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Autore: Himitsu87    06/05/2012    3 recensioni
La guerra può essere dura, soprattutto quando si deve fare da baby-sitter ad un superiore molto particolare. E se ci si mette poi anche un'esplosione improvvisa?
Scritta per lo Sherlothon.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Vorrei ringraziare la beta di questa storia, Minnow (http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=44756 <- leggete le sue storie), senza la quale questa storia non sarebbe quello che è. Grazie mille Minnow. ^__^



L’esplosione, il buio, la sabbia, il silenzio, il sangue.
Di certo non le condizioni migliori per riprendere a respirare: l’aria densa di polvere gli bruciava la gola, mentre un compagno lo tirava su, cercando di svegliarlo. Lo vedeva muovere le labbra, ma non riusciva a sentire nulla.
E tutto intorno: compagni a terra, bisognosi di cure;altri, morti. Cercava di riprendersi ma era stordito, si inginocchiò accanto ad uno dei loro, il battito assente.
«…mes»
Iniziò a sentire di nuovo, ma molto lentamente, troppo lentamente. Sembrava che il suono si dovesse fare strada lungo oceani per arrivare a lui.
«…il tenente Holmes, signore…»
Spalancò gli occhi, cercando intorno a sé il suo superiore.
Non riusciva a vederlo da nessuna parte. Era il più vicino all’esplosione, praticamente a pochi passi,  doveva essere per forza gravemente ferito.
E John era responsabile della sua sicurezza.

«Come al solito, non comprendi nulla di campi di guerra. Qui siamo al sicuro».
«Ti dico di no, John! Stiamo per esplodere! Fidati!»


Non si era fidato, e ovviamente aveva fatto male.
Non era nemmeno mancanza di fiducia, non troppa almeno, il tenente gli aveva dimostrato molte volte di come fosse da sciocchi trascurare le sue parole. Eppure aveva controllato con gli altri il luogo e sebbene Holmes fosse un genio in grado di creare esplosivo dal nulla di far arrestare già tre militari colpevoli di omicidi crudeli e inutili, era lui il vero militare.
John aveva fatto carriera da soldato semplice a sottotenente, era un medico stimato dai suoi commilitoni, mentre Holmes non era niente più che un figlio di una famiglia molto potente, mandato sul campo per chissà quali motivi, con John incaricato speciale della sua sicurezza.
Dal primo momento a John non era piaciuto.

«Se pensi che io sia qui per mio volere sbagli. Io odio la guerra. Tante morti e tutte inutili e senza niente di interessante».

Al principio l’aveva odiato. Aveva perso dei cari amici e nessuno poteva dire che le loro morti erano inutili. C’erano volute solo due settimane perché John iniziasse a fidarsi completamente, senza per questo smettere di odiarlo la maggior parte delle giornate. Solo, con un po’ più di discrezione. E tuttavia non riusciva minimamente a stimare le fantomatiche capacità di Holmes – poteva essere un genio, ma questo non lo avrebbe reso adatto ad un campo di guerra.
Se l’avesse ascoltato forse sarebbero salvi.
Continuava a girare fra i resti della Jeep capovolta dall’esplosione e il piccolo edificio che spiccava abbastanza isolato. Si era fermato due volte ad aiutare dei feriti, ma con lo sguardo cercava il corpo del superiore.
Un corpo ricoperto di sangue.
Il cuore si bloccò e corse a voltare il corpo. Adam, il suo miglior amico. Lo guardò senza capire. Il suo cervello gli diceva che era morto ma lui non poteva, non voleva crederci.

«È un ordine! Dovresti sapere che significa, te l’hanno insegnato. Occupati di ‘sto tipo e basta»
«Adam, io sono un medico e questo significa che sono qui per fare del bene, non per fare il baby-sitter. E comunque io faccio le diagnosi, non altri»


«Tenente.» urlò sempre più forte, girando fra le macerie infuocate.
E ora, dannazione, non lo trovava - dove diamine potesse essere scomparso a un minuto da un'esplosione, e se non l'avesse saputa una cosa ridicola l'avrebbe giurato a cercare indizi, probabilmente. Era l'unico genio al mondo che sapesse capace di una tale idiozia.
Il suo compagno lo tirò.
«Il tenente…» disse, ma John si guardava intorno, senza capire perché non riuscisse a pensare ad altro che al trovare il superiore.
Una grossa pozza di sangue. Un luccichio. Una placchetta di metallo.
1895.

«1895».
«Sul serio? Strano come numero di matricola».
«Che ha di strano?»
«Nulla, nulla. Non so perché ma ti si adatta».

La raccolse, stringendola nella mano, fissando il sangue senza essere capace di pensare ad altro che a questo.
Sangue, tanto sangue, fuori dal corpo, sulla sua matricola.
Il ragazzo lo strattonò di nuovo, chiamandolo. John lo guardò, iniziando a riprendere la sua lucidità, iniziando a sentire e a capire perfettamente tutte le parole e la loro urgenza.
Il tenente Holmes. Lo avevano trovato e portato via. Dovevano andare anche loro e subito, prima di un altro attacco. Dovevano raggiungere i feriti e controllare che John stesso non avesse ferite, considerato il suo prolungato stato di incoscienza.
Lo spinse in una Jeep controllando che tutti fossero stati recuperati.
John guardò la placchetta nella sua mano.
1895.
Un numero, era quello che li classificava. Era quello che rimaneva negli elenchi di vittime sui rapporti. Solo un numero. Ma sul campo ci si conosce, ci si affeziona, si ride e si piange insieme, si guardano le foto dei familiari e ci si stringe a vicenda per non crollare. E non poteva finire solo in uno squallido numero su un documento e in una placchetta di metallo rispedita a casa.
Strinse la mano, sentendo il metallo spingere sulla pelle, quasi a volerci entrare.
“Vivi, ti prego. Non morire.”

«Se morissi sarebbe molto fastidioso, ho altri progetti. E mia madre ucciderebbe mio fratello. Non che mi interessi, ma mi piacerebbe investigare sull’essere capace di uccidere mio fratello e indagare su mia madre sarebbe noioso, nonché impossibile, date le premesse dell'omicidio».
«Tutto questo non ha senso».
«Come quasi tutto qui».

 
Si era addormentato. Con la placchetta ormai fusa alla sua mano, mentre aspettava di avere notizie.
Erano arrivati in ospedale e la stanza indicatagli era davanti a lui.
«Vivi o ti ammazzo con le mie mani!»
La mano sulla maniglia.
«Ti prego».
Il tenente era disteso, con gli chiusi, il petto e il braccio sinistro completamente fasciati. Sangue. Ancora.
«Sherlock…?»
Le palpebre tremarono e l’aria tornò a circolare nei polmoni di John.
Sorrise, poi quasi rise, nervosamente, a scatti.
«Sherlock».
«Credo mi rimanderanno a casa», soffiò.
Piano, appena un sussulto, gli occhi ancora chiusi. E John era impietrito, lo aveva sentito usare il suo nome.
Ripensandoci non sarebbe stata una gran perdita per il mondo se fosse rimasto in coma per un po’. Qualche giorno senza la sua adorabile voce a rimproverare tutti. Un’utopia.
«Tenente… io…»
«Tranquillo. Se mi rimanderanno a casa tornerò ad essere un civile. E sono convinto che presto diventerai tu un mio superiore».
Il tenente aveva aperto gli occhi e si era girato verso di lui, guardandolo negli occhi.
John sorrise, porgendogli la sua placchetta. Holmes la fissò a lungo.
«Sarà strano d’ora in avanti senza di te».
«Sai John, ho in mente un mestiere interessante e avrò bisogno di un aiutante».
«Potrei morire domani.», rise John.
Sherlock lo guardò a lungo, poi gli restituì la targhetta.
«È un ricordo importante. Riportamelo quando tornerai a Londra».
John sorrise, annuendo.

Lo chiamavano, tra il rumore di spari. Si precipitò ai piedi di un ferito, incurante della posizione in cui era caduto.
Il colpo lo scaraventò a terra.
Non fu come aveva sempre immaginato, un’assenza di dolore dovuta allo shock.
Sentiva perfettamente il bruciore avvolgergli la spalla e il sangue sgorgare. Riusciva a sentire l’odore della pelle scoperta e del sangue, fin troppo familiare. Sentiva il luogo in cui proiettile in tutto il suo calore era entrato e uscito, sentiva la posizione e pregava Dio che non avesse colpito l’arteria. Pregava di lasciarlo vivere ancora. Si portò la mano del braccio sano al petto, a stringere la placchetta di Sherlock.
Poi un fucile davanti al viso, l’odore forte di polvere da sparo e di fuoco, di metallo surriscaldato.
Il buio della canna che sembrava volerlo risucchiare e una sola cosa in mente.
«Dio ti prego, non farmi morire. Devo onorare una promessa».
Strinse la placchetta, poco prima che il nemico premesse il grilletto, poco prima che un colpo di un suo compagno uccidesse l’uomo, spingendolo a terra facendogli mancare il viso di John.
   
 
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