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Autore: Eryca    06/05/2012    3 recensioni
Avevo 17 anni quando un ciclone improvviso fece il suo ingresso nella mia vita, e mi stravolse ogni piano e ogni certezza.
Avevo 17 anni quando finalmente capii che c’era un’alternativa.
Avevo 17 anni quando mi resi conto che potevo scegliere.

~
Per Amy Murray la vita significa fare ciò che è giusto. Ma qualcuno di molto particolare arriverà, e metterà in discussione tutte le sue tesi, facendole capire il vero significato della vita.
~
Attenzione: Questa non è la solita storiella d'amore, non fermatevi a questa presentazione.
***
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Nuovo personaggio, Tré Cool
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Parental Advisory: The static age

 

 

Capitolo Quindicesimo

 

 
Run away from the river to the street

 

 

La folta siepe verde che mi stava dinanzi mi copriva quasi completamente, in modo da rendermi invisibile alle persone, ma allo stesso tempo lasciandomi vedere ciò che avevo di fronte.

Quella sera non c’era molto vento, solo una leggere brezza che dava una sensazione di benessere, come quando si è al mare e ci si lascia scompigliare i capelli dell’aria.

Ma il mio umore non era esattamente sereno e libero, piuttosto mi sentivo agitata e instabile, mentre con gli occhi osservavo l’edificio in mattoni dall’altro lato della strada.

Quella casa non aveva niente di diverso dalle altre del quartiere: tetto in pietre grigie, un bel giardino curato, una porta d’ingresso in legno e un colore neutro.

Ma, per me, aveva un significato affettivo.

Casa Murray.

Un’innocua villetta a schiera in uno dei quartieri più a modo di Rodeo, nel quale erano avvenute molto strani fatti, nell’ultimo periodo.

Ancora ricordavo alla perfezione quando, ormai quasi più di un mese prima, ero uscita da quell’abitazione a notte fonda dirigendomi verso Billie Joe.

Billie Joe con il quale sembravo avere una relazione quasi stabile, anche se nessuno dei due aveva mai toccato l’argomento o si era comportato come se fosse in una coppia; semplicemente vivevamo insieme, facevamo la spesa insieme, tornavamo a casa e facevamo l’amore tutta la notte.

Ormai andava avanti così dal giorno in cui la madre del ragazzo era arrivata nello scantinato e aveva scombussolato la nostra vita semi-serena. Io e Billie non stavamo insieme nel senso stretto della parola ma, in fatto, i sentimenti che si erano creati tra di noi erano più profondi rispetto a quelli di molte coppie della mia scuola.

C’era un legame strano tra noi che non ero in grado di spiegare a nessuno, tantomeno a me stessa e, inoltre, non sentivo il bisogno di dover essere certa che Billie fosse il mio ragazzo, perché andava alla grande così com’era.

Be’, quella sera ero uscita dicendogli che sarei andata a fare due passi e, invece, mi ero ritrovata proprio di fronte a quella casa e mi ero nascosta dietro a quell’odioso cespuglio.

Che cosa voleva dire tutto ciò?

La mia vita andava bene: lavoravo guadagnandomi da vivere, avevo un coinquilino bizzarro e divertente, la scuola non mi creava problemi e avevo più amici di quanti non ne avessi mai avuti.

E allora perché diavolo ero finita in quello stramaledetto quartiere?

Abbassai lo sguardo e incontrai gli occhi del mio caro Bruto che sembrava morire dalla voglia di essere slegato dal guinzaglio per mettersi alla ricerca di qualche strambo insetto. I suoi occhi luccicanti sembravano pieni di felicità, mentre mi supplicava scodinzolando in maniera esagerata.

Le luci della cucina erano accese, segno che probabilmente mia madre stava sparecchiando la tavola e mettendo a posto le stoviglie; le loro abitudini non erano di certo cambiate, nonostante la loro unica figlia fosse fuggita di casa. Non vedevo mio padre da quel drastico giorno a scuola, quando aveva cercato di riportarmi a casa con la forza, unico modo che aveva di comunicare con me.

Nonostante tutto andasse a meraviglia avevo sentito il bisogno di tornare in quella via per dare uno sguardo a quella che era stata la mia vita tranquilla prima dell’arrivo di Billie Joe.

Che cosa significavano quelle sensazioni?

Appartenenza.

Forse sentivo ancora che quella era casa mia, anche se il termine non si addiceva, anche se mio padre mi aveva mostruosamente maltratto, anche se non ero mai riuscita a far uscire il mio vero essere, anche se non ero mai stata realmente felice.

Non potevo nascondere di sentirmi triste nel pensare a tutto ciò che era successo, al fatto di aver davvero abbandonato mia madre e aver perso le mie radici.

Mi girai verso Bruto, in cerca di un aiuto che sicuramente non sarebbe arrivato.

-Ti va di andare a salutare la mamma, bello?-

Il cane prese a scodinzolare nuovamente guardandomi con aspettativa; doveva essere immensamente semplice essere un cane.

Presi un grosso respiro, dicendomi che stavo per fare la cosa giusta in fondo, che avevano il diritto di vedere come stava la loro figlia, nonostante non si fossero fatti più sentire; cercai di mentire a me stessa, inventandomi mille scuse per non ammettere che avevo il disperato bisogno di vedere i miei genitori.

Come potevo davvero voler incontrare due persone così?

Accantonai quegli inutili pensieri, uscendo dal cespuglio per attraversare la strada e ritrovarmi di fronte alla porta di Casa Murray.

Premetti dolcemente il dito sul campanello: una parte di me sperava con tutto il suo cuore che non avessero sentito il trillo, mentre l’altra metà stava agognando perché le rispondessero.

Ero in lotta con me stessa.

La porta si spalancò e vidi il volto di mia madre impallidire alla mia vista, come se avesse di fronte un fantasma, una persona che non poteva realmente essere lì.

Dannazione, come potevo far scaturire una tale reazione nella donna che mi aveva messa al mondo?

Gli occhi della Signora Murray si riempirono di lacrime, che a stento trattenne, per poi sorridermi in un modo che non le vedevo fare da… be’, da mai.

Non sembrava possibile vedere il volto severo di mia madre addolcirsi fino a quel punto, spogliandosi dalla sua tanto amata maschera di severità e compostezza.

Cos’era successo?

-A-amy…- disse in un sussurro, per poi riprendersi aprendo ancora di più la porta invitandomi ad entrare.

Sembrava una realtà parallela il dover vedere mia madre che mi faceva entrare in casa come era uso fare con gli ospiti di passaggio, che si vedevano una volta all’anno.

Un sogno davvero bizzarro.

Misi piede in casa, lasciandomi inebriare dal familiare odore di detergente alle rose, che mia mamma si ostinava a comprare da quando ero piccola; una volta avevo provato a farle acquistare un deodorante per ambienti all’arancia, ma si era opposta dicendomi che ormai la nostra casa era caratterizzata dal profumo di rosa.

Quanto era vero.

Quell’abitazione non avrebbe mai potuto avere un altro odore.

-Vieni, accomodati. Preparo una tazza di tè! Ho comprato le paste di meliga, quelle che ti piacciono tanto e…- poi si fermò, come se gli fosse venuto un triste dubbio –Cioè, sempre che tu abbia intenzione di fermarti…- mormorò a disagio.

Ero davvero arrivata al punto da mettere quell’orrido distacco tra me e mia mamma?

Mi sforzai di sfoderare un sorriso sincero, che non apparisse troppo formale e vidi il volto della donna rilassarsi, come se le avessi appena pronunciato un discorso strappalacrime.

-Certo. Il tè e i biscotti vanno benissimo, mamma.-

Vidi i suoi occhi diventare lucidi nel sentirsi chiamare con quell’appellativo tanto confidenziale e mi sentii improvvisamente in colpa per tutto quel tempo di silenzio e distacco.

Forse le mie decisioni erano state un po’ troppo drastiche, ma d’altronde cos’altro avrei potuto fare? Mio padre si era comportato come un pazzo maniaco e io non sarei potuta rimanere in una situazione del genere. Lo sapeva anche lei.

Mi fece strada fino alla cucina, dove mi fece sedere attorno al tavolo su cui stava un elegante centrotavola in pizzo e un mazzo di fiori rossi: tipico di mia madre.

I fornelli erano accuratamente lavati e nel lavandino non c’era l’ombra di un piatto sporco; mi ritrovai a fare il confronto con il vecchio scantinato in cui io e Billie alloggiavamo, perennemente stracolmo di cartoni di pizza vuoti e lattina di birra sparse sul pavimento.

Certo, non poteva essere altrimenti con Billie, pensai sorridendo tra me e me.

Mia mamma prese a trafficare per la piccola stanza, aprendo cassetti e armadi, posando sulla tavola una gran quantità di cibarie e bevande; la situazione era strana, perché ero abituata ad aiutare mia madre in quei lavori e stare seduta lì a farmi servire non mi sembrava possibile.

Ma le cose erano cambiate, era inutile ripeterselo ogni volta.

-Papà è in casa?-

A quella domanda vidi mia madre sussultare rovesciandosi l’acqua bollente addosso; subito mi alzai per aiutarla e presto ci ritrovammo in silenzio a pulire la sua camicetta bianca.

Non mi ero mai trovata in una simile situazione in compagnia di mia madre che, nonostante tutto, era sempre stata gentile con me e non mi aveva mai fatta sentire a disagio; sentii piangermi il cuore nel vedere che la donna che mi stava vicino sembrava invecchiata di almeno diversi anni, con la sua crocchia di argento, stranamente non impeccabile come il suo solito.

Come poteva essersi creato un simile varco tra il mio mondo e il suo?

 In quello stesso momento un uomo grosso e severo entrò nel mio campo visivo, oscurando tutto il resto, come se fosse un gigante di un libro fantastico che viene a prendere la bambina cattiva.

Era mio padre.

Mio padre che ora mi guardava con un’espressione indecifrabile e, come al suo solito, non sembrava avere la minima intenzione di far trasparire ciò che stava provando nel suo profondo. Il divario tra noi due era stato anche scaturito dalla sua troppa freddezza, il suo non volermi dimostrare mai il bene che mi voleva, se non con un invito a cena dai Price o un’iscrizione al College più prestigioso degli Stati Uniti.

Eppure, nonostante la mia testardaggine, qualcosa dei suoi sani principi si era conservato in me, perché avevo continuato a frequentare le lezioni di danza classica, che rimaneva indiscutibilmente la mia passione; il sogno di divenire una ballerina non era morto, ma bensì si era rafforzato, consapevole come non mai di ciò che avrei voluto fare della mia vita.

-Siediti, papà.-

La mia voce parve incerta e tremolante persino a me, ma mio padre non si scompose e eseguì il mio ordine senza replicare; per la prima volta nella sua vita non contestava un’imposizione, ma bensì la accoglieva senza troppe discussioni.

Notevole.

Tornai anch’io a prendere posto sulla sedia vicino al termosifone che mia madre aveva tanto insistito per far dipingere di rosa opaco, nonostante il dissenso di mio padre, che lo trovava troppo pacchiano.

Mia mamma smise passarsi la spugna sulla camicia e, senza dire una parola, si sedette al mio fianco, quasi fosse volesse finalmente far capire a mio padre che stava dalla mia parte.

Ma era davvero così oppure erano tutti giochi fantasiosi della mia mente?

-Come va la scuola, Amy?- domandò mio padre con un tono piatto, proprio come se fosse una normale conversazione di una normale famiglia americana; Steven era sempre stato un asso nel fingere che le cose andassero nel migliore dei modi anche quando in realtà erano un vero e proprio disastro.

Bevvi un sorso di tè dalla mia elegantissima tazzina decorata con fiori gialli. –Potrebbe andare meglio, ma non mi lamento. Sono ancora una delle migliori studentesse della scuola.- ammisi con un tono soddisfatto.

Nonostante mi fossi allontanata da quelli che erano gli ideali e le certezze di mio padre, non potevo negare il fatto che l’istruzione e la danza erano punti fondamentali per la mia vita e la mia persona; non aveva rinunciato alla cultura solo perché vivevo con un ragazzo a cui la scuola appariva come una specie di carcere corrotto dallo Stato.

Questo era ciò che Steven doveva ancora capire: sapevo scegliere ciò che era meglio per me senza farmi condizionare da chi mi stava intorno.

Guardai mio padre e mi resi conto che conoscevo l’espressione che era apparsa sul suo volto: fronte tirata, labbra serrate e denti stretti, segno che stava per dire qualcosa di realmente importante.

L’ansia prese a salirmi in corpo, quasi fossi un termometro che d’un tratto inizia a divenire rosso fino ad implodere per il troppo calore.

Sapevo che dovevo aspettarmi delle parole dure e pesanti.

Parole che, forse, mi avrebbero sconvolta.

-Speravo venissi a farci visita prima, ma sono comunque contento tu l’abbia fatto, anche se solo dopo tutto questo tempo. Avevi bisogno di tempo e noi abbiamo deciso di dartene, forse perché ci siamo resi conti che non sei più una bambina, ma una donna.-

Avevo pensato che mi avrebbe smontata con sentenze inappropriate, magari dandomi della poco di buono o della ragazza facile e iettandomi una vita triste e senza soddisfazioni. Avevo pensato che mi avrebbe cacciata fuori di casa, solo dopo essersi assicurato che non sarei più tornata e magari anche diseredandomi.

Avevo pensato tante, tantissime cose.

Ma mai mi sarei immaginata che avrebbe pronunciato le parole che disse, tutto d’un fiato.

-Perdonami, Amy.-

Il mio cuore ebbe un sussulto e dovetti smettere per un secondo di pensare per potermi rendere conto di ciò che Steven Murray aveva appena detto a me, sua figlia.

Stavo forse impazzendo? Delirando? Sognando?

Faceva tutto parte di uno strano piano subdolo per incastrarmi e costringermi a tornare a casa, sotto il suo vigile controllo; non poteva davvero aver implorato il mio perdono, quasi fosse ad una confessione in chiesa e chiedesse l’assoluzione dai peccati.

Era davvero ciò che credevo?

Cercai la voce. –Papà, io…-

Alzò la mano prima di farmi continuare, per prendere la parola e continuare il suo discorso che sembrava non avere una fine.

-Non ti chiedo di tornare a casa e fare finta che nulla di tutto ciò sia successo. Mi sono comportato come un pazzo, me ne rendo conto, ma grazia a tua madre sono andato in terapia da uno psicologo che mi ha aiutato a superare, finalmente, alcuni miei traumi infantili e ora posso dirmi un uomo nuovo. Ciò non toglie il fatto che io ti abbia ferita e che sia stato un mostro con te.-

La voce di mio padre suonava immensamente pentita e spezzata, quasi si stesse trattenendo per non scoppiare il lacrime; non avevo mai sentito, in tutta la mia vita, Steven parlare con un simile tono di voce.

Che cosa significava tutto ciò?

E poi… terapia dallo psicologo?

Superare traumi infantili?

Di che diavolo di eventi stava parlando? Perché io non ero mai venuta a conoscenza che mio padre era rimasto traumatizzato da qualcosa?

Forse era una delle tante muraglie che papà aveva alzato a me, impossibilitandomi a conoscerlo meglio, a capire chi fosse davvero l’uomo che mi aveva sempre cresciuta.

-Ho pensato molto a come risolvere questa situazione e sono giunto ad una conclusione che potrebbe rivelarsi sensata..-

Ormai non riuscivo a smettere di ascoltare ciò che aveva da dirmi, perché ero decisamente catturata da quel discorso ricco di emozioni e razionalità, cosa che mio padre tendeva spesso a perdere nelle situazioni come quella.

In fondo non mi ero dimenticata tutto ciò che mi aveva fatto passare e le scenate a cui avevo dovuto assistere, quella drastica notte in cui ero fuggita e davanti al Liceo.

Steven Murray parlò e, come sempre, ciò che disse fu allo stesso tempo tragico e saggio.

-The Juilliard School of Drama, Dance and Music.-

 

 

 

-The Juilliard School of… che?-

Billie Joe parve quasi ringhiare quella domanda, che non ero neanche sicura potesse considerarsi davvero come tale.

Il sudicio garage nel quale vivevamo, quella sera sembrava ancora più sporco e fatiscente del solito, forse anche a causa dell’atmosfera che non era delle più gioiose; ero tornata da casa dei miei genitori e avevo appena comunicato a Billie la decisione che io, mio padre e mia madre avevamo preso.

Avrei frequentato la Juilliard, la famosa e prestigiosa scuola di danza.

L’anno precedente avevo fatto i provini per tentare di essere ammessa nell’accademia e, solo qualche giorno prima della mia visita a Casa Murray, erano arrivati i risultati; ovviamente sapevo che la lettera avrebbe impiegato tutto quel tempo per arrivare, me lo aveva assicurato la segretaria della scuola, ma non avevo più pensato alla possibilità.

E invece il giudizio era stato decisamente positivo e la giuria mi aveva dato il benvenuto nell’accademia con delle fredde e vuote parole stampate a computer su un foglio bianco.

Sembrava la prospettiva perfetta per il mio futuro, nonché la soluzione ai miei problemi: non avrei dovuto vivere sotto lo stesso tetto di mio padre che, nonostante mi avesse dimostrato di avere tutte le intenzioni di cambiare, ancora non mi convinceva del tutto; avrei potuto studiare per diventare una ballerina, il sogno di tutta la mia vita e, nello stesso tempo, mi sarei potuta dedicare anche ad altre attività e avrei potuto fare nuove, interessanti conoscenza.

Sembrava davvero perfetto.

Sembrava.

Sembrava, perché c’era un particolare che non rientrava in tutti i miei gloriosi progetti per il futuro, un dettaglio che poteva sembrare insignificante ma che, per me, stava alla base di tutto.

Armstrong.

Billie Joe Armstrong non mi avrebbe seguita fino a New York solo per potermi permettere di realizzare il mio sogno e non avrebbe neanche aspettato che fossi tornata trionfante e felice; avrebbe semplicemente fatto come sempre: sarebbe andato al lavoro, avrebbe aspettato la sera per suonare con Trè e Mike, sbronzarsi e fare sesso.

La vita di Billie sarebbe continuata sulla stessa piatta linea d’onda, lo sapevo benissimo, perché non sarebbe mai cambiata.

Lui non sarebbe mai cambiato e io non potevo rimanere bloccata a Rodeo per abitare in uno scantinato e vivere alla giornata, senza pensieri e senza soddisfazioni.

Non potevo farlo, nonostante il mio cuore stesse implorando di non andarmene da lì, perché lui era nelle mani di Billie, ormai.

Lasciai che la lacrime scendessero e mi sedetti sul letto, abbracciandomi le braccia con le mani, conscia del fatto che sarebbe stata una delle ultime volte in cui avrei potuto sentire lo scomodo materasso sotto il mio corpo.

Sarei dovuta partire una settimana dopo, per la preparazione che ogni matricola doveva fare prima dell’inizio della sua carriera studentesca nel collegio.

Armstrong se ne stava in piedi con le braccia aperte, il viso ancora contorto dalla rabbia e i capelli scompigliati, che probabilmente non pettinava da mesi; erano così che avrei voluto ricordarlo nella mia mente: bello, vizioso, trasgressivo, ribelle.

Il Billie che tutti conoscevano, ma che solo io avevo realmente avuto l’onore di conoscere.

Il ragazzo cambiò espressione, abbandonando quell’aria arrabbiata e acquistando un fare comprensivo, che non avrei mai pensato di poter vedere sul suo volto.

Quante altre cose avrei dovuto scoprire in quel giorno che sembrava non dover finire mai?

Si sedette sul letto proprio vicino a me e potei sentire il rumore del suo respiro, che ascoltavo ogni mattina e ogni notte, prima di addormentarmi, e conoscevo ormai meglio del mio.

Come avrei potuto sopravvivere senza il punto di riferimento che mi aveva salvata dalla mia ignoranza?

Billie mi aveva reso una persona nuova, migliore ed ora io gli stavo dicendo che me ne sarei andata, senza voltarmi due volte indietro; lo stavo abbandonando.

Sentii le sue braccia appoggiarsi sui miei fianchi, stringermi forte e farmi voltare parzialmente, solo per riuscire ad abbracciarmi; appoggiai la testa sul suo petto, lasciando che le lacrime bagnassero la sua maglietta di un qualche gruppo musicale a me ignoto.

Lo sentii accarezzarmi i capelli, proprio come fa un padre con sua figlia quando di notte lo sveglia perché ha paura dell’uomo nero che si nasconde sotto il suo letto.

Mi lasciai inebriare dall’odore di Billie, che per me era come una droga: non potevo più farne a meno, ma nello stesso tempo non potevo viverci insieme.

Catturai i suoi occhi ed essi non cercarono di scappare via, ma rimasero fissi nei miei, quasi a volermi penetrare, a volermi possedere, come faceva tutte le notti, da un po’ di tempo a questa parte.

Sentii due semplici paroline premere per uscire, erano lì, annidiate nella mia gola che scalpitavano perché io le pronunciassi.

-Ti amo, Billie.-

Forse scelsi il momento meno giusto per dire ciò che fremeva per essere detto da troppo tempo ormai; forse sbagliai decisamente a rendere vocale ciò che sentivo così profondamente.

Forse quello fu uno degli sbagli più grossi della mia vita, ma non me lo domandai troppo, non ci pensai su qualche minuto in più, perché sentivo che doveva essere così.

Doveva essere detto, perché l’amore che provavo nei confronti di quello strano ragazzo punk sembrava non avere un inizio e nemmeno una fine; era un qualcosa di inspiegabile, sentivo solamente che non avrei potuto tenermelo dentro per un solo minuto di più.

Il mio coinquilino mi guardò con occhi estremamente tristi, quasi si stesse trattenendo per non urlare o scalpitare di non andarmene, perché sapevo che Billie non mi avrebbe mai trattenuta se non era ciò che volevo fare.

Mi avrebbe lasciata andare.

Sentii la sua voce uscire in un sussurro così debole, che se non fossimo stati in completo silenzio probabilmente neanche avrei sentito ciò che mi disse.

 

̶  Idem.

 

 

 

*****

 

 

Angolo Eryca:

 

Avviso importante a tutti i lettori: Il mio Nickname è cambiato da Snap95 a Eryca.

 

Torno dopo un lungo periodo di assenza e mi sento in dovere di chiedere scusa per la troppa attesa che vi ho imposto.

Ma, come potete vedere, questo è un capitolo decisamente drastico e difficile e non potevo permettermi di scriverlo in modi diversi da come lo avevo impresso nella mia mente.

Si, Amy se ne va, miei cari; era prefissato così fin dall’inizio, sapevo già come avrei terminato la storia e, beh, devo farvi sapere che questo è l’ultimo capitolo effettivo.

Scriverò e pubblicherò un ultimo capitolo, che sarà l’Epilogo della storia, ma non aspettatevi decisioni improvvise o cambiamenti all’ultimo minuto, perché non avverranno.

Questo è ciò che accadrà.

È triste, lo so, spero non mi odierete e sono fiduciosa che voi possiate capire la mia scelta: Amy e Billie non hanno futuro insieme, nonostante tutto.

Spero abbiate apprezzato il capitolo e il suo contenuto, in fondo si sono dichiarati amore.

 

Un grosso abbraccio,

la vostra Eryca, ex Snap95-

 

 

 

 

 

   
 
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