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Autore: Gwen Chan    03/05/2012    1 recensioni
A che punto è la notte? Per quante ore ancora le tenebre copriranno questa terra? Quanto durerà questo falso limbo di tranquillità?
Quanto tempo manca al nuovo giorno?
L'orologio batte la mezzanotte: è già domani. Anzi, il domani è arrivato col tramonto, quando il sole si è tuffato nel mare
Genere: Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dedicata a: Nemeryal, perché è stata una sua fanfiction a farmi scoprire la splendida canzone a inizio brano.
E e MartinaBea, che pazientemente ascolta i miei scleri.
 
 Shomer ma mi llailah? 

  
La notte è quieta senza rumore, c'è solo il suono che fa il silenzio
e l' aria calda porta il sapore di stelle e assenzio,
le dita sfiorano le pietre calme
calde d' un sole, memoria o mito,
il buio ha preso con se le palme, sembra che il giorno non sia esistito...
[Francesco Guccini]

 

A che punto è la notte? Per quante ore ancora le tenebre copriranno questa terra? Quanto durerà questo falso limbo di tranquillità?
Quanto tempo manca al nuovo giorno?
L'orologio batte la mezzanotte: è già domani. Anzi, il domani è arrivato col tramonto, quando il sole si è tuffato nel mare che Ysrael scorge in lontananza da questa finestra, in una città giovane, vivace e ancora inesperta.
È mezzanotte: il mandato britannico è scaduto. Lui è di nuovo una nazione, una nazione che non ama il tramonto.
Troppe volte ha visto l'astro scomparire all'orizzonte senza alcuna certezza di poterlo rivedere.
Neppure ora ne è sicuro.
"Israele è un fenomeno passeggero"
No, lui non morirà. Nè ora, nè domani, né mai.
L'ultimo pensiero tinge di porpora i suoi ricordi.
 

Una mano portata malamente davanti al viso, nel vano tentativo di proteggere i denti e il setto nasale, mentre le ossa schioccano orribilmente sotto il peso degli stivali del SS di turno.
Calpestato come un insetto.
Niente altro che feccia.

 
A che cosa pensi?
Il suo neo presidente lo chiama da dietro una pila di scartoffie. Nemmeno lui dormirà questa notte. Non si dorme quando su di te pesa il destino di un'intera nazione.
"A nulla di particolare. Credo che prenderò il vostro cognome" risponde, nonostante ben altre preoccupazioni si agitino dentro di lui. In realtà non ha mai sentito davvero il bisogno di un cognome, eppure comprende che chiamarsi solo "David" non è piùsufficiente.
" E così l'ONU ci ha dato la sua benedizione. Abbiamo l'appoggio dell'America"
"Già. Il sostegno di Alfred saràun vantaggio. Anche quello di Ivan, lo ammetto, per quanto non mi fidi ancora di lui"
L'eterna dicotomia tra uomo e nazione, tra l'ebbra violenza dei pogrom russi e l'appoggio della stessa URSS.
"Si muoveranno in fretta. Ci sarà una guerra". continua Ben Gurion, studiando una cartina della zona "In breve: siamo circondati."
"Lo so, ma èun'occasione che non possiamo perdere, che io non posso perdere. Ho aspettato 1878 anni. Non ho paura."
Gli occhi di Ysrael, verde scuro alla fioca luce della lampada da tavolo, ardono di determinazione.
In fondo sa che avrànon pochi fastidi, ma ormai ha preso la sua decisione e niente sarápiùin grado di fermarlo. Tremi chi ostacola il suo cammino.
Perché in lui non esistono compromessi. Non esiste dialogo.
"Ne abbiamo percorsa di strada per arrivare fin qui" aggiunge Ben Gurion.
 
È vero. Lunga è la strada da Auschwitz a Tel Aviv. Tre anni di discussioni, di paure, di speranze, di suppliche, di notti insonni, di preghiere, di delusioni.
Alternati tra il mutismo del dolore e le grida fino a non avere più voce, unendo la sua a quella di centinaia di altri, nei dibattiti sionisti più accesi.
Tre anni che forse qualcuno dimenticherà.
Il 27 gennaio 1945 gli Alleati entrano nel campo del terrore. Il 14 maggio 1948 viene proclamata la nascita dello stato di Israele, reso effettivo il giorno successivo. Il resto non importa.
 
Ysrael si congeda, conscio di aver bisogno se non di sonno, almeno di un luogo tranquillo per ragionare con calma. Mentre cammina per i corridoi dell'edificio, una figura minuta gli viene incontro. Non appena si fa più vicina, riesce a riconoscerla: è la piccola Tel Aviv. Indossa una camicia da notte e si stropiccia gli occhietti.
Dio, ha solo cinquant'anni, un'età irrisoria per una città. È ancora una bambina e su di lei posa il ruolo di capitale dello stato neonato.
L'uomo la prende in braccio e la piccina subito si addormenta, poggiando la testa sulla sua spalla.
Dio, di nuovo, dimostra poco più di undici anni, anche di meno, e già tiene in mano il fucile, già ha imparato a sparare, con notevole precisione a onor di cronaca, forse ha già avuto il suo battesimo di sangue.
Di sicuro domani lo avrà.
Fa tenerezza quando si rotola nel letto, calciando via le lenzuola, e borbotta tra i sogni parole di orgoglioso affetto.
Nemmeno lei ha paura e gonfia fiera il torace da scricciolo.
Ysrael le lascia una ruvida carezza tra i capelli fini, di chi ha dimenticato cosa significa essere abbracciati e amati.
Ma non è tempo per commiserarsi. Per quanto abbia un'innata propensione al vittimismo, comprende che non è il momento adatto.
 
Scende in giardino, giù fino alla spiaggia d'inchiostro, dove sulla superficie increspata del mare si riflette uno spicchio di luna. Anche al buio sa orientarsi, David. Lungo la costa, verso sud c'é Giaffa, poi sull'estrema punta meridionale Eilath, a Nord Haifa e Nazareth, e infine, più nell'entroterra, ecco Ersalaim: Gerusalmme.
C'è tutta la sua famiglia, i cugini e le cugine.
 
Gerusalemme...le ha parlato qualche giorno prima, in un breve e concitato incontro. Lei era china a studiare su una pila di libri, l'unico svago che si concede quando non prega.
Sarà la sua capitale, l'unica e sola.
Ora l'ONU l'ha posta sotto la sua giurisdizione, ma a David non importa. Gerusalemme è la sua città, è “sua”, lo è sempre stata, sempre lo sarà.
Sarah è cresciuta con lui sin da quando erano bambini, quando dormivano abbracciati sui tetti delle case; di lei conosce ogni via, ogni pianta, ogni pietra. Sa che cosa la fa ridere e cosa piangere.
Anche lei porta nell'anima ferite profonde e insanabili, di occupazione e violenza. Lei comprende il suo stesso dolore.
Sarà lei l'eletta.
Tel Aviv, la piccola Rebecca, è sì brava, allegra, simpatica, con uno spiccato talento per le armi, con ogni probabilità diventeràla più abile e utile all'interno della famiglia, ma Sarah è insostituibile.
 
 
Ysrael avverte che i problemi , perché ce ne saranno, l'ha già ripetuto, derivanti dalla nascita del nuovo stato non sono gli unici da fronteggiare.
Inspira dalle narici, fiutando l'aria come farebbe un cacciatore, con il corpo teso e stringe i denti in un impeto d'ira.
Molti di quei bastardi, figli di cagna, sono scappati, aiutati da losche manovre e da traffici di passaporti falsi, aiutati da chi è intoccabile. David li vuole appesi a una forca. Quello è il loro posto.
Per questo motivo ha volentieri parlato con Wiesenthal e gli ha di fatto concesso carta bianca. L'unico ordine èscovarli, in qualunque buco si siano nascosti. A qualunque costo, con qualunque mezzo, senza compromessi.
C'è da aver paura quando la preda si trasforma in cacciatore.
 
David torna a guardare la costa.
È bello il mare di notte, fa dondolare placidamente le barche attraccate al porto di Giaffa, dove è sbarcata anche l'affolatissima nave di clandestini che lo ha trasportato con centinaia di altri.
Non ha voluto trattamenti di favore.
 

Si affaccia al parapetto, non appena all'orizzonte si comincia a distinguere il profilo della costa.
La terra promessa. Casa, finalmente casa!
Gente con gli occhi lucidi. Giovani pieno di stupore, vecchi che piangono come ragazzini, madri coi figli in collo, con valigie di cuoio, di cartone, legate con lo spago, senza valigie, voltando le spalle a unEuropa amara.

 
Onde e ricordi si mescolano mentre le ore si susseguono una dopo l'altra, cacciandosi, spintonandosi in attesa dell'alba.
 
L'orizzonte si illumina di rosa ed è  la speranza di un nuovo giorno.
A David piace l'aurora, sapere di essere ancora vivo, gustare per un momento tutte le possibilità che l'attimo porta con sé.
 
L'orologio continua il suo conto alla rovescia. Ormai non si torna più indietro. Il protettorato è scaduto.
Gli inglesi se ne stando andando. La guerriglia infiamma le strade.
Poche ore e saràla guerra.
Non ha dormito Ysrael, eppure non si sente stanco. Forse è solo un po' teso.
 
Rientrando nel palazzo lo trova già immerso in una frenetica attività: gente che corre da una parte all'altra, telefoni che squillano, documenti che ingombrano le scrivanie.
Tel Aviv ancora sonnecchia e cosìfa la sua rappresentante umana.
Tic tac tic tac, il tempo scorre inesorabile.
Può già sentire il rombo dei carri armati in lontananza, il ticchettio dei fucili o il fragore delle granate.
David sveglia Rebecca. "È ora" le sussurra nell'orecchio e le ordina di prepararsi, poi di raggiungerlo nell'ufficio di Ben Gurion.
Le ordina di prepararsi al conflitto.
 
Tic tac tic tac.
Una dopo l’altra giungono le dichiarazioni di guerra dei Paesi confinanti.
 
Iniziano i giochi.
 
 
 
Note
Credo che il problema principale sia che sono in astenenza da EFP.
Comunque, quello che (si spera) avete appena letto è nato come profilo pg sui generis per un gdr, poi mi sembrava scritto abbastanza bene, quindi ho deciso di sistemarlo e pubblicarlo.
 
Il Wiesenthal citato è Simon Wiesenthal, noto anche come “il cacciatore di nazisti”
Tutti i vari OCs appartengono a me.
Enjoy!
   
 
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