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Autore: LyraWinter    05/05/2012    13 recensioni
Dicono che lo sguardo sia lo specchio della nostra anima: se solo
riesci a guardarvi attentamente, mostra quello che portiamo nel cuore,
quello che siamo e quello che diventeremo.
Gale aveva
l’infinto negli occhi.
Peeta aveva
me. 
E, fissandolo al chiarore della notte d’inverno, mi accorgo
che se solo potessi trovare la strada per raggiungere quella Katniss
che vi si riflette sarei salva.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gale Hawthorne, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ad Elle, che non cade vittima di THG, ma ha letto questa storia
solo perché l’ha scritta la sua bimba.
 
Ad Erica, che sa riconoscere le trappole, ma cade solo in quelle giuste
e che è in ogni parola di questo racconto.

 
 



 

Mille e mille volte ho ascoltato la sua voce senza sentirla.


Ho osservato le sue labbra schiudersi e muoversi lentamente, senza produrre alcun suono. Come in quell’ incubo ricorrente che tormenta le mie brevi notti, nelle quali non vi é suono o carezza a vegliare sul mio animo straziato dai ricordi. In quei frangenti, solo il terrore mi tiene compagnia. Lacerante, violento, si fa strada nel mio letto, paralizzando le mie membra, incapaci di fuggire lontano dal  baratro di orrore in cui si tramuta la mia mente al calare dell’oscurità. Cupa, minacciosa, muta.
Urlo, ma nessuno può udire la mia voce, nemmeno io. Tendo le orecchie, ma non capto alcun rumore. Inerme, dinnanzi al rinnovato strazio provocato dalle visioni, mi è solo concesso di assistere, come un qualunque spettatore, alla crudele proiezione della realtà che la mia mente tormentata propone. Disperata, come un animale braccato, mi sembra di impazzire di dolore, impotente, atterrita e non mi rimane altro da fare che attendere la morte, o desiderarla ardentemente. Ma quella non viene mai. Ogni notte una persona cara soccombe sotto i miei occhi: Rue, Peeta, Gale, Prim, persino Haymitch vedo cadere vittime del sadico operato degli Strateghi. Sopraggiungo sempre troppo tardi e non posso fare altro che ascoltare il loro silenzio assordante, guardarli gridarmi disperatamente aiuto, comprendendo che è troppo tardi. Come creatura selvatica, privata dell’ udito, non sono nulla.  
Nemmeno al sopraggiungere dell’alba i fantasmi che affollano le mie notti mi abbandonano. Ciò che mi ha recato conforto, nei desolati giorni in cui continuavo ad esistere senza vivere, non mi porta più alcun giovamento: Peeta mi parla, ma io non riesco ad udirlo. Non ricordo più che suono abbia la sua voce.


Mi manca quel soffio che mi lambiva il volto affranto ed affaticato, che mi confortava quando un dolore senza soluzione di continuità mi tormentava il corpo ed il terrore mi paralizzava, come letale veleno di serpente che raggiunge il cuore.É così che ci si sente quando si muore intossicati? Forse la morte non era nulla confronto a quello che ci ha riservato la vita durante gli Hunger Games; é questo il motivo per cui, per evadere a tanta sofferenza, io e Peeta ci siamo creati un angolo di mondo solo per noi. Un universo di sguardi, di silenzi, sussurri, bisbigli e carezze ove, il più delle volte, non occorreva parlare, bastava sentire.


 

Mille e mille volte ho cercato i suoi occhi, senza trovarli.

 


Ho incrociato il suo sguardo fuggevole, senza mai incontrarlo. Mi hanno strappato tutto; hanno deturpato la mia infanzia, la mia innocenza, la mia libertà, se così poteva essere chiamata. Tutto è ora affidato alle mani del pubblico e del suo volere. Mi ero illusa che fuori dall’Arena ogni cosa sarebbe tornata come prima della Mietitura, che avrei riacquistato i diritti che avevo sulla mia persona, ma mi sbagliavo: gli Hunger Games non conoscono fine. A Panem, la brama del controllo e la fame di onnipotenza non si placano mai. Lo sa bene Haymitch che, per sopportare la privazione del potere decisionale sulla propria vita, perde anche quello dei sensi, abbandonandosi all’effimera illusione di oblio e stordimento provocata dall’alcool. Non sono che una pedina nelle loro mani, pronta a dargli tutto, per avere salva la vita. Quella stessa vita che hanno depredato, saccheggiato e lasciato vuota.
Una sola cosa, nell’angoscia di quei giorni bui, mi appariva vera: Peeta. Non il nostro amore, l’idillio di due giovani amanti sventurati costruito a tavolino per un  pubblico avido di nuove emozioni, ma lui, il suo sguardo chiaro, sincero, puro, la sua voce calda, rassicurante. Quando mi fissava al sicuro dentro il nostro minuscolo rifugio, dietro a quell’azzurro terso, scorgevo un’immagine familiare di cui mi ero dimenticata: il volto di Katniss Everdeen. Non quello del Tributo del Distretto 12 né della ragazza di fuoco. Vedevo me stessa, quello che ero prima che la mia vita diventasse il sadico passatempo di qualcun altro. Ma, nell’agonia dei primi mesi trascorsi nel Villaggio dei Vincitori, anche l’effimera quiete mi é stata negata.
Ora, dietro ai suoi occhi, si cela un mondo in cui non mi é permesso entrare: busso, ma nessuno risponde.
 

Non sono così ingenua da pensare che lontani dall’Arena saremmo potuti ancora essere così vicini da poter fuggire insieme in quel mondo fittizio, unica ragione per la quale probabilmente siamo ancora in vita entrambi. So che la vita non è abbastanza grande per permettere ad una persona di condurre due esistenze parallele  e che, una volta giunti al Distretto 12, Peeta ed io non avremmo mai potuto fare ritorno là, in quel cantuccio sufficiente per noi due soli, ma troppo intimo per accogliere anche le persone che ci attendevano a casa. Eppure mi illudevo che, in qualche modo, il nostro rapporto, sarebbe rimasto immutato. Ed invece è esploso tutto d’un colpo, spargendo attorno a noi mille cocci taglienti che nessuno dei due ha avuto il coraggio di cominciare a raccogliere.  Tentare di avvicinarsi è impossibile, con quella coltre di acuminati frammenti che ci separano: mi sembra che il nostro idillio, ormai, viva solo nella fantasia del nostro pubblico. Anche ora che sfiliamo trionfanti e sorridenti, mano nella mano, fingendo quella spensierata felicità che si legge sul volto di due giovani e innamorati promessi sposi.
Non mi ha nemmeno più toccato, come ha fatto in quei giorni. La sua pelle mi ha sfiorato tante volte, le sue braccia mi hanno stretto nelle notti senza fine tormentate dagli incubi, senza che io riuscissi a cogliere il potere salvifico di quel contatto, senza che potessi carpirne il tepore che mi aveva tenuto in vita nelle gelide notti nell’Arena. Se chiudo gli occhi riesco ancora a sentire le sue mani leggere scivolare sulla mia pelle, disegnandovi quei delicati intrecci che tante volte ho visto riprodotti nei suoi dipinti, indugiando su ogni piega, incavo, imperfezione. Ho spesso avuto l’impressione che l’anima di Peeta potesse guardare la realtà attraverso le sue dita lunghe, nervose e sottili ed osservarne l’incessante lavorio, nel dare materia al mondo che porta dentro di sé, é uno spettacolo che ancora oggi non smette di incantarmi né di stupirmi. Attraverso i suoi dipinti riesco sempre a vedere quella Katniss che, ormai, non trovo più.

 


-Dove sei, ragazzo del pane? Perché non mi parli, non mi guardi, non mi tocchi più come un tempo?-


-Immagino che la vera domanda sia: cosa resterà di noi due quando torneremo a casa?
-Non lo so, più ci avviciniamo al Distretto 12, più sono confusa-
-Beh, fammi sapere quando l’hai capito- (1)

 

Peeta sta aspettando una spiegazione che io ancora non ho.  


Come potrò fingere davanti a tutta Panem di appartenere a lui, quando non trovo casa in nessuno, nemmeno a in me stessa? Non certo nel Distretto 12, inevitabilmente cambiato dopo l’esperienza a Capitol City, nella nuova dimora al Villaggio dei Vincitori, o nella mia vecchia casa, specialmente non ora che è così vuota e spoglia di ogni ninnolo e di ogni ricordo. Nemmeno con Gale riesco più ad essere quella di un tempo.


La mia mente corre al mio compagno d’infanzia, alle sue braccia forti che mi stringono nella Casa del bosco, alle sue labbra avide che cercano le mie, mosse da un desiderio troppo a lungo sopito. Sento i suoi muscoli stringersi attorno alla mia vita assottigliata dal digiuno nell’Arena, dalla fatica, dalla stanchezza e dal dolore di essere di nuovo a casa.
Riuscirò mai a dimenticare quella stretta vigorosa, l’impeto delle sue mani sul mio fragile corpo, l’irruente lavorio di quelle dita sulla mia pelle liscia? La sensazione che ho provato quando mi ha sollevato da terra con estrema facilità, come se volesse alleviarmi da ogni fatica, compresa quella di stare in piedi a testa alta, nonostante il dolore senza fine che mi porto dentro e che mi schiaccia al suolo?
 

Niente ha più importanza, ora. Devo dimenticarmi di quel momento, se voglio avere la vita. Non la mia, di quella non mi importa più nulla, ma la loro, quella di Gale, Peeta, mia madre, Prim. Nessuno deve morire per una mia debolezza, per la puerile imprudenza di aver lasciato che le emozioni agissero per me.
 

Ricorda Katniss, sei una pedina nelle mani del pubblico. E, un pezzo di legno, non cede ai sentimenti.
 

Mi stringo nella mia camicia da notte, con il terrore di addormentarmi. È il momento più terribile delle mie giornate che si susseguono senza un senso. Mi scopro a desiderare Peeta accanto a me più di quanto non voglia ammettere, ma so che non verrà. Non dopo quello che è successo stasera.
 


-Credevo che lo volesse comunque-
-Non così. Lui voleva che fosse vero-(2)

 

Nonostante sia determinata a non scivolare nel sonno, quello mi coglie, con l’ausilio del dondolio cadenzato di questo treno che mi conduce verso il totale oblio di me stessa. Più veloce di quanto mi aspetti, le ombre della notte ed i fantasmi che albergano nella mia mente, si materializzano dinnanzi a me, senza che io riesca in alcun modo ad arrestarli.
Vedo Rue tendere la mano minuscola, gridarmi aiuto. Non odo nulla. Mi urla, lo sguardo carico di angoscia, la morte negli occhi, ma io non posso sentirla. Mi limito ad urlare a mia volta, senza riuscire ad avvertire il suono stesso della mia stessa voce. Sono vuota, persa. Grido con tutta la forza che ho in corpo, ma realizzo che in quell’incubo nessuno può accorrere in mio aiuto. Sono sperduta, ancora una volta, a lottare contro lo spettro delle mie paure.

 
D’improvviso, nell’oscurità terrificante e solitaria, un debole spiraglio di luce mi colpisce gli occhi che tengo serrati, illudendomi così di tagliare fuori le orribili immagini che splendono nitide nel mio subconscio. Sento Peeta scivolare accanto a me, la sua pelle calda sfiorare la mia, accarezzarmi il corpo serrato in posizione fetale come ultima possibilità di protezione e vengo percorsa da un brivido. È tiepido, confortante, familiare. È il risveglio di una sensazione a lungo rimasta sopita, che avevo completamente cessato di attendere, disperando di poterla provare ancora.


-Katniss- finalmente, la sua voce.


Osservo le fiere che albergano nella mia mente ritrarsi in qualche angolo nascosto, mentre davanti ai miei occhi offuscati dall’angoscia, si materializzano le forme del suo viso. Le studio come se fossero antiche compagne d’infanzia, mentre affondo il naso nell’incavo del suo collo candido, nella pelle liscia e tesa, che profuma di vaniglia e cannella, lievemente inacidita dal profumo della legna del forno che, nonostante il lungo periodo di lontananza, ancora impregna i suoi capelli. Sento il cuore impazzito dalla paura riacquistare il suo abituale battito e, lentamente, mi calmo, mentre i muscoli, intorpiditi dalla tensione della paura, si distendono.
Alzo lo sguardo per cercare il suo, nel riverbero della luna che filtra attraverso le tendine dello scompartimento. Ad un tratto, una realtà nuova mi sorprende e capisco di poter nuovamente sperare  di affacciarmi in quegli occhi limpidi, per scorgere cosa vi è dietro, cosa si cela dietro il loro azzurro cangiante.
Dicono che lo sguardo sia lo specchio della nostra anima: se solo riesci a guardarvi attentamente, mostra quello che portiamo nel cuore, quello che siamo e quello che diventeremo.

 
Gale aveva l’infinto negli occhi.
Peeta aveva me.  


E, fissandolo al chiarore della notte d’inverno, mi accorgo che se solo potessi trovare la strada per raggiungere quella Katniss che vi si riflette sarei salva.
Gale é votato all’ eccezione; quel brillio mai sopito nel profondo dei suoi occhi, quel suo vivere sull’orlo di un precipizio e l’aria di non essere mai soddisfatto. Ogni volta che lo guardo, ho l’impressione che sia sempre sul punto di scoppiare, come un violento temporale estivo, di quelli che portano finalmente un alito di frizzante e vitale brezza dopo l’opprimente calura dei torridi giorni d’agosto. Così come so che, scegliendolo, avrei in dono l’universo intero, sono consapevole del fatto che con questo dovrei sempre dividerlo. Lui è uno di quegli individui straordinari che appartengono al mondo, o forse, é il mondo che appartiene a loro. Chi sono io, di fronte alla moltitudine di gente che potrebbe alzare nuovamente il capo con un leader come il mio amico d’infanzia? Perché questo è il destino delle persone come Gale: nella miriade di volti anonimi, tutti atterriti dallo stesso interminabile, imperturbabile dolore, riuscire a fare spiccare il proprio, renderlo nitido, per farne lo specchio di quel desiderio di giustizia e libertà condiviso. Se davvero vi sarà una rivolta e lui dovesse trovarsi a scegliere fra il bene comune e me, non vi sono dubbi su chi avrebbe la meglio.


Peeta è la brezza fresca che viene dopo la tempesta, quella che riporta la quiete, in quel commovente attimo in cui la terra attonita e sconvolta dalla burrasca tace, ancora intimorita da quel violento e brusco cambiamento dello stato delle cose. Probabilmente, attraverso i suoi occhi, non potrei avere la grandezza che mi offre Gale, né proverei la stordente sensazione di essere travolta da un fiume in piena ogni volta che mi tocca. Forse però, Peeta, sarebbe in grado di farmi il regalo più grande che io possa ricevere: me stessa.


Con Gale viaggerei tutto il mondo, prima di scoprire un luogo da poter chiamare casa. Con Peeta, sarei sempre lì.


Ma ho ancora paura. Non di morire, di soffrire o provare ancora dolore: temo di percorrere quella strada che conduce a me stessa, bussare alla porta di casa, ma non trovare nessuno a rispondermi: sono ossessionata dal dubbio che si sia semplicemente stancato di aspettare le mie spiegazioni.


-So di non essere lui- dice d’improvviso, scostandomi dalla fronte una ciocca di capelli madida di sudore.
-So che stare con me è un’imposizione, che non mi sposeresti mai, se non fosse il pubblico adorante a volerlo. Fuori dagli Hunger Games, io non sono altro che il figlio del fornaio, che non ha niente da offrirti se non un rifugio dovrei potrai sempre trovare conforto-


 

Gale mi avrebbe donato il mondo.
Peeta mi avrebbe donato me stessa.

 


-So che vorresti non essere altro che Katniss Everdeen, la cacciatrice del Distretto 12. Ma, che tu lo voglia o no, sei la ragazza in fiamme; devi continuare a splendere. E, sebbene capisca che tutto questo non può recarti alcun sollievo, io sarò sempre il tuo innamorato sventurato, se solo vorrai accettarmi. E non ti lascerò mai sola, anche se non puoi sentire la mia voce, io sarò sempre qui, un passo dietro di te-

 

-Lui voleva che fosse vero-
 


Eccola, la sua proposta di matrimonio. Non quella teatrale e carica di passione, che aveva recitato per volere del pubblico in palese delirio nel momento in cui mi aveva chiesto in sposa, ma il giuramento di fedeltà alla ragazza che aveva sempre amato. Dolce, come un bacio che ti sfiora appena, delicata, come una lieve tocco che ti suscita un fremito, semplice, come lui.
Intreccio le gambe alle sue e lascio che i suoi sospiri mi accarezzino il volto, confortandomi come le carezze che mia madre soleva riservarmi prima che mi addormentassi da bambina. Mi stringe ancora più a sé e, d’un tratto, acquisisco una nuova consapevolezza.


Non posso rinnegare me stessa.
Non posso fingere di non essere il tributo vincitore del Distretto 12, la troppo giovane promessa sposa del figlio del fornaio. Non potrò mai cessare di amare profondamente il mio migliore amico, ma non riesco nemmeno allontanare la certezza che, fintanto che rimarrà al mio fianco, una parte del mio cuore apparterrà inevitabilmente a Peeta. I sentimenti che nutro per entrambi mi rendono ciò che sono, forse non una persona migliore, una ragazza coraggiosa, forte, degna di onore o lode, ma mi spronano per lottare fieramente, ogni giorno che Capitol City mi concede di vivere, nella speranza che arriverà il momento in cui tutti potremo trovare noi stessi, finalmente liberi dall’oppressione che grava su di noi sin dalla nostra nascita.
 
Devo rassegnarmi al fatto che, dopotutto, io sono la Ragazza di fuoco.

 
Questa notte, però, non voglio sentirmi altro che Katniss Everdeen, una semplice diciassettenne che dorme fra le braccia del suo ragazzo del pane.


-Hai paura?- mi domanda Peeta baciandomi la fronte, gli occhi, la punta del naso.
-Ora non più- rispondo sorridendo impercettibilmente.

 
Questa notte, so che anche i fantasmi che popolano la mia mente rimarranno quieti, nascosti in qualche angolo buio ed invisibile e che il sonno che sta catturando, ora che le mie palpebre si fanno finalmente pesanti, sarà ristoratore.

 
Questa notte so che, finalmente, sarò a casa.
 
 

Note e citazioni
 
(1)   The hunger games, cap. 27
(2)   Catching fire, cap. 5
 
Il riferimento all’infinito negli occhi di Gale ed alla vita che esplode in mille frammenti, rimandano direttamente alla più grande fonte di ispirazione che io abbia mai trovato: i libri di Alessandro Baricco. Nello specifico, troverete queste parole in Castelli di Rabbia ed Oceano Mare, letture che consiglio vivamente a chi non dovesse ancora conoscere questo autore.
La frase di Peeta - anche se non puoi sentire la mia voce, io sarò sempre qui, un passo dietro di te- altro non è che una strofa di Run, degli Snow Patrol, da cui l’ OS prende il titolo.
 
Avevo promesso che avrei pubblicato qualcosa di mio. Ho la brutta tendenza a scrivere, perdere la fiducia in me stessa e lasciare i files a marcire dentro milioni di chiavette. Ho divorato in pochi giorni i libri della saga e mi sono innamorata profondamente del trio protagonista, della complessità e della fragilità del loro rapporto per cui, appena terminata la lettura di Catching fire, mi sono lanciata nella scrittura di questa OS che parla proprio di loro.
L’ episodio, come avrete capito, si svolge la sera che Peeta fa la sua proposta ufficiale di matrimonio, davanti a milioni di telespettatori, a Katniss. Per evitare spoiler sul terzo ed ultimo capitolo della saga, dico semplicemente che continuo ad essere convinta che Katniss non smetterà mai di amare, seppur in modo molto diverso, sia Gale che Peeta. Nulla infatti, nei libri della Collins è lasciato al caso, non un nome, una citazione, un luogo e, come mi ha fatto notare Erica, deve esserci un motivo per cui la Collins, fra tanti fiori selvatici, ha scelto uno dei rarissimi esemplari a soli tre petali.
 
 
 

 


   
 
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