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Autore: WestboundSign_    03/05/2012    3 recensioni
Berkeley, maggio del '72.
Una tossicodipendente aspetta la nascita del figlio.
Quel figlio che, quarant'anni dopo, sarebbe diventato il leggendario bassista dei Green Day.
Tanti auguri Mike.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mike Dirnt
Note: nessuna | Avvertimenti: PWP, Tematiche delicate, Violenza
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La stanza della casa era buia, l’aria rarefatta.
Sul letto, due siringhe sporche di sangue avevano macchiato copiosamente il lenzuolo, sotto al quale si trovava Lucy, ormai da giorni.
Bob era uscito a comprare qualcosa, forse le sigarette, forse altra droga, lei non ne aveva idea.
Sentì lo stomaco stringersi in una morsa lancinante e i polmoni bruciare, un richiamo insistente, che non poteva ignorare.
In quei nove, fottutissimi, cazzo di mesi si era trattenuta abbastanza.
Era da quando aveva saputo di essere incinta, ottobre, che inspirava molto meno.
Perché non aveva abortito? Perché?! Quel fottuto bambino nel suo grembo si agitava sempre più ogni giorno che passava e lei stava male.
“Quanto tempo stanno dentro i bambini?”
Lentamente, intralciata dal pancione, Lucy si alzò dal letto, dirigendosi poi verso il bagno.
Fece scorrere l’acqua nel lavandino, guardando il suo riflesso sparire piano, coperto dal vapore. Era da giorni che non dormiva, i calci del bimbo e la voglia di droga le impedivano di chiudere occhio.
Bob, poi, fumando dalla mattina alla sera, non la aiutava di certo.
Perché aveva scopato, quel fottuto giorno di agosto? Perché?!
Ricordava tutto perfettamente. Le mani di Bob sul suo seno, sul suo viso, sui suoi capelli. Il vestito leggero che cadeva, i baci di passione.
Il preservativo caduto nella sabbia.
Ricordò che aveva riso della sbadataggine del marito, per poi riprendere l’esplorazione del suo corpo giovane.
Era ubriaca, erano ubriachi. E anche fatti.
Lucy si prese mentalmente a pugni in faccia, maledicendo Bob, il bambino, se stessa.
Spense l’acqua e la guardò sparire nel buco scuro lì, in fondo.
Uscì dal bagno quando, prima di entrare in camera, l’occhio le cadde su una borsa nell’angolo, vicino all’ingresso. Non l’aveva mai vista prima, quindi si avvicinò e la aprì.
Dentro, quello che non avrebbe mai immaginato di trovare.
Siringhe, siringhe, decine di siringhe pronte per l’uso e tanta, tantissima roba.
Sorrise, un sorriso davvero felice.
Tremante d’eccitazione prese fra le mani una siringa.
L’emozione cresceva dentro di lei: Bob aveva preso della roba! Tanta, tantissima roba! Con quali soldi, però, Lucy non lo poteva capire.
Non ci pensò molto, strinse un pacchetto al petto e corse in soggiorno, dove preparò l’occorrente per farsi.
Riempì la siringa, la avvicinò all’avambraccio, inserì l’ago e spinse.
Uscì un po’ di sangue, che pulì con un angolo del vestito.
Sentì, per un attimo, quel senso di appagamento che cercava da settimane.
Sorrise e si appoggiò allo schienale del divano, mentre la testa iniziò a girare, prima piano, poi sempre più forte.
Chiuse gli occhi e fu in quel momento che sentì la prima scossa, una coltellata allo stomaco che la fece tremare tutta.
Spalancò gli occhi portò le mani alla pancia, il bambino all’interno scalciava e si dimenava, non le lasciava un momento per respirare che subito riprendeva ad agitarsi.
Qualcosa di caldo le invase le gambe e bagnò il divano. Si era pisciata addosso. Si era pisciata addosso!
Si alzò, doveva cambiarsi, Bob non poteva vederla in quello stato.
Barcollando, attraversò il corto corridoio, quando la toppa scricchiolò e la porta si aprì, lasciando entrare il marito.
Gli occhi rossi, l’instabilità e il vestito bagnato fecero subito capire a Bob che la moglie si era appena drogata.
Guardò nella borsa nell’ingresso e appena vide che mancava della roba e una siringa si avvicinò a Lucy.
-Piccola, hai preso qualcosa?- le accarezzò la testa, mentre lei lo guardava ai limiti della paura –Te lo ripeto l’ultima volta amore, non ho voglia di perdere tempo con te: hai preso qualcosa vero?-
-No, no-
Bob strinse la ciocca bionda della moglie, costringendola a guardare la borsa aperta –Non hai preso niente? NON HAI PRESO NIENTE???-
-No, te lo giuro, no!-
-Sei solo una puttanella, lo sapevo che non avrei mai dovuto sposarti. Ti sei fatta di droga, ti sei pisciata addosso, guarda la tua pancia! Sei grassa.-
Lucy si accasciò al suolo, mentre un’altra coltellata di dolore le attraversava lo stomaco –Bob, io sono incinta.- sussurrò.
-Cos’hai detto?-
-Sono incinta.- ripeté lei, piano.
-CHE COSA?!- Bob era fuori di sé dalla rabbia, o forse no, erano sentimenti troppo contrastanti –Tu. Tu. Tu sei incinta e non me l’hai mai detto.- concluse, con più calma.
-Pensavo te ne saresti accorto da solo.-
-Ah, ora capisco. Pensavi che me ne sarei accorto da solo. Ma brava, la mia troietta.-
Strinse più forte la testa di Lucy, facendola alzare.
La sbatté al muro, avvicinò il viso al suo.
-Non dovevi farlo, Lucy. Lo sai, vero, che mi arrabbio quando lo fai. E ora… ora, hai anche rubato. Rubato, Lucy. E tu lo sai che se rubi non va bene. No, non va per niente bene.- il suo tono era calmo, come quando si parla ad un bambino che si è comportato male –Ora, Lucy, tu te ne vai. Tu, il tuo vestito sporco di piscia e il tuo cazzo di bambino. Non voglio più vederti qui, mai più.-
Lucy osò alzare lo sguardo, era troppo impaurita per muoversi da quell’angolo, per staccarsi dalla presa del marito.
Lo guardò negli occhi e lui alzò il braccio velocemente.
Il contatto della sua mano con il viso della donna provocò uno schiocco secco, seguito da un mugolio di dolore.
Con il viso arrossato si accasciò a terra, mentre la pancia la fece tremare di nuovo.
Bob la trascinò alla porta, dove con un calcio la fece uscire.
-Ah, puttana, guarda che quella non è piscia. Ti si sono rotte le acque.-
Lucy lo guardò senza capire.
-Vuol dire che tuo figlio sta per nascere, sta per aprirti la figa, sta per uscire, testa di cazzo. Divertiti.-
Detto questo, sbatté la porta.
Lucy si trascinò lungo il vialetto, fino a raggiungere il marciapiede.
Aveva lasciato una scia di sangue, la pancia pulsava, la faceva tremare.
-A-aiuto. Aiuto. Sono incinta, salvate il mio bambino. Vi prego.-
 
Una mano la scosse, piano.
-Signora Pritchard?-
Lucy aprì gli occhi, ma la luce la costrinse a richiuderli subito dopo.
-Signora Pritchard, lei deve andarsene di qui.-
Senza capire, Lucy guardò la donna vestita di bianco.
Tutto era bianco, in quel posto.
Era morta? Quindi era così il paradiso.
Cazzo, perché si trovava in paradiso? L’inferno era il posto giusto per una come lei.
-Signora, sa dove si trova?-
Lucy scosse piano la testa.
-Lei è nell’ospedale di Berkeley, suo figlio è nato, ce l’ha fatta, nonostante le condizioni in cui si trovava quando l’hanno portata qui. È un miracolo, capisce?-
-Lui… io… posso vederlo?-
-Lei aveva assunto droghe prima del parto. In dose abbondanti.- la guardò negli occhi –Le porteranno via il piccolo, lo sa, vero?-
-Che… cosa?-
-Mi dispiace. Ora se ne deve andare, non può stare qui, capisce? Non possiamo tenerla, lei non ha un assicurazione sulla vita, non paga le tasse da anni, è del tutto fuori regola, lo sa vero? Quindi, si alzi, per favore.-
-No. Voglio vedere mio figlio, prima. La prego, signora.- Lucy, proprio lei, la donna che non aveva mai guardato in faccia a nessuno, che non portava rispetto, che odiava tutto e tutti, proprio lei, stava pregando un’infermiera per farle vedere un bambino, quel bambino che aveva tanto odiato in quei nove, lunghi mesi.
L’infermiera si guardò intorno per un attimo, prima di tornare a fissare Lucy –Ok, va bene. Ma non può stare molto, lo sa? Se qualcuno ci vede per me è finita, capisce? Sto mettendo a rischio il mio posto per lei, signora Pritchard. Forza, si alzi. Dobbiamo sbrigarci, capisce?-
Lucy annuì con la testa.
-L’ha capito? Si muova.-
Con uno sforzo immane Lucy si alzò e seguì l’infermiera fuori dalla stanza silenziosa.
Immaginò che doveva essere tardi, notte fonda, tutti i pazienti dormivano, i medici non giravano per i corridoi.
Superarono il reparto maternità, dove decine di mamme dormivano nei loro letti.
Raggiunsero subito il reparto neonatale.
Dietro al vetro, bambini e bambine nati da poco riposavano tranquilli.
Nessuno piangeva.
Ogni culla aveva un fiocco rosa o azzurro e un cartello con il nome.
Lucy individuò un viso, fra i tanti.
Un bambino dalla testa bionda dormiva pacificamente.
-È quello, vero?-
-Sì, è lui. Lo guardi. Dorme come un angelo, vero?-
Mentre l’infermiera fissava il piccolo, Lucy aprì la porta della stanza ed entrò. Raggiunse il figlio e lo strinse al petto.
Lo baciò, lo accarezzò, si accasciò a terra con lui.
Dopo poco, o forse tanto, il tempo non aveva più una dimensione in quella stanza, l’infermiera entrò.
-Signora Pritchard, sta arrivando il capo reparto, lei deve andare, capisce?-
Senza staccare gli occhi dal figlio, Lucy prese una penna dal camice dell’infermiera.
-Ciao, piccolo.-
Scribacchiò qualcosa su di un foglio, poi strinse forte il neonato.
-Signora, deve uscire, subito! Il caporeparto è qui! Signora, signora! Per favore, capisce? Capisce?!-
La porta si aprì e il dottore entrò.
-Lei cosa ci fa qui? Infermiera Logan? Quella chi è?-
-Una paziente, dottore. Quella drogata. L’ho trovata qui, non si vuole staccare dal figlio, lo sa? Bisogna portarla via, capisce?-
-Forza, prendile il bambino, io la porto fuori.-
Lucy non si era accorto di ciò che stava succedendo. Sorrideva al piccolo, lo baciava, lo accarezzava, lo stringeva a se.
Quando due braccia potenti la presero per le spalle, Lucy stava baciando il figlio.
L’infermiera Logan prese il bambino.
Lucy iniziò ad urlare –LASCIATELO! LUI E’ MIO FIGLIO! LASCIATEMI! STRONZI! BASTARDI! LASCIATEMI! CAZZO, LASCIATEMI! Il mio bambino, il mio bambino! MICHAEL!-
Il caporeparto la buttò fuori dall’ospedale, lasciandola sola al suo destino.
-Michael… Michael…- Lucy pianse, lacrime di veri sentimenti dopo mesi di indifferenza e apatia -Michael…-
 
Dopo aver finito di allattare i bambini, l’infermiera Logan passò a controllare il “figlio della drogata”, com’era stato soprannominato nel reparto.
Chinandosi su di lui, notò un foglio per terra.
Lo aprì.
MICHAEL RYAN PRITCHARD, CON AMORE.
   
 
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