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Autore: Vals Fanwriter    03/05/2012    6 recensioni
Lo vide lì, in piedi davanti al comodino, che fissava qualcosa tra le sue mani. In un primo momento, non capì cosa stesse accadendo, ma quando notò il cassetto del mobile aperto, il sangue gli si gelò nelle vene e scattò in piedi automaticamente.
Per la Kurtofsky Week | 5th day – College
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dave Karofsky, Kurt Hummel | Coppie: Dave/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Kurtofsky Week 2012'
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Per la Kurtofsky Week

5th day – College

 

Premessa: Tralasciando il fatto che sto mettendo titoli random alle fanfiction ultimamente, voglio scusarmi con tutti voi (ma soprattutto con me stessa) perché questa fanfiction sarebbe dovuta venire molto meglio, soprattutto perché era un’idea che avevo da un po’ – e capirete di quale idea parlo leggendo – ma boh, diciamo che un po’ per l’uni e un po’ per la bellissima notizia di Max *inserire ironia qui* non sono riuscita a fare di meglio. Che poi sia soltanto una mia impressione, non so. Spesso mi dicono che ho poca autostima (ogni riferimento è puramente voluto), quindi niente, lascio a voi i commenti.

Un bacio e grazie a tutti per le recensioni che mi avete lasciato questa settimana. Siete stati tutti carinissimi.

Vale

P. S. Magari una volta finito di leggere, potete dare un’occhiata alla fanart relativa a questa fic. :3

 

~

 

Why can’t I…?

 

 

 

‹‹Kurt, la smetteresti di gironzolare per la stanza? Mi deconcentri››.

Il suddetto ragazzo rivolse un’occhiataccia al suo interlocutore, il quale stava seduto ad una scrivania con una marea di libri davanti, cercando palesemente di studiare

‹‹Ma se sto perfino evitando di fare rumore›› protestò Kurt, gonfiando leggermente le guance per trattenere uno sbuffo.

Sembrava che, quel pomeriggio, Kurt Hummel avesse tutta l’intenzione di rimanere lì, a far nulla di particolare, se non a commentare qualsiasi cosa fosse fuori posto nella sua camera.

Non che gli dispiacesse averlo intorno, ma diciamo che Dave, ormai, era sull’orlo di una crisi di nervi e doveva studiare, per la miseria, altrimenti l’esame si sarebbe dovuto fare da solo.

‹‹Beh, io ti sento lo stesso, quindi o ti metti buono buono da qualche parte, o torni a gorgheggiare con la Berry nel tuo appartamento›› proruppe Dave, a quel punto, ma non fu neanche tanto scorbutico nel pronunciare quelle parole. Era quasi un’abitudine per lui battibeccare con quella pulce e ad entrambi divertiva, in maniera inverosimile, il gioco che veniva a crearsi tra loro ogni volta.

‹‹Sei un vicino veramente scortese, Dave›› fu infatti la risposta di Kurt, dignitosa e precisa, come al solito del resto.

‹‹Sarà pure come dici tu, ma l’essere vicini non implica che tu debba stare sempre qui a rompere›› sbottò l’altro.

‹‹Se avessi fatto gli onori di casa per bene e magari mi avessi anche offerto qualcosa, ora non sarei qui a contare il numero di pieghe delle tue camicie›› replicò l’ospite, tentando in tutti i modi di trattenere un sorriso e prodigandosi a trasformarlo in una smorfia di scherno.

‹‹Devo stirarle, scemo!›› fece Dave, con la stessa espressione dell’altro.

‹‹Tu stiri?›› lo canzonò Kurt.

‹‹Certo che stiro… quando ho tempo››.

Kurt allungò una mano verso una pila di camicie: ‹‹Potrei…››.

‹‹Tieni le mani a posto, Hummel›› gli ordinò Dave, d’improvviso, raggelandolo.

Il ragazzo dagli occhi chiari mise su un broncio e gli rispose, fintamente offeso: ‹‹Volevo solo rendermi utile››.

A quel punto, Dave si voltò e tornò a concentrarsi su quelle pagine incomprensibili, che doveva assolutamente memorizzare, convinto che quell’ordine bastasse ed impedisse a Kurt di toccare altro. E forse era così, ma di certo non gli impediva di parlare.

‹‹In realtà, dovresti anche sistemare…›› iniziò a dire, ma il padrone di casa lo interruppe all’istante.

‹‹No, Kurt, non devo sistemare niente… Ma a te non danno proprio nulla da studiare là, alla Nadya?››

‹‹Primo, si chiama Nyada›› precisò Kurt, con fare altezzoso, e stavolta sembrava davvero punto dalle insinuazioni dell’altro, ‹‹Secondo, certo che mi danno da studiare, solo che io non sono lento come te››.

Dave roteò gli occhi.

‹‹Solo che tu non hai me a girarti intorno quando studi, perché io non sono un vicino invadente!››.

‹‹Dave…›› bisbigliò Kurt, assorto, senza aver ascoltato neanche una parola della frecciatina dell’altro.

‹‹Che vuoi?›› disse Dave, scocciato, e non sentendolo rispondere, si voltò per capire cosa avesse potuto far tacere l’inzittibile Kurt Hummel. Lo vide lì, in piedi davanti al comodino, che fissava qualcosa tra le sue mani. In un primo momento, non capì cosa stesse accadendo, ma quando notò il cassetto del mobile aperto, il sangue gli si gelò nelle vene e scattò in piedi automaticamente.

‹‹C-chi ti ha detto di aprire quel cassetto?›› domandò, con gli occhi sbarrati.

Kurt non si risparmiò di punzecchiarlo a dovere: ‹‹Era già aperto veramente, non è colpa mia se sei disordinato›› gli rispose, ‹‹Ma comunque… Perché i miei sposini da torta nuziale sono qui?››.

Kurt afferrò saldamente la statuetta, che aveva scorto per caso in quel cassetto, e gliela mostrò, con un sopracciglio inarcato.

‹‹Sono finiti per caso in uno scatolone e… me li sono ritrovati a New York›› borbottò Dave, incespicando nelle sue stesse parole ed arrossendo all’improvviso.

‹‹David›› lo incalzò Kurt, intuendo perfettamente che quella non era altro che una bugia.

‹‹È la verità!››.

Kurt sorrise intenerito, sotto lo sguardo di Dave, tornando a fissare i suoi sposini. Poi aggrottò le sopracciglia, mentre una domanda gli si formava sulla punta della lingua.

‹‹Perché me li prendesti? Non sono mai riuscito a capirlo›› gli chiese, riportando a lui la sua attenzione.

‹‹Lo sai bene il perché…›› rispose l’altro, vago.

‹‹No, Dave, quello non ha senso. Non puoi avermeli presi solo per spaventarmi››.

‹‹Perché devi metterti a pensare a queste cose proprio adesso? È roba vecchia!››.

‹‹Riguarda me, quindi voglio saperlo!››.

Ma il tentativo di salvarsi in calcio d’angolo non avrebbe portato da nessuna parte, perché David sapeva quanto Kurt fosse intelligente ed era consapevole anche del fatto che, a quel punto della conversazione, non poteva di certo tirarsi indietro, mentire o semplicemente non rispondergli affatto. L’ultima opzione era la più impensabile di tutte. Kurt avrebbe iniziato a ripetere la parola “dimmelo” ad oltranza, fino a quando non gli avesse dato una risposta soddisfacente, e Dave avrebbe finito per uscire di senno, prima ancora che la gola di Kurt si fosse prosciugata per il troppo ribadire.

Kurt lo fissò insistentemente, mentre l’imputato cercava nella sua testa un modo per uscirne, ma non trovandone alcuno, decise di arrendersi, prima che Kurt cominciasse a protestare a mo’ di bimbetto dell’asilo.

‹‹Lo feci perché… volevo avere qualcosa di tuo›› disse, intervallando la frase con un forte sospiro.

Kurt boccheggiò un paio di volte, senza riuscire a dire alcunché.

‹‹Sì, volevo avere qualcosa di tuo›› ribadì Dave, con fare più risoluto, ‹‹perché, anche se non mi credi, e so che non mi credi, io… già allora ero innamorato di te… solo che…››

Il ragazzo si bloccò, notando un certo rossore sulle guance di Kurt. Quest’ultimo non parlò, lasciò che Dave masticasse ancora un po’ le parole che stava per condividere con lui, e non smise di pendere dalle sue labbra neanche per un momento.

‹‹Non volevo ammetterlo›› proseguì Dave, con un che di colpevole nella voce, ‹‹Non volevo ammettere che una persona come te potesse piacermi, che un ragazzo potesse piacermi… Però, ecco… quella statuetta sembrava come un tesoro per te e, so che sembra infantile, ma ho pensato che se l’avessi avuta… mi sarei sentito meno solo››.

‹‹Ho capito›› sussurrò Kurt, rivolgendo ancora una volta lo sguardo alla statuetta, ma i suoi dubbi non erano ancora stati completamente appianati, ‹‹Quindi, il motivo per cui sono qua, a New York, nascosti in un cassetto…››.

Dave incatenò le sue pupille a quelle di Kurt, al che quest’ultimo sentì una morsa allo stomaco. Non si era mai accorto di quanto fossero belle, con quegli sprazzi di verde a illuminargli lo sguardo e, in quel momento, quegli occhi sembravano ancora più luminosi, pieni com’erano di un sentimento che Dave aveva tenuto dentro per troppo tempo.

‹‹Sono ancora innamorato di te›› ammise, ‹‹E mi sento uno stupido, perché cerco in tutti i modi di non pensarci, ma tu sei sempre qui, in questo fottuto appartamento, ed ogni volta mi sento morire, perché…›› sospirò, ‹‹per quanti sforzi faccia, proprio non ci riesco a scordarti››.

Kurt si morse il labbro inferiore, inspirando tutta l’aria che poteva, dato che il suo cuore aveva iniziato a fare i capricci, martellandogli nel petto.

‹‹Senza contare, che non so nemmeno come cazzo siamo finiti sullo stesso pianerottolo!›› imprecò Dave, al che Kurt ghignò, nonostante quella non fosse esattamente l’occasione giusta per ridere.

‹‹A me non dispiace affatto›› disse senza guardarlo in faccia.

‹‹Questo perché mi usi come espediente per non annoiarti›› borbottò Dave.

Kurt, allora, scosse la testa, tornando a studiare attentamente il viso dell’altro.

‹‹Veramente è un altro il motivo per cui sono sempre a casa tua›› gli riferì, mentre le guance gli si facevano un po’ più accaldate.

‹‹E sarebbe? Avanti, illuminami›› lo incitò Dave.

Kurt si portò le braccia dietro la schiena e si avvicinò all’altro ragazzo, con una scintilla giocosa a vivacizzargli gli occhi.

‹‹Sto aspettando›› rispose semplicemente, quando fu ad un passo da lui.

‹‹Stai aspettando?›› reiterò l’altro, con un’espressione interrogativa.

‹‹Sì››.

Kurt fece scivolare una mano su quella di Dave, immobile lungo il suo fianco, e salì ad accarezzargli il polso e poi il resto del braccio, scoperto dalla T-shirt. Il ragazzo dagli occhi verdi rabbrividì a quelle moine e deglutì.

‹‹E- e cosa?›› chiese ancora, cercando di non far caso all’ammasso di sensazioni che lo stavano invadendo.

‹‹Quattro semplici parole›› spiegò il più piccolo.

Dave lo guardò senza capire, mentre le dita affusolate di Kurt passavano a solleticargli le spalle, oltrepassando il confine del tessuto della sua maglietta. Sollevò le iridi cerulee dai muscoli del ragazzo ed aggiunse:  ‹‹Vuoi uscire con me?››.

Dave trattenne il respiro, col cuore che gli esplodeva in petto, e rimase a fissare per molto quel sorriso soddisfatto che adornava il viso di Kurt, ma dopo qualche secondo di incertezza, la frase gli arrivò completamente al cervello e rispose, come se quella domanda fosse destinata a lui: ‹‹Sì che voglio!››.

Kurt sbarrò le palpebre, stupito, dopo di che scoppiò a ridere, sinceramente divertito dall’espressione convinta del ragazzo che aveva davanti.

‹‹Dovevi chiederlo tu a me, veramente››.

Dave sogghignò, sentendo il calore sulle guance aumentare notevolmente per l’imbarazzo.

‹‹Scusami, ero convinto che fosse l’uomo a dover fare il primo passo››.

‹‹Oh, beh, lo prendo come un complimento›› ridacchiò Kurt.

‹‹Voleva essere esattamente un complimento›› replicò Dave, con un tono di voce basso, che l’altro trovò alquanto accattivante; dopo di che si avvicinò lentamente a Kurt, con l’evidente intenzione di baciarlo, ma quest’ultimo gli posò due dita sulle labbra per fermarlo.

‹‹Penso che tu debba aspettare il nostro appuntamento per questo. Ora non hai tempo da perdere con me, non posso deconcentrarti, devi studiare›› gli fece il verso, con un sorriso sornione sul volto; poi si allontanò da lui, sorpassandolo e dirigendosi verso la porta della camera.

‹‹Tu… piccolo bas…››

‹‹Stasera, alle nove. Ti aspetto sul pianerottolo›› disse Kurt, poggiando con cura la statuetta degli sposini sulla scrivania.

Dave sorrise, a quel gesto, e pensò soltanto una cosa, una volta che Kurt fu fuori dalla sua camera: d’ora in poi non avrebbe più avuto bisogno degli sposini per sentirsi meno solo.

 

Fine.

 

   
 
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