Prologo
 

Oggi ho scoperto che non sono l’unica a non amare particolarmente le storpiature del proprio nome. O meglio, mi spiego: ho sempre desiderato che i miei amici e le persone in generale mi chiamassero con un soprannome divertente e incisivo, che mi identificasse nel gruppo.
Invece come spesso accade, la realtà è ben diversa dalla fantasia, e purtroppo tutti mi hanno sempre affibbiato un soprannome che suscita in me la più spinta antipatia.
La prima volta che mi hanno chiamato Chiaretta è stato al liceo, nel pieno della mia gioventù, e per cinque lunghi anni è stato impossibile sfuggirvi. All’università la cosa si è ripetuta continuamente, ovunque io andassi. E ora il culmine è stato raggiunto al lavoro, dove persino uno dei colleghi più anziani ha dato il via a questa piacevole abitudine.
Tutto questo mi ha fatto riflettere su una cosa: è chiaro che pecco di comunicazione, altrimenti la mia faccia si contorcerebbe in varie smorfie ogni volta. Invece applico la regola del “sorriso cortese a denti stretti”e faccio finta di nulla. E pensare che tutto sarebbe più facile se imparassi a dire chiaramente quello che penso.
Così eccomi alla soglia dei 28 anni a fare un lavoro precario che mi piace molto ma che a malapena mi permette di coprire le spese del mio appartamento in condivisione con due giovani studentesse che mi ricordano continuamente quanto sia bello vivere senza pensare a come tirare a fine mese.
Nonostante abbia iniziato con un taglio pessimistico, questa storia non lo è.

È semplicemente una favola d’altri tempi ambientata in tempi moderni.