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Autore: WBJK    06/05/2012    2 recensioni
"In un battito di ciglia, il Vulcaniano Spock apre gli occhi, e nello stesso movimento solleva il sopracciglio destro e mormora uno dei suoi mantra preferiti: “Affascinante”."
Gli Organiani esaminano lo spirito degli alieni venuti a portare la guerra sul loro pianeta. Missing moment da "Missione di pace" (TOS)
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: James T. Kirk, Spock
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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In un battito di ciglia, il Vulcaniano Spock apre gli occhi, e nello stesso movimento solleva il sopracciglio destro e mormora uno dei suoi mantra preferiti: “Affascinante”.

Non ricorda nulla del cambio di scena, l'ultima immagine cosciente che riesce a richiamare è l'istante in cui i Klingon hanno fatto irruzione nella sala del consiglio di Organia, il momento in cui Ayelborne ha loro consegnato i due ufficiali della Flotta.

Ora si trova in quella che immagina essere una delle segrete del massiccio castello sovrastante il pacifico, per quanto il termine giusto sia probabilmente “stagnante” villaggio extraterrestre. Non sa come ci è arrivato, non sa quando sia stato avvolto nelle pesanti catene capaci di imbrigliare anche l'enorme potenza dei muscoli vulcaniani, non ricorda di avere subito lo stordimento di un phaser. Sa che, fosse stato lucido al momento in cui l'hanno legato, avrebbe fatto in modo, sfruttando le conoscenze che un popolo anticamente guerriero aveva tramandato ai suoi freddi discendenti, di essere meno ristretto dai legami.

L'inspiegabile amnesia di quei minuti lo incuriosisce da scienziato, e da scienziato comincia a valutarne le possibili cause, mentre un'altra parte del suo formidabile cervello si dedica a calcolare le possibilità di salvezza dall'attuale situazione. Calcolo non difficile, in verità, perchè, a meno di della comparsa di nuove, impreviste ed imprevedibili variabili nello schema, al momento assai poco probabili, esse si approssimano allo zero. Per la precisione, 0,0082 possibilità su un milione di trasformare l'evidente disfatta in una vittoria, 0,10 possibilità su un milione semplicemente di sopravvivere. In ballo c'è una guerra appena iniziata e la possibilità offerta ai Klingon su un piatto d'argento di ottenere preziose informazioni sullo spiegamento delle forze Starfleet non meno che sulle proprietà delle sue navi dalla viva voce di uno dei suoi migliori Capitani: James T. Kirk, che ora è legato a quella che è senza dubbio la sonda mentale Klingon, apparecchio rozzo per gli standard di telepatia tattile dei Vulcaniani, ma estremamente efficace nel dragare, letteralmente, la mente del soggetto sottopostogli fino alla totale distruzione del suo pensiero cosciente. Processo peraltro, e non casualmente, insopportabilmente doloroso in particolare modo per gli umani.

Esaurito rapidamente il calcolo delle probabilità, Spock inizia ad analizzare accuratamente le proprie sensazioni: non c'è molto altro che possa fare ed è impossibile per la sua natura smettere di speculare. Intanto continua a non trovare ragioni logiche per la sua amnesia: è come se avesse perso qualche minuto di vita senza un motivo apparente.

James Kirk è legato, le braccia in croce, bande metalliche a stringergli i polsi e le ginocchia contro la parete che ospita la sonda mentale, lo sguardo fiero, non apparente traccia di paura mentre attende di essere distrutto. Per Spock è semplice indossare la maschera della completa impenetrabilità: l'infanzia e l'adolescenza vulcaniane sono progettate a tavolino per eradicare le emozioni attraverso la loro completa negazione. I Vulcaniani non nascono né asserviti alla logica né completamente privi di emozione, tutto il passato di Spock lo dimostrava: il razzismo, una delle cose semplicemente più irrazionali esistenti, di cui era stato vittima, propugnato dai figli di Vulcano non meno che dai loro genitori, e che tuttavia gli aveva permesso, anche per rivalsa, di primeggiare costantemente tra i suoi pari, tanto da potersi concedere il lusso di rifiutare un posto all'Accademia delle Scienze di Vulcano; l'inspiegabile, in termini logici, delusione del padre Sarek a questa scelta, tale da interrompere ogni contatto con il figlio; la mera esistenza di Sybok. Occasionalmente Spock pensava, sforzandosi di mantenere l'osservazione priva di orgoglio, una mera constatazione dei fatti, che la grandezza del pensiero di Surak si concretizzasse solo in un mezzosangue come lui.

La differenza tra i Vulcaniani e le altre specie conosciute nel fazzoletto di universo esplorato sta nell'avere coscientemente e scientificamente cercato un modo per alleggerire, eventualmente eliminandolo, il gravoso carico delle emozioni. Surak aveva mostrato la strada, ancora ben lungi dalla perfezione, che solo alcuni tra i Vulcaniani cercavano di raggiungere tramite la disciplina del Kohlinar, di cui solo le basi erano patrimonio di tutto il pianeta. Spock si sorprese divertito al pensiero di come il Dr. McCoy, da psicologo umano, ritenesse che tutta la disciplina vulcaniana non fosse altro che l'amputazione, non indolore né priva di conseguenze, di una parte di sé. Che avrebbe detto l'irritante, sensibilissimo umano, se avesse saputo che anche ai Vulcaniani, una volta ogni sette anni, era consentito lasciar esplodere il tormento interiore?

Per James Kirk non può essere altrettanto facile fingere la sicurezza davanti al destino che lo attende. Spock lo osserva mentre i Klingon gli applicano grossolani elettrodi sui punti di emergenza dei nervi cranici: manovra cruenta e dolorosa, e, a parte qualche smorfia, Kirk non si permette un gemito. Spock sa che sta raccogliendo tutte le sue forze per resistere più possibile, sa che è consapevole di non poter vincere questa battaglia e sa che è terrorizzato dalle implicazioni di ciò che inevitabilmente rivelerà. Non può non provare ammirazione per lo stoicismo che il suo Capitano dimostra di fronte alla tortura e alla morte e sa, intimamente sa, che è la sua umanità, sono le sue emozioni a dargli questa forza.

Parte del suo cervello ribalta il problema: è teoricamente possibile che, se non ricorda come ha perso questi minuti di vita, non li abbia persi affatto? Ma mentre si applica a valutare il nuovo problema, la sonda mentale viene attivata: James Kirk, circondato di luce violetta, tende ogni muscolo e dopo qualche secondo grida.

Improvvisamente, il pensiero finora negato da Spock si fa strada con violenza: sta per perdere l'unico amico che abbia mai avuto.

Il Comandante Klingon Kor lo guarda con intenzione mentre modula sapientemente la sofferenza di Kirk, concedendogli brevi istanti di sollievo, che sono per Spock i più strazianti, nel vedere l'alternanza dell'abbandono e dell'agonia dipingersi sulla figura del Capitano. Incosciamente, i muscoli del Vulcaniano si sono tesi a loro volta solo per incontrare una resistenza imbattibile, solo i mimici restano pervicacemente rilassati conferendogli la consueta espressione impenetrabile.

Presto di Jim Kirk non resterà che l'involucro, presto Spock sarà di nuovo completamente solo, mutilato dell'irrazionale, preziosissima gioia di vivere con cui il suo amico lo ha lentamente contagiato senza mai imporgliela, offrendogli un rispetto e una sincerità che gli erano sconosciuti, regalandogli persino una maggiore consapevolezza del suo ruolo nel mondo.

Spock sopravvivrà alla morte di Jim Kirk, e neanche per un momento pensa di salvargli la vita consegnando la sua conoscenza, troppo alta è la posta in gioco. Ma sa che non sarà lo stesso Spock, e già cerca dentro di sé la via vulcaniana al lutto.

Intanto il suo cervello continua a scandagliare la realtà circostante cercando di dimostrare, contro ogni percezione sensoriale, che non sta davvero vivendo quel momento, che l'unica spiegazione per quell'amnesia è che di fatto ciò che avviene sotto i suoi occhi, l'espressione di terrore e dolore che devasta i lineamenti gentili di Kirk, il sangue che gli cola dal naso, dalle orecchie, i polsi arrossati nello sforzo di liberarsi, la voce ridotta a un sospiro, non è reale.

Kor molla la presa, Kirk si proietta in avanti, neanche il sollievo di accasciarsi gli è permesso dai legami che costringono le ginocchia in estensione, la respirazione affannosa, il volto insanguinato. Il comandante Klingon esamina quanto è riuscito ad apprendere durante la tortura, ma non sembra soddisfatto. Ordina qualcosa nella sua lingua gutturale, e subito un soldato si dirige verso Kirk esaminandone le ferite e, apparentemente, i segni vitali. Quando gli solleva la testa, Spock vede con orrore la mancanza di espressione degli occhi aperti sul niente. Il Klingon torna dal suo Comandante a rapporto, e Kor annuisce come se già si aspettasse quanto riferito. La testa di Kirk è ricaduta sul petto, Spock non può vedere se qualche scintilla di vita è rimasta negli occhi del Capitano finalmente a riposo.

E mentre cerca, esplorando il corpo esanime, qualche indizio che lo rassicuri, improvvisamente nota il simbolo della nave sul petto del Capitano.

Che non può essere lì, che non è reale.

E in un battito di ciglia tutto scompare.

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In un battito di ciglia, il Comandante Kor è nel suo alloggio a compilare rapporti: non è cosa di tutti i giorni poter comunicare una vittoria così grande.

Ha il rimpianto di non essersela guadagnata da solo: Baroner era evidentemente un tipo pericoloso, ma sarebbe stato comunque poco più di un fastidio se gli Organiani non lo avessero tradito rivelandone l'identità di Capitano dell'Enterprise.

Tuttavia, la riuscita di questa missione gli procurerà onori insperati, tanto peggio se conquistati meno che onorevolmente. Kor non si fa scrupoli di sorta.

Dall'intercom gli arriva improvviso il rumore di una colluttazione. Si alza e si dirige rapido verso la sala della sonda mentale, a un tempo incuriosito ed allarmato, la scena che gli si presenta davanti lo rende orgoglioso del suo avversario: due Klingon giacciono ai suoi piedi, uno tenendosi la faccia l'altro i testicoli, e il Capitano dell'Enterprise ha già le braccia legate!

Kor prova ammirazione per la tempra di questo guerriero, e ora lo teme: terribili storie si raccontano sugli umani sul suo mondo natale, molti valorosi Klingon hanno perso la vita ingannati dai sortilegi di questa disgustosa specie pallida, molti sono stati sadicamente massacrati negli avamposti da questi mostri privi di onore e di pietà.

Tanto meglio: sarà un'impresa piegare questo formidabile guerriero, e gli toglierà dalle spalle un po' della vergogna che prova per averlo catturato con tanta facilità.

Ma, prima, vuole vedere se i suoi indegni sottoposti hanno imparato a non sottovalutare gli avversari.

Kehler, il terzo dei suoi addetti alla sonda, si sta avvicinando cautamente all'uomo legato, attento a non entrare nel campo visivo. Con uno scatto gli si avvicina a tiro e lo colpisce al volto con un pugno ben piazzato e potente che lo stordisce. Velocemente, Kehler si china per immobilizzare anche le gambe del Capitano, ed è proprio allora che riceve un potente calcio in faccia che lo spedisce a tenere compagnia agli altri due.

In quel momento Kirk si accorge della presenza di Kor e lo sfida apertamente, insinuandone la viltà, offendendo sanguinosamente la sua persona e la sua casata.

Kor è tentato di accettare la sfida, ma prima di essere un onorato guerriero e un abile comandante è un soldato, e le informazioni che può strappare al terrestre sono di incalcolabile valore. Quindi non si lascia provocare e si avvicina alla consolle di comando della sonda mentale, poi la attiva.

Il Capitano dell'Enterprise si inarca gridando quando la luce violetta lo circonda e si accascia quando si spegne. Kor ordina seccamente ai suoi uomini di completare i preparativi, ed è Knod, quello col naso spaccato, ad obbedire per primo. Kirk non dà segno di essersi ripreso dalla bomba psionica che Kor gli ha fatto esplodere nel cervello, per un attimo alla massima potenza.

Cautamente il Klingon si avvicina alle letali gambe dell'umano, e proprio quando pensa di poter portare a termine questo faticoso supplizio (ah, se la godrà quando il prode umano soffrirà a lungo, eccome se se la godrà!), si prende un altro calcio sul naso, accompagnato da una fragorosa risata. Non ragiona più per la rabbia, il dolore, l'umiliazione, quindi sguaina il coltello trilama e colpisce il terrestre all'addome, spezzandone la risata. Kirk strabuzza gli occhi, singhiozza e nel singhiozzo sputa un fiotto di sangue, segno che la coltellata ha colto lo stomaco. Poi sviene.

Kor non ha fatto in tempo ad impedire l'assalto armato, la rabbia lo invade. Knod ha compromesso la missione per un impulso, non è un comportamento da guerriero. Lo uccide, poi ordina agli altri due di condurre il prigioniero vulcaniano: i due sono colleghi, e forse l'alieno saprà come curare l'umano che gli sta morendo tra le mani con un coltello piantato nell'addome, senza ancora aver rivelato nulla di ciò che lo interessa.

Il Vulcaniano giunge poco dopo, stretto nelle bande metalliche che imprigionano anche il capitano, e che gli consentono appena di muovere le mani, tenuto costantemente sotto tiro dai due Klingon.

Entrato nella camera di tortura, Spock solleva il sopracciglio destro, e questo è il massimo che dedica al suo Comandante ferito, per l'ira e il disprezzo di Kor, che a livello addirittura istintivo ripugna i Vulcaniani. Li considera, in ragione della supponenza che manifestano persino quando commerciano nella mota dell'universo, una specie infida, melmosa come una palude. Per questo li sterminerebbe tutti, se solo ne avesse il potere. Potere che può dargli l'umano incosciente che è riuscito a beffarlo facendosi ammazzare appena in tempo.

Kor sente crescere in sé il rispetto per questo nemico, e cionondimeno l'urgenza di ottenere le informazioni che gli servono adesso lo preme, e sarebbe disposto a fare un patto con il diavolo per rianimare Kirk.

Con uno sguardo perentorio indirizza il Vulcaniano verso il suo Comandante. Docile, questi obbedisce e si avvicina all'uomo legato, forse appena un'ombra di preoccupazione negli occhi notturni.

Giunto a pochi centimetri dal corpo di Kirk, Spock si permette nuovamente un sopracciglio alzato, che risveglia in Kor la speranza che non tutto sia perduto. Il Comandante Klingon osserva l'impeccabile piega dei capelli del Vulcaniano oscillare a destra, a sinistra, chinarsi a contemplare la ferita del terrestre, avvicinarsi al volto. Tende le orecchie, temendo che i due possano accordarsi in qualche modo. Con sua somma irritazione, il Vulcaniano si prende tutto il suo tempo e forse anche qualche minuto di più per emettere, con quella voce piatta che Kor detesta sopra tutto, il suo verdetto: “E' ancora vivo.” E lì si ferma, aspettando la reazione di Kor, che lo guarda stupefatto.

“Questo è tutto, viscido verme?”, sbotta il Klingon, incontrando un volto completamente amimico, l'incarnazione dell'indifferenza. Spock rimane muto, concedendogli solo la fuggevole espressione di condiscendenza che normalmente riserva al Dr. McCoy.

“Curalo!”, ordina Kor, sempre più irritato, ma il Vulcaniano semplicemente si gira ad osservarlo, il solito maledetto sopracciglio sparato verso i capelli.

Ora Kirk si lamenta piano, Kor prova un rapido sollievo quando gli occhi asettici di Spock si spostano nuovamente sul Capitano. Per un breve istante teme ancora che i due stiano concordando un piano, e suo malgrado rabbrividisce all'idea. Tuttavia, anche se assistiti da Kahless in persona, i due prigionieri federali non hanno nessuna possibilità di sfuggirgli: lo scenario peggiore è che Kor sia costretto ad ucciderli senza ottenere alcuna informazione, il che significa che potrà recuperare l'onore del guerriero sul campo di battaglia invece di barattarlo indegnamente con l'onta del boia. Quasi si augura che la situazione si sviluppi in questo modo.

“Il Capitano Kirk ha perso molto sangue, la ferita è mortale”, dice atono Spock. “Ed è del tutto illogico ordinarmi di curarlo perchè la tortura prosegua”.

Kor non si aspetta niente di meno, ormai sa che la sua grande occasione è sfumata: non ha nulla con cui minacciare il Vulcaniano. Si rivolge ai suoi per impartire l'ordine definitivo, ma prima che possa parlare la debole voce di Kirk lo gela nel mezzo dell'azione.

“Spock... la prego... mi aiuti...”

Per la prima volta Kor nota nell'algido alieno dalle orecchie a punta l'ombra di un'emozione. Percepisce improvvisamente che i due sono amici, e l'amicizia è un sentimento di cui nessuno che metta in gioco la propria vita può fare a meno, neanche i Vulcaniani. Forse è il punto debole su cui far leva.

Con cautela, sperando che lo sguardo attento del Vulcaniano, sempre puntato sui suoi occhi, non registri il movimento, aziona la sonda ancora una volta, e di nuovo Kirk si anima come una marionetta gridando.

Il grido fa breccia nel Vulcaniano, che si avvicina al suo Comandante con urgenza quando lo vede ricadere.

Con grande sforzo, Kirk solleva la testa. La preghiera nei suoi occhi è tanto grande che per un momento persino Kor ne prova pietà. Non sembra la stessa persona che pochi minuti prima lo sfidava, in definitiva Kor potrà gloriarsi di averlo spezzato.

Senza espressione come sempre, il solito, angustiante, tono piatto, Spock dichiara: “Dovete liberarmi le mani”.

Kor valuta rapidamente se obbedire, lo scenario peggiore è sempre che sia costretto a uccidere entrambi, ma se corre il rischio di liberare temporaneamente il Vulcaniano, il suo premio potrebbe essere tutta quella parte di galassia.

Fa cenno a uno dei suoi di liberare Spock, e, nell'istante in cui è libero, coglie con terrore un sorriso selvaggio sul volto insanguinato di Kirk. Tutto si svolge in un attimo: Spock estrae istantaneamente il coltello dall'addome del Capitano, con velocità disumana e in un unico, agile movimento quasi di danza, sgozza al volo i due Klingon che lo sorvegliano. L'istante dopo si avventa sui legami di Kirk, sbrigliandoli, e con immensa meraviglia di Kor l'umano, agonizzante appena prima, si distacca dalla parete senza alcuno sforzo.

Altri soldati arrivano ad ondate, Spock si dedica meticolosamente ad ognuno di loro in un roteare di colpi mortali che in pochi secondi riempiono di sangue rosato e denso il pavimento. Kor non gli ha più visto usare il coltello, sono solo le mani che mulinano e devastano e si riempiono di sangue Klingon.

Perchè il coltello è ora nelle mani di Kirk, che lascia compiere al suo schiavo l'eccidio mentre si avvicina con espressione malvagia al comandante Klingon. La ferita sull'addome è completamente rimarginata.

Con imprevedibile precisione Kirk scatena il coltello sui punti nevralgici di Kor (come fa a conoscerli?). L'ultima cosa che vede il comandante Klingon nell'agonia è il ghigno di Kirk mentre abbassa ed alza il coltello su di lui, l'ultima cosa che pensa mentre dà l'addio alla vita e, molto in fondo a sé, si compiace di come sta affrontando la morte, è che alla fine la guerra è un inutile e stupido spreco di potenziale, soprattutto quando la si combatte contro mostri simili.

Per un attimo, rimpiange che la sia vita sia stata quello che è stata e dedica un fuggevole ricordo alla famiglia, alla casata che non rivedrà.

E in un battito di ciglia tutto finisce.

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In un battito di ciglia, James Kirk si ritrova al buio. Sperimenta un breve attimo di smarrimento - così presto è scomparsa ogni speranza? - poi la cruda realtà gli si impone con il suo carico di presagi infausti.

Si trova in un corridoio angusto, illuminato solo da qualche torcia che proietta intorno ombre spaventose, è condotto verso un chiarore violetto poco distante da tre massicci Klingon apparentemente disarmati: è evidente che non vogliono correre il rischio di ferirlo o ucciderlo prima di aver ottenuto da lui tutto quello che è in grado di dare.

La consapevolezza di quello che sta per accadere si incarna nel crampo che improvviso gli contrae lo stomaco, nel peso che vi si stabilisce, ed è quello che definitivamente lo riporta alla realtà. La realtà è una cosa che conosce, con la quale può fare i conti alla ricerca di un'alternativa. Non si permette di cedere al panico nell'anticipazione delle conseguenze: il corridoio è breve, ed è la sua unica possibilità di ritardare l'interrogatorio, di guadagnare quel tempo che serve alla sua nave per raggiungere la Flotta e riorganizzare la difesa prima che ogni sua debolezza venga rivelata.

Non indulge nel timore delle conseguenze, il Capitano dell'Enterprise, ma sa che ce ne saranno: le sue sole possibilità sono sfuggire ancora una volta alla morte oppure arrendersi ad essa. Non prende in considerazione neanche per un momento la terza, spaventosa alternativa, permettere ai Klingon di dragargli la mente: sua è la responsabilità dei mondi che popolano la Federazione, suo l'onere di sacrificarsi per essi. E' la vita che ha scelto e che ha amato. E ora, con ogni probabilità, è finita. Lo accetta, lo accoglie. Ma non si abbandona nella certezza della fine.

Mentre il gruppo si avvicina al chiarore, dedica solo un momento all'addio alla vita e alle stelle, poi ogni suo atomo è alla ricerca di un'alternativa.

I tre Klingon hanno fatto un errore, probabilmente perchè ritengono che la loro stazza sia sufficiente ad imbrigliare il pallido e debole umano: lo circondano, ma non lo costringono. Uno precede il gruppetto, gli altri due affiancano Kirk: c'è spazio per una sortita, e poi avvenga quello che deve avvenire.

In prossimità di una delle torce, il Capitano raccoglie tutte le sue forze e d'improvviso scarta, travolgendo nella corsa il Klingon che lo precede, afferra il legno in fiamme e in un'unica piroetta lo dirige sulla faccia del nemico più vicino, puntando e trovandone gli occhi. Questi gridando si accascia a terra, e Kirk si dirige brandendo la torcia verso gli altri due, nelle cui mani spuntano i coltelli trilama. Istantaneamente il capitano valuta la possibilità di avventarvisi per lasciarsi trafiggere, e istantaneamente la scarta: lo stallo attuale è sempre meglio che precludersi definitivamente ogni opportunità. Se ne avrà il tempo, lo farà quando la colluttazione richiamerà altri soldati. Riesce a guadagnare qualche metro, tenendo a distanza i suoi nemici con la torcia, rintuzzandoli con eleganti affondo da schermidore, mentre tende l'orecchio a percepire l'arrivo dei rinforzi. I Klingon non spingono il loro attacco, hanno tutto il tempo del mondo e l'ordine preciso di non danneggiare l'umano, pena ne sarebbe affrontare in sua vece la sonda mentale.

Improvvisamente, Kirk avverte dietro di sè la corsa elefantiaca del terzo Klingon, colpevolmente ignorato dopo il primo assalto. Istintivamente lo evita, ma così facendo si trova spalle al muro, con la guardia esposta agli altri due che, da soldati, non si lasciano sfuggire l'occasione. Un pugno raggiunge in pieno volto il Capitano dell'Enterprise, la sua forza spinge la testa dell'umano contro il muro stordendolo. Kirk cade, e in due stavolta lo afferrano saldamente per le braccia e riprendono la marcia verso la luce violetta.

Kirk non si oppone: la lotta per non perdere conoscenza è sufficientemente impegnativa, lasciandosi trascinare aspetta che il mondo smetta di girargli attorno e i conati di vomito si riducano. E in quel momento, mentre accecato dal dolore è indifeso, la sua paura finalmente esplode.

James Kirk vede, come se gli stesse accadendo davanti, la flotta Klingon tagliare come il burro le difese federali, devastare migliaia di mondi, massacrare intere popolazioni; vede sè stesso nei panni di Christopher Pike; vede, più e più volte, esplodere la sua nave, torturare e uccidere il suo equipaggio. Vomita.

Poi vede le manette sulla parete violacea della sonda mentale, e uno schizzo animale di adrenalina gli restituisce lucidità.

Esamina la situazione: a destra la sonda mentale, due manette e due ginocchiere, se arrivano a legarlo non c'è più niente da fare. La consolle dei comandi è sulla sinistra, la stanza è piccola e spoglia, ma c'è un pò di spazio per agire. Due Klingon lo trascinano verso l'apparecchiatura, il terzo, quello ustionato, si dirige verso la consolle.

Mettendo tutto quello che ha nella mossa, mentre i suoi carcerieri lo sollevano per legarlo, colpisce con il tacco l'avampiede di uno dei due con tanta forza da sentire le dita rompersi. La presa del Klingon si allenta, e Kirk rotea il braccio libero fino al volto del secondo Klingon affondandogli le dita negli occhi. Subito dopo spara un calcio in faccia a quello, inginocchiato al suo fianco, che ancora si tiene il piede e quindi, pregando di non inciampare, di non essere ostacolato, li scavalca entrambi e a lunghi passi molto più sicuri di quanto non si senta lui stesso, raggiunge alla consolle il terzo Klingon, che non ha avuto neanche il tempo di capire, lo afferra dietro la nuca e ne spinge con tutta la violenza che può la faccia sui comandi.

Scavalca d'un balzo la consolle, ne approfitta per atterrare senza pietà, chè non ce n'è lo spazio nella macchina da guerra che è diventato, sulla testa del Klingon e, stando bene attento ai suoi movimenti, gli strappa il coltello trilama dal fianco. Esita un momento sull'uso da farne, valuta la possibilità di finire i nemici a terra, di cercare di distruggere la sonda, di uccidersi. Ma l'istinto più forte, quello che mille volte lo ha salvato, gli ordina di scappare, ci sarà tempo dopo per farsi ammazzare.

Nell'imboccare la via di fuga, il Capitano dell'Enterprise si permette anche un sorriso spavaldo di scherno, un sorriso che diventa di vera gioia quando nel corridoio intravede l'inconfondibile sagoma di Spock che gli si avvicina armato.

Un sorriso che rapidamente si spegne quando arriva a portata dello sguardo del Vulcaniano, freddo, distante come non l'ha mai visto, nemico.

"Mi dispiace, Capitano", dice Spock, e il timbro della voce smentisce la cortesia dell'espressione. "Ma non è logico sostenere la parte che non può vincere".

"No..." mormora Kirk appena prima che il raggio del phaser lo colpisca, i suoi ultimi pensieri un solo grumo di angoscia per le vite, per i mondi che sarà costretto a tradire.

E in un battito di ciglia il buio lo circonda.

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Spock non è sorpreso del nuovo cambio di scena, casomai leggermente annoiato. Ormai gli è chiaro che ha subito un esame, e non gli resta che sapere se l'ha superato. Lo sorprende invece la presenza di Kor e Kirk nel vuoto in cui si trova, senza punti di riferimento, senza neanche poter dire se stia in piedi oppure fluttuando. Con elevata probabilità la loro presenza indica che non è stato il solo ad essere esaminato.

Senza degnare il Klingon di uno sguardo, chè evidentemente i tre sono in balìa di un potere superiore contro il quale nulla può fare il loro nemico, si dirige a lunghi passi verso il suo Capitano, che trema visibilmente e guarda nel nulla, sconvolto.

“Capitano...”

Kirk non gli risponde, ma Spock lo vede tornare da molto lontano, riprendere vita e forza.

“Spock. Sono lieto che stia bene. Cos'è successo?”

“Siamo stati sottoposti a una prova, Capitano. Qualunque cosa abbia vissuto non è reale, e con ampia probabilità non lo è neanche questo ambiente.”

“Chi.”. Kirk è invaso da un'ira fredda, può comprendere che si invada la sua mente per cavarne informazioni, non comprende la violazione per una supposta “prova”.

“Non ho dati sufficienti per risponderle, Capitano. Posso soltanto dire che si tratta di un enorme potere. Potrebbe essere una potente telepatia, se in questo momento siamo indotti a pensare di stare conversando. Potrebbe essere un potere immensamente più complesso se, come penso, ci troviamo in un luogo fisico al di fuori dello spazio e del tempo.”

“Cosa glielo fa pensare?”

“Lei è vestito da Organiano, Capitano, nella mia allucinazione era in uniforme. Siamo in questo vuoto in carne ed ossa.”

“E se questa fosse ancora la mia allucinazione? O la sua? Ha ragione da vendere, Spock. Non abbiamo modo di sapere alcunchè. Possiamo solo aspettare e sperare che non sia, semplicemente, il modo in cui funziona la sonda mentale.”

“Questa naturalmente è una possibilità. Ma ritengo improbabile e non in carattere che i Klingon progettino una tortura tanto sottile, considerando che anche Kor è qui e non sembra in grado di minacciare nessuno.”

Il Klingon effettivamente è immobile poco lontano, frastornato, privo di iniziativa.

Kirk sorride, il suo Primo Ufficiale ha decisamente segnato un punto.

“Non i Klingon, quindi, è già una buona notizia. Ma alla fine la situazione è invariata: prigionieri prima, prigionieri adesso.” Ora che lo scenario gli è completamente chiaro, Kirk si calma. Non sa quanto tempo durerà l'attesa, non sa cosa avverrà al suo termine. Deve essere pronto a tutto, e per questo, ora che può, deve riposare per conservare intatta la determinazione che si è imposto durante la sua ordalia.

Poi Ayelborne appare, ieratico come sempre, quasi disinteressato. Spock lo guarda senza sorpresa, attende; Kirk nell'attesa della spiegazione in arrivo si prepara all'azione; Kor, benchè abbia a sua volta compreso di essere solo una pedina, istintivamente porta la mano al fianco cercando il suo disruttore.

"Avrete presto tutte le spiegazioni che cercate, vi basti sapere per il momento che il nostro potere è ben oltre le vostre possibilità di comprensione. Se non aveste già superato il bisogno della superstizione, ci avreste considerati dei."

Un'acuta fitta di tristezza travolge Kirk al ricordo di un vecchio amico, morto per sua mano, che tale si era proclamato. Non un dio benevolo.

"Come ha intuito il signor Spock, dovete considerare questo come un interludio di cui non avrete memoria in futuro. Prima di interferire, era nostro obbligo morale conoscervi. Ora non abbiamo altra scelta che fermarvi."

"Interferire? Fermarci?" Lo interrompe Kirk, con un sogghigno amaro. "Ci considerate esseri inferiori, ma persino noi abbiamo imparato che non c'è nulla di saggio, e meno che mai di divino, nell'interferire nella crescita di società meno evolute. Per voi siamo solo giocattoli, voi di conseguenza non siete che bambini annoiati. Perchè non vi siete rivelati prima? Perchè non avete condiviso la vostra conoscenza con l'intera galassia?"

"Un essere superiore non può interagire con un organismo unicellulare, Capitano Kirk, e questo è il dislivello che separa le nostre specie."

"No, questo è solo il livello della vostra presunzione. Dal vostro piedistallo vi guardate intorno compiaciuti, senza curiosità, senza passione. Avete dimenticato cos'è l'esistenza e pretendete di insegnarla."

"Non può comprendere le nostre istanze, Capitano" Ayelborne risponde quasi con dolcezza. "Allo stesso modo in cui un adolescente non può comprendere un anziano."

"Non mi aspettavo di meno da lei. Tutti gli dei forniscono ai loro giocattoli questa stessa risposta di comodo. Almeno ci spieghi il perchè di questa messa in scena."

"Era necessario. Dovevamo essere certi delle vostre intenzioni di distruzione universale, e dovevamo sapere come la nostra interferenza avrebbe modificato il vostro futuro, in rapporto a quello che siete.

Ora sappiamo che la sua specie, signor Spock, è molto promettente: privi di quella passione che è tanto importante per il Capitano, privi di paura, dediti all'analisi e alla speculazione filosofica, siete pronti a compiere i passi successivi che in futuro vi porteranno a raggiungere la completa consapevolezza del cosmo. La vostra evoluzione vi porrà davanti alla nostra stessa scelta, la vostra logica vi condurrà alla nostra stessa risoluzione."

"Come senza dubbio sa, ci sono infiniti futuri", risponde piatto Spock. "Lei non ha dati sufficienti per poter prevedere quale sarà il futuro di Vulcano, o dell'universo, se è per questo. Il capitano ha ragione: lei semplicemente presume."

"E lei non ha dati sufficienti per sostenere con assoluta certezza che non mi sia possibile discernere, tra i tanti possibili, il futuro cui condurranno gli attuali avvenimenti". Ayelborne sorride condiscendente, poi si rivolge a Kor.

"La sua specie non è pronta, Comandante Kor. L'ampiezza dello spazio vi ha tanto intimorito che la vostra arroganza è addirittura grottesca. Presto però le cose dovranno cambiare, e forse siete proprio voi quelli che trarranno il massimo vantaggio dalla nostra ingerenza."

Il Comandante Klingon non ribatte. Sa riconoscere una sconfitta quando la vede, tutto quello che conta in tali casi è conservare la dignità e il coraggio.

"Lei sembra il più semplice, Capitano Kirk, ma la sua specie è la più complessa. In ogni momento della sua prova ha cercato l'azione, non si è fermato a pensare, non si è fatto domande, non ha guardato indietro né di lato, teso a sopravvivere ma pronto e disposto a morire. E' quello che fa la sua specie, con una testardaggine che forse vi serberà tempo a sufficienza perchè possiate evolvervi compiutamente, se riuscirete a superare l'innata, terribile violenza che vi domina.

Il suo sacrificio è stato il più consapevole, il suo coraggio il più commovente, il suo dolore il più nascosto e dominato, non per ideologia o educazione, non per arroganza. Per necessità. E, posto davanti all'ignoto, senza pregiudizi si è aperto ad esso, sempre pronto a combattere per la vita, ma disponibile e anelante al contatto. E' questo che rende la sua specie degna di speranza, anche se lei ne è uno straordinario, non comune, esemplare.

Tuttavia, il potenziale distruttivo delle vostre civiltà è semplicemente troppo perchè vi consentiamo di utilizzarlo. Avete sperimentato personalmente quale sia l'estensione del nostro potere, tra poco potrete vederlo all'opera. Cogliete quest'occasione per crescere.”

E in battito di ciglia Kirk e Spock sono di nuovo nelle segrete del castello a studiarne le possibilità di fuga.

  
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