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Autore: _ALE2_    07/05/2012    2 recensioni
Sottopelle quei due pugnali lo eccitavano, lo stordivano, ma così, di fronte a lui, gli davano la sensazione di essere sul punto di contrastare una frana a mani nude. E più o meno era quello che era successo dal primo momento in cui avevano deciso che, oltre ad essere nemici, dovevano essere anche amanti, come se fossero le facce di una stessa medaglia le due cose.
“Mi sono dovuto inginocchiare” ed eccolo lì, il primo sassolino che cadeva, facendo un boato assurdo.
Possibile OOC
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Wrath of the Seas'
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Don’t mess with me

(I’ve made your misery my goal)

 

 

Da che Francis ricordasse, quella stanza era l’unica che trovava veramente affascinante in quell’enorme casa: il soffitto altissimo si confondeva nel bianco sporco delle pareti, mentre la stanza dal pavimento di legno, praticamente vuota lasciava all’ambiente l’aria che necessitava. Le grandissime vetrate di fronte a lui rendevano giustizia al pessimo tempo della campagna inglese, mentre le nuvole grigie si addensavano chiare ed una sottilissima pioggia bagnava le finestre ad arco, racchiuse da bellissimi rampicanti.

Non c’era bisogno di sforzarsi per Francis nel ricordare la bella Elisabetta seduta sulla piccola poltrona verde, a bere, mentre la sua nazione suonava, all’angolo della stanza, un rudimentale violino, ingentilendo le canzoni che i suoi scagnozzi inventavano per mare, mentre lei rideva incontrollata, battendo le mani senza produrre alcun rumore, lo schiocco soffocato dai lunghi guanti bianchi.  Nonostante le tante ristrutturazioni quella camera nel profondo non era cambiata poi tanto: il pavimento adesso era di un legno più chiaro, le finestre di un vetro nuovo, all’angolo della stanza uno dei primi pianoforti  prendeva polvere inutilizzato.

Arthur sedeva controluce, sulla stessa poltrona che Elisabetta usava utilizzare, era in silenzio, mentre fissava oltre la vetrata quello che a Francis apparve come il vuoto.

Nella loro lunga storia insieme, da amici, avversari, alleati, amanti, aveva visto passare qualsiasi emozione sul volto dell’inglese, compresa quella di stordito dolore che indossava in quel momento.

Francis camminò nel silenzio tombale nella stanza, mentre il rumore dei tacchi dei suoi stivali rimbombava nella stanza vuota, dall’altra parte la pioggia improvvisamente cominciò ad abbattersi contro il vetro con più forza.

Arthur mosse il capo per guardare i vetri opachi, mentre si portava distrattamente il bicchiere alle labbra, sorseggiando un liquido chiaro nel bicchiere di cristallo. Francis passò oltre la sua figura dandogli le spalle, incedendo piano verso la finestra, fermandosi a guardare tra le gocce il paesaggio con quel verde bottiglia sconfinato. Il rumore del secondo bicchiere che veniva riempito fece voltare Francis, che si diresse a passo lento verso la seconda poltrona, sedendosi di fronte ad Arthur, guardandolo mentre con la solita meticolosità metteva il liquido nel bicchiere. Non c’erano i soliti camerieri, non c’era Scozia ad aggirarsi come un falco per la casa, oppure Irlanda, intenta a fare strani scherzi. Nella totale solitudine Arthur che l’aveva chiamato lì non aveva ancora detto una parola, ma in quel momento lo guardava con due occhi quasi spiritati, mentre il viso ridava quell’espressione di muta sconfitta.

Francis mimò un brindisi, mentre si portava alle labbra il bicchiere, mentre saggiava un fortissimo scotch, guardando l’altro appena confuso.

“Lo scotch delle cinque?” disse allora rompendo il silenzio della stanza, mentre un tuono sferzava l’aria. Arthur che lo guardava spostò lentamente il viso verso le vetrate, un altro bagliore invase la stanza, mentre i gesti lenti di Arthur apparvero per la prima volta al francese come del tutto innaturali.   

“Come mai sei da solo Arthur?” chiese allora quasi per circostanza, senza rimanere a pensare più di tanto a quello che diceva.  Arthur si portò per l’ennesima volta il bicchiere alle labbra, Francis sospirò sulle labbra rosa dell’altro, mentre lo sguardo cadeva sulla camicia leggermente slacciata, mentre l’umido della calura estiva inglese lo coglieva impreparato. Da quanto tempo non apriva quella stanza?

“Non volevo confusione in casa” disse laconicamente l’inglese, con la voce di chi era rimasto in silenzio per tanto tempo. Francis annuì, mentre lo osservava rendendosi conto che in realtà l’altro non guardava lui nonostante lo stesse fissando da parecchio tempo. “E come mai non nella tua capitale?” cominciò Francis, mentre il vuoto di quegli occhi verdi si spostava di nuovo sulle finestre. “Ho sentito che c’è parecchia confusione a Londra” aggiunse cauto mentre l’altro annuiva, appoggiando il bicchiere alle labbra senza bere, tornando a guardarlo immediatamente, mentre un brivido caldo correva lungo la schiena del francese. “C’è molto più caos a Parigi” disse Arthur guardandolo ancora, mentre Francis annuiva ancora, fissando la stanza vuota.

“Perché mi hai voluto qui con tanta precipitazione Arthur?” chiese il francese mentre si alzava spazientito da quell’assurda immobilità.

“Pensavo che dopo quello che è successo sarebbero passati secoli prima di un nostro fortuito incontro” aggiunse poi studiandolo, la voce soffice, il tono impostato. Al di là dei convenevoli, la discussione politica, il braccio di ferro, il pathos che cominciava, Francis lo sentiva nell’aria. La drammaticità di un secondo, il salto prima del fulmine e poi lo squarcio, che arrivò sul serio, ma non dal fragore del tuono, ma dalle lame terribili dei due occhi verdi che si era voltati, irati, contro di lui. Sottopelle quei due pugnali lo eccitavano, lo stordivano, ma così, di fronte a lui, gli davano la sensazione di essere sul punto di contrastare una frana a mani nude. E più o meno era quello che era successo dal primo momento in cui avevano deciso che, oltre ad essere nemici, dovevano essere anche amanti, come se fossero le facce di una stessa medaglia, le due cose.

Mi sono dovuto inginocchiare” ed eccolo lì, il primo sassolino che cadeva, facendo un boato assurdo. Francis avrebbe voluto dire che sì, lo aveva vissuto anche lui quel momento, era lì presente quando quello scontro era finito.

Lui era stato lì, contro il nemico di sempre. Ed Arthur adesso lo guardava come se in quegli occhi fosse racchiusa la rabbia di tutto un popolo.

“Non puoi darmi colpe che non ho Arthùr, non è la prima volta che perdi contro il sottoscritto” Francis non sapeva se per la frase o per la pronuncia storpiata del suo nome, ma aveva visto un altro lampo di fastidio negli occhi dell’altro e la cosa non gli era piaciuta. “Ti avevo pregato di restarne fuori Francis, lo avevo fatto come uomo” Arthur aveva ripreso il controllo della sua voce, in modo che tutte le parole pronte ad uscire dalla sua bocca non sembrassero acuminate come la punta di un coltello.
“Come uomo ti avevo pregato di non bruciare Jeanne” Francis invece si era inscurito, come se fosse una discussione che aveva previsto e per questo lo deludeva. Arthur dopo aver buttato giù l’ultimo sorso di scotch si alzò, affiancandolo nel guardare la pioggia.

Era comico come per tutte le discussioni stupide arrivassero ad azzuffarsi e come per le tragedie stringessero i pugni e mantenessero tutta la rabbia stretta tra le dita.

“Dì la verità, io ti conosco da sempre, l’ho vista quell’espressione malefica Francis, l’ho visto come hai goduto, quando lui è andato via e mi ha lasciato nel fango…nel fango, Francis!” ed il francese scoppiò in una risata controllata mentre gli si metteva di fronte, guardandolo. “Mon chere, in quel momento non avevi occhi per guardarmi” rispose allora con la voce nervosa di chi si stava alterando, di chi era sul punto di urlare. “Non sono spregevole come te” continuò, guardandolo. “Piansi anche io sul suo rogo, idiota di un francese, piansi anche io perché non potevo evitarlo!” il francese gli diede le spalle mentre camminava con fare stizzito per la stanza. “Oh, lo ricordo bene Artùr, quella scena è l’incubo che mi tormenta tutte le notti… ma smettila di parlare di Jeanne e dimmi perché mi hai voluto qui!” disse il francese sempre più stizzito, senza sapere il motivo preciso. Lo avvertiva nell’aria che c’era qualcosa che non funzionava, non ancora.

“Se n’è andato Francis, non esiste più né il porto sicuro, né la nostra casa…” cominciò guardandolo, mentre si avvicinava con fare sconfitto, appoggiando la fronte alla sua schiena, chiudendo gli occhi verdi mentre il Francese sospirava.

“Non credevo che volessi conforto, non da me” disse allora il francese, mentre si girava, accogliendolo sul suo petto, appoggiandogli le mani alla vita sottile, smagrita, ancora.

Arthur si lasciò stringere, si lasciò coccolare, si lasciò toccare con quell’intimità che Francis credeva gli sarebbe stata negata quasi in eterno. Francis fissò gli occhi smeraldo, mentre l’altro gli passava una mano sciogliendogli i capelli doro dal codino, lasciandoli cadere sulle spalle. “Non ho bisogno di conforto, non ti ho chiamato per questo” disse l’inglese allora, appoggiandogli una mano sulla spalla. “Prendo di nuovo il mare, verso le colonie, verso l’Impero” disse serio, il francese sorrise ancora. “Oh, con la bella divisa blu da capito della marina, potresti sfidare la tua versione da pirata” ma Arthur lo zittì con una mano, sporgendosi verso di lui. “Oh, ora ho capito, volevi il tuo addio, mio marinaio…” ma mentre Francis sdrammatizzava Arthur lo guardava vuoto ancora.

“Mi hai spezzato il cuore” disse inspiegabilmente, mentre gli tirava indietro i capelli chiari, baciandolo con forza, con un impeto tale da costringere Francis a sottostare, chiudendo gli occhi, reggendolo per le spalle.

Fu l’ennesimo scontro tra loro, tra mani che scomparivano in lente carezze , bocche che si cercavano fameliche, gli occhi di Arthur improvvisamente aperti mentre guardavano i suoi. “Prima di andare via passavo nella nostra casa e poi andavo per mare” Francis vide i suoi occhi cambiare, l’espressione mutava, mentre gli tirava con forza i capelli all’indietro facendolo gemere di dolore, mentre l’aria si faceva luminosa, mentre quel dannato sguardo da bucaniere gli entrava negli occhi, rendendolo malefico.

“Tu hai i suoi stessi occhi” e mentre Arthur lo abbandonava e gli dava le spalle Francis sentì il respiro saltare, il cuore pompare troppo velocemente, le gambe tremare per un solo secondo, prima di capire. Non lo aveva chiamato per essere consolato, lo voleva punire, rendendolo un rimpiazzo. Lo sapeva benissimo Francis, che sotto tutti i finti panni da perbenista, ad Arthur piaceva giocare alla vendetta e lo aveva colpito lì nell’orgoglio, in quella parte di cuore a cui più teneva ancora una volta, pur di sottometterlo alle sue parole.

“Non credevo che potessi essere così…” ma l’inglese lo interrusse ancora, ridendo, mentre lo sguardo non mutava, folle ed inferocito come lo conosceva da tempo. “Oh Francis io sono molto peggio, peggio di così!” disse stringendo le mani. “Non ho più niente da proteggere adesso, non ho del bene da cui tornare” disse umiliandolo ancora una volta. “Vai a dire a tutta Europa di non intralciarmi Francis, perché ho intenzione di fare guerra a tutti quelli che mi si mettono contro, soprattutto a te, mon petit amour” e Francis provò un moto di disprezzo per come Arthur aveva osato infangare il modo scherzoso in cui lo faceva innervosire da secoli. 

“E’ una prova d’amore, no?” chiese all’improvviso l’Inghilterra, lanciandogli uno sguardo di fuoco. “Volevi che ti facessi vedere che ti amo anche io, Francis?” gli chiese quasi isterico, con la faccia di una persona che non sapeva nemmeno cosa stava dicendo.

“Le persone che amiamo sono quelle che ci feriscono di più quando ci fanno male” continuò tranquillizzando il volto ed il respiro. “Era così che dicevi…beh, fatti due conti” disse dandogli le spalle, mentre il francese, anzi, la Francia guardava quella schiena con lo sguardo opaco di chi aveva avuto una rivelazione nel momento sbagliato.

“Non è stata colpa di nessuno di noi Arthur, soltanto tua” aggiunse con la voce grave e bassa di chi annunciava qualcosa di triste, l’inglese con una manata fece cadere la bottiglia di scotch con i bicchieri a terra, creando il boato dei cristalli che venne seguito dal boato della pioggia che ormai violenta si abbatteva sulle vetrate. Lo sfogo momentaneo di una tempesta estiva, mentre la calura si alzava attorno a loro.

“Sì è stata colpa dell’Inghilterra” disse mentre si voltava a guardare quei cocci a terra, senza muoversi assolutamente per raccoglierli, mentre lo scotch rimasto nella bottiglia si allungava sul pavimento, tra i pezzi di vetro dei bicchieri.

“Metà delle cicatrici che ho addosso me le hai fatte tu” disse all’improvviso Arthur senza alzare il viso per guardarlo. “Tantissime altre ne ho avute mentre cercavo di proteggerlo, da te, da Spagna, da Olanda o da chicchessia” la smorfia che gli attraversò le labbra indicò che era sul punto di scoppiare. Francis guardò a terra, mentre capiva che quel cieco dolore che si portava dentro si sarebbe risoluto soltanto nella desolazione più disarmante.

Non ci poteva essere salvezza quella volta.

“Le ho viste poi le risatine malefiche, i commenti divertiti, voi del continente sapete diventare piuttosto uniti quando c’è da complottare contro il sottoscritto” disse Arthur sospirando una risatina nervosa. “Il leone che ha perso i denti” aggiunse mettendosi a ridere. “Sto citando letteralmente i sussurri che mi sono arrivati alle spalle, vorrei capire come si fa ad essere così stupidi…” Francis scosse il capo come se stesse sentendo qualcuno che delirava.

“Stai scappando Arthur, scappi allontanando tutto e tutti, anche me, perché hai paura, paura che qualcuno capisca il vuoto in cui sei caduto” l’inglese trattenne il fiato ma non si scompose, girandosi per guardarlo negli occhi.

“Da oggi in poi il mondo sarà diverso” lo guardava come se lo stesse implorando di credergli, di rendergli giustizia, di andare via spaventato. “Non puoi pretendere di comportarti da nazione, se mentre l’Inghilterra è in piedi, è l’uomo che sta marcendo, ed è l’uomo che medita vendetta” ma Arthur non lo seguiva più.

“L’Inghilterra diventerà ancora più grande, che voi bambocci lo vogliate o no” concluse, ma Francis non voleva più ascoltare, si era girato, andando a passo veloce fuori dalla stanza, mentre Arthur si era riseduto sulla poltrone, rigido come una statua a fissare i cocci di vetro e cristallo.

Francis avrebbe voluto essere spaventato, avrebbe voluto credere che stesse solo delirando. Su una cosa Arthur aveva ragione, loro continentali erano stupidi a crederlo ferito a morte.

Il leone era vivo accanto a loro e puntava dritto sulla gola di chiunque gli si fosse messo davanti.

 

L’assenza di Francis non si era fatta notare subito.
Arthur si era alzato a prendere un’altra bottiglia ed una delle sue vecchie carte navali.

Quale mare avrebbe solcato per primo?

Non lo sapeva ma un sospiro di sollievo gli si aprì nel petto non appena pensò alle tempeste, al rumore delle onde, agli ordini gridati ai marinai, alla bellezza dell’avvistare terra dopo mesi di blu profondo.

Sì, avrebbero governato i mari. Se lo sarebbe tirato fuori dalla testa a suon di cannoni, canzoni di mare e schioppettate.

Così come era prima di lui, così sarebbe stato.

“Ti piacerà, Elisabeth”  commentò soltanto, segnando linee immaginarie sulla cartina.

 

 

 

Note finali: Ciao a tutti, scusatemi se sono caduta un po’ nell’OOC, ma a volte alcune rappresentazioni di Inghilterra mi danno sul nervoso che qui volevo renderlo un po’ più minaccioso, che poi come al solito l’ho reso un personaggio folle, non saprei che dire!

Personalmente io sono per la coppia FrXUk ma non odio affatto la USXUK (trovo abbastanza stupido poi, lottare per coppie) quindi nonostante qualche dichiarazione di Arthur vedetela come vi pare, almeno questa qui, che è l’inizio. Non so se questa serie sarà Shonen ai e non so di quante parti sarà fatta, suppongo al massimo di altre tre one shot.

Il simbolo dell’Inghilterra è il leone, anche se non è il solo, mi sembrava adatto per Arthur, dalla prossima storia si vedrà davvero attivo e meno folle. Mi rendo conto di aver fatto una cosa troppo seria, ma ahimè, io sono una che di spiritoso sa scrivere poco, ma se la cava meglio sul triste.

Mi dispiace aver messo pochissimi riferimenti storici, ma ne farete indigestione presto, non preoccupatevi. Il titolo di questa storia viene da una canzone omonima, ed ammetto che l’ispirazione è venuta vedendo uno dei video su Arthur pirata accoppiato a questa canzone…spero vi sia piaciuta, in tutti i casi spero di rifarmi alla prossima!

  
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