bocca, pronte a scattare al minimo segno di un grido.
Rie non capisce, sente solo una paura troppo grande per la bambina che è.
“Aiuto” pensa soltanto. Non le viene neppure in mente di gridare, di chiamare Howard al piano di sopra. Sicuramente la sentirebbe, ma lei sarebbe morta ancor prima che possa muovere un passo.
E poi Howard adora James. Non può distruggere in quel modo la sua famiglia.
“Aiuto” continua a pensare, come un mantra “qualcuno, qualcosa, qualsiasi cosa, aiuto”.
E poi arriva, il dolore.
E le grida, quelle, stavolta, non riesce proprio a trattenerle.
Il dolore non è stato causato da James, no, è come se tutto il suo corpo stesse andando a fuoco. Le bruciano le mani, le braccia, le scoppia la testa.
Grida con tutto il fiato che ha in corpo, sente i passi di Howard scendere, tenta di urlargli di andare via.
Le mani di James l’afferrano bruscamente, ma con un’esplosione l’uomo viene sbalzato lontano.
Fiamme.
Fiamme che avvolgono ogni cosa, adesso non è più soltanto lei a gridare.
Vede una figura avvolta dal fuoco, e capisce che è James.
Il dolore non smette, e lei continua a urlare.
Ha paura, non sa cosa sia successo.
Poi vede Howard, e quello sguardo, l’ultimo che vi sarà fra loro, non se lo scorderà più.
Terrore, solo questo.


   
 
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