Per la Kurtofsky Week
5th day – College
Premessa: Tralasciando
il fatto che sto mettendo titoli random alle fanfiction
ultimamente, voglio scusarmi con tutti voi (ma soprattutto con me stessa)
perché questa fanfiction sarebbe dovuta venire molto
meglio, soprattutto perché era un’idea che avevo da un po’ – e capirete di
quale idea parlo leggendo – ma boh, diciamo che un po’ per l’uni
e un po’ per la bellissima notizia di Max *inserire
ironia qui* non sono riuscita a fare di meglio. Che poi sia soltanto una mia
impressione, non so. Spesso mi dicono che ho poca autostima (ogni riferimento è
puramente voluto), quindi niente, lascio a voi i commenti.
Un
bacio e grazie a tutti per le recensioni che mi avete lasciato questa
settimana. Siete stati tutti carinissimi.
Vale
P.
S. Magari una volta finito di leggere, potete dare un’occhiata alla fanart relativa a questa fic.
:3
~
Why can’t I…?
‹‹Kurt, la smetteresti di
gironzolare per la stanza? Mi deconcentri››.
Il
suddetto ragazzo rivolse un’occhiataccia al suo interlocutore, il quale stava
seduto ad una scrivania con una marea di libri davanti, cercando palesemente di
studiare
‹‹Ma
se sto perfino evitando di fare rumore›› protestò Kurt, gonfiando leggermente
le guance per trattenere uno sbuffo.
Sembrava
che, quel pomeriggio, Kurt Hummel avesse tutta l’intenzione
di rimanere lì, a far nulla di particolare, se non a commentare qualsiasi cosa fosse
fuori posto nella sua camera.
Non
che gli dispiacesse averlo intorno, ma diciamo che Dave,
ormai, era sull’orlo di una crisi di nervi e doveva studiare, per la miseria,
altrimenti l’esame si sarebbe dovuto fare da solo.
‹‹Beh,
io ti sento lo stesso, quindi o ti metti buono buono
da qualche parte, o torni a gorgheggiare con la Berry nel tuo appartamento›› proruppe
Dave, a quel punto, ma non fu neanche tanto
scorbutico nel pronunciare quelle parole. Era quasi un’abitudine per lui battibeccare
con quella pulce e ad entrambi divertiva, in maniera inverosimile, il gioco che
veniva a crearsi tra loro ogni volta.
‹‹Sei
un vicino veramente scortese, Dave›› fu infatti la
risposta di Kurt, dignitosa e precisa, come al solito del resto.
‹‹Sarà
pure come dici tu, ma l’essere vicini non implica che tu debba stare sempre qui
a rompere›› sbottò l’altro.
‹‹Se
avessi fatto gli onori di casa per bene e magari mi avessi anche offerto
qualcosa, ora non sarei qui a contare il numero di pieghe delle tue camicie››
replicò l’ospite, tentando in tutti i modi di trattenere un sorriso e
prodigandosi a trasformarlo in una smorfia di scherno.
‹‹Devo
stirarle, scemo!›› fece Dave, con la stessa
espressione dell’altro.
‹‹Tu
stiri?›› lo canzonò Kurt.
‹‹Certo
che stiro… quando ho tempo››.
Kurt
allungò una mano verso una pila di camicie: ‹‹Potrei…››.
‹‹Tieni
le mani a posto, Hummel›› gli ordinò Dave, d’improvviso, raggelandolo.
Il
ragazzo dagli occhi chiari mise su un broncio e gli rispose, fintamente offeso:
‹‹Volevo solo rendermi utile››.
A
quel punto, Dave si voltò e tornò a concentrarsi su
quelle pagine incomprensibili, che doveva assolutamente memorizzare, convinto
che quell’ordine bastasse ed impedisse a Kurt di toccare altro. E forse era
così, ma di certo non gli impediva di parlare.
‹‹In
realtà, dovresti anche sistemare…›› iniziò a dire, ma il padrone di casa lo
interruppe all’istante.
‹‹No,
Kurt, non devo sistemare niente… Ma a te non danno proprio nulla da studiare
là, alla Nadya?››
‹‹Primo,
si chiama Nyada›› precisò Kurt, con fare altezzoso, e
stavolta sembrava davvero punto dalle insinuazioni dell’altro, ‹‹Secondo, certo
che mi danno da studiare, solo che io non sono lento come te››.
Dave roteò gli occhi.
‹‹Solo
che tu non hai me a girarti intorno quando studi, perché io non sono un vicino invadente!››.
‹‹Dave…›› bisbigliò Kurt, assorto, senza aver ascoltato
neanche una parola della frecciatina dell’altro.
‹‹Che
vuoi?›› disse Dave, scocciato, e non sentendolo
rispondere, si voltò per capire cosa avesse potuto far tacere l’inzittibile Kurt Hummel. Lo vide lì, in piedi davanti al comodino, che
fissava qualcosa tra le sue mani. In un primo momento, non capì cosa stesse
accadendo, ma quando notò il cassetto del mobile aperto, il sangue gli si gelò
nelle vene e scattò in piedi automaticamente.
‹‹C-chi
ti ha detto di aprire quel cassetto?›› domandò, con gli occhi sbarrati.
Kurt
non si risparmiò di punzecchiarlo a dovere: ‹‹Era già aperto veramente, non è
colpa mia se sei disordinato›› gli rispose, ‹‹Ma comunque… Perché i miei sposini da torta nuziale sono qui?››.
Kurt
afferrò saldamente la statuetta, che aveva scorto per caso in quel cassetto, e
gliela mostrò, con un sopracciglio inarcato.
‹‹Sono
finiti per caso in uno scatolone e… me li sono ritrovati a New York›› borbottò Dave, incespicando nelle sue stesse parole ed arrossendo
all’improvviso.
‹‹David››
lo incalzò Kurt, intuendo perfettamente che quella non era altro che una bugia.
‹‹È
la verità!››.
Kurt
sorrise intenerito, sotto lo sguardo di Dave, tornando
a fissare i suoi sposini. Poi aggrottò le sopracciglia, mentre una domanda gli
si formava sulla punta della lingua.
‹‹Perché
me li prendesti? Non sono mai riuscito a capirlo›› gli chiese, riportando a lui
la sua attenzione.
‹‹Lo
sai bene il perché…›› rispose l’altro, vago.
‹‹No,
Dave, quello non ha senso. Non puoi avermeli presi
solo per spaventarmi››.
‹‹Perché
devi metterti a pensare a queste cose proprio adesso? È roba vecchia!››.
‹‹Riguarda
me, quindi voglio saperlo!››.
Ma
il tentativo di salvarsi in calcio d’angolo non avrebbe portato da nessuna
parte, perché David sapeva quanto Kurt fosse intelligente ed era consapevole
anche del fatto che, a quel punto della conversazione, non poteva di certo
tirarsi indietro, mentire o semplicemente non rispondergli affatto. L’ultima
opzione era la più impensabile di tutte. Kurt avrebbe iniziato a ripetere la
parola “dimmelo” ad oltranza, fino a quando non gli avesse dato una risposta
soddisfacente, e Dave avrebbe finito per uscire di
senno, prima ancora che la gola di Kurt si fosse prosciugata per il troppo
ribadire.
Kurt
lo fissò insistentemente, mentre l’imputato cercava nella sua testa un modo per
uscirne, ma non trovandone alcuno, decise di arrendersi, prima che Kurt
cominciasse a protestare a mo’ di bimbetto dell’asilo.
‹‹Lo
feci perché… volevo avere qualcosa di tuo›› disse, intervallando la frase con un
forte sospiro.
Kurt
boccheggiò un paio di volte, senza riuscire a dire alcunché.
‹‹Sì,
volevo avere qualcosa di tuo›› ribadì Dave, con fare
più risoluto, ‹‹perché, anche se non mi credi, e so che non mi credi, io… già
allora ero innamorato di te… solo che…››
Il
ragazzo si bloccò, notando un certo rossore sulle guance di Kurt. Quest’ultimo
non parlò, lasciò che Dave masticasse ancora un po’
le parole che stava per condividere con lui, e non smise di pendere dalle sue
labbra neanche per un momento.
‹‹Non
volevo ammetterlo›› proseguì Dave, con un che di
colpevole nella voce, ‹‹Non volevo ammettere che una persona come te potesse
piacermi, che un ragazzo potesse
piacermi… Però, ecco… quella statuetta sembrava come un tesoro per te e, so che
sembra infantile, ma ho pensato che se l’avessi avuta… mi sarei sentito meno
solo››.
‹‹Ho
capito›› sussurrò Kurt, rivolgendo ancora una volta lo sguardo alla statuetta,
ma i suoi dubbi non erano ancora stati completamente appianati, ‹‹Quindi, il
motivo per cui sono qua, a New York, nascosti in un cassetto…››.
Dave incatenò le sue pupille a
quelle di Kurt, al che quest’ultimo sentì una morsa allo stomaco. Non si era
mai accorto di quanto fossero belle, con quegli sprazzi di verde a illuminargli
lo sguardo e, in quel momento, quegli occhi sembravano ancora più luminosi,
pieni com’erano di un sentimento che Dave aveva
tenuto dentro per troppo tempo.
‹‹Sono
ancora innamorato di te›› ammise, ‹‹E mi sento uno stupido, perché cerco in
tutti i modi di non pensarci, ma tu sei sempre qui, in questo fottuto appartamento, ed ogni volta mi
sento morire, perché…›› sospirò, ‹‹per quanti sforzi faccia, proprio non ci
riesco a scordarti››.
Kurt
si morse il labbro inferiore, inspirando tutta l’aria che poteva, dato che il
suo cuore aveva iniziato a fare i capricci, martellandogli nel petto.
‹‹Senza
contare, che non so nemmeno come cazzo siamo finiti sullo stesso pianerottolo!››
imprecò Dave, al che Kurt ghignò, nonostante quella
non fosse esattamente l’occasione giusta per ridere.
‹‹A
me non dispiace affatto›› disse senza guardarlo in faccia.
‹‹Questo
perché mi usi come espediente per non annoiarti›› borbottò Dave.
Kurt,
allora, scosse la testa, tornando a studiare attentamente il viso dell’altro.
‹‹Veramente
è un altro il motivo per cui sono sempre a casa tua›› gli riferì, mentre le
guance gli si facevano un po’ più accaldate.
‹‹E
sarebbe? Avanti, illuminami›› lo incitò Dave.
Kurt
si portò le braccia dietro la schiena e si avvicinò all’altro ragazzo, con una
scintilla giocosa a vivacizzargli gli occhi.
‹‹Sto
aspettando›› rispose semplicemente, quando fu ad un passo da lui.
‹‹Stai
aspettando?›› reiterò l’altro, con un’espressione interrogativa.
‹‹Sì››.
Kurt
fece scivolare una mano su quella di Dave, immobile
lungo il suo fianco, e salì ad accarezzargli il polso e poi il resto del
braccio, scoperto dalla T-shirt. Il ragazzo dagli occhi verdi rabbrividì a
quelle moine e deglutì.
‹‹E-
e cosa?›› chiese ancora, cercando di non far caso all’ammasso di sensazioni che
lo stavano invadendo.
‹‹Quattro
semplici parole›› spiegò il più piccolo.
Dave lo guardò senza capire,
mentre le dita affusolate di Kurt passavano a solleticargli le spalle,
oltrepassando il confine del tessuto della sua maglietta. Sollevò le iridi
cerulee dai muscoli del ragazzo ed aggiunse:
‹‹Vuoi uscire con me?››.
Dave trattenne il respiro, col
cuore che gli esplodeva in petto, e rimase a fissare per molto quel sorriso
soddisfatto che adornava il viso di Kurt, ma dopo qualche secondo di
incertezza, la frase gli arrivò completamente al cervello e rispose, come se
quella domanda fosse destinata a lui: ‹‹Sì che voglio!››.
Kurt
sbarrò le palpebre, stupito, dopo di che scoppiò a ridere, sinceramente
divertito dall’espressione convinta del ragazzo che aveva davanti.
‹‹Dovevi
chiederlo tu a me, veramente››.
Dave sogghignò, sentendo il calore
sulle guance aumentare notevolmente per l’imbarazzo.
‹‹Scusami,
ero convinto che fosse l’uomo a dover fare il primo passo››.
‹‹Oh,
beh, lo prendo come un complimento›› ridacchiò Kurt.
‹‹Voleva
essere esattamente un complimento››
replicò Dave, con un tono di voce basso, che l’altro
trovò alquanto accattivante; dopo di che si avvicinò lentamente a Kurt, con l’evidente
intenzione di baciarlo, ma quest’ultimo gli posò due dita sulle labbra per
fermarlo.
‹‹Penso
che tu debba aspettare il nostro appuntamento per questo. Ora non hai tempo da perdere con me, non posso deconcentrarti, devi studiare›› gli fece il verso, con un
sorriso sornione sul volto; poi si allontanò da lui, sorpassandolo e
dirigendosi verso la porta della camera.
‹‹Tu…
piccolo bas…››
‹‹Stasera,
alle nove. Ti aspetto sul pianerottolo›› disse Kurt, poggiando con cura la
statuetta degli sposini sulla scrivania.
Dave sorrise, a quel gesto, e
pensò soltanto una cosa, una volta che Kurt fu fuori dalla sua camera: d’ora in
poi non avrebbe più avuto bisogno degli sposini per sentirsi meno solo.
Fine.